ONU e diritto internazionale, una questione spinosa

Il diritto internazionale, in teoria, è superiore al diritto nazionale, tuttavia, il diritto internazionale non è stato redatto da legislatori eletti più o meno democraticamente, ma da funzionari nominati dagli stati, e dunque, ha un deficit democratico che lo pone al di sotto del diritto nazionale.

È in giorni come questi, di grande turbamento, ambiguità e confusione sul piano internazionale e del diritto internazionale che l’ONU mostra la stessa fallacia che fu per la Società delle Nazioni quasi un secolo fa, e diventa sempre più evidente la necessità, oltre che l’urgenza di una profonda e sincera riflessione, sul ruolo e il funzionamento di questa organizzazione, de iure un istituzione internazionale, de facto, un mero accozzaglio di politicanti e burocrati senza alcun potere o autorità reale.

L’ONU oggi non ha il potere necessario ad imporre le norme del diritto internazionale ai propri membri, poiché afflitta da un male originale, quale un profondo deficit democratico e di natura politica, che accompagna l’istituzione sin dalla propria fondazione nell’immediato dopoguerra.

All’epoca l’ONU, il cui compito principale, la cui missione fondativa, la cui ragione d’essere, è la prevenzione dei conflitti tra le nazioni e la creazione di canali diplomatici in cui confrontarsi e dialogare in cerca di soluzioni alle controversie internazionali, quando venne creata, non aveva la possibilità di diventare pienamente il luogo della risoluzione delle controversie internazionali, perché il mondo, in quegli anni, stava ancora piangendo le vittime della seconda guerra mondiale e si stava preparando ad un conflitto politico e ideologico tra i due principali vincitori del conflitto.

La divergenza di visione tra USA e URSS, non è un segreto, ha mutilato l’ONU alle sue origini, che, con la creazione di un meccanismo di salvaguardia per le due super potenze ed i vincitori della seconda guerra mondiale, ha de facto reso nulla ogni possibile risoluzione onu che partisse da principi universali, limitando l’efficacia dell’organizzazione alle sole operazioni congrue alla volontà dei cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza.

I membri permanenti del consiglio di sicurezza hanno un potere enorme nell’istituzione, che non è il potere di decidere dove intervenire, ma qualcosa di molto più importante, il potere di decidere dove e quando l’ONU non può intervenire.

Nel mio podcast “l’osservatorio” su spotify e su youtube, ho parlato diverse volte dell’onu, delle sue origini e dei suoi limiti, e in questo articolo voglio soffermarmi ancora una volta sui limiti dell’ONU.

Il motivo per cui l’organizzazione delle nazioni unite ha poteri limitati è principalmente politco, oltre che storico e intreccia insieme la volontà dei vincitori della Seconda guerra mondiale, di ritagliarsi uno spazione nel nuovo ordine mondiale, e dall’altro lato, lanecessità, di rispettare la sovranità delle singole nazioni membre delle nazioni unite, e a scanso di equivoci, questa necessità, è a sua volta frutto della seconda guerra mondiale e dell’imminente guerra fredda.

L’onu delle origini doveva trovare un modo per permettere all’ONU stessa di collocarsi nel mondo al di sopra delle nazioni, affinché potesse rappresentare, come dicevo, quel luogo di confronto, in cui risolvere le controversie internazionali, senza ricorrere all’uso delle armi, ma, allo stesso tempo, doveva configurarsi come un istituzione subordinata alla volontà politica delle singole nazioni.

Il punto di incontro tra queste due necessità venne trovato nella creazione del consiglio di sicurezza dall’altro, e nella configurazione di un assemblea generale che avesse natura nominativa e non politica.

Detto più semplicemente, l’ONU, nel 1945, ha scartato la possibilità di creare la prima forma di un ipotessi di parlamento internazionale, preferendo creare un assemblea rappresentativa degli stati i cui membri non sono cariche elettive, ma nominali, e affidando ai singoli paesi piena autonomia sui modi e i mezzi per nominare i propri rappresentanti presso le nazioni unite, creando in questo modo un interessante paradosso.

Non avendo alcuna carica elettiva (nessun membro, commissario, rappresentante ecc, dell’ONU viene eletto) l’ONU non alcun tipo di potere politico, e sul piano giuridico, se bene rappresenti in un certo senso la sede centrale del diritto internazionale, e se bene , in un ordine gerarchico teorico, il diritto internazionale si pone al di sopra del diritto nazionale, in realtà, quel diritto non ha la forza di imporsi sul diritto nazionale che, prodotto da legislatori eletti, pur trovandosi gerarchicamente più in basso rispetto al diritto internazionale, politicamente è legittimamente e paradossalmente più in alto del diritto internazionale.

Va però precisato che, i singoli stati membri delle nazioni unite, hanno accettato implicitamente di riconoscere, sottoscrivendo i vari trattati, il diritto internazionale di cui l’ONU è depositario, riconoscendolo quindi, superiore al diritto nazionale.

Detto così sembra molto caotico e confusionario, e in effetti lo è, la questione del diritto internazionale è estremamente confusa, ma può essere semplificata in questo modo.

Il diritto internazionale è superiore al diritto nazionale, nei limiti concessi dal diritto nazionale, insomma, la legge internazionale esiste, ha valore, gli stati hanno l’obbligo di rispettarla e se non viene rispettata ci possono essere delle ripercussioni, a meno che non si abbiano le spalle coperte, come ad esempio facendo parte del consiglio permanente o più ambiguamente, tenendosi ben cari amici ed alleati che fanno parte del consiglio permanente.

Circa trent’anni fa, con la fine della guerra fredda, il mondo iniziava una prima riflessione sull’ONU e paventava la possibilità oltre che la necessità di una riforma dellorganizzazione, con una svolta di natura politica che segnasse il primo passo verso la costruzione di un primo tassello di quello che un giorno sarebbe potuto diventare un governo mondiale, nel quale tutti i popoli si sarebbero uniti in un unica nazione, nel nome del diritto internazionale dal valore universale.

Negli ultimi trent’anni questa riforma non c’è stata e anzi, l’ONU negli ultimi anni ha perso molta della propria autorità, sempre più spesso messa all’angolo dalle grandi potenze mondiali che de facto, dell’ONU e del diritto internazionale, perdonate il termine tecnico, se ne sciacquano le palle.

Carola Rackete, una donna meravigliosa, con più palle della nazionale maschile di Rugby, e la volontà di lottare e morire per i propri ideali di giustizia universale.

Carola Rackete, una donna con più Palle della nazionale maschile di Rugby, Simbolo di un mondo in cui lottare per i propri ideali è ancora possibile, simbolo di un mondo in cui cè ancora speranza di salvezza per lumanità

Paura del diverso e del contrario, di chi lotta per cambiare,
paura delle idee di gente libera, che soffre, sbaglia e spera.

Con queste parole, nel 1994 Francesco Guccini descriveva gli USA per aver arrestato “preventivamenteSilvia Baraldini, accusata di star pianificando una rapina per finanziare il terrorismo in italia.
In quella canzone Guccini evidenzia un concetto fondamentale “non è possibile rinchiudere le idee in una prigione” e soprattutto che “da sempre l’ignoranza fa paura, ed il silenzio è uguale a morte” , e direi che questi due concetti, si adattano perfettamente al caso di Carola Rackete, arrestata più per le sue idee che per le sue azioni, e portatrice di valori ed idee che al bigotto mondo ultranazionalista fanno decisamente troppa paura. E nel suo caso, il suo silenzio, inteso come un non far nulla, sarebbe costato la vita ad oltre 40 persone, persone che oggi nessuno vuole, ma che se ci piaccia o meno, se non fosse stato per l’intervento di Carola, oggi sarebbero mangime per pesci.

Questi sono i miei due centesimi per Carola Rackete, una donna che non posso fare a meno di ritenere meravigliosa e non posso non associare alla figura di Silvia Baraldini, cantata da Francesco Guccini nel brano “canzone per Silvia“, ed approfitto di questo articolo per dedicare a Carola, questa meravigliosa canzone.

L’ONU è nata come istituzione volta a risolvere le controversie internazionali senza necessità di passare per l’uso della forza e delle armi, è nato come istituzione volta a bandire la guerra, ed è per questo che l’ONU non si è mai dotata di un proprio, reale, esercito, scegliendo invece la via delle “forze di pace“, ma l’ONU per essere il luogo di risoluzione delle controversie, deve avere anche la forza e gli strumenti per risolvere le controversie, e questi strumenti al momento non li ha, e dalla sua istituzione non li ha mai avuti.

Oggi l’ONU è un luogo di dialogo e confronto, ma la cui legge, che dovrebbe essere superiore a qualsiasi altra legge è in realtà solo fumo, molto fumo, un fumo così denso che fa lacrimare gli occhi e impedisce di vedere la realtà, ma pur sempre fumo, intangibile, e può essere spazzato via agitando qualche foglio di carta, come ad esempio un decreto legge ministeriale che de facto rende illegale quello che per il diritto internazionale dovrebbe essere un dovere universale. Soccorrere chi è in difficoltà e portare in salvo chi viene recuperato in mare.

Il ruolo del diritto internazionale rispetto al diritto nazionale non è chiaro e cristallino come sembra, e nei fatti si colloca in una zona grigia molto ambigua e complessa da decifrare, e nel tentativo di fare un po’ di chiarezza ho scritto questo articolo “ONU e Diritto Internazionale, una questione spinosa”

Qui c’è il paradosso di Carola Rackete, le cui azioni sul piano del diritto nazionale italiano, si sono compiute in una zona grigia al limite della legalità, tuttavia, secondo il diritto internazionale, secondo la convenzione di ginevra e la carta dei diritti fondamentali dell’uomo, non vi erano molte altre strade percorribili e le sue azioni sono per il diritto internazionale, pienamente legittime. Ma come dicevamo, il diritto internazionale, molto spesso, come in questo caso, è solo fumo.

In ogni caso comunque, Carola ha più palle di tutti gli italiani messi insieme, e al di la di ciò che verrà deciso dalla magistratura, non posso fare a meno di provare una profonda sttima per una donna, che in nome di un ideale ha deciso di mettere a rischio se stessa, la propria vita e la propria libertà.

Paura del diverso e del contrario, di chi lotta per cambiare,
paura delle idee di gente libera, che soffre, sbaglia e spera.
Nazione di bigotti! Ora vi chiedo di lasciarla ritornare
perché non è possibile rinchiudere le idee in una galera.

Come dicevo, non riesco a non associare Carola, questa donna a mio avviso meravigliosa, alla figura di Silvia Baraldini cantata da Guccini, riascoltando la Canzone per Silvia, ogni strofa, ogni verso, ogni singola parola, sembra scritto ora ed oggi e sembra raccontare e parlare di lei, di Carola, di questa donna che di fatto, ha commesso il grande crimine di essere una donna Libera guidata da una legge morale che si trova più in alto di qualsiasi altra legge terrena.

Come cantava Guccini, non è possibbile rinchiudere le idee in una prigione, e se all’epoca Guccini immaginava Silvia con indosso una maglietta con su scritte le parole “da sempre l’ignoranza fa paura, ed il silenzio è uguale a morte” io oggi vedo quella stessa maglietta indossata con fierezza da Carola, perché oggi come allora, il silenzio è uguale a morte, e il suo silenzio avrebbe significato la morte di oltre 40 persone.

Persone che se oggi sono vive è solo grazie a lei e alla sua precisa volontà di rispondere ad una legge superiore, per la quale la vita di ogni essere umano, viene prima di qualsiasi altra cosa, indipendentemente dal luogo in cui quelle persone sono nate, dal colore della loro pelle, dalla loro religione o dal fatto che i loro organi genitali siano interni anziché esterni.

ONU e diritto internazionale, una questione spinosa

È in giorni come questi, di grande turbamento, ambiguità e confusione sul piano internazionale e del diritto internazionale che l’ONU mostra la stessa fallacia che fu per la Società delle Nazioni quasi un secolo fa, e diventa sempre più evidente la necessità, oltre che l’urgenza di una profonda e sincera riflessione, sul ruolo e il funzionamento di questa organizzazione, de iure un istituzione internazionale, de facto, un mero accozzaglio di politicanti e burocrati senza alcun potere o autorità reale.

L’ONU oggi non ha il potere necessario ad imporre le norme del diritto internazionale ai propri membri, poiché afflitta da un male originale, quale un profondo deficit democratico e di natura politica, che accompagna l’istituzione sin dalla propria fondazione nell’immediato dopoguerra.

All’epoca l’ONU, il cui compito principale, la cui missione fondativa, la cui ragione d’essere, è la prevenzione dei conflitti tra le nazioni e la creazione di canali diplomatici in cui confrontarsi e dialogare in cerca di soluzioni alle controversie internazionali, quando venne creata, non aveva la possibilità di diventare pienamente il luogo della risoluzione delle controversie internazionali, perché il mondo, in quegli anni, stava ancora piangendo le vittime della seconda guerra mondiale e si stava preparando ad un conflitto politico e ideologico tra i due principali vincitori del conflitto.

La divergenza di visione tra USA e URSS, non è un segreto, ha mutilato l’ONU alle sue origini, che, con la creazione di un meccanismo di salvaguardia per le due super potenze ed i vincitori della seconda guerra mondiale, ha de facto reso nulla ogni possibile risoluzione onu che partisse da principi universali, limitando l’efficacia dell’organizzazione alle sole operazioni congrue alla volontà dei cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza.

I membri permanenti del consiglio di sicurezza hanno un potere enorme nell’istituzione, che non è il potere di decidere dove intervenire, ma qualcosa di molto più importante, il potere di decidere dove e quando l’ONU non può intervenire.

Nel mio podcast “l’osservatorio” su spotify e su youtube, ho parlato diverse volte dell’onu, delle sue origini e dei suoi limiti, e in questo articolo voglio soffermarmi ancora una volta sui limiti dell’ONU.

Il motivo per cui l’organizzazione delle nazioni unite ha poteri limitati è principalmente politco, oltre che storico e intreccia insieme la volontà dei vincitori della Seconda guerra mondiale, di ritagliarsi uno spazione nel nuovo ordine mondiale, e dall’altro lato, lanecessità, di rispettare la sovranità delle singole nazioni membre delle nazioni unite, e a scanso di equivoci, questa necessità, è a sua volta frutto della seconda guerra mondiale e dell’imminente guerra fredda.

L’onu delle origini doveva trovare un modo per permettere all’ONU stessa di collocarsi nel mondo al di sopra delle nazioni, affinché potesse rappresentare, come dicevo, quel luogo di confronto, in cui risolvere le controversie internazionali, senza ricorrere all’uso delle armi, ma, allo stesso tempo, doveva configurarsi come un istituzione subordinata alla volontà politica delle singole nazioni.

Il punto di incontro tra queste due necessità venne trovato nella creazione del consiglio di sicurezza dall’altro, e nella configurazione di un assemblea generale che avesse natura nominativa e non politica.

Detto più semplicemente, l’ONU, nel 1945, ha scartato la possibilità di creare la prima forma di un ipotessi di parlamento internazionale, preferendo creare un assemblea rappresentativa degli stati i cui membri non sono cariche elettive, ma nominali, e affidando ai singoli paesi piena autonomia sui modi e i mezzi per nominare i propri rappresentanti presso le nazioni unite, creando in questo modo un interessante paradosso.

Non avendo alcuna carica elettiva (nessun membro, commissario, rappresentante ecc, dell’ONU viene eletto) l’ONU non alcun tipo di potere politico, e sul piano giuridico, se bene rappresenti in un certo senso la sede centrale del diritto internazionale, e se bene , in un ordine gerarchico teorico, il diritto internazionale si pone al di sopra del diritto nazionale, in realtà, quel diritto non ha la forza di imporsi sul diritto nazionale che, prodotto da legislatori eletti, pur trovandosi gerarchicamente più in basso rispetto al diritto internazionale, politicamente è legittimamente e paradossalmente più in alto del diritto internazionale.

Va però precisato che, i singoli stati membri delle nazioni unite, hanno accettato implicitamente di riconoscere, sottoscrivendo i vari trattati, il diritto internazionale di cui l’ONU è depositario, riconoscendolo quindi, superiore al diritto nazionale.

Detto così sembra molto caotico e confusionario, e in effetti lo è, la questione del diritto internazionale è estremamente confusa, ma può essere semplificata in questo modo.

Il diritto internazionale è superiore al diritto nazionale, nei limiti concessi dal diritto nazionale, insomma, la legge internazionale esiste, ha valore, gli stati hanno l’obbligo di rispettarla e se non viene rispettata ci possono essere delle ripercussioni, a meno che non si abbiano le spalle coperte, come ad esempio facendo parte del consiglio permanente o più ambiguamente, tenendosi ben cari amici ed alleati che fanno parte del consiglio permanente.

Circa trent’anni fa, con la fine della guerra fredda, il mondo iniziava una prima riflessione sull’ONU e paventava la possibilità oltre che la necessità di una riforma dellorganizzazione, con una svolta di natura politica che segnasse il primo passo verso la costruzione di un primo tassello di quello che un giorno sarebbe potuto diventare un governo mondiale, nel quale tutti i popoli si sarebbero uniti in un unica nazione, nel nome del diritto internazionale dal valore universale.

Negli ultimi trent’anni questa riforma non c’è stata e anzi, l’ONU negli ultimi anni ha perso molta della propria autorità, sempre più spesso messa all’angolo dalle grandi potenze mondiali che de facto, dell’ONU e del diritto internazionale, perdonate il termine tecnico, se ne sciacquano le palle.

Casapound lascia la politica, ma non l’attivismo politico.

Dopo il pessimo risultato alle europee e una crescente impopolarità, Casapound Italia ha deciso di lasciare la politica, lo dice Simone di Stefano, per dedicarsi alla politica.

Dopo il pessimo risultato elettorale conseguito da Casapound Italia alle ultime elezioni europee, dove il partito di estrema destra ha ricevuto appena lo 0,3% dei consensi, e forte di una massiva impopolarità derivante dalla linea politica estremamente dura e intollerante del partito, spesso associato per linguagio, operato e ideologia al fascismo, Casapound Italia ha deciso di chiudere i battenti e lasciare la via politica, almeno quella ufficiale, ma questo non significa abbandono reale della politica.

Casapound esce dai palazzi (nei quali fortunatamente non è mai entrata completamente), abbandona la via politica delle elezioni, e torna, a suo dire, a fare attivismo politico per, cito le parole del leader del partito

Simone di Stefano su Twitter

“tornare ad essere il laboratorio di avanguardia politica, culturale e solidaristica che era un tempo”

Avanguardia politica, culturale e solidaristica… parole forti, parole grosse, e in questo caso parole ingombranti.

Ingombranti perché non riflettono neanche lontanamente quella che è l’attività di Casapound Italia, un organizzazione politica che da sempre vive al margine della legalità e tra i cui militanti figurano individui con la fedina penale più sporca della carta igienica usata da qualcuno che è intollerante al lattosio, dopo aver mangiato da solo un inera zizzona di battipaglia.

Sono giorni duri per la democrazia, sono giorni oscuri per la nostra repubblica, sono giorni dannati per la nostra libertà, una libertà pericolosa a volte, ma sacra. Una libertà culturale e di espressione che CPI da sempre rivendia per se, ma non per altri, e da sempre, è pronta a negare ad altri quelle libertà fondamentali garantite dalla nostra costituzione.

Che CPI non mi piaccia non credo sia un segreto, e personalmente credo che chiunque abbia un briciolo di dignità, buon senso, e intelligenza, condivida la mia poca simpatia per questa organizzazione politica a tratti criminale, a tratti paramilitare, che in passato, in più occasioni, ha cercato di sostituirsi alle istituzioni statali, agendo autonomamente con atti di squadrismo, pestaggi e atti di vandalismo.

Per CPI la cultura non è cultura, è un dogma, valida solo se risponde a determinati requisiti e allineata ad un preciso orientamento politico, oltre il quale la cultura non esiste esiste e non può esistere.

Sinceramente non so cosa intendano quando parlano di cultura, probabilmente incontri a porte chiuse, in cui ricordare con nostalgia il ventennio e vomitare odio su qualsiasi altra cosa ed espressione culturale. Sicuramente non è una cultura storica, poiché la “loro” idea di storia è distorta dalla propaganda politica di estrema destra e rigettano sistematicamente ogni qualsiasi altra narrazione, o interpretazione storica, per non parlare dell’avulsione della storiografia.

Voglio sperare che l’abbandono della politica “ufficiale” da parte di CPI non si traduca nell’inizio di un attività di “militanza attiva” in altri partiti, più grandi e rilevanti sul piano nazionale, deviando ulteriormente la politica italiana verso l’estrema destra, che già una volta ha devastato l’italia e causato innumerevoli vittime civili, ma soprattutto, voglio sperare che il loro abbandono della politica sia reale, e non solo di facciata. Ma viste le premesse e l’intento di “tornare” ad essere un laboratorio di avanguardia politica (fossilizzato sulla politica del ventennio) con un ideologia di forndo fortemente intollerante, xenofoba e omofoba, mi è estremamente difficile pensare che adesso CPI resterà in silenzio, e anzi, fuori dalla politica “ufficiale” temo che cercheranno di far sentire ancora di più la propria voce, e la mia preoccupazione più grande è che si trasformeranno in uno strumento esterno ad altri partiti, con i cui leader CPI è in ottimi rapporti, per promuovere e sviscerare i sentimenti di intolleranza che li accomunano, trasformandosi a tutti gli effetti in una primigena forma di squadrismo asservita ad altre forze politiche di estrema destra.

Questa visione catastrofista e puramente speculativa prende le battute dal nostro recente passato. Già una volta è accaduto qualcosa di molto simile e lo scotto da pagare per l’italia e gli italiani è stato un regime dittatoriale rimasto in carica per un ventennio e successivamente una guerra civile che non ha risparmiato nessuno nell’intera penisola.

Dai Blocchi Nazionali a CPI, passando per il ventennio fascista e la guerra civile.

Nel 1920 diversi gruppi politici (partiti minori) di estrema destra, si sciolsero ed i loro militanti confluirono in un macrogruppo noto come Blocchi Nazionali, il cui referente politico era Giovanni Giolitti, alle politiche del 1921 questi blocchi nazionali ottennero un importante risultato elettorale, se bene non fu tale da garantire loro la possibilità di governare e dopo circa un anno di esitazioni e tentennamenti, venne organizzata una marcia dei militanti dei blocchi nazionali, che nel frattempo aveva cambiato nome in Partito Nazionale Fascista, questa marcia, nota come Marcia su Roma.

La marcia su roma, non fu improvvisata come molti credono, ma ci fu una lunga e oculata preparazione, di cui ho parlato in un precedente articolo, qui mi limito a dire che fu un elemento di enorme pressione politica per il Re che fu “forzato” a nominare Benito Mussolini, leader del PNF nuovo capo di stato, con l’incarico, ben preciso, di riformare il parlamento e produrre una legge elettorale in grado di garantire un governo forte e autonomo.

La legge arrivò nel 1924 ed è nota come Legge Acerbo che conferiva un premio di maggioranza di oltre il 60% al primo partito, a condizione che questi superasse il 20% dei voti. In un altro articolo ho parlato nel dettaglio della Legge Acerbo, spiegando come si è giunti ad essa.

Con la Legge Acerbo il PNF riesce ad ottenere la maggioranza dei seggi, grazie a qualche broglio, il pestaggio degli oppositori e la distruzione sistematica delle sedi dei partiti diversi dal PNF, con un escalation di violenza che confluì nel rapimento e omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti. Tutto questo portò alla nascita del regime fascista, l’inizio della dittatura e la fine della libertà in italia.

L’aria che si respirava all’epoca era fetida, più fetida di un sacchetto dell’umido lasciato a riposare per 2 settimane sotto il sole di agosto, per andare avanti, per vivere, per sopravvivere in italia bisognava tapparsi il naso, buttare giù un cucchiaio di olio di ricino, e sperare di non essere pestati per aver pensato qualcosa di sbagliato.

Oggi, catastrofismi a parte, non siamo neanche lontanamente vicini a quel livello, e se bene nell’aria inizi a sentirsi un po’ di puzza, e si respira un sempre maggiore clima di violenza e l’intolleranza, ed i sentimenti di razzismo e odio viscerale per il diverso sono sempre più forti, in realtà c’è ancora una fetta importante di italia civile, che, si spera, questa volta resisterà e non sceglierà la più comoda via dell’ignavia, manifestando il proprio dissenso senza però muovere un dito, come invece accadde all’alba del ventennio.

5 Regole doro per riconoscere una Vera cospirazione dalla Fuffa.

Complotti, congiure, cospirazioni, esistono da sempre, ne abbiamo traccia, testimonianza e memoria nei libri di storia. Credere nei complotti non è sbagliato, il problema è quando si crede a complotti finti, inventati ad hoc, e che non hanno ragione d’essere.

In questo articolo voglio spiegarvi, in modo semplice, come distinguere un complotto vero (perché di complottiveri è pieno il mondo e la storia) ed un complotto falso.

Prometto che non sarà un articolo troppo lungo, anche perché le “regole d’oro” da seguire per riconoscere un vero complotto e distinguerlo dalla fuffa, sono davvero poche, diciamo che sono solo 5.

Regola numero 1 – Un complotto per essere vero deve essere semplice

A meno che non siate i protagonisti di un film o di un romanzo di spionaggio, vi assicuro che la maggior parte dei complotti reali sono estremamente semplici, non ci sono svolte improvvise, colpi di scena, e generalmente richiedono pochi passaggi, poche azioni, e soprattutto coinvolgono poche persone, e questo ci riporta alla regola numero dure.

Regola numero 2 – Pochi partecipanti

Si avete letto bene, un complotto per essere vero deve avere pochi partecipanti, deve coinvolgere poche persone, perché si sa, gli esseri umani sono teste di cazzo, e se invitando la persona sbagliata ad una festa a sorpresa, questa rischia di far saltare la sorpresa, immaginate i rischi del coinvolgere in una cospirazione globale qualcuno che non è in grado di gestire la situazione e per errore divulga informazioni fondamentali sulla cospirazione.

Troppe persone coinvolte possono mettere a rischio il buon esito del complotto, e sicuramente rappresentano una falla enorme nella sicurezza, ed se si sta complottando per assumere il controllo del pianeta, magari è meglio stare attenti alla sicurezza, soprattutto la propria.

Regola numero 3 – Un complottodeve essere segreto

Si lo so, può sembrare strano, ma è così, un vero complotto è segreto, e chi sta cospirando è disposto a tutto pur di mantenere il segreto, anche ad eliminare fisicamente chiunque possa causare una qualche fuga di informazioni.

Nel momento in cui un complotto non è più segreto, ha perso la sua efficacia, diventa un azione pubblica ricondicubile a delle persone, ed è questo il motivo per cui i cospiratori (quelli veri) ci tengono alla segretezza, perché non vogliono essere ricondotti al complotto e ai suoi effetti.

Per fare un esempio pratico, se una persona cospira per assumere il controllo di un paese, difficilmente andrà a candidarsi alle politiche, ma resterà nelle retrovie e diriggerà dall’esterno, con finanziamenti, pressioni e altro, cercando di influenzare il più possibile determinate figure chiave dello stato, senza però farsi coinvolgere nella vita politica ufficiale.

Regola numero 4 – un vero complotto non ha parametri casuali

Quando qualcuno cospira per ottenere qualcosa , prende in esame ogni possibile soluzione, ogni variabile, ed alla fine avrà due e soltanto due esiti possibili, o il complotto ha successo e si ottiene ciò che si desiderava, o il complotto fallisce, e in quel caso, essere rimasti nell’ombra può salvare la vita ai cospiratori. Nel mezzo non c’è nulla, non ci sono sfumature e soprattutto, non ci sono parametri casuali.

Prendo ad esempio il “complotto dell’11 settembre” per cui gli USA avrebbero organizzato l’attentato perché in quel modo, il valore del dollaro sarebbe aumentato.

Questa teoria è fallata, perché chi ipoteticamente ha ordito il complotto, non poteva sapere se quell’effetto ci sarebbe stato o meno.

Sul piano economico, quando sono state attaccate le torri gemelle, è come se fosse stata tirata una moneta, ed è stato solo un caso che il dollaro, grazie all’azione degli speculatori finanziari, abbia acquisio valore. Poteva accadere, come poteva accadere l’esatto contrario, e in quel caso non solo sarebbe stato un totale fallimento, ma sarebbe stato anche controproducendo, provocando un danno agli stessi cospiratori, e questo ci conduce al prossimo punto.

Quando un cospiratore agisce, lo fa per uno scopo, e questo scopo è materiale, sempre.

Regola numero 5 – un vero complotto ha un fine ed una fine.

Questa è forse la regola più importante, un complotto, per essere reale deve avere un fine ultimo tangibile, reale quanto il complotto stesso.

Avere un fine, avere una finalità, avere uno scopo, significa che da quel complotto, una volta che si è compiuto ciò che si stava cercando di ottenere clandestinamente, c’è un ritorno di qualche tipo. Questo ritorno nella maggior parte dei casi è economico o politico, ma può anche essere strategico, in tutti i casi comunque, è un ritorno reale, misurabile.

Quando ci parlano di una teoria del complotto, chiediamoci sempre “perché lo fanno?” e vi assicuro che di fronte a questa domanda, ogni cospirazione falsa cade.

Non esistono complotti fine a se stessi, ecco le prove

Non esistono complotti fine a se stessi, se non nella mente di chi crede ai complotti. Prendiamo ad esempio la teoria della terra piatta e chiediamoci se questo complotto per farci credere che la terra è sferica ha un effetto pratico, o è fine a se stessa.

La risposta è semplice, questo complotto, se fosse reale, non avrebbe alcuna utilità pratica e non ci sarebbe alcun ritorno per i cospiratori, e già questo basterebbe per etichettare la cospirazione come falsa e insensata ma, per anare sul sucuro, vediamo all’atto pratico, su questa teoria, quante delle tre regole sono rispettate.

Il “complotto” per nascondere la reale forma della terra non è un complotto semplice, ha richiesto la cooperazione di USA e URSS nel vivo della guerra fredda, per la produzione di materiale fotografico che ritraeva una terra sferica dallo spazio, inoltre ha coinvolto innumerevoli agenzie spaziali di tutto il mondo, nella produzione di materiale “falso” per un costo esorbitante.

Questa complessità si riflette anche sul numero enorme di persone coinvolte nella cospirazione che, tra piloti di aerei, civili e militari, professionisti e amatoriali, di tutto il mondo, che quotidianamente vedono dal cielo un orizzonte curvo dai, astronauti e cosmonauti, ingegneri aereospaziali, fisici, matematici, ecc per non parlare poi di politici e diplomatici. Insomma, una quantità infinita di persone coinvolte in un complotto per nascondere la forma della terra, in cambio di … nulla. All’umanità, in fin dei conti non cambia nulla se la terra è piatta o tonda o ha la forma di un fallo gigante, ma andiamo con ordine e torniamo alle regole del complotto.

Eravamo arrivati alla terza regola, la segretezza, ma con così tante persone coinvolte nella cospirazione, parlare di segretezza sarebbe superfluo, passiamo quindi alla quarta regola, ovvero i parametri casuali.

Ogni persona coinvolta nella cospirazione è una variabile casuale, che mina la sicurezza e la segretezza, e di riflesso, troppe persone coinvolte rappresentano un rischio enorme e insostenibile, qualunque sia il complotto. Mantnere viva e segreta una cospirazione con così tanti partecipanti e così tante variabili, per così tanto tempo, senza che venga rivelata, è impensabile, persino per il più geniale autore di romanzi distopici.

Arriviamo quindi all’ultima regola, lo scopo, il fine e la fine. è evidente che una cospirazione volta a nascondere la forma della terra, non ha una fine, e non ha un vero fine. Ha un obiettivo certo, un obbiettivo chiaro, dire alla popolazione mondiale che la terra è tonda e non è piatta, ma questo obiettivo diciamocelo, è fine a se stesso, e non comporta alcun vantaggio per i cospiratori.

Spero di essere stato chiaro e illuminante, e spero che grazie a questa guida sarete in grado di scindere i veri complotti dalla fuffa, e vi assicuro che di complotti reali ce ne sono e ce ne sono stati tantissimi, e nessuno di questi è stato mantenuto segreto per più di un paio d’anni, qualche decennio al massimo e tutti avevano uno scopo ben preciso che desse ai cospiranti un qualcosa. Complotti che coinvolgono milioni di persone e che sono in corso da decenni o addirittura secoli senza dare nulla ai cospiratori… beh, traete voi le vostre conclusioni, le mie credo siano fin troppo evidenti.

La Germania restituisce di sua iniziativa all’Italia una testa marmorea di II sec. d.C. trafugata dai Nazisti

La Germania restituisce di sua iniziativa all’Italia una testa marmorea di II sec. d.C. La scultura era stata trafufata dall’italia durante la seconda guerra mondiale, probabilmente durante l’occupazione tedesca, e successivamente venduta, nel 1964, da un privato cittadino di Amburgo al direttore del Museo Archeologico dell’Università di Münster, che all’epoca non aveva sospettato della provenienza illecita del reperto archeologico.

A tal proposito, il ministro dei beni culturali Alberto Bonisoli ha dichiarato

«si tratta di un atto dal valore altamente simbolico, in quanto testimonia la piena adesione di Italia e Germania a principi e valori di carattere universale e il nostro approccio condiviso al concetto di tutela del patrimonio culturale. L’atteggiamento dell’Italia non è solo quello di un Paese che rivendica la restituzione di opere d’arte trafugate, ma siamo in prima fila quando ne ricorrono le circostanze, nella restituzione di opere d’arte appartenenti al patrimonio culturale di altri Paesi. È così che intendiamo combattere il fenomeno del mercato illegale del patrimonio culturale».

La restituzione ha avuto luogo durante la cerimonia organizzata nella residenza romana dell’ambasciatore tedesco, Viktor Elbling ed hanno preso parte all’evento l’attuale Rettore dell’Università di Münster, Johannes Wessels, il capo dell’Ufficio Legislativo del Mibac, Lorenzo D’Ascia, il Comandante del Comando Carabinieri TPC, Gen. Fabrizio Parrulli e il sindaco del Comune di Fondi, Giuliano Carnevale.

La testa trafugata

Le prime notizie uffiziali riguardante questa scultura risalgono agli anni trenta, quando vennero svolti degli scavi archeologici nella città di Fondi, e nel 1937 si ha una notizia certa della sua esistenza, poi il nulla, almeno fino al 1964 quando la testa marmorea è entrata a far parte della collezione del museo archeologico di Münster, in germania, acquistata dall’allora direttore, in un momento non ben precisato tra il 1944 ed il 1964.

Stando alla dichiarazione dell’attuale direttore del Museo, all’epoca non si conosceva la natura illecita dell’acquisizione, o, per essere meno diplomatici, ufficialmente l’allora direttore del museo, non sapeva che la testa era stata trafugata.

Noi oggi sappiamo che, durante l’occupazione nazifascita dell’italia, nella seconda parte della seconda guerra mondiale, molti musei, collezioni e siti archeologici (e non solo) vennero saccheggiati ed innumerevoli opere, più o meno importanti, vennero trafugate in Germania (e non solo), ed è presumibile che questa testa sia solo una delle tante opere trafugate dai nazifascisti dagli scavi di Fondi.

Voglio aggiungere qualche considerazione personale alla vicenda.

Anche se la scultura era stata trafugata (e poi venduta), l’Italia non ha mai fatto richiesta alla Germania per la restituzione di questo specifico bene culturale, probabilmente perché un artefatto “minore” che ha sicuramente un enorme valore storico culturale, ma che in termini economici e politici, non ha molta rilevanza, ed è presumibile che l’Italia degli anni 60, abbia preferito non investire tempo, risorse e denaro per ottenere la restituzione di una testa marmorea di cui il 99,99999% della popolazione, ignorava l’esistenza.

Detto più semplicemente, l’Italia di allora ha semplicemente ignorato il fatto che molte opere “minori”, o comunque di recente scoperta, vennero trafugate durante la guerra, più che altro per convenienza politica. Questa testa, trafugata durante la guerra, e scoperta pochi anni prima, per l’Italia poteva restare al museo di Münster, così come altre, innumerevoli opere, potevano restare in altri musei e collezioni private.

Ed è proprio per questo che la decisione tedesca di “restituire” la scultura all’italia e ai suoi legittimi proprietari, in maniera totalmente spontanea, senza che quindi vi siano state richieste o pressioni da parte dell’Italia per la sua restituzione, da, alla restituzione, un valore enorme.

Perché enorme?

Perché da quanto riportato, dal 1964 (anno in cui si è compiuta la vendita ed è stata ufficializzata la presenza della testa nella collezione del museo Archeologico dell’Università di Münster) ad oggi, l’Italia, pur avendone la possibilità (e ipotizzo il diritto) non ha mai fatto esplicita richiesta di restituzione per la scultura marmorea. Ed è improbabile che l’Italia non sapesse che quest’opera era lì, parliamo pur sempre di un museo universitario in cui la scultura è stata esposta per decenni, non di una collezione privata, segreta e accessibile a pochi eletti di una qualche cerchia ristretta.

La restituzione è avvenuta in maniera totalmente spontanea da parte della Germania e del museo archeologico dell’Università di Münster, che si è privato volontariamente di un pezzo della propria collezione, pezzo che, stando a quanto riportato dalle varie riviste che hanno dato la notizia e le dichiarazioni dello stesso direttore del museo, era stato acquistato “legalmente” se pur, non se ne conoscesse la provenienza illecita.

Non entro nel merito della vicenda giudiziaria, perché non è il mio campo, se volete approfondire vi rimando alle pagine facebook Lost Archeology e Italica Res, che si occupano di archeologia e beni culturali in modo molto più approfondito (e competente) di quanto io non potrò mai fare.

Voglio però soffermarmi sull’uso politico e diplomatico di questa vicenda e sull’effetto che, in teoria, dovrebbe avere sul piano delle relazioni internazionali, perché questa vicenda ha dei risvolti a mio avviso molto interessanti.

So che molti dubiteranno della versione ufficiale, per cui l’allora direttore del museo Archeologico dell’Università di Münster non conoscesse la natura illecita dell’acquisto, e personalmente sono il primo a non credere a questa narrazione ma, facciamo finta che sia così, facciamo finta che il direttore non sapesse che quell’opera proveniente dall’Italia nell’immediato dopoguerra, fosse stata trafugata e accettiamo la versione ufficiale.

In favore del direttore tedesco degli anni 60, voglio dire che, a parte un breve riferimento apparso nel 1937, di questa testa marmorea, nessuno sapeva nulla, non era stata neanche inserita nella lista dei beni e reperti archeologici e artistici trafugati dall’italia durante la guerra. Insomma, era un opera fantasma, e, anche se trafugata, l’acquisto è avvenuto in maniera legittima, o almeno così sembra essere secondo i registri. Detto più semplicemente, chi ha venduto la scultura al museo, non ha venduto un opera rubata al mercato nero, ma ha presentato la testa come un proprio ritrovamento, e la quasi totalità di riferimenti precedenti all’ritrovamento, la catalogazione ecc, questa narrazione potrebbe essere semrata plausibile al direttore.

La scelta tedesca di restituire la scultura marmorea all’italia è una decisione molto importante, ed è chiaramente un segno di collaborazione istituzionale, amicizia e rispetto reciproco, tra la Germania e l’Italia, un gesto di “buona fede” come ha definito lo stesso ministro Bonisoli, che de facto la Germania non era tenuta a fare, ma che ha fatto ugualmente.

Come dicevo, accettando la versione ufficiale, questa scultura, trovata in italia negli anni trenta, da archeologi italiani, era in un certo senso, proprietà dell’Italia, ma in realtà, sembra che questa attribuzione all’Italia sia qualcosa di estremamente recente, sembra quasi che l’Italia neanche sapesse che questa testa era stata trafugata.

Una decisione di questo tipo quindi, in cui un museo decide di rinunciare ad un opera della propria collezione, che comporta una “perdita” di valore per la collezione stessa del museo e non è mai una scelta facile, non è facile quando c’è un esplicita richiesta di restituzione, figuriamoci quando la richiesta non c’è.

Personalmente sono molto felice che il museo di Münster abbia preso questa decisione, perché, come ha osservato il ministro, è un esempio di collaborazione e cooperazione che va oltre gli interessi economici. Quell’opera è stata realizzata in italia, ha riposato in italia nel sottosuolo di Fondi per centinaia di anni prima di essere ritrovata e pochi anni dopo è stata trafugata durante la guerra.

Quella testa appartiene alla città di Fondi, appartiene ai suoi abitanti ed è importantissimo che ritorni a casa, dalla propria gente, e che quella comunità possa ammirarla “quotidianamente” o quasi.

Fonte : https://journalchc.com/2019/06/22/la-germania-restituisce-di-sua-iniziativa-allitalia-una-testa-marmorea-di-ii-sec-d-c/

Gli articoli che hanno rotto il cazzo, secondo la scienza.

è ufficiale, lo disce la scienza, gli articoli che nel titolo dichiarano che lo dice la scienza, per poi non presentare reali argomentazioni scientifiche, hanno rotto il cazzo.

In effetti è proprio la frase “lo dice la scienza” che ha rotto il cazzo, principalmente perché non è vero, non lo dice la scienza, la scienza è muta, non parla, non si esprime, chi parla, chi scrive, chi si esprime non è la scienza, e se vogliamo essere pignoli, non sono neanche gli scienziati, quelli con il camice bianco, asiciali oltre ogni limite, esperti in qualsiasi cosa tranne che nelle relazioni umane, e nel prendersi cura delle proprie piante, come dimostra la pianta grassa morta da dodici anni sulla loro scrivania. Questo perché gli scienziati così descritti in realtà non esistono.

La scienza, non è una scienza unica e univoca, a meno che non mi sia perso il momento in cui è stata dimostrata la teoria del tutto, ma, a quanto ne so, quel momento è ancora lontano dall’essere.

Prendiamoci un attimo e cerchiamo allora di capire che cos’è la scienza e cosa la scienza dice e cosa non dice, ma soprattutto cerchiamo di capire la scienza, qualunque cosa essa sia, come si esprime e attraverso chi e quali strumenti comunica al mondo.

Come dicevo, la scienza non è una scienza unica e univoca, esistono infinite scienze diverse tra loro, ma per comodità, e un po’ di pigrizia, tendiamo ad accumulare sotto la macrocategoria scienza e scienziati, qualunque cosa abbia a che fare, in un modo più o meno diretto, con il metodo scientifico, avete presente? quello formulato ufficialmente da galilei e perfezionato da mille altre persone prima e dopo di lui.

Il metodo scientifico è ciò che si trova alla base delle scienze, ed è l’elemento più ampio e generico, che indica fondamentalmente il metodo di lavoro degli scienziati. Possiamo quindi dire che , in un certo senso, chi su approccia ad un problema utilizzando il metodo scientifico è uno scienziato. Volendo essere pignoli e scrupolosi, potremmo dire che questa affermazione non è del tutto esatta, e vi sono innumerevoli persone che, quotidianamente, nel proprio lavoro o nella propria vita, applicano il metodo scientifico, magari inconsciamente, ma questo non rende loro degli scienziati, degli uomini di scienza.

Per quanto possa voler bene al mio pizzaiolo di fiducia, il fatto che lui, prima di mettere sul menù una nuova pizza, teorizzi il sapore che potrebbe avere una certa combinazione di ingredienti, la sperimenti e dopo alcuni tentativi e qualche errore, arrivi a definire la pizza che poi metterà in commercio, di fatto applicando il metodo scientifico alla creazione di una nuova pizza, non lo rende uno scienziato, lo rende un ottimo pizzaiolo, non a caso è il mio pizzaiolo di fiducia, ma, con tutto il rispetto e la stima che posso provare per lui, ciò non lo rende un biologo, ne un chimico organico o un ingegnere della pizza.

La scienza, quella vera, necessita di alcuni passaggi aggiuntivi necessari affinché possa essere ritenuta tale. Ed uno di questi passaggi, anche se molti non sono d’accordo, è la competenza dell’uomo di scienza.

Prendendo ancora ad esempio il nostro pizzaiolo, lui è estremamente competente in quella che possiamo definire “scienza gastronomica”, e questa competenza pratica, oltre che teorica, sviluppata attraverso lo studio di libri, manuali, o attraverso la sperimentazione, è il primo passo, insieme alla sperimentazione stessa, che il nostro pizzaiolo può compiere verso la trasformazione da un comune puzzaiolo ad un pizzaiolo di scienza.

Il nostro pizzaiolo, per essere un uomo di scienza deve quindi acquisire ed accumulare conoscenze e competenze specifiche per il proprio settore, affiancarle al metodo scientifico, e in fine, dare in pasto al pubblico le proprie scoperte, che nel suo caso sarà letterale come passaggio visto che le sue scoperte saranno probabilmente ricette e il modo in cui il mondo avrà esperienza delle sue scoperte sarà assaporando le sue pizze.

Ed è qui, che avviene l’acclamazione a scienziato, qualunque cosa significhi questa parola.

La competenza, la sperimentazione, la produzione di risultati ecc infatti da soli non bastano ancora, e il nostro pizzaiolo, per essere riconosciuto come scienziato della pizza ha la necessità che altri esperti nel suo settore e nei settori complementari, ne riconoscano il valore, e la credibilità, insomma, è necessario che altri pizzaioli dicano che la sua pizza è buona, ma non solo, è necessario anche che esperti nutrizionisti dicano che la sua pizza è sana, ecc ecc ecc.

A queto punto, quando la sua pizza sarà riconosciuta valida dal mondo scientifico, sia accademico che privato, il nostro pizzaiolo potrà essere riconosciuto a sua volta come uno scienziato, e in quel caso, parlando della sua pizza e citando gli studi fatti dal pizzaiolo, i suoi esperimenti riusciti e falliti, alla luce del riconoscimento “accademico”, potremmo asserire che la scienza dice che la sua pizza è buona e sana, o quello che vi pare.

Il punto è che, quando la scienza parla, quando la scienza si esprime, lo fa in un modo e in un modo soltanto, ovvero attraverso la pubblicazione di studi e ricerche riconosciuti da altri esperti nel settore, ai quali magari, chi ha compiuto determinate ricerche, sta anche un po’ sul cazzo.

Questo riconoscimento generalmente avviene attraverso quelle che in gergo vengono definite “review”, una sorta di recensioni o revisioni, che vengono pubblicate da altri “scienziati”, su una o più riviste, e sono queste “review” la vera voce della scienza, l’elemento cardine che costituisce e compone la comunità scientifica.

Per ogni settore esistono innumerevoli sottocategorie estremamente specifiche e centinaia di riviste più o meno specifiche.

Nel caso del nostro amico pizzaiolo, una rivita di settore potrebbe essere una rivista sulle pizze, su cui scrivono solo pizzaioli, in cui il nostro pizzaiolo ha pubblicato un suo studio sulla lievitazione, sui lieviti e i tipi di farina da utilizzare, o qualsiasi altra cosa. Ma potrebbe anche essere una rivista molto pià specifica, che si occupa esclusivamente di tecniche di lievitazione, e sulla quale non scrivono solo pizzaioli ma anche fornai, panettieri, pasticcieri ecc.

Tornando alle origini, perché secondo la scienza gli articoli che dicono “lo dice la scienza” hanno rotto il cazzo ?

Semplice, perché la maggior parte degli articoli che hanno un titolo del genere, non presentano al proprio interno nessuno degli elementi sopracitati.

Non si basano su articoli, studi, ricerche, e quando lo fanno, non citano gli autori della ricerca ne dove è stata compiuta la ricerca, insomma, parlano a caso di un qualcosa, dicendo che un ipotetico scienziato, da qualche parte nel mondo, ha fatto una ricerca di cui comunicano i risultati la cui attendibilità, è prossima allo zero, insomma, è come se il mio pizzaiolo di fiducia pubblicasse un articolo sulla fusione nucleare.

Solo di fronte alla morte gli uomini sono tutti uguali

Non c’è strumento migliore della guerra, per conseguire la pace, in fondo, solo di fronte alla morte gli uomini sono davvero tutti uguali.

Non c'è strumento migliore della guerra, per conseguire la pace, l'Europa ne è testimone, dopo secoli insanguinati da conflitti e scontri di popoli e civiltà, ha conosciuto uno dei massimi momenti di pace (interna) solo dopo aver sfiorato l'annichilimento totale.

L’Europa ha conosciuto una primordiale forma di pace (interna) solo in seguito ai due conflitti mondiali, solo dopo aver visto le porprie città bruciare, ridotte in macerie dai bombardamenti aerei dei vari partecipanti al conflitto, solo dopo aver visto intere generazioni mandate al macello, a morire di stenti, freddo e fame, in una qualche linea di frontiera ai confini del mondo, o in qualche campo di lavoro e di morte, in un inferno glaciale, dove il ghiaccio stesso e la neve, non erano abbastanza freddi se paragonati ai cuori degli uomini, aguzzini, che sorvegliavano quei campi.

Di questo mondo inquietante che sembra uscito dalla perversa mente di uno scrittore in preda ad un trip allucinogeno, ne abbiamo, purtroppo, infinite testimonianze, uomini, donne e bambini sopravvissuti all’inferno, esseri umani che avevano perduto la propria umanità ed erano diventati spettri, meri contenitori vuoti, di un anima ormai perduta. Le loro menti erano state annientate, i loro corpi deturpati, ed i più fortunati tra loro, avevano conosciuto il privilegio della morte.

L’europa, dopo quell’esperienza ha deciso di voltare pagina, di andare avanti, di costruire un mondo nuovo fondato non più sulla guerra, ma sulla pace, sul compromesso, sul dialogo, un mondo al cui vertice era posto un delicato ed effimero intreccio di istituzioni internazionali e sovranazionali a cui venne affidato il compito di sorvegliare, se pur in modo limitato, sui rapporti tra le nazioni, nel vano tentativo di trovare e proporre soluzioni diplomatiche ai conflitti.

Italia, Francia, la Germania Regno Unito e ancor di più il Giappone, videro con i propri occhi la fine inesorabile dell’umanità, videro l’atomo dare voce alla propria collera, videro la morte affacciata ai balconi e nelle strade, acclamata da folle festanti, sentirono il suo sospiro, la sua ferma carezza, ed il suo fetido odore, che per puro caso aveva lo stesso odore di un corpo umano che brucia tra i ghiacci del nord.

Alcuni dei paesi che sopravvissero, a fatica, a questo scempio, decisero di rivolgere lo sguardo al futuro e di consegnare alla storia quei terrificanti momenti, fu un tentativo estremo di esorcizzare quel crimine immane che fu l’indifferenza totale, ma questo non è bastato.

Quei demoni umani, dalle fattezze di uomini comuni, mediamente intelligenti ed estremamente stupidi, rimasero dormienti, nell’ombra, approfittando della più grande fallacia della democrazia, la sua natura democratica ed inclusiva. E fu così, che uomini intolleranti pretesero di essere accolti in un mondo che puntava a diventare civile, ad emanciparsi, e in quel mondo, iniziarono, di nuovo, a sfasciare ogni cosa, a reprimere nel sangue qualunque visione del mondo diversa dalla propria, e si sa, la stupidità è più contagiosa di un raffreddore.

La guerra ha costretto l’europa ad abbracciare la pace, o almeno a provarci, ma la pace forse non appartiene all’uomo, e come sosteneva Hobbes, è solo un momento di transizione, di recupero delle energie e di riorganizzazione prima di una nuova guerra. L’umanità sembra ancora incastrata in quel sistema di guerra permanente dalla quale Hobbes non vedeva scampo, e forse aveva ragione, perché in fondo, all’umanità la pace piace, ma piace di più la guerra, e la guerra appare come necessaria per il conseguimento di brevi momenti di riposo e di pace.

C’è quasi la necessità, per gli uomini, di sacrificare periodicamente qualche generazione affinché i posteri possano vivere in un apparente armonia. Sembra quasi, che l’unico modo reale per conseguire la pace, sia attraverso la guerra, attraverso la paura, attraverso la repressione del diverso.

E allora, solo in un mondo dove non c’è più libertà di espressione ne di pensiero, dove l’opposizione politica è repressa nel sangue, solo lì, può prospera la pace. Certo, è una pace armata, fittizia, una pace apparente in cui non vi è serneità e la paura regola i più elementari rapporti umani, ma in fondo è pur sempre pace no?

Nel secolo scorso persino Hitler e Mussolini, a modo loro, sono stati portatori di pace… non arrabiatevi, è una provocazione… dopo aver eliminato e fatto assassinare i propri oppositori politici, dopo aver chiuso in cella, messo a tacere o fatto sparire chiunque la pensasse diversamente da loro, e dopo aver provato a sterminare un intera etnia (forse più di una), avrebbero sicuramente condotto ciò che restava dell’umanità, il popolo eletto, eletto da chi poi boh, verso una società più salda e sicura (applausi e ovazioni dal senato intergalattico della repubblica appena trasformata in Impero).

E del resto cosa vuoi che sia qualche milione di esseri umani ridotti in schiavitù e assassinati nei campi, cosa vuoi che sia qualche migliaio di morti in mare, in fondo, se sono nati nella parte “sbagliata” del pianeta la colpa non è mica di noi altri più fortunati che siamo nati con le chiappe al caldo. E se sono morti, in fondo se la sono cercata, potevano stare più attenti al momento della nascita e da adulti potevano adeguarsi alla visione unica di chi deteenva il potere… se hanno scelto di opporsi e cercato di cambiare il proprio status, che se ne assumano la responsabilità.

E allora, W il pensiero unico, poiché solo in un mondo totalmente privo di ogni diversità, dove l’umanità è ridotta ad un insieme di automi accondiscendenti e privi della propria volontà, privi della propria individualità, solo lì, quel mondo distopico che neanche Orwell avrebbe mai osato immaginare, può prosperare la pace reale… tutti gli altri possono anche morire.

Sotto l’occhio vigile del signore oscuro di mordor, dove il potere oscuro dei Sith si estende ben oltre l’orizzonte, in un mondo oscuro e selvaggio, dove vige la legge della paura, dove vige la legge del più forte, solo lì può esistere la pace, certo, una pace fittizia, illusiria, silenziosa, ma pur sempre pace… poiché è solo nell’ombra che gli uomini sono davvero tutti uguali, lì, nel buio più totale, dove l’oscurità è così fitta da impedire alla luce di passare, dove gli occhi sono chiusi e non vedono, dove le orecchie non sentono e le bocche non parlano, lì, dove non è possibile percepire alcun che, non esistono differenze, del resto, come scriveva anche Totò “A morte ‘o ssaje ched”e?…è una livella”.

Sono tentato di chiedere asilo politico alla Cina, che di questi tempi sembra essere forse il paese più progressista del globo.

A.De Curtis, A livella
H.Aarendt, Le origini del totalitarismo
H.Arendt, La banalità del male
I.Kant, Per la pace perpetua
J.R.R.Tolkien, Il signore degli Anelli
Star Wars
T.Hobbes, Leviatano

Diovremmo lottare per chiedere diritti, ma preferiamo negarne.

L’umanità, nella sua storia, ha sempre cercato di migliorare la propria condizione, ogni popolo, ogni villaggio, ogni nazione della storia ha sempre cercato di ottenere un vantaggio sugli altri, sia all’esterno che all’interno delle mura. E da sempre, nella storia dell’umanità, le “masse popolari” si sono battute per ottenere maggiori diritti, mentre l’aristocrazia, la classe privilegiata, cercava di non concedere diritti per non perdere i propri privileggi che, se concessi anche ad altri, non sarebbero più stati tali.

L’umanità, nella sua storia, ha sempre cercato di migliorare la propria condizione, ogni popolo, ogni villaggio, ogni nazione della storia ha sempre cercato di ottenere un vantaggio sugli altri, sia all’esterno che all’interno delle mura. E da sempre, nella storia dell’umanità, le “masse popolari” si sono battute per ottenere maggiori diritti, mentre l’aristocrazia, la classe privilegiata, cercava di non concedere diritti per non perdere i propri privileggi che, se concessi anche ad altri, non sarebbero più stati tali. E dall’altra parte, l’aristocrazia, pur di non concedere questi diritti alle masse popolari, ha sempre cercato di deviare l’attenzione su un “altro” esterno, un nemico alieno alla propria società, contro cui puntare il dito, riconoscendo ad essi, agli altri, barbari venuti da lontano, la responsabilità di ogni male della società.

Ed è sempre stato così, sempre, fin dalla notte dei tempi, e pure, negli ultimi decenni, qualcosa è cambiato.

Nel XIX e successivamente in gran parte del XX secolo, gli esseri umani hanno portato avanti lotte e battaglie per il riconoscimento e l’ampliamento dei propri diritti. Il principio alla base di queste battaglie era uno ed uno soltanto, se qualcosa, qualsiasi cosa, è un diritto per qualcuno, allora deve esserlo per tutti.

Si tratta di un principio semplice, giusto, ed è giusto perché è semplice, perché ha valore universale e non richiede sforzi particolari per essere compreso o messo in atto. diciamo che per la messa in atto ciò che serve è solo un po’ di buona volontà.

Il nostro secolo è differente, il nostro tempo è differente.

Una nebbia tenebrosa e oscura sta avvolgendo il nostro tempo, il nostro mondo, siamo all’alba di un lungo inverno, ma privi eroi carismatici in grado di fermare l’avanzata dei morti, siamo soli, in un mondo sempre più oscuro in cui si lotta per sopravvivere litigando per un pezzo di pane stantio istigati da chi dall’alto addenta un cosciotto di pollo fumante.

Stiamo vivendo una guerra tra poveri, cercando di raccattare pochi spicci, mentre ignoriamo il grande tesoro che si cela in bella vista a pochi passi da noi.

Oggi, ormai ad un passo dallo scoccare della campana che segnerà la fine del primo quarto del XXI secolo, le battaglie e le lotte per i diritti, hanno cambiato volto, sembrano non essere più battaglie per il riconoscimento dei propri diritti, ma, almeno per quanto riguarda le istanze di un certo ambiente politico, sembrano battaglie volte a negare e addirittura togliere diritti. Oggi, per assurdo non ci si batte più un aumento dello stipendio minimo, ma per ridurre lo stipendio di qualcun altro.

Non ci battiamo per avere più diritti, ma assecondiamo chi punta ad una limitazione e riduzione dei nostri stessi diritti, giustificando queste limitazioni dietro un finto senso di diversità tra gli esseri umani in base alle proprie origini e al proprio credo religioso o peggio, alla propria visione politica. Come se credere in un dio invece che in un altro, possa essre un fattore discriminante per il riconoscimento dei propri diritti civili in uno stato laico.

L’umanità sembra aver rinunciato alla propria progressiva emancipazione e almeno nel mondo occidentale, sembra aver messo da parte i principi dell’illuminismo e i valori di pace e armonia universale, per stringersi nel fatale abbraccio di Marte, il cui sospiro si traduce in venti di guerra tra gli uomini, la cui stessa esistenza si fonda sullo scontro tra uomini e l’annientamento reciproco.

Non so se è per la poca memoria storica, o per la poca memoria in generale, so solo che gli esseri umani hanno iniziato, negli ultimi tempi, una frettolosa corsa verso il baratro, desiderosi di compiere quel salto nel vuoto, senza paracadute o elastico, desiderosi di schiantarsi, nella speranza che durante il precipitoso volo possano spuntare loro dele ali, come qualcuno ha promesso loro dall’alto di un balcone, mentre sotto la camicia nera indossava il proprio paracadute.

Viviamo nell’epoca della menzogna tollerata, dove non importa davvero ciò che è o ciò che stato, importa invece ciò che ci viene raccontato, e se non è vero è indifferente, perché potrebbe essero e dunque la verità perde di ogni valore e vero viene sovrascritto dal plausibile, e tanto basta per legittimare pensieri e richieste di limitazione di diritti altrui. Per legittimare disonestà, menzogne e falsità raccontate per puro interesse politico.

Viviamo in un epoca in cui una fetta importante della popolazione mondiale, punta, senza vergogna, a miglirare la propria condizione di vita a discapito degli altri, in una paradossale dinamica per cui l’ampio divario tra ceto medio e ultramilionari, sembra inesistente, mentre il divario estremamente effimero tra poveri e ceto medio, sembra abnorme, e la povertà diventa una colpa, diventa sinonimo di inadeguatezza, qualcosa di cui vergognarsi, mentre la criminalità vera e pericolosa viene perdonata, tollerata e a tratti, subdolamente tutelata, fino al punto estremo in cui chi cerca di sopravvivere, banalmente chiedendo l’elemosina o appoggiandosi a centri d’assistenza, viene percepito dalla società come una piaga, come un male da estirpare, come un parassita, come un feroce criminale di cui liberarsi il prima possibile. Chi cerca di avviare un attività legale, facendo sacrifici enormi per pagare le tasse, viene percepiro dalla società come un inetto, uno sciocco, un servo dell’europa. Mentre chi ruba milioni, chi truffa lo stato, chi evade il fisco, sfrutta disperati e giovani pagando loro una miseria per innumerevoli ore di lavoro al limite dell’umano, al di fuori della legalità e rasentando la schiavitù, viene percepito come un benefattore, un paladino, un eroe, qualcuno che non ha paura di sfidare i poteri forti.

E in mezzo a tutta questa licenza, chi salva vite umane o sfugge dall’inferno in cui viveva, viene perseguito dalla politica e portato d’avanti alla legge, come fosse un criminale della peggior specie, mentre dall’altra parte, contemporaneamente, si applaude e si conferiscono medaglie ai trafficanti di morte, venditori d’armi, droghe e schiavi, acclamandoli come risorse e benefattori.

Questa è la sporca progene del nostro tempo, figlia malata di un mondo al limite delle proprie energie, immersa in una pericolosa e precipitosa discesa verso il baratro, al cui fondo gli uomini lottano come barbari selvaggi per un pezzo di pane e degli avanzi, gentilmente concessi dai signori della guerra che alle nostre spalle e a nostre spese, banchettano su ricche tavole imbandite, con caviale, ostriche e champagne, inneggiando al nazionalismo, alla gloria e al valore del proprio popolo, mentre i propri risparmi sono al sicuro investiti investiti all’estero.

Questa è l’età della falsità, è il secolo dell’ipocrisia, il tempo della memoria corta, in cui si applaude per convenienza a chi appena pochi minuti prima ti insultava.

Quando in futuro gli storici racconteranno il nostro tempo, lo faranno con parole impietose, dure, forti. Parole pure e forse stranite, di chi guardandosi alle spalle, rivolgendo con distacco il proprio sguardo al nostro tempo, non potrà evitare di chiedersi come tutto ciò è stato possibile.

L’umanità è dormiente, ipnotizzata da pifferai, le cui subdole melodie si insinuano nelle coscienze e risveglia mostri sempre pronti a colpire, uccidendo amore, rispetto, tolleranza e solidarietà.