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“Il grande crimine, il grande male”

 

 

E’ stato comunicato che il governo ha deciso di eliminare completamente tutti gli armeni abitanti in Turchia. Senza riguardi per le donne, i bambini e i malati, per quanto possano essere tragici i mezzi di sterminio. Bisogna mettere fine alla loro esistenza”

– Talaat

 

Solo a leggerle, queste parole, fanno male. 24 aprile 1915: una data, una ferita, un pezzo di umanità spazzato via sotto gli occhi di tutti; pochi coraggiosi hanno cercato di reagire, hanno detto la verità su questa triste fetta di storia, hanno detto “NO, io non ci sto”. Appena 102 anni fa fu commesso uno dei più grandi crimini contro l’umanità: il genocidio armeno.

Insabbiato, negato, la responsabilità fu scaricata su altri, nessuno ha mai pagato per questo spietato massacro. Perché? Come è potuta accadere una cosa del genere? Ma soprattutto, chi sono gli armeni? Non di rado mi è stata posta questa domanda, con rammarico ho dovuto darvi risposta, spiegare l’origine di un popolo di cui la collettività a stento conosce il nome. Gli armeni erano insediati fra Caucaso ed Eufrate, in una regione di valli ed altipiani non lontano dalla Turchia e dall’impero Persiano. Era essa una regione perennemente contesa fra ottomani, russi, persiani; ma una semplice contesa territoriale può portare davvero ad ucciderne l’intero popolo abitante? Le cause che portarono a questo gesto estremo e spietato vanno ricercate all’origine: 1876, impero ottomano, salì al potere il sultano Abdul-Hamid, sul quale ricade la colpa del primo massacro nel 1894. I massacri continuarono per tre decenni e la resistenza cominciò ad organizzarsi contro gli “hamidiés” curdi, punta di diamante della repressione armena, creati e gestiti dal sultano rosso; egli, nel 1909, venne reso puramente simbolico e due enormi ondate di massacri portarono via circa 30.000 armeni dalla Cilicia. Pochi anni dopo fu istituita una dittatura militare e presero il potere i “giovani turchi”, guidati da Djemal, Talaat, Enver, rispettivamente ministro della marina, ministro degli interni e ministro della guerra: “i Tre Pashà”, il triumvirato dittatoriale che guidò l’impero ottomano dal 1913 fino alla fine della prima guerra mondiale. Un anno dopo, la guerra era ormai scoppiata, quale occasione migliore per agire? Erano tutti così concentrati sulla guerra da non “perdere tempo” nell’accorgersi, comprendere e prendere provvedimenti contro tali azioni… i primi massacri sporadici passarono inosservati, l’anno seguente iniziarono le deportazioni verso Aleppo, l’élite armena venne spazzata via per prima, in un attimo, freddata sul posto senza pietà qualora fosse sopravvissuta al viaggio (questo episodio prende il nome di “grande retata”, ed è la data commemorativa dello sterminio) tutti gli altri ne condivisero la sorte poco dopo.

 

Nell’estate del 1915 accadde un episodio che ha dell’incredibile, un lieto fine o più precisamente un “lieto intermezzo”, una ventata di speranza nelle vite di queste persone che, ormai, avevano ben compreso il loro destino. Circa 5.000 armeni non avevano perso la speranza, non erano disposti a cedere, si rifugiarono per 40 giorni sul Mussa Dagh, il “monte di Mosè” sulla costa orientale siriana, a nord della baia di Antiochia: i famosi “40 giorni del Mussa Dagh”, l’unica vera forma di resistenza durante questo crimine.

Approvvigionamenti e munizioni iniziarono a scarseggiare presto ma nessuno si risparmiò di prendere parte alla resistenza, anche le donne non si tirarono indietro dall’imbracciare un’arma. I turchi li sottovalutarono, pensarono che avrebbero ceduto, invece il monte forniva inaspettati rifugi e la lotta per la sopravvivenza si inasprì di giorno in giorno: la carenza di armi era compensata dalla disperazione ed i turchi che si arrampicavano di volta in volta più numerosi e più armati, finivano sempre respinti.

Christians in distress: rescue queste le parole sulla bandiera letta dall’equipaggio della nave incrociatore francese che li trasse in salvo. Questo episodio fu una parentesi rosa in un libro macchiato di rosso, di brutalità ed efferatezze. Il 14 settembre i superstiti giunsero in Egitto, a Port Said, dove ricevettero la migliore assistenza e qui rimasero per quattro anni in un campo allestito esclusivamente per loro.

Noi abbiamo già liquidato la posizione di ¾ degli armeni… Bisogna che la finiamo con loro, altrimenti dovremo temere la loro vendetta… Noi non vogliamo più vedere armeni in Anatolia, possono vivere nel deserto, ma in nessun altro luogo.”

-Talaat

Nel 1916 gli unici armeni rimasti si trovavano divisi tra Costantinopoli e Smirne, un’ intera popolazione era stata distrutta nel più totale silenzio, nessuno mosse un dito in loro aiuto, nessuno si oppose a questo abominio, finché non entrò in gioco il partito dashnak, ossia la federazione rivoluzionaria armena.

Ma dov’è finito il Monte di Mosè, oggi? Che non vi venisse in mente di andare a visitarli, questi luoghi. Un pellegrinaggio al “muro del pianto” armeno non è semplice da organizzare, perché il Mussa Dagh non si trova sull’atlante, sulle mappe. Provare per credere. Fortunatamente siamo nell’era di internet, e tutto cambia: questo monte si trova in Cilicia. Oggi le spiagge su cui sbarcarono i francesi, ai piedi del monte, sono meta di turisti ignari di ciò che vi avvenne.

Sai cosa disse Hitler ai suoi generali per convincerli che il suo piano non poteva suscitare obiezioni?Qualcuno al mondo si è accorto dello sterminio degli Armeni?”

– Ararat, Il monte dell’arca

Non fu affatto uno sterminio religioso (gli armeni sono cristiani) ma una semplice pulizia etnica per impossessarsi dei loro beni, denaro, territorio… molti furono convertiti forzatamente all’islam e le donne più belle portate negli harem, molti bambini adottati e “turchizzati”.

La Turchia aveva paura di scomparire, sentendosi contesa da numerose potenze che si stavano velocemente espandendo, reputò quindi vantaggioso sterminare un popolo intero per prenderne le terre e dimostrare il proprio valore: ebbe l’effetto contrario, fallì, eppure non vi furono conseguenze: cominciò il negazionismo, la colpa fu scaricata sui giovani turchi, i principali autori del genocidio fuggirono, le prove erano e sono schiaccianti ma guai a parlare di “genocidio armeno” alla Turchia. Guai a tirare fuori le foto, i libri, le lettere, i documenti, i telegrammi. Le motivazioni del loro gesto sono tanto chiare quanto terribili, la scelta di negare ha degli ovvi perché: paura di dover fare i conti, paura di pagare per il crimine commesso con risarcimenti territoriali, vergogna.

E tutti gli altri stati? Perché chi ne era a conoscenza non intervenne? Perché nessuno vuole scontentare la Turchia? I perché sono tanti, la trama è fitta ed intricata, tutto questo è solo una parte di ciò che di a dir poco raccapricciante avvenne.

Ragazzo mio, qual è la causa ancora oggi di tutto questo dolore? Non è aver perso delle persone care, o la nostra terra… é la consapevolezza di poter essere odiati così tanto. Che razza di umanità è che ci odia fino a questo punto e con che coraggio insiste nel negare il suo odio, finendo così per farci ancora più male?

Ararat – Il monte dell’Arca


Oggi è il 24 aprile, oggi gli armeni sopravvissuti ed i loro discendenti ricordano in silenzioil grande male e, una parte di questo male lo dovremmo sentire anche noi per tutti loro, per questo enorme dramma, per questo sfortunato ma coraggioso popolo dalla triste, travagliata storia.

Bibliografia:
Mutafian Claude – Metz Yeghérn, Breve storia del genocidio degli armeni
Franz Werfel – I quaranta giorni del Mussa Dagh
Flavia Amabile, Marco Tosatti – La vera storia del Mussa Dagh
Flavia Amabile, Marco Tosatti – Mussa Dagh, gli eroi traditi
Ararat, Il Monte dell’Arca (film, 2002)
http://www.glistatigenerali.com/storia-cultura/genocidio-armeno-mussa-dagh-24-aprile/

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