Le macchine anatomiche, di cui vi ho raccontato la storia in un video sul mio canale youtube, sono dei modelli anatomici del XVIII secolo, realizzati da Giuseppe Salerno, un medico e alchimista palermitano, in cui, oltre allo scheletro umano, è perfettamente visibile l’intero apparato arterio venoso, comprensivo di occhi e cuore, e con un livello di dettaglio impressionante che permette all’osservatore di vedere anche i più sottili capillari.

Questi modelli sono stati successivamente acquistati da Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, nel napoletano e appassionato di anatomia e alchimia.

Per la storia delle macchine anatomiche, vi rimando al mio video su youtube che trovate di seguito, qui invece voglio raccontarvi, in modo più approfondito, il processo, o almeno quello che si ipotizza essere il processo di realizzazione eseguito da Giuseppe Salerno.

Studiano i modelli anatomici di Sansevero, è emerso che, l’intero apparato arterio venoso visibile, non è autentico, si tratta infatti di una riproduzione o ricostruzione post mortem, eseguita manualmente dal medico siciliano.

Per secoli si è creduto che vene e arterie fossero le vere vene e le vere arterie dell’uomo e la donna raffigurati nei modelli, in realtà, molto recentemente, abbiamo scoperto che il sistema cardio circolatorio è costituito da una lega di materiali vari e coloranti, a base di cera d’api.

Viene allora da chiedersi, e me lo chiedo anche io nel video, come è possibile che un medico e alchimista del XVIII secolo conoscesse così bene l’anatomia umana, al punto da riuscire a ricostruire alla perfezione anche i più sottili vasi capillari?

Ancora oggi non è possibile dare una risposta netta a questa domanda, ma, sulla base delle informazioni che abbiamo a proposito della chimica e dell’alchimia del XVIII secolo, possiamo fare delle ipotesi.

Oggi gli studiosi credono che Giuseppe Salerno abbia compiuto degli esperimenti per via iniettiva su alcuni cadaveri presenti nelle botteghe dell’epoca, sezionare e studiare corpi umani nel XVIII secolo va detto, non era una prassi anomala, anzi, era una pratica molto diffusa tra artisti e studiosi di anatomia.

Questi esperimenti, si ipotizza, abbiano provocato una qualche reazione nel corpo calcificando o plastificando l’intero apparato arterio venoso, che poi, successivamente, il medico ha ripulito, analizzato e ricostruito.

Questa ipotesi abbastanza inquietante, lo ammetto, porta con se una domanda, ovvero, è possibile fare qualcosa del genere? e soprattutto, è possibile che un alchimista del XVIII secolo sia riuscito a farlo per almeno due volte?

Andiamo con ordine e la risposta alla prima domanda è, si.

Escludendo eventuali cause naturali, c’è effettivamente uno, anzi, molti modi cui ottenere un risultato di questo tipo.

Il più elementare dei metodi è attraverso l’uso della formalina, una molecola molto semplice da sintetizzare, il cui processo di sintetizzazione è stato formulato per la prima volta nel 1867 dal chimico tedesco August Wilhelm von Hofmann , tuttavia, va precisato che, nel XVIII e in larga parte nel XIX secolo, era molto sperimentale ed è molto probabile che, prima del 1867, anche altri chimici e alchimisti, siano riusciti a sintetizzare la molecola della formalina, senza però tramandarla ai posteri.

Tornando alla formalina, questa, se iniettata, interrompe il processo di decomposizione attraverso le arterie, uccidendo i batteri e arrestando il decadimento tissutale. Permettendo quindi al medico o all’imbalsamatore, di rimuovere la pelle, il tessuto connettivo e il tessuto adiposo e conservare soltanto vene, arterie e organi.

L’uso della Formalina nel processo di imbalsamazione, per la preservazione degli organi , è stato teorizzato e successivamente brevettat dall’anatomopatologo tedesco Gunther von Hagens nel 1978, all’interno di un più ampio procedimento che porta alla Plastinazione di vene, arterie e organi interni, che, una volta preservati dalla decomposizione, vengono “plastificati” operando una sostituzione dei liquidi con dei polimeri di silicone.

Nel XVIII secolo è improbabile che giuseppe Salerno abbia fatto ricorso ai polimeri di silicone, tuttavia, i suoi modelli, potrebbero essere stati realizzati proprio in questo modo, con una leggera variazione al processo di plastinazione di Hagens.

Una volta iniettata la formalina, o più probabilmente una sua versione più grezza e primitiva, nel corpo delle proprie cavie, ed aver interrotto la decomposizione delle vene e arterie, Giuseppe Salerno potrebbe aver introdotto, con successive iniezioni, il suo composto colorato a base di cera d’api che, con il tempo si sarebbe solidificato permettendo così, al medico e alchimista palermitano, di poter godere a pieno di un modello anatomico completo dell’intero apparato arterio venoso.

Questa ipotesi sembra oggi la più plausibile, se bene non vi sia alcuna certezza.

Ho chiesto quindi Giuseppe Alonci, chimico, del canale youtube “la chimica per tutti” e autore del libro “Tutta questione di chimica. Sette brevi lezioni sul mondo che ci circonda” qualche informazione a riguardo e, mi ha anche spiegato quanto è semplice sintetizzare la formalina aggiungendo che per lui non è difficile immaginare che un alchimista del XVIII secolo, sia riuscito a sintetizzare la formalina e anticipare di due secoli la plastinazione di Hagens.

Di Antonio Coppola

Studente di storia contemporanea, geopolitica e relazioni internazionali. Appassionato di musica, tecnologia e interessato ad un po tutto quello che accade nel mondo.

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