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Le origini del concetto di Bisessualità

La storia della bisessualità è antica come l’uomo, come ci insegna Eva Cantarella nel suo libro Secondo natura, la bisessualità nel mondo antico, tuttavia il concetto di bisessualità è relativamente recente, soprattutto il suo utilizzo applicato alla sfera sessuale.

In questo post andremo alle origini del concetto di bisessualità, applicato alla sfera sessuale cercando di decifrare il contesto storico culturale in cui questo concetto appare per la prima volta.

Il concetto di bisessualità

Il concetto di bisessualità è un concetto coniato nel XIX secolo e originariamente apparteneva al mondo della botanica, ma, sul finire del secolo, venne preso in prestito dalla psichiatria tedesca e utilizzato nello spettro delle malattie mentali.

Il termine bisessuale venne utilizzato per la prima volta in riferimento alla sessualità, nel 1886, nel trattato Psychopathia Sexualis di Richard Freiherr von Krafft-Ebing.

Nella stessa opera appaiono anche per la prima volta i termini Sadismo e Masochismo, derivati dal nome del “marchese De Sade”. Questi due concetti sono stati coniati di proprio pugno da Krafft-Ebing, diversamente il termine bisessuale, come anticipato, è stato preso in prestito dalle scienze botaniche, dove era utilizzato da oltre mezzo secolo.

Psychopathia Sexualis è un testo molto controverso e alo stesso tempo rilevane, non tanto per le proprie teorie ma per il ruolo che ha ricoperto nella storia della sessualità, si tratta infatti di uno dei primissimi studi sul tema, purtroppo però, è un testo figlio del proprio tempo, scritto sul finire del XIX secolo da un uomo del XIX secolo.

Nel testo lo psichiatra tedesco si concentra soprattutto sul tema dell’omosessualità maschile, e, insieme ai tre concetti sopracitati, la inserisce tra le “patologie sessuali” o più comunemente parafilie.

Nella sua opera Krafft-Ebing fonde insieme le teorie di psichiatrica di Karl Ulrichs alla teoria della malattia di Bénédict Morel, arrivando a concludere che “la maggior parte degli omosessuali soffre di una malattia mentale“.

Il testo, estremamente popolare all’epoca, per il quale in appena 6 anni, tra il 1886 e il 1892 vennero realizzate 7 diverse edizioni (dalla settima edizione il testo è stato tradotto anche in lingua inglese), è stato considerato per molto tempo un pilastro delle scienze psichiatriche ed ha avuto una fortissima influenza sulla prima psichiatria forense, nonostante ciò, già dalla prima pubblicazione è stato considerato estremamente controverso e aspramente criticato da diversi ambienti.

Controversie legate al libro di Krafft-Ebing

Come anticipato, il libro, già nel 1886 suscitò scalpore e rabbia, soprattutto negli ambienti ecclesiastici e la chiesa fu tra i più accesi detrattori delle teorie di Krafft-Ebing, anche se, la motivazione delle critiche, purtroppo depone troppo a loro favore del mondo ecclesiastico.

Per la chiesa del XIX secolo, gli uomini bisessuali ed omosessuali erano peccatori, non malati e la malattia mentale costituiva, una forma di “assoluzione morale” dei peccatori che la chiesa non poteva accettare.

In pratica la chiesa attaccava le teorie di Krafft-Ebing perché, considerando omosessuali e bisessuali dei malati di mente, li assolveva dai propri peccati e ciò era inammissibile, in altri termini la malattia mentale era considerata una scusa, una giustificazione, per compiere atti contro natura.

Sul finire del XIX secolo e gli inizi del XX, la bisessualità maschile e l’omosessualità maschile, si trovarono sotto il fuoco incrociato della scienza dell’epoca, che li considerava malati mentali e della chiesa che li considerava peccatori immorali. Diversamente, la bisessualità femminile invece era “accettata” o per meglio dire, tollerata, e in alcuni casi richiesta, soprattutto nei bordelli… ma questa è un altra storia.

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