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Sciapodi, Blemmi e Creature Fantastiche all’ombra di Genghis Khan

Nel XIII secolo i contatti commerciali tra Europa e Asia erano ormai consolidati. L’oro e l’argento di Sumatra, della Corea e della Malesia. Il sandalo, il bambù e l’albero della canfora da cui estrarre una fragrante essenza. Aromi come incenso e muschio, poi pietre preziose come rubini e zaffiri provenienti da Ceylon e dall’India. E le spezie! Noce moscata, pepe, cinnamomo, chiodi di garofano.

Nonostante i ripetuti scambi commerciali che, attraverso il Mediterraneo, connettevano da tempo l’Oriente con l’Occidente, se ci chiediamo quale fosse per un occidentale l’immagine dell’Asia non possiamo rispondere senza chiamare in causa una serie di miti, leggende, racconti magici e geografie fantastiche.

All’ombra di Genghis Khan (il condottiero mongolo spesso paragonato ad Alessandro Magno per il fatto di aver unificato gran parte dell’Asia) troviamo vere e proprie gallerie di mostri: sciapodi (esseri con un solo piede), blemmi (creature con la faccia sul ventre), cinocefali, panozi (esseri dalle orecchie giganti) ed altre creature fantastiche che abbiamo imparato a conoscere anche grazie ai romanzi di Umberto Eco (Il nome della rosa e Baudolino, ad esempio).

Homo Fanesius Auritus nella Monstrorum historia di Jean-Baptiste Coriolan, 1642.

Coma mai questa commistione tra mito e realtà? L’idea dell’Oriente e dell’India che avevano i Greci dipendeva dalle conquiste di Alessandro Magno. Dopo la battaglia di Gaugamela e il crollo dell’impero Persiano, Alessandro volse alla conquista delle regioni orientali. Dopo essere penetrato nell’altopiano dell’Iran, che solo in parte era stato soggetto alla Persia, occupò varie regioni fondandovi una seconda, una terza e un’ultima Alessandria. Alexandrèscata (Alessandria Ultima) in Sogdiana (una regione dell’Asia centrale, nell’attuale Uzbekistan meridionale) è il luogo in cui sposò Rossane, figlia di un valoroso principe battriano.

Ma non è tutto. Alessandro arrivò in India, precisamente fino al bacino dell’Indo (327 a. C.), e le sue conquiste hanno lasciato una traccia indelebile nella cultura e nella letteratura (non solo greca). Pare dunque probabile che la grandezza di Alessandro abbia giocoforza contribuito alla commistione dei due piani (mitologico e “storico”).

Se passiamo al mondo romano non possiamo stupirci delle difficoltà nell’isolare i dati storici e geografici dai miti e dalle leggende. I romani erano consapevoli dell’esistenza della via dell’incenso, che dall’estremità della penisola arabica conduceva fino al Mediterraneo le spezie provenienti dalla Cina e dall’India; tuttavia, non avevano alcuna informazione certa sull’entroterra asiatico e sui suoi abitanti. Avevano soltanto l’eco delle imprese alessandriste.

Uno sciapode dalle Cronache di Norimberga (1493).

Molte conferme arrivano anche solo da una rapida rassegna tra i viaggiatori ed enciclopedisti romani. Pur in presenza di nuove informazioni è per noi molto difficile isolarle dalle leggende che ammantavano l’Asia. Possiamo ricordare Pomponio Mela (I secolo d.C.), cui dobbiamo la più antica geografia conservataci nella letteratura latina, un’opera pervenutaci in vari codici e che intendeva presentarsi come una descrizione esaustiva del mondo conosciuto: De Chorographia (Descrizione dei luoghi), Cosmographia (Descrizione del mondo) e De situ orbis (La posizione della terra).

Plinio il Vecchio (23 d.C.-79d.C.) di cui abbiamo solo la Naturalis historia, una vera e propria enciclopedia in cui l’autore è influenzato da alcune istanze dello stoicismo medio e che avrà molta fortuna nel Medioevo. Per non parlare di Gaio Giulio Solino (III secolo d.C.) autore di una Collectanea rerum memorabilium, in cui attinge a piene mani da Pomponio e da Plinio che proprio nella Naturalis Historia descrive gli abitanti dell’India come monocoli, appartenenti a una razza che possiede una sola gamba e che è molto abile nel salto (singulis cruribus, mirae pernicitatis ad saltum).

L’incontro con i mongoli è l’entrata in un mondo fantastico destinato a disgregarsi inevitabilmente. Gli occidentali erano certamente molto interessati ai luoghi di provenienza di quelle spezie che erano parte importante della loro vita, o alle gemme e alle stoffe preziose di cui i principi e la liturgia cristiana facevano grande uso. Al punto che, verso la fine del XIII secolo, si narra di una lettera pervenuta alla corte di papa Alessandro III e di Federico I, forse per il tramite bizantino, che descriveva le meraviglie dell’Asia: di un grande regno cristiano a capo del quale ci sarebbe stato un sacerdote-re detto Prete Gianni. Lo scritto, certamente propagandistico secondo la tradizione storiografica in cui si inserisce Franco Cardini, mostrava allusioni a fatti storici reali: alla presenza di regni turco-mongoli nel centro dell’Asia, all’esistenza di comunità cristiano-nestoriane disseminate lungo ala via della seta, dall’Iran fino alla Cina.

Ma sulle origini di tutte queste merci, come sulla storia e natura stessa di quei luoghi lontani, gli occidentali erano disposti ad accettare pure e semplici fiabe: la barriera di fuoco che circondava la parte più estrema del Paradiso Terrestre, che ovviamente si trovava a Oriente, o il Monte della Calamita che si trovava nell’Oceano Indiano, capace di attirare tutti gli oggetti di metallo che si trovavano sulle navi. E molti cominciarono a costruirle senza chiodi, per evitare che … affondassero. Ancora una volta, il mito si intreccia alla realtà.

Fonti e Bibliografia:

Grousset, R., L’empire des steppes. Attila, Gengis Khan, Tamerlan, Paris, 2001

Phillips, E.D., Genghiz Khan e l’impero dei Mongoli, Newton Compton, 2008

Stahl, W. H., La Scienza dei Romani, Bari, Laterza, 1962

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