In copertina alcuni ebrei provenienti dai Paesi arabi in un campo di raccolta allestito in Israele. La foto risale al 1950, due anni dopo la fondazione dello Stato ebraico, nel quale affluirono molti profughi dai Paesi arabi (Jewish Agency for Israel)
La storia della rivalità tra Ebrei ed Arabi è una storia plurimillenaria che precede ampiamente la nascita di Israele, ed è una storia di cui abbiamo traccia già in testi del III secolo A.C. poi confluiti nella Bibbia, tra gli altri, nei libri dell’esodo e della genesi.
Si tratta di una storia che inizia con la stessa storia ebraica nel mondo cananeo, ed è una storia tutta “semitica”.
Siamo abituati ad utilizzare il termine “semitico” riferendoci al mondo ebraico, ma, va precisato che, gli ebrei sono una popolazione semitica, non l’unica popolazione semitica, anche le popolazioni cananee erano semitiche, così come lo erano assiri, babilonesi, etiopi, arabi ecc.
Sul piano linguistico, il gruppo delle lingue semitiche comprende per l’appunto il babilonese e l’assiro, l’ebraico e l’aramaico, l’arabo e l’etiopico, caratterizzate da un ricco consonantismo, ed indica le lingue parlate nel mondo antico e le loro derivate, tra la penisola arabica e l’Anatolia, e in termini prettamente “culturali” indica quelle civiltà e popolazioni che hanno abitato la regione prima della “contaminazione” ellenica e la conquista latina.
Insomma, persiani, arabi ed ebrei sono tre facce della stessa medaglia, evoluzioni diverse dello stesso seme semitico.
Questa premessa serve per inquadrare il discorso dell'”antisemitismo nel mondo arabo” che in realtà non vuol dire assolutamente nulla, poiché gli stessi arabi sono semitici, ma questa è un altra storia.
Questo post nasce come risposta ad un articolo del 2018, che negli ultimi giorni ha ricevuto numerose condivisioni. L’articolo è a firma di Paolo Mieli, in cui, lo storico e divulgatore presenta e racconta la persecuzione degli Ebrei nei paesi Arabi, prendendo le battute da un saggio di Georges Bensussan, promosso nel proprio editoriale, ma, andiamo con ordine.
Paolo Mieli è uno dei più popolari storici divulgatori italiani, controparte “di destra” del collega Barbero.
In questo suo editoriale pubblicato sul Corriere, racconta dell’Antisemitismo di matrice Islamica, partendo dal saggio dello storico francese Georges Bensoussan «Gli ebrei del mondo arabo» pubblicato in Italia nel 2018 dall’editore Giuntina. Questo articolo, anch’esso del 2018, e di cui l’editoriale è una promo. (non c’è nulla di male in ciò, anche io collaboro spesso con diversi editori per promuovere saggi storici di recente pubblicazione.
In questo caso però, al di la del fine promozionale, l’articolo di Mieli, soffre di molti problemi, figli di una narrazione (avvenuta nel libro) molto faziosa e non comparativa.
In breve, l’autore del saggio si sofferma sui punti di conflitto tra il mondo arabo/islamico e il mondo ebraico, indicando come fonte principale del conflitto l'”emancipazione del mondo ebraico rispetto al mondo arabo”.
Nel dire ciò, prima Bensoussan e poi Mieli, “dimenticano” troppo facilmente, un distinguo importante all’interno dello stesso mondo islamico. Per essere più precisi, dimenticano di citare i circa 1000 anni che corrono tra il V e il XV secolo, in cui, il mondo “islamico” viveva un livello di civiltà immensamente superiore a quello europeo occidentale, che, solo con il rinascimento, ha iniziato ad avvicinarsi ai livelli culturali del mondo arabo, mentre dall’altra parte, con l’avvento degli Ottomani, il mondo arabo iniziava la propria discesa e decaduta.
Senza troppi giri di parole, nel IX secolo, quando la più grande biblioteca europea contava migliaia di copie di qualche centinaio di testi diversi, tutti di matrice religiosa, nella più piccola delle grandi biblioteche arabe, quella di Cordova, vi erano collezionati oltre mezzo milioni di testi differenti, e nella più grande delle biblioteche arabe dell’epoca, la “dimora del sapere” di Baghdad, si stima, fossero conservati oltre 2 milioni di testi. Numeri che le biblioteche occidentali, ci dice Matthew Battles, nel proprio saggio sulla storia delle biblioteche “Biblioteche una storia inquieta” edito da Carocci nel 2004, sarebbero stati raggiunti e poi superati soltanto tra XVIII e XIX secolo.
Sappiamo anche che, nel XIV secolo, quando in Europa iniziò a diffondersi la “ricerca” di testi antichi, i primi filologi si ritrovarono di fronte al grande problema dei “testi palinsesti” ovvero delle pergamene antiche che erano state abrase, quindi cancellate e riutilizzate, e sappiamo che, fu solo grazie all’incontro tra studiosi occidentali e arabi che che i filologi poterono riscoprire gran parte dei testi della tradizione greca e latina che i copisti medievali, in Europa, avevano cancellato per far spazio a testi di matrice teologica e spirituale.
Questa parentesi, in un discorso storico sulle rivalità all’interno del mondo semitico tra “ebrei” ed “islamici”, se si indica l’emancipazione come fattore di scontro, non può essere ignorata, perché ci dice, in modo molto chiaro che, quando la supremazia culturale apparteneva al mondo islamico, c’era una fortissima tolleranza e rispetto per culture diverse da quella islamica, diversamente, quando la superiorità culturale si è spostata ad “occidente” sono iniziati i problemi, gli scontri, l’intolleranza e le persecuzioni.
Andando più in dietro, ai tempi delle crociate, ed è esemplare a tale proposito la terza crociata, in particolare la presa di Gerusalemme da parte delle forze del Saladino le quali, non saccheggiarono i luoghi sacri cristiani ed ebrei, e non fu fatto del male ai civili, diversamente, quando la città fu presa dai crociati, le moschee vennero saccheggiate ed i civili islamici vennero massacrati a migliaia.
Tutto questo, in un saggio storico che parla delle persecuzioni di ebrei nel mondo arabo, non può essere ignorato facendo partire la narrazione dal XVI secolo e ignorando tutto ciò che è successo prima, perhé, nel fare ciò, si va a creare una narrazione distorta e faziosa, piegata da logiche politiche e non finalizzata alla realtà storica.
Il saggio di Bensoussan commette in questo senso un terribile errore di analisi storica, ed è ancora più grave l’errore commesso da Paolo Mieli che, nel raccontare questo libro, asseconda le teorie dell’autore, senza evidenziarne i difetti e le lacune, senza dire che la narrazione è incompleta e faziosa, assecondandola e giustificandola.