L’età di Pericle è considerata il vertice indiscusso della grecità classica. La crisi quasi trentennale che si aprì a conclusione di questo periodo è caratterizzata da un evento bellico senza precedenti per il mondo greco: la Guerra del Peloponneso.
Si tratta infatti del più grande evento storico dopo la spedizione di Serse, le cui implicazioni sono ancora oggi oggetto di discussione dato che riguardano aree geografiche e culture assai diverse: dal continente greco attraverso l’Egeo, la Macedonia, la Tracia fino all’Asia Minore a est, passando per lo Ionio fino alla Sicilia e all’Italia meridionale a ovest.
Il coinvolgimento dell’impero persiano e della Magna Grecia rende questo evento non solo “universale” ma una vera e propria svolta negli equilibri politici ed economici del mondo di allora. Atene e Sparta ne uscirono sconfitte. La Grecia, il centro del mondo dopo Salamina e Platea, si vide gradualmente spinta verso la periferia per osservare passivamente l’affermarsi della Persia (ad oriente) e Dioniso I di Siracusa (ad occidente). Anche la polis ellenica stava lentamente morendo. La Lega Delio-Attica mostrò tutta la sua debolezza: l’incapacità di conciliare le eccessive autonomie locali con il senso di un “dovere comune” non determinarono solo il crollo di Atene, intesa come potenza politica ed economica, ma anche il dissolversi di un’idea di grecità che era indissolubilmente legata alla struttura della polis ateniese.
La situazione politica, economica e sociale era caratterizzata da una forte crisi ma in questi anni oscuri lo spirito ellenico seppe dar prova di una inesauribile vivacità intellettuale. “La maggior parte delle opere di Euripide (morto nel 406) e delle commedie di Aristofane (la prima delle quali fu rappresentata nel 427) risalgono al periodo della guerra; esse testimoniano una fiorente vita culturale in Atene dove non cessarono le annuali rappresentazioni di tragedie e commedie, nonostante lo strepito degli arsenali e delle officine della città e del Pireo. Anche lo scalpello e la sega del carpentiere procedettero senza sosta nel loro lavoro: si continuò la costruzione dell’Eretteo, e i tesorieri, pur pressati dalle spese per la guerra, non mancarono di registrare i conteggi per i cittadini, meteci e schiavi“, (H. Bengtson, L’antica Grecia, Il Mulino, pag. 220).
Ma l’evento più significativo è indubbiamente l’ingresso della sofistica sulla scena ateniese. Questa nuova dottrina rappresentata fisicamente dal viaggio in Atene dell’ambasciatore Gorgia ebbe un ruolo determinante nella formazione dello spirito greco, sia dal punto di vista antropologico che scientifico. L’uomo protagoreo, proprio in quanto misura di tutte le cose, diviene il fulcro di una nuova visione del mendo, una spinta nella ricerca scientifica: non è un caso che la scrittura di Tucidide ha subito influenze sia sofistiche che derivanti dalla medicina antica, nella figura di Ippocrate.
Siamo quindi di fronte al processo di costruzione di una nuova umanità che se da un lato è profondamente segnata dalla ferocia della guerra, e resta imbrigliata nell’ambizione di uomini come Alcibiade e Lisandro e nell’inettitudine del demos, dall’altro riesce a superare i suoi stessi limiti, come mostrano il coraggio e la fedeltà di Socrate.
Troppo spesso di racconta la Guerra del Peloponneso come una sequenza di date, nomi e fatti, troppo spesso si comincia con le cause scatenanti e si procede attraverso le tre fasi in cui comunemente la storiografia la divide. E poi ci si ferma. Si dimentica il contesto, il quadro d’insieme, si smarrisce la consapevolezza dei significati “filosofici” e più genericamente culturali di questo evento. La nascita della storiografia e la morte della polis, di quella polis intesa come espressione di una democrazia diretta che non riuscì ad imporsi come uno strumento di direzione politica convincente nei momenti di crisi. Nel podcast che trovi qui sotto cerco di tracciare un quadro generale della situazione culturale che ha da humus alla Guerra del Peloponneso.