Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un articolo di Rino Camilleri, pubblicato su Il Giornale intitolato “L’Impero romano ? cadde per le poche nascite e i troppi stranieri” l’articolo si basa sul libro “Gli ultimi giorni dell’impero romano”, un romanzo spacciato per saggio storico, scritto da Michel De Jaeghere, un giornalista francese, che sta facendo discutere la Francia per il presunto legame con l’attualità.
Non ho avuto modo di leggere il libro e se le premesse sono quelle esposte nell’articolo di Camilleri non sono molto interessato a leggerlo.
In questa sede mi limiterò a dare una risposta critica all’articolo e indirettamente al libro.
Per chi conosca un minimo la storia romana, saprà che la scala sociale sia in età imperiale che repubblicana, e addirittura in età monarchica, era molto dinamica, diciamo pure che il famoso “sogno americano” dove il figlio di un contadino può ambire a diventare presidente degli stati uniti d’america, all’epoca era il sogno romano, poiché anche l’ultimo degli schiavi, poteva ambire a migliorare la sua condizione e ascendere alle più alte cariche dello stato, non dimentichiamo che sotto Tiberio, i suoi liberti (ex schiavi dell’imperatore liberati) controllavano la burocrazia imperiale.
Certo, non era “facile” ma neanche impossibile.
Allo stesso modo gli stranieri, saranno un elemento fondamentale per l’ascesa e la crescita di Roma che già in età monarchica, vedrà tra i suoi re, un certo Tarquinio Prisco, e se detto così può non avere nulla di strano, le sue origini danno molto a cui pensare. Tarquinio Prisco, a differenza dei suoi predecessori non aveva origini Sabine ma Etrusche, di fatto era un forestiero che giunto a Roma si era arricchito fino a diventare talmente influente da ascendere alla monarchia.
Aggiungo un ultimo esempio, questa volta non politico, ma semplicemente economico, e che tocca da vicino il mondo religioso e il personaggio biblico di San Paolo, nato Saulo di Tarso. Stando al racconto Biblico, San Paolo una volta arrestato fu condotto a Roma per essere giustiziato, e fu giustiziato a roma perché cittadino romano. Paolo/Saulo non era nato a Roma, e come lui nessuno della sua famiglia probabilmente neanche erano mai stati nella capitale imperiale, e pure la sua famiglia era una famiglia romana.
L’esempio di Paolo è importante per ricordare che anche un forestiero poteva ottenere, conquistare o comprare la cittadinanza romana, e non solo negli ultimi anni dell’impero, ma già nella prima età imperiale e anche in età repubblicana.
L’immigrazione e la grande mobilità della società romana non sono la causa della sua fine, ma bensì la causa della sua ascesa. E trovo inammissibile che in un articolo (e spero nel libro non sia così, ma purtroppo non avrò mai modo di scoprirlo) di questo tipo, non si faccia alcun riferimento alla più grande e insostenibile delle spese che l’impero era chiamato a sostenere, ovvero il mantenimento dell’esercito permanente, una risorsa che per lungo tempo si era auto alimentata durante l’età delle espansioni, ma che da un certo momento in poi, divenne troppo costosa, rendendo necessarie diverse manovre di svalutazione della moneta, aumento della tassazione, e svendita della cittadinanza romana.
La causa del crollo di Roma, secondo questo articolo/libro, ha a sua volta una causa scatenante, ben precisa, e nota da tempo, che tuttavia non viene citata nell’articolo, creando confusione e caos.
Continuando a ragionare su questa linea, se davvero fosse vera l’ipotesi della fine dell’impero a causa della forte immigrazione, causata dai costi eccessivi dello stato romano, e soprattutto dell’esercito, allora, la riforma dell’ordinamento militare, realizzata da Gaio Mario tra il secondo ed il primo secolo avanti cristo, rappresenterebbe l’inizio della fine dell’impero romano, una fine iniziata prima ancora che Roma potesse raggiungere la sua massima espansione territoriale.
Questa situazione alquanto paradossale, solleva inevitabilmente molti dubbi sulla tesi di Michel De Jaeghere e del suo collega italiano Rino Camilleri, che probabilmente colpiti dall’enfasi del momento, hanno dato una lettura frettolosa e anti storica dei fatti.
Personalmente reputo la tesi poco mal concepita e soprattutto mal esposta, epurata di numerosi elementi fondamentali per la comprensione di una problematica estremamente ampia, e infinitamente più complessa di come viene proposta (nell’articolo) quale la fine dell’impero romano, una problematica talmente ampia che è impossibile ridurla ad uno ed un solo ed unico elemento.
Temo che, nella frettolosa euforia del momento, dettata dalla possibilità di dare una “motivazione storica” all’intolleranza e alle attuali crisi umanitarie, sempre più diffuse ai confini dell’europa, unita al desiderio di proporre un articolo provocante e soprattutto acchiappa click, il giornalisti non abbia effettivamente letto le oltre seicento pagine del testo di De Jaeghere, ne sfogliato un qualsiasi altro libro sulla storia di Roma, arrivando a proporre un articolo fuorviate, basato su un libro, temo dettato dalle medesime motivazioni.
Come dicevo, non ho avuto modo di leggere “Gli ultimi giorni dell’impero romano” e non credo di voler spendere più di 35 euro per acquistare un saggio storico, che propone una tesi anti storica.