L’Accademia: simbolo dell’educazione e della cultura ateniese | CM

Situata a Nord-Ovest di Atene, l’Accademia è un’area ricca di significato storico e culturale. Fondamentale per la formazione fisica e intellettuale dei giovani ateniesi, ospitò importanti figure come Platone. La sua importanza perdurò fino alla chiusura nel 529 d.C. da parte di Giustiniano I, lasciando un’eredità culturale duratura.

Situata in una densa zona boschiva a Nord-Ovest di Atene, nei pressi del suburbio extraurbano (zona suburbana della capitale greca) della città, l’area dedicata all’Accademia risulta accessibile attraverso il dromos, la principale strada di Atene in termini di grandezza e lunghezza, capace di attraversare l’intera capitale toccando i luoghi più caratteristici di Acropoli e Agorà, per poi terminare nei dintorni della Necropoli del Ceramico. A caratterizzare tale strada non sono solo le sue notevoli dimensioni, bensì anche l’importanza che le venne attribuita dai Pisistratidi nel contesto delle Panatenee, una festa poliadica dedicata alla dea Atena come protettrice della città, le quali ponevano la propria pompé (processione) proprio lungo questa strada, e giungevano al termine all’incirca nella zona dell’Accademia, vicino al villaggio di Colono. A contraddistinguere la bellezza di questo luogo così verdeggiante si aggiunge anche il fiume Cefiso, il quale bagna insieme all’Illisso la pianura ateniese e nasce tra il monte Parnete e il Pentelico, ad Ovest della città.

Si tratta di un luogo fortemente ideologico, carico di significati simbolici, educativi e culturali, oltre a essere il possessore del ruolo primario come massima sede del ginnasio ateniese. La sua principale funzione consisterebbe infatti proprio nel garantire la perfetta formazione atletica, per preparare alla guerra fin dagli 11-12 anni i maschi ateniesi, ed educativa, basata sull’insegnamento delle lettere, della musica e della poesia, i fondamenti della cultura di Atene. Scopo principale dell’Accademia era, in termini riduttivi, preparare alla quotidiana vita ideale della capitale greca coloro che sarebbero stati un giorno i cittadini del futuro, ovvero i giovani greci, sia sul piano fisico che su quello morale/intellettuale. Sappiamo con certezza che questo suo ruolo fu svolto egregiamente e molti tra i maggiori intellettuali, filosofi, atleti, politici e persino artisti della città vennero “forgiati” proprio nell’Accademia stessa, la quale entrò anche in contatto nel corso dei secoli con personaggi tutt’altro che marginali, da Platone a Giustiniano I.

Storia e fondazione

Nonostante le discrete conoscenze che attualmente possediamo riguardo quest’area, risultano invece molto più effimeri tutti quei saperi che si rifanno alla sua fondazione, e la sua storia risulta perciò tutt’ora piuttosto incerta. Pertanto, come ogni luogo ricco di tradizione, antichità e simbologia, da tutto ciò che concerne l’Accademia derivano inevitabilmente numerosi miti e leggende a proposito della sua storia e della sua fondazione delle origini.

Il termine stesso “Accademia” deriverebbe infatti da una radicata tradizione lessicografica, capace di proiettare simbolicamente l’origine del ginnasio nel mito, identificandone il suo massimo fondatore e protettore nella figura dell’eroe ateniese Akademos (o Ekademos), oggi appunto identificato come massimo eroe eponimo del luogo stesso. Fu proprio egli a donare il nome originale con cui s’indicava tale area, ovvero l'”Akademia“.

Le teorie sul ruolo rivestito da tale personaggio appaiono però incerte e molteplici, a partire dall’ipotesi che fosse strettamente correlato alla saga del rapimento di Elena da parte di Teseo, e alla venuta in Attica dei Tindaridi alla ricerca della sorella scomparsa. In un’ulteriore versione della leggenda, questo personaggio sarebbe addirittura stato l’arcade re di Tegea, e avrebbe guidato i Dioscuri nella conquista della regione dell’Attica. Infine, come ultima alternativa presa in considerazione, Akademos sarebbe potuto semplicemente essere un normale abitante dell’Accademia, che avrebbe però indicato ai Tindaridi il luogo dove era stata accuratamente nascosta la sorella Elena, guadagnandosi così l’eterna riconoscenza da parte degli Spartani e la garanzia di ricevere sempre un rilevante trattamento di favore da parte loro.

Le prime supposizioni sulle origini di questo luogo così misterioso risalgono circa all’VIII secolo a.C., quando venne casualmente rinvenuto in tale area un edificio preistorico identificato, con molte probabilità erroneamente, come la “Casa di Akademos“, e quindi poi trasformato in un luogo di culto. Nonostante tale ipotesi venne accantonata quasi subito, sappiamo per certo che il legame dell’Accademia con l’eroe e la storia della sua fondazione rappresentino elementi antichissimi. Tre sono invece le teorie più recenti, e situano l’origine dell’Accademia attorno al VI secolo a.C..

La prima è relativa a un horos, pietre di medie dimensioni poste come delimitazioni di luoghi sacri o di grande importanza per la città, rinvenuto in situ, capace di attestare un’origine quantomeno tardoantica relativa al toponimo connesso al nome dell’eroe.

Un’ipotesi meno accreditata si baserebbe invece sul riconoscimento della figura di Akademos rinvenuta su un vaso a figure nere (pratica pittorica per la ceramica greca e romana di fine VI secolo a.C.). Infine, la prima vera menzione dell’esistenza di un ginnasio nell’Accademia, è da far risalire a una severissima legge esemplare che Demostene attribuiva a Solone, il quale fu arconte all’incirca nel 594 a.C.. Tale legge condannava alla pena capitale chiunque avesse commesso un furto di oggetti personali nei pressi del Liceo, dell’Accademia e/o del Cirosangue. Grazie a tale passo possiamo dunque attribuire cronologicamente l’esistenza di tre ginnasi ateniesi. Tuttavia anche quest’ultima ipotesi presenterebbe un margine d’incertezza, poiché era pratica comune, a partire dal IV secolo a.C., attribuire ogni genere di normativa statuita a Solone, il quale venne “etichettato” in età Classica come modello archetipico di legislatore ideale e padre della patria.

La sua storia e la sua lunghissima tradizione culturale tuttavia lo hanno contraddistinto come uno dei luoghi più ricchi di mnemotopoi di tutta Atene; se non addirittura di tutta l’Attica. Tale espressione greca, fondamentale per lo studio di siti antichi, è formata dai termini “mnemo” e “topos“, i quali indicano rispettivamente la memoria e l’accezione di un luogo/area. Si tratta infatti di un luogo denso di simbologia e tradizioni, elementi che rimandano inevitabilmente al passato e di conseguenza a una lunga storia carica di memoria.

Gli mnemotopoi incarnano a livello storico il mitico, il magico e anche il religioso, andando a caratterizzare opere, battaglie ed eventi particolarmente significativi per il ricordo e la celebrazione postuma; ma anche leggende, superstizioni e residui della memoria degni di essere ricordati per la storia di una data area e per le sue tradizioni radicate nei secoli. Proprio come accade per l’Accademia risulta dunque essere un ambiente gravido di culti e commemorazioni.

Attualmente, nonostante la ricchezza di fonti, tradizioni e leggende riguardanti questa zona siano numerosissime, a livello archeologico non ci è pervenuto quasi nulla e rimane pertanto anche molto complesso operare così una ricostruzione effettiva di come sarebbe potuta essere realmente l’Accademia a livello architettonico. Tuttavia ad Atene, sulle rive del fiume Cefiso, è possibile ammirare in un piccolo sito, nei pressi di un’area ricca di vegetazione, i resti di un edificio attribuibili o alla parte relativa al ginnasio o all’Accademia vera e propria.

L’importanza simbolica dell’Accademia

Nonostante l’Accademia di Atene si presti alla perfezione come luogo simbolico ricco di pathos, miti e leggende, sappiamo però con certezza che rivestì davvero un ruolo tutt’altro che marginale nella storia della capitale greca; e non solo per pochi anni, bensì per interi secoli, fino a quando l’imperatore Giustiniano I, nel 529 d.C., ordinò la chiusura di tutte le scuole filosofiche presenti nell’Impero Bizantino, essendo esse pagane ed essendo il cristianesimo divenuto da poco religione ufficiale dello Stato.

Tuttavia a testimoniarci la grandissima rilevanza dell’Accademia non troviamo solo gli illustri personaggi che nel corso di anni e secoli ebbero a che fare con la suddetta area, ma quest’ultima ci viene documentata anche attraverso semplici elementi che potremmo definire “materiali”, capaci di rivestire nondimeno un ruolo di fondamentale importanza. Stiamo parlando del già sopracitato horos dell’Accademia. Pur trattandosi solamente di pietroni dalle dimensioni variabili con forme rettangolari, gli horoi si mostravano come dei veri e propri simboli di delimitazione.

Il loro compito consisteva proprio nel demarcare i confini di un luogo, e non si trattava mai di ambienti qualunque, bensì di aree degne di una delimitazione ben circoscritta quali templi, zone sacre, aree rituali ed edifici carichi di significato politico, simbolico o intellettuale. E il fatto che l’Accademia avesse un suo horos personale non fa che accrescere il suo prestigio. Questa “pietra”, rinvenuta in uno scavo piuttosto recente, risulta perfino posta su un basamento, date le sue notevoli dimensioni, e non direttamente nella terra com’era usanza collocarli.

La pietra è grezza, ad eccezione di una striscia liscia su cui era incisa la frase: “Sono l’horos dell’Accademia“. Era infatti usanza comune “dare la parola” a tali steli per comunicare in modo più diretto possibile ai passanti le delimitazioni dei luoghi. Questo uso non deve sorprendere, essendo “dotate di parola” anche tombe, statue ed epigrafi nei pressi di sentieri e cimiteri.

Ma non era casuale che proprio tale area fosse così accuratamente circoscritta. Le sue dimensioni erano infatti notevoli e altrettanto significative erano le funzioni che andava a ricoprire all’interno della politica e della società ateniese. Pertanto, se volessimo descrivere questo luogo con un’espressione maggiormente attuale, una di queste sarebbe sicuramente “scuola”.

L’Accademia era infatti un edificio scolastico a tutti gli effetti e, usando termini piuttosto generici, il suo ruolo era proprio quello di formare l’aspetto fisico, educativo e soprattutto intellettuale dei giovani cittadini ateniesi perlopiù maschi. Tuttavia la questione di genere non va data per scontata, poiché non è sufficientemente documentato che non potessero frequentare anche le donne.

Per quanto riguarda la preparazione fisica, i greci (soprattutto gli ateniesi) avevano un vero e proprio culto del corpo, sia sul lato estetico che su quello della prestanza; a testimoniarcelo sono soprattutto le numerose statue raffiguranti una perfetta nudità scultorea a cui si ambiva non sono nell’ambito artistico, ma anche in quello della quotidianità.

Nell’Accademia era infatti presente un Ginnasio, ovvero uno specifico luogo accuratamente preposto all’addestramento fisico e atletico dei giovani che iniziavano la preparazione intorno agli 11-12 anni. L’allenamento era prevalentemente rivolto alla preparazione bellica dei ragazzi ma, come riportato precedentemente, non è da escludere l’importanza che si conferiva all’estetica del fisico. Gli atleti gareggiavano nudi, e la maggior parte delle volte si allenavano anche così. Il termine “ginnasio” deriva infatti dal greco “gumnos“, che significa proprio “nudo”.

Si tratta di un luogo molto caratteristico per la cultura ateniese, importante per il ritrovo e l’apprendimento, oltre al fatto che in esso si potevano tenere anche banchetti e rappresentazioni teatrali. Compiuti i 18 anni i giovani raggiungevano la maturità fisica ideale e acquisivano così i pieni diritti di cittadinanza, intraprendendo l’istruzione militare vera e propria come efebi.

Nonostante la fisicità fosse essenziale per la “costruzione” della cultura ateniese, un ruolo altrettanto significativo veniva rivestito dall’educazione. Scopo principale dell’Accademia era appunto quello di istruire e “plasmare” i giovani alla cultura, affinché raggiungessero parallelamente alla massima capacità fisica, quella intellettuale.

L’educazione ateniese si basava principalmente sull’apprendimento delle lettere (scrittura), dei conti (matematica) e della poesia, la quale veniva molto spesso accompagnata dalla musica della cetra o della lira, strumenti sempre appresi all’interno dell’Accademia. I giovani si esercitavano su tavolette di legno o cera ed erano sempre supervisionati da maestri molto attenti e anche molto severi. Nonostante la cultura fosse ancora un privilegio piuttosto elitario, frequentare la “scuola” era più consueto di quanto si potesse pensare.

L’Accademia rappresenta pertanto un punto di riferimento culturale per l’aggregazione dei cittadini (giovani e non) e per la completa formazione dei ragazzi ateniesi. Essere un cittadino della capitale greca rappresentava infatti un vero e proprio vanto, un modo per esprimere il proprio orgoglio e per distinguersi da tutti coloro che, provenendo dalle più disparate aree di tutta la Grecia e molto oltre, erano considerati barbari e quindi nemici.

Il ruolo di Platone

Il più delle volte quando si parla dell’Accademia essa viene, in modo quasi sempre errato, esclusivamente associata alla figura del filosofo Platone, il quale ebbe un ruolo estremamente importante nella sua evoluzione pratica e storica, ma non esclusivo. E’ perciò usanza comune accomunare a tale area la presenza del filosofo come suo solo e unico fondatore per il fondamentale ruolo che egli rivestì nei secoli successivi, tendendo così a far oscurare inconsciamente secoli di storia precedenti e successivi.

Platone compie la sua prima apparizione in questo luogo solamente nel 387 a.C.. Questa data particolarmente simbolica, oltre che essere anche quella maggiormente conosciuta rispetto all’Accademia, rappresenta il momento della prima fondazione della scuola accademica soprattutto come la conosciamo noi oggi.

Platone incarna infatti la figura dello “scolarca” per eccellenza, ovvero colui che era a capo di una scuola filosofica o il fondatore stesso. Venivano indicati con questo termine anche tutti i suoi discepoli. 20 anni dopo tale data così rappresentativa, Platone comprerà anche, di ritorno da un lungo viaggio in Sicilia, un giardino (képos in greco) chiamato il “giardino di Akademos”, che diverrà poi la vera e propria sede principale della scuola. Si tratta di un luogo quasi bucolico ed idilliaco che durerà nei secoli, fino alla conquista romana del mondo greco. Sarà proprio in quest’area, enormemente apprezzata dai romani per la sua storia e le sue caratteristiche mitiche e naturalistiche, che i latini andranno ad ascoltare i grandi filosofi greci.

Atene diventerà proprio in questo senso la capitale della cultura e dell’arte, trasmettendo per generazioni un fascino immenso non solo per i greci, ma anche per molti altri popoli a venire.

Con l’arrivo di Platone in quest’area non solo si amplia l’accezione simbolica dell’Accademia, ma vengono condizionate anche tutte le materie d’insegnamento, che aumentano notevolmente divenendo sempre più specifiche e particolareggiate. Sappiamo quasi con certezza che in età platonica venivano insegnate materie come matematica, astronomia, ottica, meccanica, scienze naturali, scienze politiche e, ovviamente, filosofia. Era infatti pratica comune discutere insieme al maestro riguardo tutte quelle questioni strettamente correlate all’uomo e a tutto ciò che riguarda la questione umana, indagine approfondita anche attraverso l’arte; sono difatti comuni i dipinti raffiguranti la tipica scena solita ritrarre Platone passeggiare in quest’area verdeggiante circondato dai suoi discepoli attenti.

A risentire dell’influenza platonica nell’Accademia non furono solamente i cittadini ateniesi, assidui frequentatori di tale luogo, bensì anche e con buone probabilità soprattutto i romani, che in seguito alla conquista della regione dell’Attica vennero “contagiati” da innumerevoli elementi della cultura greca, adottandoli o addirittura esportandoli. E non si trattava solamente di cittadini romani qualunque. Cicerone nel 79 a.C. frequenterà con grande coinvolgimento l’Accademia, seguito dal fratello Quinto e dal grande amico Attico, chiamato così in onore del suo immenso amore per la regione dell’Attica e in particolare per il suo grande bagaglio culturale, sviluppatosi proprio in questa zona.

Tuttavia il successo di tale luogo proseguirà per secoli e secoli dopo la morte di Platone, per la fortuna che guadagnò lasciando un’immensa eredità grazie alla filosofia platonica, studiata e apprezzata da popoli e culture anche molto distanti da quella greca.

Solo all’inizio del V secolo venne fondata una nuova scuola come punto cardine della filosofia neoplatonica, e l’Accademia cesserà poi defininitivamente la sua attività solo nel 529 d.C., per volere dell’imperatore Giustiniano I il quale, a causa dell’importanza che stava acquisendo il cristianesimo come religione dell’Impero, aveva ordinato la chiusura di tutte le scuole filosofiche pagane presenti nell’Impero Bizantino.

Nonostante ciò l’Accademia rimane un luogo carico di significati simbolici e culturali, un nucleo colmo di mnemotopoi, rappresentando per tutta l’età antica il simbolo della filosofia platonica e della capitale ateniese, un nerbo culturale ed educativo per l’antica Grecia come la conosciamo noi oggi. Pertanto sono innumerevoli gli autori che ancora discutono sulla sua importanza e hanno avuto a che fare con i suoi molteplici significati simbolici; dalla famiglia dei Pisistratidi (tiranni di Atene) che, specialmente il figlio Ipparco amante dell’arte e della cultura, riservarono sempre particolari attenzioni a tale luogo prediligendolo come punto d’incontro e di scambio culturale, a Plutarco, che ancora in età imperiale definiva se stesso e altri pensatori come lui con l’orgoglioso appellativo di “accademici” (“akademikoi“).

Molti altri personaggi famosi nel corso dei secoli s’interessarono a questo luogo non solo a livello storico ma anche artistico, come Raffaello, il quale dipinse “La Scuola di Atene” situata nella Stanza della Segnatura (una delle quattro Stanze Vaticane poste all’interno dei Palazzi Apostolici), un’opera dalle maestose dimensioni raffigurante al centro il protagonista Platone, circondato dai suoi discepoli evidentemente rapiti dai suoi discorsi filosofici. L’opera incarna pienamente la visione che si conferiva alla zona dell’Accademia come principale simbolo della filosofia platonica, mentre risulta meno evidente come fosse identificata prima dell’arrivo di Platone, nonostante le sue origini fossero decisamente molto più antiche.

Ovviamente, nonostante siano cambiate le epoche, i protagonisti e il ruolo rivestito da quest’area, a non cambiare mai è l’orgoglio e la fortissima ammirazione con cui ne parlano e la descrivono coloro che ne sono entrati in contatto; utilizzando invece un misto di magia e venerazione tutti quelli che ne discutono per motivi di studio, per interesse o per sentito dire.

La peste di Atene: Tucidide tra scienza e pathos | CM

Introduzione al tema della peste

Ormai da decenni la peste rappresenta nell’immaginario collettivo una terribile visione di morte tipica del periodo tardo-medievale; ma non è sempre stato così. Dipinti, racconti, poesie e persino leggende si sono succeduti per tentare di rappresentare un male considerato spesso divino e quindi inspiegabile agli occhi dell’uomo, un male che in varie epoche non ha mai lasciato scampo e sul quale si sono ripetutamente interrogati i più autorevoli medici, autori, maestri e filosofi del tempo.

Nel corso dei secoli infatti gravi pestilenze si sono abbattute su tutto il vecchio continente, in epoche e luoghi assai differenti. Una delle più disastrose epidemie di peste della storia si è manifestata nell’Atene classica, intorno al V secolo a.C., durante un periodo storico a dir poco travagliato per la storia della Grecia: la Guerra del Peloponneso” (431-404 a.C.).

L’opera tucididea e il conflitto tra Atene e Sparta

Narratore di questi eventi è appunto uno dei più grandi storici dell’epoca, Tucidide, vissuto tra il V ed il IV secolo a.C., fautore di un’opera che porterà con sé fonti ed elementi storici di grandissimo rilievo: “La Guerra del Peloponneso“. La celebre opera, suddivisa in otto libri, offre anche uno spunto essenziale per ricavare accurate riflessioni su quello che oggi definiamo un “metodo storico” scrupoloso, quasi scientifico, basato cioè su fonti certe e attendibili, di cui Tucidide viene considerato padre e fondatore. Su tale base l’autore sceglie di introdurre la narrazione in questo modo:

Giacché gli avvenimenti precedenti alla guerra e quelli ancora più antichi erano
impossibili a investigarsi perfettamente per via del gran tempo trascorso e, a giudicar dalle prove che esaminando molto indietro nel passato mi capita di riconoscere come attendibili, non li considero importanti né dal punto di vista militare né per il resto.

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso“, (1,3, libro I)

Trattandosi di un testo prettamente storico prevalgono ovviamente numerosi riferimenti diretti alla “Guerra del Peloponneso”, tra cui strategie belliche e scelte politiche, per la partecipazione attiva di Tucidide come testimone oculare, il quale combatté in prima persona come stratega venendo poi esiliato a causa di un grave e imperdonabile fallimento. Si tratta di un conflitto senza precedenti, scoppiato tra il 431 e il 404 a.C., rivolto unicamente contro la fiorente città di Atene.

Tra le cause secondarie e il casus belli principale bisogna però considerare la situazione di tutta la Grecia, ormai esausta a per gli ingenti tributi a cui era sottoposta e per le vessazioni imposte dal duro imperialismo egemonico ateniese. Tuttavia, nonostante Atene dominasse il mare con una potentissima flotta, Sparta riuscì a invadere l’Attica con un grande esercito, costringendo gran parte della popolazione a cercare rifugio all’interno delle grandi mura del Pireo, il porto ateniese. Fu proprio in quella tragica situazione di sovraffollamento che scoppiò l’epidemia, aggravata ancor più da un clima torrido e da condizioni igieniche pessime e precarie. Tucidide si sofferma poi su tre celebri discorsi relativi al conflitto tenuti da Pericle, personaggio fondamentale per le vicende storiche e politiche dell’Atene classica, morto anch’egli a causa del morbo.

Per ultimo, ma non per importanza, l’autore all’interno del II libro oltre a narrare le vicende belliche dedica un ampio excursus storico riferito all’epidemia che devastò Atene tra il 430 e il 427 a.C. contemporaneamente alla guerra, già di per sé estremamente rovinosa per le sorti del conflitto e della città. Si tratta pertanto di un’opera completa, storicamente e politicamente, soprattutto per l’attenzione rivolta ai dettagli e l’accuratezza mostrata verso i principali fatti storici narrati. Tuttavia a rendere Tucidide un maestro del “metodo storico” non è solamente un testo basato su indizi sicuri e veridicità storiche (fondate cioè su fatti realmente accaduti), ma la sua acuta capacità di descrizione nei confronti di eventi estranei a vicende storiche degne di nota, come la pestilenza.

La peste dal punto di vista medico, scientifico e umano

Tucidide dedica un lungo paragrafo al tema dell’epidemia ateniese, nel quale sceglie di soffermarsi non sull’evento storico in sé, quanto più sul tema della pestilenza a livello scientifico e umanitario. Scopo principale dell’autore è infatti narrare e documentare, ovvero mettere in guardia il lettore nei confronti di una storia che non è mai totalmente magistra vitae ma piuttosto pessimistica, da cui l’uomo non impara mai veramente e di cui non è l’unico protagonista delle vicende, ma vi partecipa attivamente insieme a epidemie, carestie, eclissi e terremoti; elementi mai trascurati nonostante le narrazioni di Tucidide abbiano un carattere prettamente storico.

La storia di Tucidide andrebbe perciò “ammaestrata” in modo da permettere all’uomo di non ripetere gli stessi errori del passato. Tuttavia tale insegnamento è molto relativo, poiché questi errori vengono con estrema facilità ciclicamente ripetuti, nonostante Tucidide cerchi di trasmettere come combatterli. La peste rappresenta infatti la grande occasione tucididea per attuare il suo “metodo storico”. Essa viene descritta in modo scientifico e razionale per comprenderla e conoscerla al meglio anche dal punto di vista umano, oltre che ovviamente medico. Nel descrivere la tremenda malattia, fino ad allora sconosciuta agli ateniesi, Tucidide si sofferma sul momento iniziale del morbo: le cause, i sintomi, i morti e la reazione dei medici di fronte a un male totalmente ignoto; ed erano proprio i medici a morire per primi, a causa della necessaria vicinanza con i pazienti.

Né i medici erano di aiuto, a causa della loro ignoranza, poiché curavano la malattia per la prima volta, ma anzi loro stessi morivano più di tutti, in quanto più di tutti si
avvicinavano ai malati; né serviva nessun’altra arte umana.”

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso“, (47,4, libro II)


Giunge poi a una descrizione fortemente umanitaria e ricca di pathos, nella quale evidenzia le principali reazioni umane, tra le quali spiccano paura, sgomento, solitudine e scoraggiamento. Uno degli scopi principali dell’autore è inoltre riportarci vari eventi quotidiani, per sottolineare come vennero completamente sconvolti dal morbo, tra i quali troviamo: numerosi furti per lo spopolamento delle case a causa della malattia, non più solenni funerali singoli ma roghi comuni per sbarazzarsi dei cadaveri, sempre più persone ammassate nei templi per riversare lo sgomento generale sulle preghiere e affidarsi agli dei, e infine varie congetture con lo scopo di dare un senso a questo male sconosciuto, come l’accusa verso i peloponnesiaci di aver avvelenato i pozzi.

Nella città di Atene piombò improvvisamente, e i primi abitanti che attaccò furono quelli del Pireo; e così tra essi si disse anche che i Peloponnesiaci avevano gettato veleni nei pozzi: là infatti non c’erano ancora fontane. Poi arrivò anche nella città alta, e da allora i morti aumentarono di molto.”

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso“, (48,2, libro II)

Nonostante il morbo sia stato catalogato per lunghissimo tempo come una vera e propria pestilenza, oggi esperti e studiosi pensano in realtà che si trattasse di un altro tipo di malattia, e che più probabilmente fosse una sorta di vaiolo o di febbre tifoide, per i sintomi violenti e immediati che procurava in un tempo brevissimo (rispetto a come sarebbe stato per una comune epidemia di peste).

Gli altri invece, senza nessuna causa apparente, mentre erano sani improvvisamente
venivano presi da violente vampate di calore alla testa e da arrossamenti e infiammazioni agli occhi, e tra le parti interne la faringe e la lingua erano subito sanguinolente ed emettevano un alito insolito e fetido. Poi, dopo questi sintomi, sopravveniva lo starnuto e la raucedine, e dopo non molto tempo il male scendeva nel petto, ed era accompagnato da una forte tosse. E quando si fissava nello stomaco, lo sconvolgeva, e ne risultavano vomiti di bile di tutti i generi nominati dai medici, e questi erano accompagnati da una grande sofferenza.

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso” (49, 2-3, libro II)

Tuttavia essa ebbe tutte le caratteristiche proprie di qualsiasi epidemia della storia, riuscendo ad abbattere psicologicamente l’umore e la quotidianità delle persone, e provocando migliaia di morti; forse addirittura arrivò a dimezzare la popolazione ateniese, cifre per l’epoca davvero esorbitanti, di cui Tucidide stesso si rese conto, riportando puntualmente lo sgomento che vigeva in quel tempo.

Nessun corpo si dimostrò sufficientemente forte per resistere al male, fosse robusto o
debole, ma esso li portava via tutti, anche quelli che erano curati con ogni genere di dieta. Ma la cosa più terribile di tutte nella malattia era lo scoraggiamento quando uno si accorgeva di essere ammalato (poiché i malati si davano subito alla disperazione, si abbattevano molto di più e non resistevano), e il fatto che per aver preso la malattia uno dall’altro mentre si curavano, morivano come pecore: questo provocava il maggior numero di morti.

Tucidide, “La Guerra del Peloponneso” (51,4, libro II)

L’importanza dei comportamenti umani nel corso della storia

Attraverso una digressione tanto struggente Tucidide dimostra ancora una volta che la storia non è riassumibile in un muto susseguirsi di vicende più o meno rilevanti, ma va invece rappresentata e studiata anche attraverso le reazioni umane. Pertanto assumono un ruolo di assoluto rilievo la psicologia, i comportamenti degli uomini e le azioni quotidiane in relazione a tali fenomeni tanto significativi per lo studio della storia.

Tucidide sceglie di esporre molto dettagliatamente la pestilenza proprio per l’effetto che quest’ultima ebbe sull’animo degli uomini, e non per come influenzò l’andamento degli eventi storici futuri. In una critica situazione di guerra il sopraggiungere di un’epidemia portò gli ateniesi al limite della sopportazione, rendendoli capaci di azioni ignobili e disumane, e questo l’autore lo esprime con una grande cura verso i dettagli.

A regnare è infatti l’“anomia”, ovvero la più totale assenza di leggi, che porterà inevitabilmente a una situazione di disordine e anarchia in cui gli individui cercano disperatamente di sopravvivere aggrappandosi ai propri istinti senza più alcuna inibizione. Attenendosi perciò strettamente al suo ruolo di storico Tucidide si mostra come testimone diretto dell’evento e ce lo riporta privandosi di ogni possibile elemento etico o morale, con il solo e unico scopo di informare e documentare i posteri riguardo l’andamento della storia e di come essa possa interagire con la labile natura umana. E, proprio come scrive l’autore: Atene fu distrutta dalla paura della peste, non dalla peste. Si tratta certo di uno squarcio raccapricciante, incapace di infondere sicurezza e perciò ancor oggi perfettamente in grado di suggestionare qualsiasi lettore moderno.

La peste di ieri e la peste di oggi

Il tema della pestilenza rappresenta ormai da secoli una delle più grandi occasioni per parlare di storia, scienza e medicina allo stesso tempo. Autori, poeti, scrittori e persino pittori e scultori si sono destreggiati su questo tema cercando di mostrare nel miglior modo possibile gli effetti del male, come esso influisce sulla psicologia umana e come viene affrontato in base alle diverse epoche storiche. L’idea di un morbo che esplode all’improvviso scatenando il panico e l’incertezza verso cure e guarigioni introvabili garantisce ancor oggi una fonte tragica sulla quale poter costruire grandi narrazioni storiche ma anche possibili racconti di fantasia.

La tragicità causata da morte e distruzione rappresenta anche un’occasione per evidenziare gli effetti della malattia sul corpo umano, a livello quindi medico/scientifico, ma porta spesso e soprattutto a profonde riflessioni di tipo religioso/divino, poiché l’uomo da sempre necessita di un elemento superiore a cui appoggiarsi in caso di estremo pessimismo. Si tratta pertanto di un tema largamente discusso ancor oggi, in grado di scatenare ferventi discussioni e, ma anche capace di lasciare un enorme fascino nella letteratura e nella storia di tutti i tempi.

La civiltà greca : Dalle origini minoiche alle Polis

La storia dei greci non inizia in Grecia o meglio, non inizia nella Grecia continentale, ma sull’isola di Creta dove verso la fine del terzo e l’inizio del secondo millennio a.c. si sviluppa la civiltà Minoica, non sappiamo esattamente quando questo popolo si sia effettivamente insediato a Creta, ma diverse fonti archeologiche ci dicono che molto probabilmente i minoici popolassero l’isola già dal neolitico.

Intorno al secondo millennio avanti cristo la civiltà minoica inizia a crescere molto rapidamente, riuscendo in breve tempo a diventare una delle più grande potenza navali dell’antichità, le loro navi costruite con legno di cipresso solcano le acque del mediterraneo orientale arrivando a commerciare con l’Egitto, da cui si ipotizza che i minoici abbiano appreso la scrittura e siano stati fortemente influenzati sul piano artistico, e in questo senso molti colgono un qualche legame tra la raffigurazione delle divinità egizie e la figura del minotauro, entrambi raffigurati con il corpo di uomo e la testa ti animale.

Mentre le navi minoiche solcano il mediterraneo sulla terra ferma si sviluppa la così detta civiltà dei palazzi, in questo periodo vengono edificati grandi palazzi a Cnosso, Hanghia, Festo e Triada, che rappresentano l’epicentro della civiltà minoica, possiamo immaginare questi palazzi come delle fortezze medievali, almeno per quanto riguarda l’organizzazione, al loro interno vi erano stanze destinate ad artigiani, luoghi religiosi, depositi e magazini ecc, successivamente, in seguito all’eruzione del vulcano dell’isola di Tera (odierna santorini) avvenuta intorno al 1750 una serie di violenti terremoti avrebbe raso al suolo i palazzi costringendo i minoici a lasciare l’isola, ma vi sarebbero ritornati non molto tempo dopo.

Si ipotizza che i racconti dei profughi minoici sulla grecia continentale per quanto riguarda gli effetti dell’eruzione di Tera, possano essere alla base del mito delle origini della civiltà greca, in cui Dei e Titani si combattono in una guerra all’ultimo sangue, provocando violenti terremoti, maremoti e piogge di fuoco sulla terra, coerenti con quanto vissuto dai minoici in fuga.

Il ritorno dei minoici sull’isola di creta avviene presumibilmente intorno al 1600 e in questa seconda fase la loro civiltà diventa ancora più splendente, il numero di palazzi aumentano notevolmente anche se in questa fase abbiamo palazzi più piccoli e la loro “flotta” si pone in diretta competizione con la flotta fenicia che nel frattempo aveva iniziato a muoversi tra le acque del mediterraneo.

La grande ricchezza dell’isola di Creta e la crescente diffusione della navigazione d’altura tra i popoli ellenici, avrebbero fatto di Creta la meta ideale per le scorribande dei pirati, e l’isola di Creta sarebbe stata più volte depredata e in fine conquistata dagli Achei, la cui città più importante era Micene, presumibilmente intorno al 1400 a.C., cui seguirono tra il 1200-1100 a.C. i Dori.

Achei e Dori sono due delle quattro popolazioni provenienti dall’Asia che nel secondo millennio si sarebbero stabilite nella penisola greca, ma di loro parleremo più avanti. Il duro colpo inferto dalle invasioni ed alcuni cataclismi naturali di portata minore rispetto all’eruzione del 1750 avrebbero portato alla definitiva scomparsa della civiltà minoica lasciando molti misteri per quanto riguarda il reale livello di conoscenza tecnica dei minoici e alcuni ipotizzano che la scomparsa di questo popolo abbia in qualche modo ispirato il mito di Atlantide.

Per quanto riguarda la storia continentale della Grecia, come già accennato, la penisola greca fu meta di periodiche migrazioni da parte di numerosi popoli.

Nel II millennio a.C. diverse popolazioni indoeuropee provenienti da oriente, si sarebbero stabilite nella penisola greca ribattezzando con il nome di Ellade, tra queste popolazioni Ioni, Eoli, Achei e Dori saranno quelle più importanti.

Il primo popolo che si insedia nella penisola greca è il popolo guerriero degli Ioni, che si sarebbe stabilito in Grecia intorno al 2000 a.C., successivamente, intorno al 1600 sarebbero arrivati Eoli e Achei che avrebbero spinto gli Ioni verso l’Attica e la Tessaglia mentre Eoli ed Achei avrebbero occupato rispettivamente la Beozia e il Peloponneso.
Tra le varie città achee la città di Micene sarebbe stata quella più grande e importante che in poco tempo sarebbe riuscita a prendere il controllo su gran parte della penisola e grazie alla navigazione d’altura sarebbero riusciti ad entrare in contato con i minoici, commerciando e saccheggiando.

Intorno al XI secolo con l’arrivo dei Dori la penisola greca è attraversata da una nuova fase migratoria che avrebbe portato alla scomparsa quasi completa scomparsa degli Achei mentre gli Eoli si stabiliti sull‘isola di Lesbo e sulle coste anatoliche in Eolide, infine i Dori si sarebbero stabiliti nell’area settentrionale della Grecia espandendosi poi in Acacia e nel Peloponneso

La scomparsa della civiltà micenea coincide con l’inizio di un periodo di decadenza della cultura greca che la storiografia generalmente indica con il nome di “medioevo greco” o “secoli bui” tuttavia questi secoli vedranno l’introduzione in Grecia di nuove tecniche di costruzione e di lavorazione dei metalli, si avrà inoltre una grande diffusione dell’alfabeto fonetico importato dai fenici.

Convenzionalmente la fine dei secoli bui viene fatta coincidere con i primi giochi olimpici avvenuti secondo tradizione nel 776 a.c. la cui istituzione viene coincide con l’inizio dell’età delle polis la cui nascita e la cui autonomia è favorita dalla particolare configurazione geografica le cui catene montuose e numerose isole rendono difficile l’unificazione dei villaggi in un unica entità statale.
Tra il VIII al VI secolo a.C., la civiltà greca inizia ad espandersi anche oltre la penisola greca con la fondazione di numerose colonie in tutto il mediterraneo, queste colonie mantengono invariata la tradizione, la lingua e la cultura della madre patria se bene ogni colonia mantenga una notevole autonomia che avrebbe fatto delle colonie delle vere e proprie nuove polis.

Tra il VI e il V secolo la Grecia attraversa una fase detta “periodo dei tieanni”, in quest’epoca l’intensificazione delle vie commerciali soprattutto tra madre patria e colonie avrebbe portato alla diffusione dell’economia monetaria, inoltre si sarebbe sviluppato un nuovo ceto benestante, fatto di mercanti e artigiani che grazie alle opportunità offerte dal commercio con le colonie aveva acquisito un grande potere economico.
Queste famiglie, che etichetteremo un po anacronisticamente con il termine borghesia greca”, analogamente a quanto sarebbe successo alla borghesia europea nel XVIII, avrebbero iniziato a chiedere maggiore presenza e rappresentanza a livello politico e sfruttando il malcontento popolare, dovuto all’oppressione dei ceti più poveri della società riusciranno ad indirizzare quelle energie popolari contro la nobiltà. Da questa contrapposizione sociale tra nobiltà e classe popolare, la “borghesia greca” grazie all’appoggio popolare sarebbe riuscita a ribaltare i governi presieduti dalla classe nobile, promettendo in cambio alcune importanti riforme sociali.

Per sedare i disordini sociali ed intermediare con il popolo, i nobili sono costretti a chiedere aiuto alla classe “borghesia greca” concendendo loro il governo autocratico che sarebbero diventati noti con il nome di tirannidi.

La sola instaurazione delle tirannidi rappresenta agli occhi del popolo un importante vittoria contro il precedente potere assoluto degli aristocratici, inoltre la nuova classe benestante ha origini umili e, a differenza dell’aristocrazia, non è una classe sociale chiusa, si tratta invece di una classe aperta all’ingresso da parte dei ceti sociali inferiori.
I tiranni impareranno presto a gestire il potere continuando a cercare il consenso popolare e questo avrebbe portato ad una sempre maggiore partecipazione popolare nella gestione della politica e della vita pubblica, e nel V secolo le tirannidi iniziano a trasformarsi in nuovi governi composti da più soggetti politici assumendo generalmente due modelli di riferimento, da una parte si afferma l’Oligarchia e dall’altra si afferma la Democrazia.

Nei governi oligarchici vi è un numero ristretto di soggetti politici, che è comunque maggiore rispetto alle tirannidi e alle monarchie assolute, in questo sistema di governo gli aristocratici mantengono i propri privilegi di casta, e partecipano al governo della polis con cariche a vita.

Nei governi democratici vi è una moltitudine di soggetti politici che avranno il compito di rappresentare il popolo, di fatto il potere è riconosciuto al popolo. Diversamente dall’oligarchia nei sistemi democratici, tutti i cittadini della polis, indipendentemente dalla propria classe di censo, possono partecipare all’assemblea primaria e al consiglio, i cui membri sono eletti oppure sorteggiati e le decisioni pubbliche sono prese a maggioranza popolare.

Queste due forme di governo che si sono sostituite alla tirannide non riusciranno a convivere tra loro e nelle guerre del Peloponneso ci sarà un duro scontro tra le polis democratiche guidate da Atene e quelle oligarchiche guidate da Sparta.

Il ruolo della propaganda nella storia

La propaganda è oggetto di studi dal XX secolo circa. Ma è un fenomeno nuovo?
Essa nasce con la società e quindi, nel momento in cui l’uomo ha deciso di organizzarsi con una struttura sociale ben definita e con un sistema di potere. Ma com’è cambiata e soprattutto quando la propaganda ha cominciato ad assumere un ruolo centrale nella storia?
Proprio questi sono gli interrogativi da porsi per capire l’essenza di uno strumento da sempre fondamentale per la gestione del potere sulle grandi masse, che ha sempre mantenuto un alto livello di efficienza ed ancora oggi viene utilizzato.

Già in epoca pre-romana la propaganda era uno strumento diffuso per la conquista del consenso, per la costruzione dell’opinione pubblica ed il mantenimento di un equilibrio sociale. Emblema del suo utilizzo è Pisistrato, tiranno di Atene. Tra l’altro la propaganda di Pisistrato è, paradossalmente, più vicina a quella moderna che a quella utilizzata in epoca romana. Egli utilizzò elementi moderni quali il nemico pubblico e quelle che oggi definiamo fake-news. I Romani invece, nonostante l’inserimento dell’informazione all’interno della propaganda quale elemento nuovo, si concentrarono di più su messaggi di adorazione verso l’imperatore di turno.

Oggi sappiamo che questo tipo di propaganda non funziona, ma funziona invece quella più vicina a Pisistrato e cioè mascherata dietro un’informazione apparentemente libera ed indipendente, che utilizza la tecnica del nemico pubblico, delle fake news e che prende dai Romani l’utilizzo dell’elemento informativo.

Il passaggio significativo da una propaganda di questo genere, ovvero efficace, ma comunque antica ad una moderna c’è stato con la Prima Guerra Mondiale. Rappresentavano l’avanguardia in questo campo le grandi potenze europee e gli Stati Uniti. La Germania, sarà maestra della propaganda nella Seconda Guerra Mondiale. Con questo strumento si riuscì a far passare una guerra come un qualcosa di doveroso, necessario, addirittura sacro.

La Grande Guerra fu il banco di prova del potere della persuasione: oltre al fronte fisico vero e proprio e cioè le trincee, si costituì in ogni paese coinvolto un fronte interno con lo scopo di mantenere l’equilibrio sociale e giustificare, in qualche modo, i sacrifici che si chiedevano alla popolazione. La propaganda fu lo strumento centrale per reclutare soldati giovani da mandare in trincea.

Senza lo Zio Sam con “I Want You” probabilmente nessuno si sarebbe mai arruolato volontariamente per andare a combattere con il 50% delle possibilità di non tornare a casa. Senza lo slogan “Fare il mondo sicuro per la democrazia”, probabilmente il popolo americano non avrebbe mai accettato la decisione del governo di entrare in guerra nel 1917 e si sarebbe organizzato per ribellarsi. Invece, con un’ottima propaganda si riuscì addirittura a rendere gli americani contenti ed orgogliosi dell’azione militare intrapresa. In Inghilterra nel solo primo anno di guerra si arruolarono circa 200.000 giovani grazie ad un’azione propagandistica fatta di 12.000 riunioni, 8 milioni di lettere, 54 milioni di manifesti e volantini: un ingente investimento che diete i frutti attesi. Co

n azioni di propaganda si finì per far credere alle masse che la guerra fosse un atto sacro e pian piano s’instaurò una vera e propria religione basata sulla guerra: altari della Patria, sepoltura del milite ignoto, cimiteri di guerra, monumenti ai caduti, spade accomunate a croci, soldati morti considerati martiri della Patria. Insomma, una vera e propria religione civile arricchita dagli elementi della sacralità della guerra e del militarismo.

Ma perché dalla propaganda si arrivò poi a delineare una vera e propria religione? Semplice, basta rifarsi alla definizione naturale del termine “propaganda”:

ciò che della fede deve essere propagato, cioè le credenze, i misteri, le leggende dei santi, i racconti dei miracoli.

Non si trattava di trasmettere quindi una conoscenza obiettiva e accessibile a tutti tramite il ragionamento, ma di convertire a verità nascoste che promanano dalla fede, non dalla ragione.

Nonostante quello appena descritto sia stato un significativo passaggio da una propaganda antica ad una moderna, essa non era ancora oggetto di studio vero e proprio e soprattutto non era ancora uno strumento largamente diffuso. Divenne una vera e propria scienza dopo la Grande Guerra, in particolar modo con Edward Bernays, nipote di Freud, che sfruttò la teoria freudiana della psicanalisi rendendo la propaganda uno strumento ancora più potente. Successivamente, con una geniale intuizione lo sfruttò anche in campo commerciale. Numerose aziende si affidarono a Bernays per accrescere il proprio volume di affari.

Perché gli inglesi oggi fanno colazione con uova e pancetta? Perché Bernays ricevette da un’azienda produttrice di pancetta l’incarico di fare una propaganda affinché aumentasse il consumo del loro prodotto. E. B. riuscì a trasmettere alla popolazione il messaggio secondo cui la mattina è necessaria, nonché consigliata dai medici, un’abbondante colazione, quindi cosa meglio di uova e pancetta?

È incredibile come con un semplice messaggio propagandistico si riesca a controllare una massa e a portarla a fare ciò che si vuole, a prescindere da tutto.

La propaganda, largamente diffusa ed utilizzata anche in ambito commerciale, assunse un particolare rilievo e raggiunse il suo apice di sviluppo nell’epoca dei totalitarismi e della Seconda Guerra Mondiale. Emblema di questo apice fu il  manifesto “Es Lebe Deutschland” della propaganda Nazista, che contiene tutti gli elementi della propaganda moderna e soprattutto della religione che con i totalitarismi da civile divenne politica. Ad oggi maestro della propaganda è il califfato islamico, che con tale strumento è riuscito a mettere in uno stato di continua tensione l’intero occidente. Per quanto possiamo essere informati e consapevoli circa il potere della propaganda, questa funzionerà sempre, perché agisce sull’inconscio.

Fonti:

M.Regnedda, Propaganda
G.Sabatucci, V.Vidotto, Storia Contemporanea, novecento
Marco Montemagno, la propaganda
L’invenzione della propaganda
N.Ferguson, Verità taciuta

La Guerra del Peloponneso

Al termine del periodo di scontri tra greci e persiani, più noto come Guerre Persiane, la situazione in Grecia era più critica che mai, al pari del periodo della guerra fredda dell’età contemporanea, le varie Polis si erano riunite, attorno alle due maggiori città che avevano combattuto i persiani, in due leghe, la lega di Delo e la lega del Peloponneso, che puntavano all’espansione e l’imposizione su tutta la Grecia dei rispettivi modelli culturali di riferimento.

Ma facciamo un passo in dietro.

I persiani sono stati sconfitti nello scontro finale di Platea dal generale spartano, oltre che Reggente di Sparta, Pausania (Pausania fu reggente di Plistarco, figlio di Leonida, dopo la morte di Leonida e di suo fratello nello scontro presso le Termopoli) il quale era un forte sostenitore della democrazia, e avrebbe pagato a caro prezzo il suo credo politico.

Ad Atene, Temistocle, già arconte nel 491, fa si che vengano costruite 180 nuove trireme con i proventi delle miniere d’argento del Laurion e fece trasformare la baia di Falero nel porto militare di Atene, promettendo la nascita della Lega di Delo. Nel 471 sarebbe stato accusato di avere atteggiamenti tirannici e quindi allontanato da Atene, costretto in esilio si stabilì nella non lontana Argo. Durante il suo esilio, aiutò Pausania a promuovere la democrazia nel Peloponneso e procurò ad Atene il controllo sull’Ellade.

Sparta, di regime Oligarchico, non vedeva di buon occhio la democrazia, in quanto riduceva il suo potere nel Peloponneso e nel 471/469 Pausania e Temistocle vennero accusati di aver stretto alleanza con la Persia, accusa che sfociò nella pena capitale, Temistocle fuggì a Magnesia, presso la corte di Artaserse, mentre Pausania si rifugiò nel tempio di Atene Calcieca, dove le guardie non poterono arrestarlo, così l’Eforato ordinò di murare le porte del tempio, lasciando che l’eroe di Platea morisse murato vivo.

Ad Atene nel frattempo Cimone aveva sostituito Temistocle, e durante la sua carica, ottenne numerose vittorie contro i persiani, tra queste la Battaglia sul fiume Eurimedonte in Asia minore fu una delle sue più importanti vittorie. Venne però anch’esso accusato di aspirare alla tirannide ed allontanato nel 461, fu sostituito da Pericle, che avrebbe trasformato la lega di Delo in un vero e proprio impero coloniale, mentre, dall’altra parte, Sparta assumeva una posizione centrale nella lega del Peloponneso.

Atene stringe alleanza con Argo e la Tessaglia, fece costruire una solida rete di mura tra Megara, Atene e il porto di Nisea. Callia stratega Ateniese, ottiene una pace con i persiani, nota come pace di Callia. A questo punto Atene non è più direttamente minacciata dai persiani, mentre sparta vive una crisi interna ed è costretta nella terza guerra Messenica.

Pericle, consapevole della superiorità della flotta ateniese, si impegna per la liberazione dell’Egeo, con successiva colonizzazione ateniese, e questo interferiva con le grandi Polis marittime di Corinto ed Egina –alleate di Sparta e città parte della lega del Peloponneso-. Egina e Corinto attaccano la flotta ateniese, Egina viene assediata e poco dopo entra a far parte della lega di Delo. Corinto assedia Megara, ma l’ateniese Mitanide rompe l’assedio. A questo punto Atene costruisce una nuova rete di mura tra Atene, Prieo, la baia di Falero. Sparta invece invade la Beozia. Mentre l’Acaia si allea con Atene.

Sul fronte egiziano, la spedizione di liberazione ateniese fallisce, e Cimone torna dall’esilio, concordando un tregua quinquennale, Argo però, rompe l’alleanza con Atene.

Nel 448 sparta interviene a Delfi contro i focesi, nella “seconda guerra sacra“.
Tebe appoggia rivolte oligarchiche in Beozia. La Tessaglia rimane così l’unica alleata di Atene, successivamente nel 446 il re spartano Pleisanotte invade l’attica, ma non attacca Atene, provocando così la fine dell’impero ateniese.

Viene concordata una nuova pace trentennale, pace che terminerà quando Atene mostrerà interesse negli scambi con la Magna Grecia. Si riuniscono dunque i rappresentanti della lega del Peloponneso, per decidere come reagire, ed il Re spartano Archidamo parlerà in favore della pace, nonostante ciò, si decise per un ultimatum verso Atene. Atene rifiutò le condizioni, ricordando i meriti contro i persiani, e si preparò per lo scontro, dall’altra parte re Archidmo, preparò l’assedio di Atene che ha inizio nel 431. Pericle da parte sua, sapeva bene che non avrebbe potuto fronteggiare il più potente esercito spartano, fece così rientrare tutta la popolazione entro le mura della città, rifornendo la città dal mare.

La flotta ateniese attaccò le coste del Peloponneso e conquista l’isola di Egina, Archidamo invece richiede aiuto estero , ma gli viene rifiutato. Sparta tenta anche di conquistare Megara ed Epidauro, ma fallisce.

Dopo un anno di assedio una pestilenza colpisce Atene e parte dell’assediante esercito Spartano, durante la peste del 430 Pericle perde la vita, viene sostituito da Cleone.

La guerra continua per procura anche nelle colonie della Magna Grecia, dove si combattono Reggio e Siracusa, ed Atene interviene nello scontro di Milazzo prendendo Messina. Gli scontri tra Sparta ed Atene si estendono su tutto il continente greco, al punto che Atene bloccherà la baia di Pilo in Messenia nel 425, mentre lo spartano Brasida conquisterà Anfipoli nel 422 (anfipoli era la maggior fornitrice di legname per la flotta ateniese). Con la conquista della città, il generale ateniese Tucidide è costretto ad abbandonare la città.

Successivamente Cleone tenterà di riprendere Anfipoli, ma cadranno in battaglia sia lui, sia Brasida. Nicia ottiene una pace, perché entrambe le Polis erano stanche da uno scontro di 10 anni ed una pestilenza, ma gli alleati non rispettano la tregua, e gli scontri si spostano in sicilia, dove Seleinutte è in guerra contro Segesta.
Atene interviene al fianco di Segesta, poiché Alcibade (nipote di Pericle ed uno dei capi ateniesi) puntava a conquistare la Sicilia.

Nel 415 la flotta ateniese salpa per la sicilia guidata da Alcibade, Nicia e Lamaco. Alcibade viene però accusato di aver mutilato le statue di Hermes, e gli viene imposto di tornare in patria per essere condannato, ma si rifiuta e si rifugia a Sparta diventando consigliere.

Nel 413 lo scontro in sicilia è quasi vinta dagli Ateniesi, ma Sparta interviene al fianco di Siracusa, rovesciando le sorti dello scontro.
In Grecia, Sparta organizza un nuovo assedio di Atene, questa volta però chiedendo in anticipo l’alleanza dei Persiani, quest’alleanza porterà un potente esercito terrestre (quello spartano) ad assediare Atene, e la flotta persiana a contrapporsi a quella Ateniese.

lo scontro si conclude in appena dieci anni, e nel 404 Atene esce sconfitta dalla battaglia di Egospotami, dove le ultime Trireme Ateniese vengono affondate.
Un contingente di opliti spartani occuperà Atene, e verranno istituiti 30 nuovi arconti, noti come i trenta tiranni, che rimarranno in carica appena un anno, prima che Trasibulo riporti la democrazia ad Atene.

Con la sconfitta di Atene, e l’istituzione dei trenta tiranni, si concludono il trentennio di guerre tra Sparta ed Atene, iniziato nel 431 noto come “Guerre del Peloponneso”.

Bibliografia 

Storia dei greci, Dalle origini alla conquista romana. di Claude Mossè e Annie Schnapp-goubeillon

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