Nel testo “futuro passato” di Reinhart Koselleck , l’autore si sofferma su varie problematiche relative alla parola “storia” , ma al di la del problema ontologico sollevato dal filosofo tedesco, una problematica si affaccia tra le righe della sua opera e del suo pensiero.
Chi scrive “la storia” ? in questo post non voglio entrare nel merito della discussione ontologica , già trattata in maniera più che accurata da Koselleck, e non mi interessa la distinzione tra “la storia” e una storia (intesa come sinonimo di racconto) problema che in alcune lingue si pone più che in altre, ma che accennerò appena brevemente perché fa da contorno alla problematica che voglio affrontare in questo articolo, e che ha origine proprio da questa distinzione, ovvero “chi scrive la storia” ?
La storia la scrive chi vince, frase credo familiare a tutti, che avrete sentito almeno una volta, ma siamo sicuri che sia effettivamente così ? i “vincitori” scrivono realmente la storia, hanno realmente il potere di decidere cosa di quel determinato momento verrà tramandato ai posteri ? Probabilmente no, sicuramente vorrebbero avere un tale potere, una tale influenza ma difficilmente riescono nella loro azione di propaganda, perché si, si tratta di pura e semplice propaganda.
I vincitori scrivono la storia ? No, i vincitori, si limitano a proporre le “nuove” regole del gioco, regole che non sempre vengono rispettate da tutti i giocatori, anzi, nella maggior parte dei casi, gli avversari tendono ad ignorarle, e allo stesso tempo, si impegnano nel fare propaganda , in maniera non dissimile da qualunque altro giocatore seduto al tavolo delle trattative. La differenza tra i “vincitori” e gli altri, e che loro , possono urlare più forte, fare più rumore, e l’unione di propaganda, e nuove regole genera il mito, oserei dire, il falso mito, che “la storia è scritta da chi vince“.
Ma allora chi scrive la storia ? e che differenza c’è tra la storia e la propaganda ? Per rispondere a queste domande credo sia opportuno fare un passo in dietro alla questione sollevata da Koselleck, tra la distinzione di storia e storia.
La storia non è un semplice racconto, non è una semplice “favola basata sulla realtà” è qualcosa di molto più complesso, che necessita di autori consapevoli e imparziali, diceva Tucidide che sarebbe opportuno se uno “storico” non si occupasse di avvenimenti che lo coinvolgono in prima persona, in modo da escludere dall’analisi, la sua opinione , la sua posizione e le sue idee, non lasciarsi dunque coinvolgere e non studiare da storici avvenimenti e dinamiche in cui si è coinvolti, poiché il “conflitto d’interesse” impedirebbe in maniera subconscia all’autore di mantenere la sua imparzialità e tenderebbe a distorcere la realtà al fine di proporre la sua visione del mondo, visione che , in quanto soggettiva, non è la rappresentazione effettiva del mondo così com’è realmente. La storia , non “epurata” dalle visioni soggettive si basa dunque su fonti “poco attendibili” o non completamente veritiere, e questo pone, la storia sullo stesso piano di una qualsiasi storia, racconto o favola, dove è la fantasia a farla da padrona.
In questo senso diventa fondamentale aprire una parentesi sulle fonti, sulla loro attendibilità e l’utilizzo che se ne fa. Uno storico che non tiene conto del più ampio numero possibile di fonti, che basa la sua analisi soltanto su una ristretta fetta di documenti che presentano una versione molto vicina alle sue idee, senza prendere in considerazione, ed escludendo a priori qualsiasi fonte presenti un “punto di vista differente“, che non significa accettare tutto per buono, ma tenere in considerazione tutte le angolazioni disponibili, fare un lavoro quindi molto simile a quello di un giudice che ascolta sia la pubblica accusa che la difesa, per poi stabilire quale delle due versioni sia più attendibile, cogliere magari elementi dall’una e dall’altra parte per ricostruire la verità. Verità che risiede nei punti comuni all’una e all’altra parte, che nella sua interezza non è assoluta, ma sta allo storico il compito di avvicinarvisi il più possibile.
Fare storia significa dunque ricercare la verità, ricostruire il passato nella maniera più accurata e veritiera possibile, epurare la cronaca dalle visioni soggettive dei cronisti che molto spesso, ancora oggi, utilizzano la cronaca per fini propagandistici, ed è compito dello storico, escludere questi elementi di pura e semplice propaganda dalla narrazione storica, raffinando e miscelando sempre di più le informazioni in suo possesso, fino a realizzare un qualcosa che non è verità assoluta, ma vi si avvicina molto.
Bibliografia :
Reinhart Koselleck – Il vocabolario della modernità. Progresso, crisi, utopia e altre storie di concetti
Reinhart Koselleck – Futuro pasato
Massimo Chiais – La propaganda nella storia. Strategie di potere dall’antichità ai nostri giorni