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Intervista a Paolo Pombeni su Giuseppe Dossetti

Ho deciso di intervistare il Prof. Paolo Pombeni, docente di Storia contemporane presso l’Università di Bologna autore di diversi libri: Giuseppe Dossetti. L’avventura politica di un riformatore cristiano (Il Mulino, 2013), La politica dei cattolici. Dal risorgimento ad oggi (Città nuova, 2015), La questione costituzionale in Italia (Il Mulino, 2016). Questa seconda intervista ha come argomento la figura di Giuseppe Dossetti.

 

  • In che ambiente culturale si formò il giovane Giuseppe Dossetti ?

 

Dossetti ebbe una formazione per così dire irregolare. Spesso ricordava di essere stato in qualche modo maestro di sé stesso. Al contrario di altri esponenti dei gruppi dirigenti cattolici non ebbe per esempio un percorso all’interno dell’associazionismo cattolico. Nella prima fase della sua vita più che di ambienti culturali si deve parlare di ambienti “spirituali”, perché tale era il gruppo di don Torreggiani a Reggio Emilia, molto orientato alle azioni di presenza sociale e di spiritualità, piuttosto che alle riflessioni in senso classico culturali. Ovviamente l’esperienza di Dossetti all’interno della Università Cattolica fu importante, ma soprattutto per i rapporti che ebbe con molte persone. Va infatti notata una caratteristica specifica di Dossetti (che del resto è tipica di tutti i leader): era capace di vampirizzare, se posso sbrigarmela con questo termine, tutte le persone interessanti con cui veniva in contatto, di prendere da loro tutti gli spunti e gli stimoli che lo interessavano per poi rielaborarli a livello personale. Da qui una poliedricità nel suo approccio che non è del tipo usuale negli intellettuali.

 

 

  • Un ruolo importante nella partecipazione alla resistenza attiva e nella scelta poi dell’esperienza politica fu l’esperienza all’università Cattolica di Milano, in particolare, negli incontri di Casa “Padovani”. In che modo queste esperienze influirono sugli anni successivi di Dossetti ?

 

Gli anni della Cattolica furono decisivi per convincere Dossetti che c’era un dovere storico del cattolicesimo italiano ed era quello di agire concretamente e dall’interno nella grande trasformazione del mondo che si sarebbe poi rivelata con il dramma della Seconda Guerra Mondiale. Questa convinzione, che inizialmente era, se vogliamo, legata alla contingenza “resistenziale” (tipica del sentire degli anni Quaranta), andò continuamente approfondendosi. Dossetti si convinse sempre più che si era in presenza di una grande cesura, che avrebbe esteso i suoi effetti ben oltre la fase che noi chiamiamo della “ricostruzione”. Se leggiamo i suoi ultimi scritti, vediamo che questa prospettiva, direi escatologica, va approfondendosi con il procedere della sua vita.

 

 

  • Dossetti parteciperà in modo attivo alla Costituente insieme ad altri intellettuali cattolici, che apporto diedero alla Costituzione?

 

L’apporto di Dossetti alla Costituente fu fondamentale, perché egli assunse su di sé la “regia” del lavoro che si andava a fare per costruire le basi teoriche del nostro costituzionalismo. Lavorò anche sulla seconda parte, quella dell’organizzazione dei poteri, ma qui il suo apporto poté essere meno incisivo, tranne in qualche passaggio (per esempio nella legge elettorale sul Senato dove sconfisse la prospettiva per l’uninominale). Per quel che riguarda la prima parte l’impianto fu suo (anche se riprese qualche proposta che circolava) e fu lui a gestire la convergenza di forze intellettuali diverse verso una sintesi che riflettesse i nuovi orizzonti del costituzionalismo novecentesco oltre che delle esperienze politiche dopo le crisi seguite alla prima guerra mondiale. Fu anche merito suo e dei suoi amici se le pulsioni integraliste che venivano da certi ambienti della Santa Sede e della “Civiltà Cattolica” furono tenute ai margini, evitando però rotture che sarebbero state pericolose per il fragile momento che attraversava la democrazia italiana appena ristabilita.

 

  • Un primo scontro tra Dossetti, il gruppo di Cronache sociali e De Gasperi emerse già in occasione del Congresso della Dc del 1949. Quali erano i punti su cui emerse il contrasto?

 

Il contrasto fra De Gasperi e Dossetti nasceva da una diversa interpretazione del ruolo del cattolicesimo politico. Per De Gasperi era il riconoscimento della forza sociale di una componente allora maggioritaria della società, dopo di che il politico cattolico doveva fare il suo lavoro nel modo consentito dalle circostanze. Lo statista trentino era un politico di professione, nel senso alto del termine ovviamente, e faceva il suo mestiere al meglio possibile. Per Dossetti la presenza politica del cattolicesimo era una specie di dono storico che dava l’occasione per testimoniare che un altro mondo era possibile. Non certo quello dell’instaurazione del regno di Dio in terra (che per un vero credente è sempre una bestemmia, perché ciò non è possibile sino al ritorno di Cristo), ma quello di lavorare perché si realizzasse un sistema sociale che non teneva conto di vincoli di forze che erano, per cavarcela con una battuta, espressione dell’egoismo e della cecità di alcune componenti. Era la ricerca del famoso “terzo tempo sociale”: si riteneva possibile spingere il paese oltre la fase della semplice democrazia politica. De Gasperi, nel suo realismo, ma anche per il suo pessimismo sulla natura umana, riteneva invece che andare in quella direzione in maniera aperta avrebbe messo a rischio la stessa conquista della democrazia politica.

 

  • Nel 1951 Dossetti decise di ritirarsi dalla vita politica attiva dopo il convegno Rossena , ma l’idea di ritirarsi non era nuova in Dossetti. Quali furono le motivazioni che lo portarono nel 1948 a continuare la sua esperienza politica?

 

Dossetti non aveva mai pensato di avere come missione personale un ruolo nella politica. La cosa è curiosa perché era un uomo che sapeva muoversi con grande abilità e competenza nell’ambito della politica, ma vedeva questo come una fonte di corruzione della sua chiamata ad una testimonianza piena dell’alterità della vita cristiana. Fu un tormento che lo seguì durante tutta la vita. Nel caso concreto la percezione che gli spazi di “creatività” verso una nuova società erano assai ridotti lo aveva portato già nel 1948 a decidere di ritirarsi dalla vita politica, ma poiché si considerava un servitore della Chiesa chiese permesso al papa di uscire da quella esperienza. Papa Pacelli, che aveva capito benissimo la forza attrattiva che era esercitata da una personalità come Dossetti (per di più in uno scontro epocale come era quello delle elezioni del 1948), negò l’autorizzazione e per obbedienza il leader reggiano si ricandidò al Parlamento

 

 

  • L’ultima esperienza politica di Dossetti furono le elezioni amministrative di Bologna nel 1956, come maturò la scelta di tornare all’attività politica dopo il ritiro del 1951?

 

Come è ormai noto, non fu Dossetti a voler tornare in campo nel 1956, fu il vescovo di Bologna Giacomo Lercaro a chiederglielo prima e ad imporglielo per obbedienza poi. Il vescovo era convinto che in fondo tutti fossero cristiani e che se votavano comunista era perché i dc non erano capaci di proporre una visione veramente cattolica della politica. Dossetti non era affatto convinto di questo, ma colse l’occasione per dare alla sua Chiesa la prova provata che non era così. Mise in piedi una campagna elettorale molto moderna, approntò un programma assai illuminato (poi in buona parte ripreso dai comunisti) e perse, a testimonianza che, come dirà in un passaggio quasi occasionale di un discorso in Consiglio Comunale, il cattolicesimo era ormai una componente di minoranza in una società che andava già secolarizzandosi.

 

  • Perché secondo lei la figura di Dossetti è stata molto studiata dagli storici solo in tempi abbastanza recenti, mentre per anni venne dimenticata?

 

Per anni Dossetti pagò, come ha scritto giustamente Enrico Galavotti, una specie di damnatio memoriae. Il suo concentrarsi dopo il ritiro dalla politica sul problema della riforma della Chiesa era stato visto da molti cattolici come un abbandono del campo di battaglia. Del suo apporto fondamentale al Concilio Vaticano II si sapeva poco, perché aveva agito dietro le quinte. Il suo stesso apporto alla Costituente era stato dimenticato. Dossetti era stato anche assente dalle diatribe ideologiche che si erano avute nella seconda metà degli anni Sessanta per cui sembrava non avesse nulla da dire. Del resto non c’erano testi o libri che riproponessero il suo pensiero (Dossetti ha pubblicato direttamente pochissimo e in sedi non facilmente accessibili). Aggiungiamoci che l’immagine della DC era andata deteriorandosi dopo il fallimento del primo centrosinistra. Anche se oggi sembra incredibile, Moro per esempio era considerato un fumoso politico incapace di decisioni; quelli della DC che si imponevano avevano piuttosto una immagine di conservatori se non addirittura di uomini di destra.

Fu solo con l’uscita del libro di Baget Bozzo sulla DC di De Gasperi e Dossetti nel 1974 che tornò l’attenzione per la fase “costituente” della nostra democrazia postbellica. Ma erano anche gli anni in cui per uscire dalla sfida terroristica si capiva che era necessario tornare ad una visione forte della politica, che bisognava superare i manicheismi e capire che la nostra storia non era quella della “resistenza tradita” come si favoleggiava, ma quella di uno sforzo difficile e duro di impiantare un nuovo sistema di convivenza e di sviluppo in un paese distrutto dall’esperienza fascista.

 

  • I pochi interventi politici pubblici di Dossetti dopo il 1956, riguardarono la Costituzione. Perché questi interventi sulle riforme costituzionali?

 

Dossetti ritenne che la svolta che si era operata nel 1994 con la discesa in campo di Berlusconi significasse una specie di ritorno a quelle forze che avevano avversato nel 1945-48 il nuovo costituzionalismo italiano. Non dimentichiamoci che nella prima fase Berlusconi, con la leggerezza che lo contraddistingue, parlava di una “costituzione bolscevica”, ma che soprattutto c’era una larga corrente di opinione che pensava che la nostra Carta fosse troppo tributaria del pensiero politico della fase resistenziale.

Dossetti ritenne di dover scendere in campo per impedire che venisse messo in discussione quell’impianto costituzionale. A mio avviso, commise due errori. 1) sopravvalutò la portata di chi blaterava a vanvera di revisioni dei principi fondamentali, senza capire cosa ciò avrebbe comportato (e difatti fu un dibattito sterile che si esaurì presto); 2) non si curò del fatto che trincerandosi dietro la sua difesa dei grandi principi, si facesse poi passare la tesi che tutta la Carta era intoccabile. Questo era contrario al suo pensiero, perché più volte (addirittura dal 1948) Dossetti aveva sostenuto che più di un istituto era stato accettato era frutto di un cattivo compromesso momentaneo e che pertanto doveva essere riformato. Cito per tutti il Senato come perno di un bicameralismo paritario.

Ma Dossetti non faceva più battaglie politiche e dunque non si curava, come del resto aveva sempre fatto, se qualcuno strumentalizzava il suo pensiero.

 

 

 

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