Alla fine del IX secolo l’edificio costruito da Carlo Magno si era ormai sfaldato. La monarchia dei franchi si era separata dall’impero che, sotto la dinastia degli Ottoni, diventa quello che passerà alla storia come Impero Romano Germanico. Nel frattempo, i normanni si sono mossi alla conquista di una parte della Francia settentrionale e dell’Inghilterra.
Anche la scuola palatina scompare: siamo alla fine del IX secolo. In qualche centro, come ad Auxerre, proprio nella seconda metà del IX secolo, la filosofia sembrava non demordere. Gli studi dialettici continuavano ed erano numerosi i commenti agli scritti logici e teologici di Boezio (soprattutto sull’annoso problema degli universali).
Il X secolo sarà un’epoca di povertà culturale con la sola eccezione della vita e cultura monastica, ma Gerberto, monaco di Aurillac, è un’eccezione. Gerberto era vissuto come monaco nel monastero di Ripoll in Catalogna, ai confini di un territorio controllato dai musulmani. Era poi passato a Reims dove la sua fama legata all’insegnamento delle arti del trivio e del quadrivio gli aveva procurato numerosi allievi. Infine, lo troviamo a Bobbio dove aveva ricoperto la carica di abate su nomina dell’imperatore Ottone II.
Quella di Gerberto di Aurillac è una figura sfaccettata, affascinante, al confine tra storia, filosofia, mito e folklore. Vediamo cosa possiamo dire con “certezza”. Ottone III si ricordò di lui quando si trattò di ricoprire la cattedra arcivescovile di Ravenna, nel 998, poi il soglio pontificio nel 999. Come papa, Silvestro II fu molto più che un “semplice” cappellano di corte. Fu il primo ad intuire l’importanza delle società cristiane che si stavano formando ad est del mondo tedesco; promosse infatti l’evangelizzazione delle genti slave e, solo per fare un esempio, riconobbe Stefano I come re di una nuova nazione cristiana, quella ungherese. Morì nel 1003, dopo essere stato cacciato insieme all’imperatore due anni prima, e dopo aver subito una forte umiliazione da parte della nobile famiglia dei Crescenzi.
Ma perché è una figura così importante? Non è l’unico filosofo, politico e scienziato del suo tempo! Il punto è proprio questo. Non è l’unico, certamente, ma è l’unico a non essere allineato con la cultura dominante. Non mi riferisco tanto alla sua attività di filosofo che trovate, se vi interessa, soprattutto in un saggio, Sul razionale e sull’uso della ragione, pensato come disputa alla corte di Ottone III. Mi riferisco invece alla sua attività di “scienziato”.
Dai viaggi in Spagna aveva ereditato una forte passione per la matematica e l’astronomia; spesso andava alla ricerca di libri e di strumenti – come l’abaco e la sfera armillare – per osservare e studiare le stelle. Aveva indubbiamente una visione nuova della cultura e dell’insegnamento, se paragonata a quella diffusa intorno all’anno Mille, cultura intesa primariamente come lettura ed esegesi dei testi sacri (successivamente dei filosofi antichi).
Fu proprio questa caratteristica a creare attorno a lui un alone leggendario che lo dipingeva come un mago, uno stregone che era sceso a patti con il diavolo per apprendere le vie che conducevano ai tesori sepolti nel sottosuolo di Roma. O per il desiderio di sapere o, ancora, per ottenere fama e riconoscimenti. Queste istanze si trovano proprio nell’opera di Arturo Graf, intitolata Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo.
Chi è Arturo Graf? Nato ad Atene nel 1848 da padre tedesco e da madre italiana, Graf trascorre l’infanzia a Trieste e in Romania; compie gli studi liceali e universitari a Napoli dove entra in contatto con De Sanctis. Nel 1876 inizia la sua carriera universitaria a Roma e nel 1882 diventa professore presso l’Università di Torino dove nel 1883 è nominato rettore. Nel 1883 è tra i fondatori del Giornale Storico della Letteratura Italiana.
Nel 1907 lascia l’insegnamento (si è spento nel 1913). Tra il 1892 e il 1893 pubblico in due volumi una raccolta di saggi intitolata Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo che non ha avuto successo per il giudizio negativo dato da Benedetto Croce, secondo cui Graf sarebbe stato incapace di una autentica operosità scientifica (per fortuna la scuola francese delle Annales ne ha finalmente riconosciuto i meriti).
Graf non ha dato solo contributi alla demonologia dantesca. Nel saggio La leggenda di un pontefice (Silvestro II) ripercorre la vicenda del dotto di Aurillac dipingendolo come un mago nell’ambito dello studio dei sospetti e delle diffidenze che l’opinione popolare nutriva verso le attrattive del potere. In questo quadro, Silvestro II diventa emblema dell’uso della magia di derivazione demoniaca proprio a causa della sua familiarità con la scienza. Qual è il punto? Il mito in Graf non è solo espressione del pensiero fantastico, ma ha una radice storica in quanto è inteso come proiezione di una credenza (o fantasia interiore) nel tempo e nello spazio.
E qui la credenza popolare che origina il mito del “mago scellerato” trae origine dalla diffidenza nei confronti della scienza. Il ricorso al mantello della magia è certamente un buon artificio letterario. Se, però, astraiamo da questo aspetto e ci facciamo qualche domanda sul significato di una storia di questo tipo, scopriamo che l’argomento è attuale. Consiglio il libro di Graf non solo perché è ben scritto ed è una miniera di curiosità per l’appassionato di storia, ma soprattutto perché ci può far riflettere sulla potenza che finiscono per avere le false credenze, se pervicacemente condivise da molti, nella ricostruzione della storia della scienza (di cui il Nostro fa certamente parte).
Bibliografia:
ARTURO GRAF, Miti, leggende e superstizioni nel medioevo, Mondadori.