Perché la Germania si vergogna del Nazismo mentre l’Italia non fa lo stesso con il Fascismo?

Perché in germania i tedeschi si vergognano del Nazismo, metre gli italiani non sembra si vergognino più del fascismo e in alcuni casi sembrano desiderare un suo ritorno?

Come mai in Germania, l’opinione pubblica, si vergogna di essere stati nazisti (nonostante qualche rare eccezione), mentre da in italia, l’opinione pubblica, molto spesso è spesso nostalgica di quegli anni e addirittura nel nostro paese ci sono forze politiche, non irrilevanti, dichiaratamente simpatizzanti per la politica fascista, pur non dichiarandosi apertamente fascisti perché fortunatamente la costituzione lo impedisce?

Perché in Italia il Fascismo non è universalmente percepito come una macchia nel nostro passato, un qualcosa di cui vergognarsi e da cui mantenere le distanze, ostracizzando quelle idee, quelle proposte e quegli elementi propri della politica fascista?

Detto più banalmente, perché gli eredi di Hitler, Himmler e degli altri gerarchi nazisti si vergognano dei propri antenati, mentre in italia gli eredi di Mussolini e degli altri gerarchi fascisti vanno fieri dei propri antenati e in alcuni casi, ne esaltano la memoria, cercando in ogni modo di evidenziare le “cose buone” fatte dal fascismo… come se aver bonificato una palude potesse giustificare omicidi, pestaggi, deportazioni ed eccidi…

La risposta a queste domande non è semplice, ma voglio provare comunque a rispondere.

La ragione è politica, ma non parlo della politica odierna, mi riferisco invece alla politica del dopoguerra, perché è in quegli anni, tra il 1945 ed il 1948 circa, che il problema del fascismo nostalgico, affonda le proprie radici.

Finita la guerra, finita la seconda guerra mondiale, la Germania ed i tedeschi, hanno dovuto prendere coscienza del proprio passato, di ciò che era successo, di ciò che era stato fatto e di ciò che la popolazione tedesca aveva permesso al Nazismo di fare. Mentre in Germania il nazismo è stato ufficialmente condannato, sia politicamente che giuridicamente, e la popolazione tedesca ha in qualche modo “pagato il conto” dell’esperienza nazista, in italia tutto questo non è successo e la popolazione italiana è stata in un certo senso assolta. Complice anche la guerra civile (1943-1945) e le operazioni di “resistenza” al fascismo da un lato, e la mancata volontà politica di parlare di guerra civile per decenni, facendo invece percepire il conflitto avvenuto nella penisola tra il 1943 ed il 1945 come una guerra tra italiani e stranieri (americani o tedeschi che siano), creando così, sul piano politico dell’epoca un vero e proprio divario tra “italiani” e “fascisti”.

Nel 1945, la Germania prendeva cosicenza che i tedeschi avevano appoggiato e voluto il Nazismo, e chi non lo voleva si era banalmente voltato dall’altra parte o era scappato, dando de facto la percezione che, tutti i tedeschi erano nazisti e dovevano pentirsi di ciò che avevano fatto. In Italia invece, questo non avviene, gli italiani, per via della guerra civile, nonostante per circa un ventennio non abbiano mosso un dito, improvvisamente non sono più fascisti, e dunque non c’era motivo di vergognarsi delle azioni dei fascisti, solo i fascisti erano colpevoli… dimenticando forse troppo facilmente che per oltre vent’anni il fascismo aveva regolato ogni aspetto della vita degli italiani, e che, salvo pochissime eccezioni, quasi nessuno prima del 43 si era opposto in modo incisivo. Gli italiani, esattamente come i tedeschi, avevano scelto il fascismo, ma, una volta che il fascismo non c’era più, semplicemente si voltarono dall’altra parte, così come per vent’anni si erano voltati dall’altra parte mentre il fascismo imperava nel paese.

Detto più semplicemente, all’epoca, nell’immediato dopoguerra, il discorso politico in Germania si impostò sul concetto che in Germania, i tedeschi avevano scelto volontariamente il nazismo, e quindi erano complici del Nazismo. Diversamente, in Italia, l’impostazione fu che gli italiani subirono il fascismo, partito da un colpo di stato, e dunque non ne erano complici, e non avevano di che vergognarsi… avevano semplicemente chinato il capo all’uomo col manganello e l’olio di ricino.

Questo tipo di impostazione, permise all’Italia e agli italiani, da un lato di “ripulire le coscienze” degli italiani, che de facto non dovettero mai fare i conti con il fascismo e i suoi crimini, non erano stati gli italiani ad assassinare Matteotti, erano stati i fascisti, non erano stati gli italiani a tacere quando i fascisti andaro a prendere Gobetti, ma gli era stata tappata la bocca, non erano gli italiani ad aver accettato le leggi raziali, erano state imposte dai fascisti. Ma non solo, questa operazione di “pulizia delle coscienze”, si trasferì anche nelle aule dei tribunali e dei tribunali militari, aule vuote in cui dovevano essere processati i i criminali di guerra italiani, i fascisti, ma de facto, ciò non avvenne, non ci furono processi ne condanne, e questo perché, sulla base del principio di reciprocità, l’Italia accettò di processare i propri criminali, ma solo se anche francesi, jugoslavi e americani, vincitori della guerra, avessero processato i propri criminali, e i vincitori della seconda guerra mondiale questo non lo avrebbero mai fatto, mai si sarebbero piegati, da vincitori, alle richieste degli sconfitti, e dunque, l’Italia, ottenendo di poter processare autonomamente i propri criminali, de facto non li processò mai.

La mancata norimberga italiana, per usare un termine coniato nei primi anni duemila da diversi storici italiani che affrontarono la vicenda, è in larga parte responsabile del fatto che, gli italiani non hanno mai fatto i conti col fascismo e che il fascismo non è mai stato completamente consegnato alla storia.

Nel dopoguerra, tutti i partecipanti alla seconda guerra mondiale stilarono enormi liste di criminali di guerra, e dopo anni di trattative e richieste respinte, alla fine si accettò di far ricorso al principio di reciprocità, così da mettere fine, una volta per tutte, alla seconda guerra mondiale. Ogni paese accettò di farsi carico dei processi ai propri criminali, accusati da altre nazioni, così fece anche l’italia, i cui processi furono in qualche modo avviati, i fascicoli furono aperti, le indagini preliminari iniziarono, ma poi accadde qualcosa e tutto venne archiviato e dimenticato in quello che Franco Giustolisi intorno alla metà degli anni 90, definì l’“armadio della vergogna” .

Si tratta di un armadio rimasto chiuso per oltre quarant'anni, in cui, nel 1994 vennero trovati gli incartamenti dei processi mai computi ai criminali di guerra italiani.

Viene da chiedersi, perché, al di la del principio di reciprocità, l’italia non portò a termine quei processi, e la risposta a questa domanda ci arriva direttamente dal materiale trovato in quell’armadio.

Analizzando i documenti, oggi liberamente consultabili da chiunque e conservati presso gli uffici dell’ex tribunale militare di La Spezia, emerge che all’epoca, sul finire degli anni quaranta, a ormai qualche anno di distanza dalla fine della seconda guerra mondiale, in italia si manifersò la precisa volontà politica, dell’allora classe dirigente italiana “dimenticare il fascismo”, di lasciarselo alle spalle, senza però mai farci realmente i conti, senza mai affrontarlo realmente e concretamente, e non affrontandolo il fascismo è rimasto lì, a sedimentare e fermentare.

Oggi, col senno di poi, possiamo dire che ignorare quei fascicoli ed evitare quei processi è stato un gravissimo errore, e volendo cercare dei responsabili, non è difficile individuarli. Tra il materiale emerso dall’armadio della vergognia vi è infatti anche un appunto di un giovane Giulio Andreotti, all’epoca appena un sottosegretario di un ministero senza poetafogli, in cui si invita a ignorare la questione dei processi, per evitare eventuali problemi politici sia interni che internazionali.

Erano anni in cui alcune città italiane, come Trieste, erano sotto il controllo non dello stato italiano ma di forze internazionali, e vi erano pressioni politiche da parte della Jugoslavia per cui le aree liberate dai Jugoslavi durante la guerra, diventassero territori Jugoslavi, e l’unico modo per evitare che questo accadesse era trovare un accordo tra Italia e Jugoslavia.

L’Italia decise quindi, per mantenere l’integrità e l’unità dei propri territori, di non richiedere alla Jugoslavia di processare i propri criminali, tra cui i responsabili degli eccidi delle Foibe, che nel nuovo asset del governo di Tito ricoprivano incarichi di rilievo e posizioni centrali.

L’Italia, o meglio, la sua leadership politica, scelse di non processare i fascisti per ragioni politiche e geopolitiche.

Va detto che, già tra 45 e 48, sulle pagine de l’unità, queste scelte politiche furono aspramente criticate, l’unità fu, fino ai primi anni cinquanta, l’unico giornale in italia che continuò a chiedere apertamente di processare i criminali italiani, ma la sua voce rimase inascoltata. Principalmente perché, per una fetta importante dell’opinione pubblica, queste richieste mascheravano la volontà politica dei comunisti italiani di proseguire la guerra o comunque di aiutare i comunisti Jugoslavi a danno dell’Italia.

Ad ogni modo, ignorata o meno, già all’epoca, sulle pagine dell’unità e tra le fila del PCI (e in larga parte anche del PSI) si teorizzava (e col senno di poi, possiamo dire che si prevedeva e la loro previsione era molto oculata) che ignorare i criminali italiani e non affrontare seriamente il problema del fascismo, fingendo che questi non fosse mai esistito, avrebbe avuto l’effetto pericoloso, in un futuro non troppo reoto, di far sbocciare nuovamente il fiore del fascismo e di riportare alla luce quella pericolosa interpretazione politica della realtà.

Insomma, si diceva chiaramente che, se l’italia non avesse condannato i fascisti, in futuro questi sarebbero potuti tornare, facendo le vittime, poiché non essendo “colpevoli”, visto che nessun fascista era stato condannato da un equo tribunale, e che, i soli fascisti condannati erano stati condannati da tribunali popolari del CLN, potevano, colpevolizzare le scelte dell’Italia antifascista, e, associando l’antifascismo al comunismo, rimettere in discussione l’intera struttura repubblicana ed i suoi equilibri istituzionali, poiché, in questa chiave interpretativa, i fascisti non vennero condannati per i propri crimini di guerra e contro l’umanità, ma, apparentemente, solo per ragioni politiche, rendendo quelle condanne apparentemente inique.

Fonti :

C.Pavone, Una guerra Civile.
M.Battini, Peccati di memoria.
L.Paggi, Il popolo dei morti.
Michele Battini, Peccati di memoria. La mancata Norimberga italiana.
Jon Elster, Chiudere i conti. La giustizia nelle transizioni politiche.
Jacques Sémelin, Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi
Joanna Bourke, Le seduzioni della guerra. Miti e storie di soldati in battaglia.
Carlo Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia.
Einaudi.Danilo Zolo, La giustizia dei vincitori.

FOIBE || La strage di italiani insabbiata dal governo

La questione delle stragi delle Foibe e il “silenzio della politica italiana di quegli anni” , da qualche anno è diventato un elemento centrale nel dibattito pubblico che viene ad originarsi sul web durante alcune manifestazioni della memoria, volte a non dimenticare, i crimini di guerra compiuti durante la seconda guerra mondiale. Il tema delle Foibe è spesso utilizzato in modo improprio, estraendo quegli avvenimenti dal contesto storico in cui si verificarono, mi riferisco al silenzio politico oltre che ovviamente alle stragi.

Possiamo sintetizzare il tutto in questa breve frase, dietro l’insabbiamento degli eccidi delle foibe, si celano profonde ragioni di stato e politiche, legate al principio di reciprocità. Più espressamente, procedere nel dopoguerra con i processi a carico die criminali di guerra Jugoslavi, avrebbe implicato processi analoghi contro criminali di guerra italiani (responsabili di crimini in Jugoslavia) tra cui anche nomi illustri, come Gabriele D’annunzio.

La neonata repubblica Italiana, che stava godendo in quel momento dell’immagine di “brava gente vittima del fascismo e di Mussolini” non poteva e non voleva rischiare di rivangare il proprio passato, di ammettere una complicità estesa, soprattutto nelle periferie coloniali, con il regime. Per cui, la dove possibile, bisognava insabbiare.

Ripulire le mani degli italiani però non è l’unica ragione, vedremo infatti che vi era in sentito timore che lo scontro giuridico ed i processi politici avrebbero potuto prolungare il conflitto ben oltre la sua fase di belligeranza armata, e per l’Italia che giocava un ruolo strategico nel Mediterraneo per effetto di un nuovo ordinamento mondiale che andava delineandosi, era di vitale importanza, mantenere il più possibile rapporti “pacifici” con i vicini Jugoslavi, il cui collocamento geopolitico era ancora incerto.

Tante ragioni quindi, politiche, strategiche, storiche, riassumibili nel concetto di “ragion di stato” spinsero la classe politica dell’epoca ad insabbiare tutto.

Ho avuto la possibilità, qualche anno fa, di recuperare un vecchio “intervento” di Giulio Andreotti, risalente al febbraio 2007, un intervento che segue di 3 anni l’istituzione della giornata della memoria per le vittime delle foibe e che, in un modo o nell’altro, ci dice tanto.

Integrerò la dichiarazione di Andreotti con alcune spiegazioni, estratte dai miei appunti inerenti un ciclo di lezioni all’Università di Pisa risalente al 2016, in modo da rendere il più chiaro possibile cosa accadde sul piano politico nell’Italia a ridosso della seconda guerra mondiale e l’inizio dell’età repubblicana, tra il 1945 ed il 1948.

“Credo sia mio dovere intervenire perché questa espressione di riferimento ad un lungo silenzio può essere equivoca. Ho vissuto quel periodo e quindi lo conosco direttamente e vorrei dire perché noi abbiamo coscientemente evitato di fare di quell’argomento un motivo che dividesse.”

L’intervento di Andreotti è una risposta all’intervento dell’allora presidente del Senato Franco Marini sulla questione delle Foibe, in cui Andreotti spiega perché all’epoca (nell’immediato dopoguerra) l’argomento fu a suo dire “coscientemente evitato“. Andreotti ricordiamo che, prima di essere un politico di lunga data, protagonista quasi indiscusso della prima repubblica, fu uno dei più giovani membri dell’Assemblea Costituente, uno dei pochi a dire il vero a non avere un passato politico tra le fila del Fascismo.

“Certamente eravamo ispirati da due fattori: innanzitutto, non doveva essere un motivo di polemica interna, perché i Comunisti Italiani non c’entravano niente”

Credo le sue parole siano fin troppo chiare, e non diano molto spazio ad interpretazioni, eravamo in un momento , nel 45, di grande fermento politico, una fase di transizione storica a cavallo tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda, le prime tensioni tra le due superpotenze vincitrici della guerra iniziavano a manifestarsi in maniera concreta e apertamente dichiarata, e di conseguenza iniziavano anche le prime pressioni internazionali per limitare l’azione politica dei gruppi e partiti più vicini all’una o l’altra parte, in particolare si cercava di arginare, nel mondo occidentale e in Italia, quelle formazioni in qualche modo vicine all’unione sovietica, era quindi impossibile affrontare un tema che riguardasse un paese comunista come la Jugoslavia, senza che le sue responsabilità ricadessero di riflesso sui comunisti italiani, che però, come osserva e ricorda lo stesso Andreotti, non c’entravano nulla.

“in secondo luogo vi era un dovere di cercare quanto più possibile di instaurare con un Paese vicino, con il quale vi era stato più di un motivo di grandissimo contrasto, un clima di comprensione che guardasse al futuro e non al passato.”

In questo passaggio Andreotti fa un tacito riferimento alla “clausola di reciprocità”, un cavillo giuridico utilizzato dall’Italia nell’immediato dopoguerra per prendere le distanze dai crimini del nazismo, e “proteggere” gli italiani da un destino analogo a quello dei condannati a Norimberga.

Sono anni in cui il dibattito internazionale sui crimini di guerra e contro l’umanità è particolarmente acceso, e allo stesso tempo oscuro, non ci sono in quel momento organi di diritto internazionale universalmente riconosciuti, non c’è la Corte di Giustizia Internazionale o la Corte Penale internazionale, e il tribunale speciale di Norimberga, nel suo tentativo di fare giustizia si è presto trasformato in un tribunale dei vincitori sui vinti, che fece venir meno uno dei principi fondamentali del diritto, ovvero la non retroattività di un crimine. Passaggio che però fu necessario vista la brutalità senza precedenti dei crimini nazisti.

A livello giuridico un tale operato fu necessario per punire quelli che erano i crimini, più che evidenti, compiuti dal regime Nazista, che de facto, nell’ordinamento giuridico dell’epoca tecnicamente non erano crimini, poiché compiutisi in modalità e portata totalmente nuova e non prevista da nessun codice nazionale o internazionali. Inoltre, nella Germania Nazista, e successivamente nell’Italia Fascista, tutto ciò era legale.

In quel meccanismo criminale, messo in atto dai regimi Nazi-fascisti, furono coinvolti numerosi ufficiali militari e leader politici italiani, tra cui molti “eroi del fascismo” che in seguito avrebbero voltato le spalle al fascismo e supportato Pietro Badoglio, tra cui lo stesso Badoglio, che in Africa aveva compiuto quelli che dopo Norimberga potevano essere definiti crimini di guerra e contro l’umanità, e lo stesso valeva per molti degli italiani che avevano occupato e amministrato l’area balcanica durante la guerra.

Con la fine della guerra iniziano a diffondersi in tutti i paesi coinvolti, numerose liste di “criminali di guerra”, la Francia prepara la lista dei criminali stranieri attivi in Francia, così come avrebbe fatto la Germania, la Russia, la Polonia, l’Italia e la Jugoslavia.

La maggior parte dei nomi presenti in quelle liste erano ufficiali tedeschi, ma nelle liste non c’erano solo loro, c’erano in realtà molti italiani, ma non mancarono accuse nei confronti di francesi, jugoslavi, britannici, statunitensi, russi ecc.

Alcuni nomi erano presenti in diverse liste, e per semplicità e convenienza politica, si decise di condividere quelle liste, ordinare i criminali per nazionalità e procedere caso per caso, nazione per nazione, attraverso tribunali nazionali che avrebbero avuto il compito di giudicare e punire i propri criminali di guerra, in altri termini l’Italia avrebbe dovuto giudicare e punire i criminali italiani, la Francia i francesi, la Jugoslavia i jugoslavi ecc, ed è proprio qui che entra in gioco la sopracitata “clausola di reciprocità”, prevista dai codici militare, in particolare quello italiano e che permetteva all’Italia di processare i propri criminali di guerra a condizione che i criminali accusati dall’Italia, fossero a loro volta processati, di conseguenza se in Jugoslavia non fossero stati avviati dei processi, l’Italia non avrebbe processato i propri criminali, e viceversa, perché la Jugoslavia processasse i propri criminali, chi aveva commesso crimini in Jugoslavia doveva essere processato.

Tuttavia, Italia, Francia e Jugoslavia in primis che vedevano tra i propri criminali numerosi nomi legati alla politica post bellica, volevano evitare di andare a processo e questo cavillo era esattamente ciò di cui avevano bisogno tutti, poiché avrebbe garantito un’importante scappatoia, in particolare all’Italia e alla Jugoslavia.

La maggior parte dei criminali jugoslavi erano coinvolti direttamente nel neonato governo di Tito, e Tito non avrebbe mai smantellato la nuova classe dirigente del neonato stato di Jugoslavia “solo” per obbligare l’Italia a processare i propri criminali di guerra. E lo stesso valeva per l’Italia.

“Ritengo quindi che il silenzio sia stato più che giusto e che siano state molto opportune le parole dette. Ognuno, del resto, ha la propria opinione e guai se dovessimo avere tutti la stessa! Dal momento che l’ho vissuto, però so che la grande maggioranza degli italiani di quelle zone riteneva di dover guardare verso il futuro e non creare dei solchi che aggravassero ulteriormente la situazione”

L’ultima parte dell’intervento di Andreotti si riferisce alla crescente tensione tra l’Italia e la Jugoslavia nell’immediato dopoguerra, sulla questione del territorio Istriano, di Trieste e parte dell’odierno Friuli, poiché queste regioni che l’Italia rivendicava, durante la guerra furono “liberati” dall’occupazione nazi-fascista, dalle milizie di Tito prima dell’arrivo degli alleati, e di conseguenza alla fine della guerra la Jugoslavia di Tito rivendicò il proprio controllo su quell’area territoriale, che l’Italia aveva occupato alla fine della prima guerra mondiale.

Entrambe le parti volevano quelle regioni e come è facile intuire, ne scaturì una profonda crisi diplomatica che avrebbe sottoposto quelle aree (soprattutto Trieste) ad un controllo internazionale.

In Italia, che aveva partecipato a due guerre mondiali per assicurarsi il controllo di quelle regioni, c’era una profonda volontà politica di mantenere l’unità nazionale e riportare sotto il controllo italiano almeno una parte dei territori controllati da Tito a partire dal 1943 e alla fine, solo una parte di essi tornò effettivamente all’Italia, dopo quasi un decennio di controllo internazionale dell’area di Trieste, terminato nel 1954.

 La mancata Norimberga italiana

Il mancato processo dei criminali “comunisti” che massacrarono oltre 300.000 italiani tra i mondi del carso, del Friuli e della Dalmazia, attraverso gli eccidi delle Foibe, fu un atto politico, largamente voluto dalla politica italiana del secondo dopoguerra. Una politica che antepose le ragioni di stato alla giustizia.

L’Italia avrebbe potuto fare pressioni e richieste alla Jugoslavia affinché avviasse dei processi contro i responsabili degli eccidi, ma non lo fece, anzi, scelse apertamente di non farlo, per tante ragioni, la prima di queste riducibile nella volontà di proteggere se stessa e l’Italia.

Quanto alle vittime delle foibe e gli eccidi stessi, questi furono un crimine d’odio raziale e intolleranza, imperdonabile, che si fondò sulla generalizzazione e che venne oscurato per quella stessa ragione. Per i criminali di guerra Jugoslavi, gli Italiani occupanti erano tutti criminali nazifascisti, complice di quel regime che per vent’anni, in quelle regioni, aveva sottratto terre agli indigeni rastrellato, stuprato, massacrato e umiliato la popolazione locale, in nome della superiorità dell’Italia Fascista. E quella rabbia, quel risentimento, quel desiderio di vendetta, si abbatté su tutti, colpevoli e innocenti, ed è questo ciò che va ricordato, perché quei crimini vanno condannati per ciò che furono. Rappresaglie generalizzate contro gli Italiani, non perché Italiani, ma perché gli Italiani fino a quel momento erano stati Fascisti.

Omettere questa parte della vicenda, significa fingere che gli Italiani da un giorno all’altro, dismisero le camice nere e diventarono tutti brava gente, significa passare una mano di spugna su 20 anni di crimini compiuti in Italia e fuori dall’Italia, e fingere che non sia mai successo.

Le vittime delle Foibe non erano tutti criminali fascisti, e anche se lo fossero stati, non meritavano di essere massacrati in modo così brutale e disumano, ciò che meritavano, tutti, era un processo che giudicasse e punisse i criminali Italiani e Jugoslavi, e assolvesse gli innocenti, ma quel processo, come abbiamo visto, non c’è stato e anzi, è stato volutamente insabbiato, da Italia e Jugoslavia, per ragioni di stato. E a tale proposito, possiamo dire che quell’insabbiamento fu forse la prima (e non unica) “porcheria” commessa dall’Italia repubblicana in nome delle ragioni di stato.

Bibliografia