La Germania restituisce di sua iniziativa all’Italia una testa marmorea di II sec. d.C. trafugata dai Nazisti

La Germania restituisce di sua iniziativa all’Italia una testa marmorea di II sec. d.C. La scultura era stata trafufata dall’italia durante la seconda guerra mondiale, probabilmente durante l’occupazione tedesca, e successivamente venduta, nel 1964, da un privato cittadino di Amburgo al direttore del Museo Archeologico dell’Università di Münster, che all’epoca non aveva sospettato della provenienza illecita del reperto archeologico.

A tal proposito, il ministro dei beni culturali Alberto Bonisoli ha dichiarato

«si tratta di un atto dal valore altamente simbolico, in quanto testimonia la piena adesione di Italia e Germania a principi e valori di carattere universale e il nostro approccio condiviso al concetto di tutela del patrimonio culturale. L’atteggiamento dell’Italia non è solo quello di un Paese che rivendica la restituzione di opere d’arte trafugate, ma siamo in prima fila quando ne ricorrono le circostanze, nella restituzione di opere d’arte appartenenti al patrimonio culturale di altri Paesi. È così che intendiamo combattere il fenomeno del mercato illegale del patrimonio culturale».

La restituzione ha avuto luogo durante la cerimonia organizzata nella residenza romana dell’ambasciatore tedesco, Viktor Elbling ed hanno preso parte all’evento l’attuale Rettore dell’Università di Münster, Johannes Wessels, il capo dell’Ufficio Legislativo del Mibac, Lorenzo D’Ascia, il Comandante del Comando Carabinieri TPC, Gen. Fabrizio Parrulli e il sindaco del Comune di Fondi, Giuliano Carnevale.

La testa trafugata

Le prime notizie uffiziali riguardante questa scultura risalgono agli anni trenta, quando vennero svolti degli scavi archeologici nella città di Fondi, e nel 1937 si ha una notizia certa della sua esistenza, poi il nulla, almeno fino al 1964 quando la testa marmorea è entrata a far parte della collezione del museo archeologico di Münster, in germania, acquistata dall’allora direttore, in un momento non ben precisato tra il 1944 ed il 1964.

Stando alla dichiarazione dell’attuale direttore del Museo, all’epoca non si conosceva la natura illecita dell’acquisizione, o, per essere meno diplomatici, ufficialmente l’allora direttore del museo, non sapeva che la testa era stata trafugata.

Noi oggi sappiamo che, durante l’occupazione nazifascita dell’italia, nella seconda parte della seconda guerra mondiale, molti musei, collezioni e siti archeologici (e non solo) vennero saccheggiati ed innumerevoli opere, più o meno importanti, vennero trafugate in Germania (e non solo), ed è presumibile che questa testa sia solo una delle tante opere trafugate dai nazifascisti dagli scavi di Fondi.

Voglio aggiungere qualche considerazione personale alla vicenda.

Anche se la scultura era stata trafugata (e poi venduta), l’Italia non ha mai fatto richiesta alla Germania per la restituzione di questo specifico bene culturale, probabilmente perché un artefatto “minore” che ha sicuramente un enorme valore storico culturale, ma che in termini economici e politici, non ha molta rilevanza, ed è presumibile che l’Italia degli anni 60, abbia preferito non investire tempo, risorse e denaro per ottenere la restituzione di una testa marmorea di cui il 99,99999% della popolazione, ignorava l’esistenza.

Detto più semplicemente, l’Italia di allora ha semplicemente ignorato il fatto che molte opere “minori”, o comunque di recente scoperta, vennero trafugate durante la guerra, più che altro per convenienza politica. Questa testa, trafugata durante la guerra, e scoperta pochi anni prima, per l’Italia poteva restare al museo di Münster, così come altre, innumerevoli opere, potevano restare in altri musei e collezioni private.

Ed è proprio per questo che la decisione tedesca di “restituire” la scultura all’italia e ai suoi legittimi proprietari, in maniera totalmente spontanea, senza che quindi vi siano state richieste o pressioni da parte dell’Italia per la sua restituzione, da, alla restituzione, un valore enorme.

Perché enorme?

Perché da quanto riportato, dal 1964 (anno in cui si è compiuta la vendita ed è stata ufficializzata la presenza della testa nella collezione del museo Archeologico dell’Università di Münster) ad oggi, l’Italia, pur avendone la possibilità (e ipotizzo il diritto) non ha mai fatto esplicita richiesta di restituzione per la scultura marmorea. Ed è improbabile che l’Italia non sapesse che quest’opera era lì, parliamo pur sempre di un museo universitario in cui la scultura è stata esposta per decenni, non di una collezione privata, segreta e accessibile a pochi eletti di una qualche cerchia ristretta.

La restituzione è avvenuta in maniera totalmente spontanea da parte della Germania e del museo archeologico dell’Università di Münster, che si è privato volontariamente di un pezzo della propria collezione, pezzo che, stando a quanto riportato dalle varie riviste che hanno dato la notizia e le dichiarazioni dello stesso direttore del museo, era stato acquistato “legalmente” se pur, non se ne conoscesse la provenienza illecita.

Non entro nel merito della vicenda giudiziaria, perché non è il mio campo, se volete approfondire vi rimando alle pagine facebook Lost Archeology e Italica Res, che si occupano di archeologia e beni culturali in modo molto più approfondito (e competente) di quanto io non potrò mai fare.

Voglio però soffermarmi sull’uso politico e diplomatico di questa vicenda e sull’effetto che, in teoria, dovrebbe avere sul piano delle relazioni internazionali, perché questa vicenda ha dei risvolti a mio avviso molto interessanti.

So che molti dubiteranno della versione ufficiale, per cui l’allora direttore del museo Archeologico dell’Università di Münster non conoscesse la natura illecita dell’acquisto, e personalmente sono il primo a non credere a questa narrazione ma, facciamo finta che sia così, facciamo finta che il direttore non sapesse che quell’opera proveniente dall’Italia nell’immediato dopoguerra, fosse stata trafugata e accettiamo la versione ufficiale.

In favore del direttore tedesco degli anni 60, voglio dire che, a parte un breve riferimento apparso nel 1937, di questa testa marmorea, nessuno sapeva nulla, non era stata neanche inserita nella lista dei beni e reperti archeologici e artistici trafugati dall’italia durante la guerra. Insomma, era un opera fantasma, e, anche se trafugata, l’acquisto è avvenuto in maniera legittima, o almeno così sembra essere secondo i registri. Detto più semplicemente, chi ha venduto la scultura al museo, non ha venduto un opera rubata al mercato nero, ma ha presentato la testa come un proprio ritrovamento, e la quasi totalità di riferimenti precedenti all’ritrovamento, la catalogazione ecc, questa narrazione potrebbe essere semrata plausibile al direttore.

La scelta tedesca di restituire la scultura marmorea all’italia è una decisione molto importante, ed è chiaramente un segno di collaborazione istituzionale, amicizia e rispetto reciproco, tra la Germania e l’Italia, un gesto di “buona fede” come ha definito lo stesso ministro Bonisoli, che de facto la Germania non era tenuta a fare, ma che ha fatto ugualmente.

Come dicevo, accettando la versione ufficiale, questa scultura, trovata in italia negli anni trenta, da archeologi italiani, era in un certo senso, proprietà dell’Italia, ma in realtà, sembra che questa attribuzione all’Italia sia qualcosa di estremamente recente, sembra quasi che l’Italia neanche sapesse che questa testa era stata trafugata.

Una decisione di questo tipo quindi, in cui un museo decide di rinunciare ad un opera della propria collezione, che comporta una “perdita” di valore per la collezione stessa del museo e non è mai una scelta facile, non è facile quando c’è un esplicita richiesta di restituzione, figuriamoci quando la richiesta non c’è.

Personalmente sono molto felice che il museo di Münster abbia preso questa decisione, perché, come ha osservato il ministro, è un esempio di collaborazione e cooperazione che va oltre gli interessi economici. Quell’opera è stata realizzata in italia, ha riposato in italia nel sottosuolo di Fondi per centinaia di anni prima di essere ritrovata e pochi anni dopo è stata trafugata durante la guerra.

Quella testa appartiene alla città di Fondi, appartiene ai suoi abitanti ed è importantissimo che ritorni a casa, dalla propria gente, e che quella comunità possa ammirarla “quotidianamente” o quasi.

Fonte : https://journalchc.com/2019/06/22/la-germania-restituisce-di-sua-iniziativa-allitalia-una-testa-marmorea-di-ii-sec-d-c/

San Michele: il sogno “Romantico” di Munthe

«…Settecentosettantasette gradini, tagliati nella roccia da Tiberio stesso…in cima alle scale stava Anacapri»

È proprio nell’isola di Capri, immersa nel verde silenzioso di un giardino ricco di colori e di echi del passato, si trova Villa San Michele, l’edificio che fece costruire il medico svedese Axel Munthe; egli si innamorò subito del luogo così lontano dalla frenesia delle città e ancora legata ad un lontano passato glorioso. La sua prima volta sull’isola fu a diciotto anni, quando ancora studiava per diventare uno dei medici più famosi del suo tempo; gli ci vorranno vent’anni per portare a termine l’opera che diventerà la casa dei suoi malati, il luogo dei giorni felici con gli amici, il suo angolo di paradiso che lo tradirà, perché proprio qui a causa della luce che tanto amava perderà la vista.
La villa non fu costruita con le comodità di una qualsiasi casa abitabile, anzi la sua struttura doveva rispecchiare gli ideali della bellezza, dell’arte, della vita e anche della morte; la sua architettura era mista piena di elementi provenienti da epoche differenti. Questa doveva dare libero sfogo ai pensieri e alle idee del suo proprietario.

«L’ho costruita sulle mie ginocchia, come un santuario al sole, dove avrei ricercato la conoscenza e la luce da quel dio radioso, che avevo adorato per tutta la vita»

Oggi la villa, di proprietà dello stato svedese, è un museo tra i più visitati dell’isola, già al suo ingresso si notano quegli elementi che si ripresentano in ogni angolo dell’edificio, un rosone con frammento marmoreo proveniente da un sarcofago romano del III secolo a.C., un cippo funerario e a terra una copia del celebre mosaico pompeiano con il cane incatenato; la sala da pranzo seguita dalla cucina in perfetto stile caprese è ricca di utensili importati da Munthe da latri paesi; lasciata la cucina ci si addentra in quello che i romani chiamavano ATRIUM, un cortiletto chiuso che costituiva il centro dell’abitazione.

Qui troviamo ornamenti ed epigrafi del periodo romano, una colonna sorregge due arcate al cui interno di due nicchie vi sono i busti di Livia Drusilla1 e di Augusto (o Tiberio); si prosegue per una scala cha conduce alla camera da letto insolitamente grande, per poi giungere il salone francese, lo studio (il pavimento è un mosaico composto da tasselli che provengono da una villa romana di Pompei), e il salotto veneziano arredato con mobile del XVIII secolo.

Passato il salotto veneziano si arriva nella parte forse più conosciuta di San Michele la loggia delle sculture; qui sono conservate all’aperto le opere della collezione personale di Munthe che conta di originali e di copie e tra loro ci sono un busto di Tiberio o Germanico, la dea Artemide, un tavolo da altare con mosaico dietro la quale vi è la statua del Mercurio a riposo (l’originale è conservata presso il museo archeologico nazionale di Napoli). Adiacente la loggia c’è la replica della fontana del Verrocchio con il “Putto col delfino”; dietro, una nicchia contiene uno dei pochi ritratti pervenuti di Ulisse. Superata la loggia inizia il pergolato sostenuto da 37 colonne a cui sono intrecciate piante rampicanti; qui si apre la meravigliosa vista sul Golfo di Napoli. Il giardino di San Michele si sviluppa su terrazze ricche di alberi e fiori che formano un’oasi di pace; vasi, anfore e oggetti artistici fanno da contrasto al verde in cui sono disposti. La parte finale della villa ha forma semicircolare, con una scala che conduce ad un piano superiore del giardino in cui vi è un alcova che in origine faceva parte di una delle ville imperiali di Capri. La scala termina con la cappella dedicata a San Michele. È proprio qui che dopo aver scoperto la cappella Munthe ebbe l’idea di costruire la villa.

«Aperta al sole, al vento e alla voce del mare, come un tempio greco, e luce, luce, luce ovunque»

Quello che si sa della cappella è che fu edificata nel XVI secolo e dedicata al culto dell’arcangelo Michele.
All’angolo della loggia della cappella, l’elemento più famoso di San Michele domina sul Golfo: è la famosa sfinge, in granito. Essa risale al periodo del regno di Ramesse II (XIX dinastia-Nuovo Regno 1539-1075 a.C. circa).
Oggi villa San Michele è meta di molti turisti, e grazie ai suoi monumenti e alla sua architettura permette di entrare a contatto con il passato, e di trascorrere un momento di pace, bellezza e serenità.

Bibliografia.
La storia di San Michele-Axel Munthe

Storia Antica: Petra, la meraviglia scavata nella roccia

Petra, la città scavata nella roccia, un luogo magico e sublime nel bel mezzo del deserto della Giordania, una delle sette meraviglie del mondo e Patrimonio UNESCO dal 6 dicembre 1985.

Citata nei manoscritti di Qumram, con il nome semitico di Reqem o Raqmu (La Variopinta), la città risulta essere stata fondata dagli edomiti, che si insediarono nella regione tra l’VIII e il VII secolo a. C., all’inizio fu confusa con Sela, capitale edomita, che solo più tardi si scoprì essere collocata più a nord rispetto ad essa. Nella Bibbia si racconta che ostacolarono il passaggio di Mosè e degli Istraeliti durante l’Esodo, giacché gli edomiti sono considerati dalla tradizione i discendenti di Esaù, il fratello gemello e nemico di Giacobbe, padre degli Israeliti.

In seguito divenne capitale del Regno dei Nabatei, stanziatisi nella regione intorno al VI secolo a. C., trasformandolo in un florido centro commerciale in contatto con le popolazioni vicine. In seguito alle varie conquiste da parte di popoli invasori, tra cui Assiri, Persiani e Macedoni, la città , col tempo , perse la sua importanza commerciale, specialmente quando la nuova capitale del Regno Nabateo divenne Palmira, che diede molto filo da torcere alle legioni romane sotto il regno della regina Zenobia.

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, Petra rimase nell’orbita dell’Impero Romano d’Oriente e poi fu travolta dalla Conquista Islamica tra il V e il VI secolo. A seguito di varie catastrofi naturali la città cominciò ad essere abbandonata a partire dal VII secolo, fino a ridursi a semplici cunicoli che i beduini usavano come nascondigli.

La città rimase nell’oblio fino al 1812, quando l’avventuriero svizzero Johann Ludwig Burckhardt la rivelò al mondo.

Il sito archeologico sorge a circa 250 km dalla capitale della Giordania, Amman, in un bacino a est delle montagne del Wadi Araba, la valle che si estende dal Mar Morto al Golfo di Aqaba nel Mar Rosso.

La regione è semidesertica ma con una media di piogge tra 150 e i 250 mm/anno le cui acque venivano raccolte dal popolo dei Nabatei in cisterne a cielo aperto scavate nella roccia per permettere l’irrigazione dei loro campi. Questà particolarità ha permesso lo sviluppo di un centro abitato in una regione abbastanza arida.

Petra conta circa 800 monumenti, tra cui 500 sono tombe. Il più importante e famoso è il Khasneh al Faroun o il Tesoro del Faraone, nome di fantasia dato dai beduini, struttura con la facciata scavata interamente nella roccia, posta in un ampio spiazzo raggiungibile tramite il Siq un lungo corridoio scavato nella roccia che funge anche da ingresso al sito, raggiungibile solo a piedi o a cavallo.

Altri monumenti di rilevante importanza sono La Tomba dell’Obelisco, un monumento funerario rappresentante una figura antropomorfa; il Teatro capace di ospitare circa 8mila persone; La Sacra Sala, di fronte al tesoro, che praticamente aveva funzioni rituali.

Inoltre nei pressi dell’area si trova la famosa Porta di Traiano che segnava il passaggio dalla’area commerciale all’area rituale della città.

History Fact : Petra è stata la location di uno del film di Indiana Jones: L’ultima Crociata.

La Torre di Babele è realmente esistita ?

La Torre di Babele, la mitica torre biblica che gli uomini costruirono per arrivare a dio. Secondo il mito biblico, all’epoca della costruzione, gli uomini della regione (Mesopotamia) parlavano tutti la medesima lingua, ma dio creò scompiglio tra le genti, facendo parlare loro mille lingue diverse, così che gli uomini non riuscirono piu’ a comprendersi, e la torre non raggiunse il cielo.

Al di la del mito biblico, presentato nel capitolo undicesimo del libro della genesi, ci sono riferimenti a miti e leggende simili, che, nello stesso periodo raccontano di una torre simile nella medesima regione, come il poema sumerico “Enmerkar e il signore di Aratta“, e nel Libro dei Giubilei (10, 18-27), inoltre ci saranno riferimenti postumi anche nella letteratura e nella mitologia greca e latina, nello specifico, in se ne parlerà in alcuni frammenti di Alessandro Polistore e di Eupolemo (Eus., Præp. Ev., IX), negli Oracoli sibillini (III. 117-129), ed in fine, accennerà qualcosa, in epoca repubblicana, Flavio Giuseppe (Ant. Jud., I.4.3).

Fatte tutte le premesse filologiche del caso, veniamo quindi al punto del post, la torre di babele è solo un mito, o come spesso accade questa antica leggenda si fonda su qualcosa di reale ? è realmente esistita una torre di babele o comunque qualcosa di simile ? magari una Ziggurat così alta ed imponente da ispirare il mito ?

Secondo il dottor Andrew George della University of London, lo studio di una tavoletta risalente al sesto secolo avanti cristo e ritrovata tra i resti della leggendaria babilonia (nell’odierno Iraq) oltre un secolo fa, rivelerebbe alcune importanti informazioni, essa infatti presenta alcune interessanti incisioni, su di essa è raffigurata una mastodontica Ziggurat, la sua edificazione potrebbe aver ispirato il mito della costruzione della torre di Babele.

Va precisato che, questo genere di reperti è molto diffuso e tavolette come queste sono studiate da diversi anni, questa tavoletta in particolare è stata tradotta già nel 2011 e la sua traduzione è stata il punto di partenza di un percorso di studi e di ricerche che va avanti da diversi anni.

Va precisato inoltre che, nell’antica mesopotamia, si stima esistessero decine e decine di archivi in cui erano custodite numerose tavole di pietra, la cui natura le rende estremamente piu’ resistenti alle intemperie di qualsiasi altro supporto per la scrittura, di contro (ance se per noni forse è un qualcosa di positivo) la loro natura rocciosa imponeva grandi dimensioni e numerosi archivi, di conseguenza, gli archivi e i magazzini in cui erano custoditi crebbero a dismisura e molti sparirono, perduti nel tempo, e di fatto non sappiamo quanti magazzini di questo tipo esistessero.

 

In ogni caso, secondo un video pubblicato sul canale dello Smithsonian Magazione, lo studio di questa particolare tavoletta sembra abbia permesso a Jeff Allen del World Monuments Fund, di individuare quella che si ipotizza possa essere l’esatta collocazione della “torre di babele” o meglio, dell’imponente ziggurat descritta dalla tavoletta.

 

 

Vi rimando alla pagina facebook Mitologicamente Grivitt per approfondire il mito della torre di babele, e alla pagina facebook Lost Archeology, per avere maggiori informazioni sulla scoperta, il sito e tutte le numerose altre informazioni pervenute dalla tavoletta.

Fonte : http://www.smithsonianmag.com/videos/category/history/some-very-compelling-evidence-the-tower-of-b/