Il braccio di ferro giuridico tra la Donald Trump e la corte suprema, più politico che giuridico, sulla legalità di alcune decisioni presidenziali non è certo priva di precedenti. Sono numerosi i casi in cui giudici federali sono intervenuti per bloccare l’iniziativa presidenziale i cui ordini esecutivi e decreti erano in contrasto, più o meno aperto, con la costituzione.
Non sorprende quindi che l’ordine esecutivo per l’espulsione e il divieto di ammissione di alcune minoranze religiose, per motivi di sicurezza nazionale, abbia scatenato la risposta di alcuni giudici federali, secondo i quali quell’ordine andava in conflitto con diverse parti della costituzione, in particolare con il primo emendamento, nel quale si stabilisce che l’america è una nazione laica, in cui è possibile professare liberamente ogni culto religioso.
Tra le ragioni del presidente però una legge sull’immigrazione del 1954 in cui si stabilisce che il presidente può limitare l’immigrazione impedendo l’accesso al paese qualora un determinato gruppo di immigrati, possa rappresentare un pericolo per la nazione, secondo i giudici federali tuttavia, questa legge non garantirebbe una libera uscita al presidente poiché in un successivo emendamento questa stabilisce che la limitazione non può avvenire per ragioni etniche, religiose, ecc, aggiungendo inoltre che, le ragioni prese in considerazione dal presidente per attuare l’espulsione ed impedire l’accesso, sono puramente frutto di un suo pensiero personale, prive di alcuna prova empirica o scientifica.
Secondo i giudici federali inoltre, ne il presidente, ne il congresso, hanno l’autorità politica per legiferare in materia religiosa, in quanto, secondo il primo emendamento, gli stati uniti d’america sono una nazione laica, e priva di una religione di stato, definire “minoranza” una o l’altra religiosa, significa de facto stabilire una gerarchia religiosa, al cui vertice vi è un culto di stato, non ufficializzato, e questo sarebbe in contrasto con il primo emendamento della costituzione.
In questo lungo braccio di ferro politico più che giuridico, tra il presidente Donald Trump e i giudici federali, il presidente ha rivendicato l’autorità presidenziale garantitagli dallo spoils system, per far pulizia ai vertici del sistema giuridico statunitense, nominando Neil Gorsuch, un giudice conservatore vicino all’ideologia presidenziale di Trump, nuovo giudice della corte suprema.
Questa decisione rappresenta a tutti gli effetti un intromissione politica nel sistema giuridico, il cui compito dovrebbe essere quello di garantire la giustizia e l’equità per ogni uomo sul suolo americano, indipendentemente dal suo status sociale, dal suo lavoro, dalla sua fede religiosa e politica e soprattutto dalla sua posizione, sia esso un immigrato o il presidente degli USA, la legge dovrebbe essere uguale per tutti, ma Trump non sembra essere di questa idea.
Secondo il presidente e il nuovo giudice Gorsuch, uno straniero in terra straniera non gode di alcun diritto civile, sociale e politico. Su questo punto la cancelliera tedesca Angela Merkel ha ricordato al presidente Trump che gli USA hanno firmato la convenzione di Ginevra, ed è compito della nazione ospitare rifugiati politici da zone di guerra, e quindi, quei rifugiati godono dei diritti civili riconosciuti loro dalla convenzione di Ginevra, e secondo alcuni giudici federali anche dalla costituzione.
Trump dal canto suo invoca ancora una volta l’autorità presidenziale, che in tempo di guerra, permette al presidente di scavalcare la legge e la costituzione al fine di salvaguardare la nazione, invocando poteri straordinari che autorizzerebbero la presidenza a prendere decisioni in campi che normalmente non sarebbero di sua competenza. In queste dichiarazioni si può leggere tra le righe un agghiacciante e drammatica svolta autoritaria del presidente eletto, mostrando una strada oscura e su un terreno spinoso. La nomina di un giudice della corte suprema a lui favorevole, cosa che rientra nei suoi poteri ordinari, potrebbe essere vista dalla magistratura come un attacco al sistema giuridico da parte del presidente, e del suo sconfinamento in campi fuori dalla sua autorità, con il conseguente avvio di una procedura di impeachment.