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Uno sguardo storico sul mondo


L’ostaggio nel mondo antico

L’ostaggio nel mondo antico

Il termine Ostaggio, oggi, ha un significato ben preciso, che a grandi linee possiamo definire come, una persona fisica tenuta prigioniera, per ragioni economiche o politiche, o per altri motivi, ma nel mondo antico, il termine ostaggio o meglio, quello che noi oggi traduciamo con il termine ostaggio, aveva un significato leggermente differente dal moderno concetto di ostaggio, diciamo che l’ostaggio nel mondo antico, soprattutto nel mondo greco romano, era in parte un prigioniero, in parte un ospite, in parte un mediatore, ma ovviamente, non era così sempre e dappertutto.

Per la Treccani l'ostaggio è "cittadino di uno stato nemico che un belligerante tiene in proprio potere e contro il quale minaccia di prendere determinate misure..."

Molto dipendeva dall’ostaggio, dalle sue doti politiche e dalla sua dote, ed i rapporti di forza e le relazioni che riguardavano la civiltà di appartenenza dell’ostaggio e quella di cui era ostaggio avevano un peso considerevole nel determinare le condizioni dell’ostaggio, ma, andiamo con ordine e partiamo dal termine ostaggio e dalla sua etimologia.

L’etimologia della parola Ostaggio

Noi oggi sappiamo che l’etimologia della parola ostaggio deriva dal francese antico hostage, le cui radici affondano nel latino del tardo antico, un arco temporale che va dal finire del IV al IX secolo dopo cristo, l’hostage del francese antico è un evoluzione del più antico termine hospitatĭcum, che, a sua volta è derivato dal più antico hospes -pĭtis, che letteralmente letteralmente, ospite politico.

La parola ostaggio, nel mondo antico ha una forte connessione con la politica, concetto che viene legato al concetto di ospitalità, ed è proprio in questo connubio di ospitalità e politica che risiede il cuore del concetto dell’ostaggio.

Il termine ci indica un ospitalità politica, più precisamente un ospitalità interessata e motivata da interessi politici, ma ci dice anche altro, poiché ci troviamo in un epoca in politica, guerra e diplomazia, sono concetti interconnessi e molto vicini tra loro, molto più di quanto non lo siano oggi.

Ostaggi dall’Egitto a Roma

Il concetto di ostaggio nel mondo antico non ha un valore universale, popoli diversi hanno idee e concezioni diverse di ostaggio e prigioniero, e se in alcune civiltà antiche questi due concetti coincidevano, in altre, erano molto distanti tra loro, e non di rado, in momenti diversi, nella stessa civiltà, il concetto di ostaggio viene applicato e interpretato diversamente.

L’ostaggio nell’antico Egitto

Nel antico Egitto, almeno fino alla conquista alessandrina della civiltà del delta del Nilo, l’ostaggio era considerato prettamente un prigioniero politico il cui ruolo nella società era profondamente diverso dal prigioniero di guerra. Il compito del prigioniero politico egiziano, dell’ostaggio nell’antico Egitto, era quello di garantire al faraone la fedeltà e la lealtà dei regni vassalli, e a tale scopo, dei membri delle nobili famiglie feudatarie del faraone erano inviati periodicamente alla corte del faraone, dove vivevano da ospiti, e spesso ricoprivano incarichi pubblici, in cambio della garanzia di fedeltà e lealtà delle proprie famiglie al faraone. Diversa e meno fortunata sorte invece toccava ai prigionieri di guerra.

Un esempio di ostaggio nel mondo egizio, molto noto, ci arriva dal libro della Genesi nell’Antico Testamento attraverso la storia del patriarca Giuseppe, de facto un capo tribù che giura fedeltà e lealtà al faraone d’Egitto in cambio di protezione politica per il proprio popolo, in un epoca in cui la regione Cananea, e l’intero vicino oriente, era controllata da diversi popoli guerrieri in lotta tra loro e allo stesso tempo in guerra con l’Egitto.

L’ostaggio nella Grecia antica

Analogamente al concetto egizio, anche nella Grecia pre-romana l’ostaggio assolveva ad una funzione prettamente politica, non sappiamo però se i greci acquisirono il concetto di ostaggio dagli egizi o se lo svilupparono autonomamente. Noi oggi sappiamo che nelle civiltà primitive il concetto di ostaggio, così come quello di schiavitù, sono molto frequenti, anche in popoli che non avevano alcun contatto tra loro, e questo perché il concetto di ostaggio e l’istituzione della schiavitù, sono stati incontrati anche in popolazioni che non hanno avuto alcun contatto con le antiche civiltà mediterranee, come ad esempio le civiltà mesoamericane.

Nella Grecia antica, almeno in età arcaica, l’ostaggio assolveva ad una funzione analoga a quella dell’ostaggio egizio, questo lo sappiamo attraverso alcuni miti legati alla civiltà Minoica, come ad esempio il mito del Minotauro il cui racconto ci parla, ovviamente tra le righe, di ostaggi politici il cui sacrificio è necessario al mantenimento della pace probabilmente tra un popolo dominante e i suoi feudatari. In età classica invece, il concetto di ostaggio cambia, assumendo tratti leggermente differenti a seconda delle varie polis, ma il concetto di fondo rimane invariato, l’ostaggio continua ad essere un prigioniero politico il cui compito è garantire la pace tra due popoli, sancire una tregua o suggellare alleanze. L’ostaggio diventa quindi non più il tramite di un alleanza, ma anche il garante di tregue, accordi e negoziati, inoltre è il garante del rispetto delle regole della guerra, elemento quest’ultimo sarebbe stato successivamente ereditato dalla civiltà romana.

L’ostaggio concepito dalla civiltà greca è un uomo, o una donna, di alto rango, un nobile, un politico, un filosofo o un dotto, la cui presenza viene utilizzata anche per imporre precise decisioni politiche. In tale senso il caso di Filippo II di Macedonia, condotto a Tebe come ostaggio, è particolarmente interessante. Filippo II era un nobile, la cui presenza a Tebe assicurava alla polis greca il rispetto di una pace tra Macedonia e Tebe ed impediva ai macedoni di assumere posizioni ostili nei confronti di Tebe o sancire alleanze con i suoi nemici. Filippo II viene inviato a Tebe come ostaggio e trascorre nella polis greca più di 30 anni della propria, un periodo di tempo in cui il nobile macedone avrebbe appreso la lingua, i costumi, la politica e, soprattutto, le tattiche militari in uso a Tebe, conoscenze che avrebbe portato con se, una volta tornato in macedonia.

La storia di Filippo II di Macedonia è molto interessante se analizzata in rapporto alle idee di Aristotele sulla prigionia, gli ostaggi e la schiavitù, e non è un caso se Filippo avrebbe scelto proprio l’allievo di Platone come precettore per il proprio erede Alessandro III, meglio noto come Alessandro Magno.

La schiavitù per Aristotele

La schiavitù, per Aristotele è un istituzione educativa e civilizzante, che viene utilizzata per facilitare il processo di conversione e acquisizione, da parte dei prigionieri, degli usi e dei costumi, oltre che della lingua, della civiltà dominante. Lo schiavo per Aristotele è un barbaro che va rieducato e istruito affinché possa acquisite le conoscenze per vivere da uomo greco. Questo concetto di schiavitù, ha molti tratti in comune con l’esperienza da ostaggio di Filippo II, i cui lunghi anni in Grecia gli hanno permesso di acquisire tutto ciò di cui aveva bisogno per sembrare un uomo greco, e una volta tornato in Macedonia, volle per i propri figli la migliore istruzione e formazione possibili, in modo che questi, venissero accolti in Grecia da uomini greci e non da re barbari.

L’ostaggio nella civiltà romana

Diversamente dalla civiltà greca, che considerava se stessa all’apice della civiltà nel mondo antica, e tendeva dunque ad imporre il proprio modello culturale, elemento questo che spesso sfociò in guerre, scontri e rivalità secolari tra le polis, nel mondo romano, almeno nei primi secoli, c’è stato un forte desiderio di auto-miglioramento, che il più delle volte si è tradotto nell’acquisizione di modelli e schemi sociali e culturali, oltre che tecnologici, dalle numerose civiltà con cui roma entrava in contato, che hanno portato Roma ad assorbire, imitare e migliorare, di tutto, dalla mitologia all’architettura alla tecnologia militare.

Il mito di Clelia e Porsenna

La prima e più antica istanza di ostaggio nella civiltà romana la incontriamo nella mitologia arcaica, e tra i tanti miti in cui si fa riferimento al concetto di ostaggio, il mito di Clelia e di Porsenna è forse uno dei più noti e importanti.

Di questo mito esistono due versioni, probabilmente legate al fatto che, nel corso del tempo, il concetto di ostaggio nel mondo romano, ha subito delle variazioni, e il mito di Clelia ci aiuta, con le sue due varianti, a ricostruire queste differenti idee di ostaggio.

Nella più antica delle versioni del mito, Clelia, insieme ad altre nove ragazze, venne consegnata a Porsenna, il lucumone etrusco di Chiusi (il lucumone era la più alta carica politica per una polis etrusca) dai Romani, in seguito ad una pace tra le due città. In questa versione del mito, Clelia incoraggiò le altre nove ragazze a fuggire dall’accampamento di Porsenna e mentre le ragazze guadavano il tevere, lei rimase di guardia sulla sponda, dove venne rintracciata da una guardia di Porsenna o lo stesso Porsenna, e questi, impressionato dal coraggio della donna, decise di premiarla concedendole la libertà.

In questa versione del mito, se bene sia un signore straniero, Porsenna è raccontato come un uomo buono e saggio, che libera Clelia riconoscendone il coraggio ed il valore e poi si ritira, non fa inseguire le altre ragazze oltre il fiume, e continua ad onorare il patto stipulato con Roma, mentre Clelia viene è raccontata come una donna forte, valorosa e coraggiosa, che per la propria intraprendenza e coraggio viene liberata.

Un messaggio di questo tipo potrebbe apparire come un invito agli ostaggi di tentare la fuga, imitando Clelia, e se questo racconto fa parte della tradizione, ciò può significare solo una cosa, ovvero che gli ostaggi nella roma arcaica, non erano prigionieri, ma ospiti.

Nell’altra e più recente versione del mito di Clelia, raccontataci da Tito Livio e da Aurelio Vittore, inizialmente Clelia viene consegnata da sola al lucumone di chiusi, ma riesce a fuggire e tornare a Roma, una volta scoperta venne riconsegnata a Porsenna insieme ad altri ostaggi che i romani fecero scegliere a Porsenna e Porsenna, lasciò che fosse Clelia a scegliere gli altri ostaggi, ed una volta terminata la tregua e tornati a Roma, la città fece erigere una statua equestre in onore di Clelia.

In questa seconda versione, di cui abbiamo traccia già nel IV secolo a.c. con Aurelio Vittore, la figura dell’ostaggio l’ostaggio è mutata e a differenza del passato, la sua fuga può causare la rottura di un patto, dunque l’ostaggio è obbligato a rimanere ostaggio per tutto il tempo necessario, anche se questo non significa necessariamente prigionia. Come vediamo nel mito, Clelia viene riconsegnata a Porsenna, ma questi non punisce la ragazza per la sua fuga, ma al contrario si fa carico della sua protezione, e le consente di scegliere la propria compagnia. Porsenna, in questa versione del mito, consente a Clelia continuare a vivere da donna romana, a differenza di quello che accade a Filippo II di Macedonia.

Il caso di Polibio

Quello di Celia e Porsenna però è un mito, vi sono però altre storie di ostaggi romani, nel mondo antico, che possono aiutarci a comprendere meglio la dimensione dell’ostaggio in età romana ed uno di questi è il caso di Polibio, lo storico greco ostaggio di Roma.

Plibio, durante la propria permanenza a Roma, come ostaggio, nel secondo secolo, nel vivo della terza guerra punica, godette di grande stima, apprezzamento e libertà, nella futura capitale imperiale. La storia di Polibio ci è arrivata direttamente dalla penna di Polibio, il cui racconto ci fornisce uno sguardo unico dell’istituzione dell’ostaggio nel II secolo a.c. poiché ci arriva direttamente da un ostaggio.

Ciò che colpisce in modo particolare nel caso di Polibio, è il grande legame di amicizia che Polibio costruì con gli Scipioni, un amicizia che lo avrebbe reso una delle fonti antiche più autorevoli e apprezzate, per quanto concerne il raccontato della terza guerra punica, guerra che impegnò Roma e contro Cartagine, gli Scipioni contro i Barca, contro Annibale e portò, alla fine, all’inevitabile distruzione di Cartagine, il cui rogo, secondo quanto riportato proprio da Polibio, avrebbe causato lacrime e sofferenza in Scipione l’Africano che, tra le fiamme che divoravano la città, intravedette il declino che prima o poi raggiunge ogni grande civiltà, compresa la sua Roma.

Se vuoi approfondire la storia di Cartagine, leggi anche questo articolo.

La presenza di Polibio come ostaggio a Roma è di natura prettamente politica, lo storico greco è stato condotto a Roma in un epoca in cui Roma stava estendendo propria protezione ben oltre la penisola italica, spingendosi sempre più ad oriente, e guardava con interesse ai territori delle polis greche, polis che non sempre vedevano di buon occhio la presenza imperialista di Roma, e che anzi, proprio durante la terza guerra punica, in diverse occasioni offrirono asilo e aiuto ad Annibale, acerrimo nemico degli Scipioni e di Roma.

La presenza di Polibio a Roma serviva principalmente per evitare che troppe polis passassero dalla parte di Annibale. L’ostaggio greco a roma era quindi un ospite politico, trattenuto formalmente con la forza, ma senza troppe limitazioni e costrizioni, a cui era garantita piena libertà e la cui funzione era quella di fare da garante della pace tra i due popoli, in particolare, il suo compito serviva a garantire che non vi fossero atti di ostilità, ne minacce alla sicurezza di Roma e dei suoi soldati in Grecia, da parte della popolazione ellenica. Vi era una sorta di impegno reciproco tra Roma e Polibio, per cui l’ospite si impegnava a garantire all’ostaggio tutto ciò di cui aveva bisogno e l’ostaggio si impegnava a garantire la pace e far si che nella propria terra d’origine, non vi fossero insurrezioni o rivolte, e che anzi, se possibile, vi fosse collaborazione con Roma.

L’evoluzione del concetto di Ostaggio

Con la caduta di roma, il concetto di ostaggio cambia nel tempo, senza allontanarsi troppo dal concetto di ostaggio greco romano. In età Medievale l’ostaggio diventa il cardine delle alleanze e dei rapporti d’amicizia, e in età moderna, si riscopre il concetto rieducativo dell’istituzione schiavistica, soprattutto in rapporto agli scontri con l’impero ottomano.

Nel mondo antico quello che era il ruolo dell’ostaggio non era codificato, e probabilmente è proprio l’assenza di una codifica formale e universale del concetto di ostaggio nel mondo antico, ad aver portato a diverse evoluzioni. Tuttavia, quello dell’ostaggio era un concetto noto, un istituzione riconosciuta in quell’insieme di leggi e norme non scritte che costituivano lo Jus ad bellum, il diritto alla guerra, e lo Jus in bellorum il diritto in guerra, ed è proprio dal retaggio lasciato da quel mondo e da quell’insieme di teorie, concetti e nozioni giuridiche che il concetto di ostaggio sarebbe arrivato fino a noi, passando attraverso il corpus iuris civilis dell’imperatore Giustiniano e gli scritti sul diritto alla guerra e il diritto in guerra di numerosi giuristi e filosofi dell’età medievale e moderna, da Sant’Agostino d’Ippona a Francisco de Vitoria, da Tommaso d’Aquino a Ugo Grozio, fino a raggiungere uomini gli scritti filosofi come Thomas Hobbes e Immanuel Kant, e giuristi come Emmeric de Vattel le cui idee avrebbero ispirato Franz Lieber nella stesura del Codice Lieber, commissionato da Abraham Lincoln durante la guerra civile americana e la quasi contemporanea prima convenzione di Ginevra del 1864 voluta da Henri Dunant.

Quello che nel mondo antico era l’ostaggio oggi è convenzionalmente riconosciuto come “prigioniero di guerra” i cui diritti vennero formalizzati per la prima volta proprio con la convenzione di Ginevra del 1864 e con il codice Lieber.

Bibliografia

Tito Livio, Ab Urbe condita libri.
M.Liverani,Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele.
E. Lo Cascio, Storia romana. Antologia delle fonti
G.Geraci,A.Marcone, Fonti per la stoira romana
C.Mossé, Dizionario della civiltà greca

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