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COLONIALISMO E DIALETTICA ASSIMILAZIONE-LOTTA DI LIBERAZIONE

All’inizio dell’avventura coloniale portoghese in Africa,nel XV° secoolo, il mondo allora conosciuto si limitava al Nord Africa (il Sahara Occidentale era considerato la fine del mondo),al Medio Oriente e all’ Europa.
L’obbiettivo ufficiale,comune alle monarchie europee era il commercio delle spezie nell’ Oceano Indiano,al quale si aggiungeva quello di proseguire la lotta contro i “Mori”, i musulmani,con un autentico “espìrito de cruzada” praticato attraverso lo sterminio e la conversione forzata al cristianesimo delle popolazioni superstiti.
Durante tutto il secolo gli esploratori europei incontrarono sulle coste del continente africano popoli che ai loro occhi apparivano culturalmente e tecnicamente “arretrati” ciò contribuì a rafforzare la convinzione,costruita dagli intellettuali illuministi, della necessità del dominio territoriale,politico e culturale dell’ Europa al di fuori dei propri confinin nome della “costruzione e diffusione della civiltà”.
E’ in questa fase, con il porsi delle nazioni europee dell’ epoca come centro geoculturale del mondo, che nasce l’idea di modernità.
Modernità che si realizza attraverso lo sfruttamento politico,di materie prime,di uomini e donne catturati e utilizzati come schiavi. Modernità come sinonimo di assimilazione,europeizzazione, denaturalizzazione e alienazione modernità come privazione della libertà a beneficio della metropoli. E’ di questo che si nutrirà la metropoli in Europa fino al XIX° secolo,quando il suo espansionismo raggiungerà il culmine attraverso la piena affermazione del colonialismo e la conseguente feroce competizione tra nazioni.
Per secoli i popoli africani hanno fronteggiato e,molto spesso,tristemente assorbito questa invasione e sradicamento per volere dei paesi “civilizzati”.

La dominazione coloniale,sebbene differente per ogni paese dominatore, si caratterizza per per tre aspetti essenziali sintetizzati dall’etnologo e africanista francese Georges Balandier in questo modo: contatto tra due civiltà del tutto differenti (per religione, economia, ritmo di vita); dominio da parte di una minoranza straniera, che esercita una pretesa superiorità culturale su una maggioranza nativa priva di mezzi tecnici e quindi materialmente inferiore; la civiltà tecnicamente avanzata si impone su tutti gli aspetti della cultura autoctona, mediante forme di organizzazione politica e amministrativa.
E’ in questo ordine che le fasi esposte da Balandier si sono susseguite durante il primo contatto,avvenuto nel 1482, tra la ciurma di Diogo Cão e un grande regno alla foce del fiume Zaire: il Kongo.
L’esploratore portoghese,accolto festosamente e con curiosità dal monarca Mwene Kongo, procedette rapidamente all’assimilazione culturale di quel popolo appena “scoperto” facendo prigionieri 4 uomini per portarli a Lisbona con lo scopo di far conoscere loro “le meraviglie della cristianità”,al loro ritorno in Kongo,nel 1486, il sovrano si battezzò adottando il nome di João, e divulgò tra i sudditi la nuova religione importata dai navigatori portoghesi, chiedendo che fossero inviati dall’Europa nuovi sacerdoti date le nuove necessità spirituali del suo regno. Possiamo notare,dunque, come l’assimilazione sia cominciata con la religione portando alla scomparsa della cultura tradizionale di quella zona.
Si è già detto che la modernità nasce quando l’Europa, a partire dall’Illuminismo e per quasi 500 anni, definisce se stessa come centro del mondo, quindi al centro, e all’inizio, della storia e della cultura umana. Il filosofo argentino Enrique Dussel sviluppa questa tesi, affermando che questa modernità autocentrata è costituita da una relazione dialettica tra il “noi” Europa e un’alterità non europea. In questo senso la “periferia” è parte costitutiva, e oggetto ultimo, dell’autodefinizione del “centro” intorno a cui ruota.

L’identità si costruisce mediante l’opposizione a un alterità: Occidente contro Oriente,civilizzato contro barbaro. La missione “civilizzatrice” dell’europeo consiste,quindi, nell’ educare il barbaro,nel caso il colonizzato si opponga a tale missione è previsto l’uso della violenza. In questo modo il barbaro esiste in uno stato di colpa,a causa della sua opposizione, e diventa compito del “civilizzatore” emancipare la sua vittima da questa colpa. In questo modo il colonizzatore trova la giustificazione del suo agire dando alla modernità stessa un carattere redentore,per il quale i sacrifici imposti dal “civilizzatore” al “barbaro” sono inevitabili e necessari. E.W.Blyden, appassionato protagonista della lotta all’assimilazione culturale, parla di europeizzazione e denaturalizzazione dei popoli africani da parte delle istituzioni e delle scuole europee, considerandole “la più grande opera di distruzione di massa contro l’umanità nera”. Chi detiene il potere è il bianco,mentre il nero è colui che viene esporato. Un’etnia, una classe, una nazione assumono dei valori propri perché è in essi che trovano il proprio equilibrio e la propria autonomia. Un patrimonio culturale esterno aliena coloro che lo adottano.

Le costrizioni culturali di pretesa universalista nascondono sempre un disegno egemonista, l’ideologia imperiale etnocentrista ha soffocato le culture nazionali del continente africano andando ad alterare un equilibrio sociale millenario. Divenne,quindi,inevitabile una reazione,da parte dei popoli africani, per riconquistare lo spazio culturale,e il proprio equilibrio,contrastando l’egemonia occidentale dopo che secoli di presenza europea ne avevano estirpate le radici.
All’inizio del XX secolo, il marxismo-leninismo denunciava l’imperialismo come stadio supremo del capitalismo. La rivoluzione di ottobre rappresentò un modello per le società indigene , mostrando loro la necessità e l’efficacia della lotta armata per l’emancipazione contro l’oppressione coloniale. Dopo la rivoluzione egiziana del 1952 e la Conferenza di Bandung del 1955, in cui 29 paesi tra Africa e Asia espressero la loro ribellione morale contro la dominazione europea, nacquero movimenti di liberazione nazionale anche in altre zone del continente africano.

Nel 1956 nacque il PAIGC. (Partido Africano da Independência da Guiné e Cabo-Verde), fondato da Amílcar Cabral e da suo fratello Luís. Amílcar credeva nella cultura come garanzia di successo della lotta di liberazione nazionale. All’arma dellacultura affiancava però la lotta armata ed esortava i suoi combattenti a «pensare per agire e agire per pensare meglio». Nello stesso anno, in Angola, un gruppo di intellettuali di Luanda fonda il il MPLA. (Movimento popular de libertação de Angola) che nel 1961 fu tra le forze responsabili responsabili (con il FNLA e l’UPA) di una prima rottura con il colonizzatore, attaccando punti strategici della città.
Il FRELIMO (Frente de Libertação do Moçambique) nacque nel 1962, per opera di un gruppo di rifugiati politici mozambicani,di orientamento socialista,in Tanzania. Nel 1974 la rivoluzione “dei garofani” in Portogallo nata dall’unione del popolo portoghese con i settori progressisti delle forze armate,mette fine a 42 anni di regime autoritario iniziato nel 1932 con António de Oliveira Salazar, e a quasi 5 secoli di regime coloniale in Africa.
Nel giro di un secolo i popoli ritenuti dai colonizzatori barbari e privi di cultura e coscienza nazionale sono riusciti a liberarsi dal dominio dell’uomo bianco e a costruire la propria consapevolezza politica paradossalmente,come suggerisce lo storico indiano Kawalam Pennikkar,ciò fu dovuto anche al fatto che la dominazione europea forzò i popoli di questi continenti ad adattarsi alle nuove idee del mondo occidentale moderno, e furono proprio queste nuove idee le uniche in grado di aiutare gli indigeni a liberarsi dall’oppressione diventando la base di movimenti fondamentali della storia dei neri come il Negrismo, il Panafricanismo, la Negritudine,i popoli africani (e asiatici) si sono appropriati di questi vincoli di civiltà (condicionantes civilizacionais) imposti dalla colonizzazione per dotarsi di un’autonomia come confermato anche dalla storica portoghese Dalila Cabral Mateus nel suo libro: “A Luta pela Independência” nel quale analizza l’impatto della politica di assimilazione nelle colonie mettendo in evidenza come essa sia un elemento fondamentale alla base del processo di formazione delle élites africane.
Possiamo quindi affermare che il sistema colonialista, nel suo evolversi, ha generato il germe della sua distruzione. Appare chiaro come assimilazione e lotta di liberazione siano le due facce della stessa medaglia,i membri complementari e dipendenti l’uno dall’altro di una dialettica sottile e a lunga durata, che fa pensare a quella del signore-servo già individuata da Hegel nel 1807: il colonizzatore, per garantire la sopravvivenza del sistema che ha creato e sottomettere il colonizzato, non può fare a meno di servire il colonizzato dei mezzi di cui quest’ultimo ha bisogno per essere libero.

Conclusioni dell’autore

Oggi queste due forze opposte e complementari continuano a scontrarsi all’interno di quello che definiamo neocolonialismo, ossia quella nuova manifestazione dell’imperialismo per cui le nazioni europee (e occidentali in genere, in seguito al decentramento dell’Europa e all’emergere degli Stati Uniti come potenza economica e militare mondiale con l’avvento della postmodernità) continuano a esercitare il loro dominio e la loro influenza sui paesi decolonizzati ufficialmente, senza necessariamente servirsi di forza militare né di controllo politico diretto.
Ci troviamo,oggi, di fronte a una “colonizzazione 2.0” che utilizza strategie più velate e definizioni più blande le antiche colonie sono oggi i “paesi in via di sviluppo” in cui “portare la democrazia” da indebitare con “aiuti umanitari” e qualora il modello “democratico” occidentale venga rifiutato entrano in scena gli eserciti esattamente come qualche secolo addietro.
Pathè Diagne fa notare che le culture,al pari delle nazioni, stabiliscono tra loro relazioni di forza,difendono interessi.
Interessi,oggi,principalmente economici che portano al tentativo di assimilazione che una cultura esercita sull’altra.

Solo riuscendo a comprendere il rapporto di causa-effetto che lega le due forze assimilazione-lotta, si riescono a comprendere le ragioni che sono alla base dell’odierna lotta che stanno portando avanti organizzazioni militari e pseudo-religiose dell’Asia e dell’Africa contro l’Europa e le manifestazioni della sua cultura.  Europa “vittima”, ma anche carnefice. I mostri vengono creati da apprendisti stregoni: la violenza nasce sempre per una ragione, sia essa meschina, sia essa disperata.
Comprendere le ragioni di questa lotta l in corso nel nostro tempo ci porta a realizzare che essa non è altro che il prodotto di ciò che i nostri padri hanno voluto e creato in un passato non troppo lontano.

 

Bibliografia

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