JoJo Rabbit, un film di Taika Waititi, che per quanto mi riguarda è uno dei film più belli e divertenti che abbia visto in quest’anno.
Se dovessi dargli un voto da 1 a 10, non potrei partire da un voto più basso di 7, e probabilmente gli darei un 10 pieno, e se non un dieci, almeno un nove, perché, per quanto mi riguarda, questo video è assolutamente perfetto sotto ogni punto di vista.
La scrittura è ottima, perché mischia temi importanti ad immagini demenziali e surreali al limite del ridicolo, forse anche oltre il limite del ridicolo, ma andiamo con ordine.
Il Film
Si tratta di una commedia demenziale ambientata in Germania sul finire della seconda guerra mondiale, che a mio avviso è assolutamente perfetta, non tanto per regia, fotografia e recitazione, che in teoria sono tra gli aspetti più importanti se si parla di un film, ma io non sono in grado di valutarli, e neanche mi interessa farlo.
Voglio invece parlare di questo film dal punto di vista storico, che è un qualcosa che mi compete.
Comincio col dire che, dal punto di vista storico, in questo film c’è tutto quello che dovrebbe esserci in un film ambientato negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, c’è la resistenza antinazista, c’è la gestapo, ci sono le SS, c’è il fanatismo cieco dei nazisti, o presunti tali, c’è la disperazione di una germania ormai al limite che arruola soldati sempre più giovani, e recupera risorse, soprattutto metallo, da qualsiasi cosa.
Tutto questo è inserito in un contesto caricaturale, dove ogni cosa viene ingigantita al limite del ridicolo, ed è bene così.
L’unica cosa che manca forse sono i bombardamenti sulla città, che arrivano soltanto sul finale del film, mentre per gran parte della visione, sembra di vivere in una bolla fuori dal mondo e dal tempo, e che non è stata ancora raggiunta dalla guerra.
Lo sfondo storico di JoJo Rabbit
Il film, con la sua comicità ci mostra l’effetto della propaganda e i meccanismi della propaganda hitleriana, i cui operatori agiscono senza pensare, senza fare domande, credendo a tutto ciò che gli viene raccontato, e guardando quel film non ho potuto fare a meno di ripensare alla Banalità del Male di Hannah Arendt, o alla biografia di Adolf Eichmann scritta da David Cesarani, o ancora, alla conversazione radiofonica avvenuta tra la Arendt e Joachim Fest, a seguito della pubblicazione della banalità del male.
La mia mente è andata in quella direzione perché in Jojo, in quel bambino di dieci anni a cui piacciono le svastiche, le uniformi buffe e vuole fare parte di un gruppo, ho rivisto gli anni giovanili di Eichmann, l’architetto dell’olocausto.
Eichmann è un soggetto “privilegiato” della storia perché sul suo conto abbiamo un enorme quantità di informazioni e testimonianze, oltre che di dichiarazioni, raccolte e prodotte nel corso dello storico processo di Gerusalemme del 1961, processo che è alla base della Banalità del Male della Arendt, in quanto la storica e filosofa era al processo come corrispondente da Gerusalemme del giornale newyorkese Newyorker.
Ma quella che è la sua (di Eichmann) vita e la sua percezione del mondo e della Germania nazista, come avrebbe osservato la stessa Arendt, erano estremamente comuni all’epoca, Eichamm era un uomo comune, il prodotto di una società, che non odiava gli ebrei perché razzista, ma li conduceva a morte perché nel suo mondo, andava fatto, perché nel mondo in cui viveva, per essere accettati, bisognava fare in quel modo.
JoJo, il protagonista del film, è simile ad Eichmann sotto molti punti di vista, ma per altri è totalmente diverso, la fedeltà cieca del piccolo JoJo non è in realtà così cieca, e lo vediamo da subito. Lo vediamo quando gli viene ordinato di uccidere un coniglio, e lui lo libera, lo vediamo nell’espressione dubbiosa del piccolo Roman Griffin Davis, durante il rogo di libri, prima di lasciarsi prendere dall’enfasi del momento e bruciarli.
Perché Jojo alla fine non è altro che un ragazzino di 10 anni, che si lascia trasportare dalla corrente per essere accettato, che fa cose terribili pur di far parte di un gruppo, ma allo stesso tempo, è attraversato da una lotta interiore, che lo contrappone tra cosa fare per essere accettato e cosa vuole realmente.
E ciò che vuole Jojo è ciò che vogliono tutti, vuole far parte di qualcosa, vuole essere amato, vuole, anzi, non vuole restare solo.
Conclusioni
Il film è di una comicità demenziale, che personalmente ho apprezzato tantissimo, ma sotto il velo dell’assurdo, si nasconde un film profondo, che traccia, attraverso un bambino, il vero volto del male, quel male comune e banale che ha dominato il terzo Reich, e che ancora oggi si muove tra gli uomini.
Quel male fatto dall’incapacità, o la mancata volontà, per usare le parole di Hannah Arendt, di porsi realmente nei panni degli altri. E questo Jojo, il protagonista del film lo capisce, lo capisce quando per forza di cose viene quasi costretto a porsi nei panni degli altri, e nel farlo, vede crollare il proprio sistema di idee e valori, rendendosi conto, di non essere un Nazista di 10 anni, ma semplicemente un bambino che vuole crescere troppo velocemente. E qui c’è il ribaltamento totale, quando Jojo “si sveglia”, nel fare i conti con la realtà, è quasi costretto a crescere prematuramente, è costretto a diventare un uomo, e nel farlo, toglie la ridicola e pagliaccesca uniforma da camicia bruna, per diventare, un bambino vero, come pinocchio.
Il film Jojo Rabbit in effetti è una favola moderna, che ha molto in comune con la fiaba di pinocchio, con l’unica differenza che il protagonista non è un burattino di legno che poi diventa un bambino vero, ma è un burattino ingessato nell’uniforme nazista che poi diventa un bambino vero, non attraverso la magia della fata turchina, ma attraverso l’amore e l’amicizia di una ragazzina ebrea.