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Il formaggio e i Vermi di Carlo Ginzburg | Recensione

E se la terra fosse in realtà un enorme forma di formaggio, se la vita animale non fosse altro che vermi schiusi nutrendosi dei succhi del formaggio, come accade sul Casu Marzu e se tutti i vegetali del pianeta non fossero altro che muffa, come nel più pregiato formaggio gorgonzola e se in fine le cavità della terra non fossero altro che bolle d’aria come quelle presenti nel groviera svizzero?

Queste osservazioni possono far sorridere, ma nel 500 c’era ben poco da sorridere e l’inquisizione era pronta ad intervenire, soprattutto se qualcuno, sostenendo un parallelismo tra la vita sulla terra ed i vermi del formaggio, avesse involontariamente negato l’esistenza di Dio passando per eretico. E se proprio vogliamo dirla tutta, qualcuno lo fece davvero, qualcuno nel cinquecento sostenne realmente, razionalmente e in maniera consapevole, un possibile parallelismo tra una forma di formaggio e la vita sulla terra, ma questo qualcuno non era un filosofo, un fisico, uno studioso, questa teoria non venne da uomini come Newton o Galilei, ma da un umile mugnaio friulano che la storia ricorda con il nome di Menocchio.

Menocchio era un mugnaio friulano, nato Domenico Scandella dalle parti di Montereale Valcellina, presumibilmente nel 1532, e passò la sua vita a fare il formaggio e sfuggire al tribunale dell’inquisizione che voleva condannarlo per eresia e che alla fine, intorno al 1600 lo mise a morte condannandolo al rogo per le sue stravaganti teorie eretiche secondo cui, la vita sulla terra non sarebbe stata opera di Dio, ma proprio come accade al formaggio con i vermi, sarebbe nata in maniera spontanea.

Nel grande pentolone della storia dei grandi eventi, tra i grandi uomini, generali, principi e imperatori, vescovi, cardinali e papi, non c’è posto per un uomo come Menocchio ma il suo ricordo è sopravvissuto per secoli e in un modo o nell’altro, il suo nome sarebbe diventato un tassello importantissimo per definire il fenomeno inquisitorio nel cinquecento.

Tra i primi che ricostruì e raccontò la storia di Menocchio, va certamente annoverato Carlo Ghinzburg, storico italiano di fama mondiale che, durante gli anni settanta, si mise al lavoro sul curioso caso di Domenico Scandella, e del suo scontro con l’inquisizione, dando vita ad un opera di straordinaria bellezza quale il saggio storico “il formaggio e i vermi”.

Al di la del racconto quasi aneddotico e biografico della vita di Menocchio e delle vicende che lo avrebbero portato alla morte, Carlo Ghinzburg ricostruisce in maniera estremamente precisa e particolare la questione dell’inquisizione in italia agli inizi dell’età moderna. Il Formaggio e i vermi è un saggio di “microstoria” che non si limita però all’analisi del singolo caso particolare, ma al contrario, proprio partendo da questo caso particolare, e diversamente dal classico modo di fare storiografia, in cui si tende a partire dal generale scendendo sempre più nel particolare, qui accade l’esatto contrario, si parte dal particolare, si parte da Menocchio, si parte da Montereale Valcellina, si parte dall’inquisizione friulana, per poi andare a sviscerare l’intera struttura inquisitoria italiana tra sedicesimo e diciassettesimo secolo.

Con il suo saggio Ghinzburg ha ribaltato il modello storiografico, sottolineando l’importanza e della “storia dal basso”, della microstoria, dedicando proprio alla definizione di questo modello storiografico un importante fetta della prefazione e va detto che il modello analitico proposto da Ghinzburg negli anni settanta avrebbe avuto molta fortuna, soprattutto negli Stati Uniti e nel mondo divulgativo. Altro elemento caratterizzante e distintivo di questo testo di Ghinzburg è la sua capacità di analizzare e comparare il rapporto reale, esistente e troppo spesso dimenticato tra la cultura ufficiale, la cultura delle classi dominanti, e cultura popolare.

Il caso di Menocchio è stato dimenticato, è stato ignorato per secoli dalla cultura ufficiale, Menocchio era solo un mugnaio, la sua storia era una storia comune, una storia banale, una storia che non valeva la pena ricordare, almeno per le classi dominanti, ma a livello popolare il suo ricordo divenne leggenda e sopravvisse negli anni, nei racconti e nei ricordi fiabeschi di un passato ormai dimenticato.

Questo testo di Ghinzburg ha un triplice valore, perché si impone su tre diversi piani, con tre diverse chiavi interpretative che riguardano il mondo storico e storiografico ed è per queste ragioni che ho deciso di consigliarlo.

Il testo è anzitutto un saggio storico molto complesso, che affronta tematiche importanti, ma è anche un buon manuale di tecnica storiografica, oltre che un saggio critico ed un ottima fonte aneddotica, ma andiamo con ordine.

Dal punto di vista puramente divulgativo, la storia di Menocchio, le sue teorie ed il suo scontro con la chiesa e l’inquisizione è sicuramente, dal punto di vista narrativo, molto avvincente e interessante, ci viene raccontata la storia di un uomo comune catapultato in situazioni più grandi di lui, chiamato a rispondere di accuse che non riesce a comprendere, chiamato a giustificarsi per un semplice pensiero genuino e “ignorante” che, agli occhi di chi aveva la pretesa di custodire la sola verità valida, era un qualcosa di abominevole e ripugnante, i pensieri, le idee, le osservazioni di Menocchio erano eretiche, anche se Menocchio non si reputava un eretico, era semplicemente un uomo pieno di dubbi con troppe domande a cui il suo tempo non era ancora in grado di rispondere. Del resto, le sue teorie avrebbero preceduto di diversi secoli teorie, ipotesi analoghe, formulate da uomini di scienza e non da mugnai, in un epoca e in un clima molto più positivo e tollerante nei confronti dell’innovazione.

Dal punto di vista critico e analitico, come abbiamo già osservato, soprattutto nella prefazione, Ghinzburg definisce un nuovo modello analitico, stabilisce nuovi canoni di ricerca, nuove linee di costruzione per le opere storiografiche, ribalta la storia portando gli uomini comuni nella storia, screditando in qualche modo l’idea che le masse popolari fecero la propria irruzione nella storia soltanto nell’ottocento, Menocchio è testimone di ben altra storia, Menocchio è un uomo del popolo ed è al centro di una vicenda storica realtà, completa, valida, Menocchio rappresenta la quotidianità del proprio tempo ed è attraverso quella quotidianità che Ghinzburg riesce a ricostruire magistralmente la società friulana del cinquecento e le dinamiche dell’inquisizione. Inoltre, il fatto che il testo ribalti quello che, fino a quel momento era il canonico ordine stilistico dei testi storiografici, passando quindi dal particolare al generale invece che dal generale al particolare, come si era soliti fare all’epoca (e ancora oggi) è estremamente importante perché avrebbe spianato la strada ad un nuovo modello globale di pubblicazione storica, inaugurando in un certo senso la letteratura storiografica “divulgativa”.

Il testo “il formaggio e i vermi” edito da Einaudi per la prima volta nel 1976 è a tutti gli effetti un testo divulgativo, diventa letteratura scientifica, letteratura tecnica grazie alla sua lunga prefazione, ma se si ignora la prefazione, ciò che ci troviamo sotto gli occhi è un testo relativamente semplice, scritto in maniera estremamente elegante da un autore brillante che ci racconta la vita di un mugnaio friulano e attraverso ad essa ci racconta la società in cui quel mugnaio viveva e le difficoltà che un uomo come lui era chiamato ad affrontare, dal formaggio che va a male perché fa i vermi o ammuffisce, alle pesanti accuse di eresia dinanzi al tribunale dell’inquisizione.

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