Politica: Tra filosofia, storia e sfera pubblica

Spesso ci riempiamo la bocca con la parola “Politica” usata in modo inopportuno, o peggio, dispregiativo, relegandola a determinati soggetti e categorie di persone, i soli che “possono fare politica” perché sono politica, e se non si fa ha questa etichetta, l’etichetta di politico, allora non si fa, non si può “fare politica”. Ma cos’è la politica, cos’è davvero la politica, cosa vuol dire fare politica e soprattutto chi è il politico, ovvero colui che fa politica?

Nell’uso comune spesso si intende la politica come qualcosa che fare con forme partitiche in qualche modo legate a governi e amministrazioni, ad una sorta di leadership gerarchica della società, ma se andiamo alla radice del termine e del concetto stesso di politica, possiamo osservare che in realtà politica è qualcosa di diverso, molto più semplice e per questo estremamente complesso.

Una delle definizione più semplicistiche e generali che possiamo dare del concetto di politica è “tutto ciò che ha a che fare con la sfera pubblica“, ma in questo senso apparentemente semplificato e generale, tutto può diventare politica. Ed è davvero così? Davvero tutto può diventare politica? un concerto, uno spettacolo teatrale, un dibattito, una scampagnata con gli amici, o delle semplici chiacchiere tra due individui, di persona o sui social, sono tutti esempi diversi di “politica”?

Partendo da questa definizione generale, che comprende letteralmente qualunque interazione tra due o più individui, tutto sembra essere politica. In questo articolo proveremo a “raffinare”, se così si può dire, su base etimologica, storica e filosofica, il concetto di politica.

Alle origini del termine

La prima cosa da individuare è l’etimologia della parola “Politica”, un termine che trova le proprie radici nel termine greco politeia (πολιτεία), parola già in uso e con un concetto ben radicato nella cultura greca classica. Questa parola designa l’essenza stessa dell’organizzazione politica come atto collettivo che si lega ad un altro termine, ben più noto, legato anch’esso alla cultura greca classica, ovvero polis (πόλις), la città-stato greca.

Per capire meglio il significato della Politica quindi, dobbiamo comprendere meglio anche il concetto di Polis, che non è solo un entità geografica e amministrativa, che incontriamo nella penisola ellenica tra il VI e il III secolo avanti cristo, ma anche è un vero e proprio modello di organizzazione etica e sociale, che regola la convivenza umana.

Ed è proprio in quel sistema sociale che nasce la parola politica. Al tempo e nel mondo polis greche infatti, incontriamo i primi utilizzi “formale” della parola politica, o meglio Politeia. Tra questi utilizzatori del termine incontriamo Platone con la sua “Politeia”, un opera meglio nota in italiano come “La Repubblica”.

La Politica in età classica

La Repubblica di Platone, è un opera monumentale, è uno dei testi più importanti della storia della Filosofia, ed è scritto nella forma di un dialogo con Socrate, vero protagonista del libro in cui il filosofo greco, attraverso il proprio maestro, cerca di rispondere alle domande sulla natura della giustizia, di fatto l’opera è per certi versi un indagine sulla natura della giustizia e sulla sua importanza nella vita dell’uomo e nella società e, tra le altre cose, Platone esplora diverse forme di governo, tra quelle note all’epoca ed ipotetiche, individuando con straordinaria lucidità e in maniera quasi profetica, alcune delle maggiori criticità delle democrazie moderne, come ad esempio la “sete di libertà”.

Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.

Platone

Per Platone il concetto di politica è fortemente legato alla moralità, alla conoscenza, alla giustizia e alla capacità del buon governante, che per lui deve essere un Re Filosofo, di prendere decisioni che beneficino l’intera comunità.

Come Platone, anche il suo miglior allievo, Aristotele, userà il termine politica, nell’opera Politica, in greco Tá politiká (Τά πολιτικά) per descrivere le varie forme di governo e la scienza che studia l’organizzazione delle Polis, per il maestro di Alessandro Magno, il politico non è solo un legislatore, ma è qualcosa di più, poiché la politica è finalizzata alla filosofia ed ha il dovere di creare condizioni ottimali affinché si possa coltivare la scholè (tempo libero) e le attività teoretiche (filosofia, matematica, fisica ecc).

Più semplicemente, per Aristotele politica, non si limita alla semplice amministrazione statale, ma implica una visione olistica del vivere politico, del vivere pubblico, per cui l’amministrazione e la ogni attore attivo di quel luogo e quello spazio pubblico in cui l’individuo realizza la propria natura di zoon politikón (animale politico). Ciò significa che i tre concetti moderni di politica, pubblico e sociale, per Aristotele coincidono in maniera totale, sono sovrapponibili e sostituibili, di fatto sono la stessa cosa e questo perché per Aristotele, politica non è solo amministrazione, ma anche socialità.

Cambiando “mondo” e spostandoci in avanti nel tempo di qualche circa 2 secoli, arriviamo alla Roma del primo secolo a.c., qui Marco Tullio Cicerone aggiunge il proprio contributo al concetto di Politica con il suo De Republica, in cui il filosofo latino associa la res publica alla legge intesa come fondamento della comunità e definisce la politica come una sorta di scienza del governo, concetto che, in forma più o meno diversa verrà ripreso a più battute in tutto il medioevo culminando con il realismo politico di Machiavelli per il quale la politeia diventa arte del potere, per cui la politica mente o come è più comunemente noto “il fine giustifica i mezzi“.

Possiamo quindi definire politica come un qualcosa che si compone di due elementi, esercizio del potere e partecipazione attiva alla sfera pubblica.

Chi fa Politica? Cittadini e governanti

Che la si guardi in ottica moderna, medievale o classica, la politica ha un forte legame con il pubblico e con il sociale, sia quando è esercizio del potere per governare il popolo, sia quando è espressione della volontà del popolo, sia quando è al servizio del popolo. Ma chi fa politica? chi è il politico?

Nella Grecia classica esiste il termine polites con cui ci si riferisce a coloro che partecipavano attivamente alla vita pubblica, esercitando diritti e doveri, potremmo tradurre questo termine con il moderno “politico” o “cittadino”. Apriamo allora una parentesi sul cittadino, nel mondo antico la cittadinanza era un concetto abbastanza ampio, al punto che in epoca Romana, incontriamo nello stesso stato diverse forme di cittadinanza che riflettono privilegi. Oggi la cittadinanza è qualcosa di diverso rispetto a come era concepita nel mondo antico, dove, semplificando moltissimo, era qualcosa di molto simile al concetto moderno di “sovranità popolare”, di conseguenza il cittadino contribuisce alla formazione della volontà generale e vi è pertanto un rapporto di reciprocità tra cittadino e governante, che insieme, e solo insieme, sono espressione autentica della politica.

Nel mondo classico il politico è in sostanza un attore attivo della vita pubblica, c’è sinergia tra il “politico e il governante”, per Platone i governanti dovessero essere filosofi guidati dalla saggezza e al servizio del benessere collettivo. Nel medioevo tuttavia, Machiavelli rovescia questa prospettiva, descrivendo ne Il principe, il leader come un abile manipolatore delle circostanze, anteponendo la sopravvivenza dello stato alla virtù personale e dopo di lui Hobbes, nel Leviatano, teorizza un sovrano assoluto in grado di garantire sicurezza al popolo, il cui potere tuttavia non è immutabile ed è legittimato da un contratto sociale.

Abbiamo visto prospettive differenti, da Platone ad Hobbes, ma nella sostanza, il politico mantiene un elemento costante, ovvero il suo legame con la sfera pubblica. Politico e pubblico, continuano ad essere, nel XVII secolo, concetti sovrapponibili.

Il confine tra pubblico e politico?

Per gran parte della nostra storia, siamo arrivati ad Hobbes, ma in realtà ancora oggi, pubblico e politico sono concetti ampiamente sovrapponibili, risulta quindi necessario cercare di capire se c’è, e se c’è dov’è questa la linea di demarcazione tra Pubblico e Politico, cosa definisce l’azione politica?

Per Hannah Arendt la politica è l’essenza stessa dell’azione collettiva e della vita pubblica. Non si tratta più semplicemente di istituzioni, di procedure, ma di un esperienza umana fondamentale, che affonda le proprie radici nella capacità degli individui di agire insieme. La politica è a tutti gli effetti uno spazio d’incontro tra individui, un luogo di dialogo e di decisioni collettive, uno spazio vitale per il funzionamento delle democrazie.

La Politeia oggi

Oggi la Politica è un concetto dinamico, ridefinito innumerevoli volte nel corso dei secoli e dalle trasformazioni storiche e filosofiche, ma alcuni elementi sono sopravvissuti nel tempo, passando, almeno in Europa e nel Mediterraneo, dalle Polis all’impero di Alessandro a quello Romano, ai regni romano barbarici a gli stati nazione e le monarchie assolute europee, per poi sfociare negli imperi risorgimentali, nei totalitarismi e giungere, in fine, alle democrazie moderne.

Della politica oggi rimane fondamentalmente un amalgama sociale, che non è solo istituzioni statali, ma anche e soprattutto movimenti sociali, organizzazioni nazionali e internazionali, è dibattiti pubblici e digitali, mantenendo nel suo insieme un focus unico ancora fisso sull’ideale aristotelico del bene comune, che la storia ha piegato e adattato rendendolo ad oggi compatibile con un mondo follemente e ferocemente interconnesso, dove il “pubblico” supera ampiamente i confini tradizionali e dove, come scriveva Sandro Pertini, «la moralità dell’uomo politico consiste nel perseguire il bene comune».

Quella linea di demarcazione tra pubblico e politico a conti fatti, non l’abbiamo trovata e questo perché la sfera pubblica e sociale è qualcosa di interconnesso, in maniera indissolubile all’esercizio politico, è politica. D’altro canto però, negare l’appartenenza alla sfera pubblica e cercare di ostacolare la natura pubblica e sociale della politica, chiudere quello spazio collettivo, baluardo della libertà e della democrazia, aiuta alla creazione di terreno fertile per i sistemi totalitari, e non è un caso se nel proprio percorso storico, uomini come Mussolini, Hitler, Stalin, e qualsiasi altro dittatore mai esistito, abbiano costruito i propri regimi partendo proprio dalla censura e il “diritto alla censura”, rivendicando per se quella stessa libertà che negavano ai propri oppositori.

Si entra qui nel paradosso della tolleranza di Popper che possiamo esprimere parafrasando Luca Marinelli nei panni di Mussolini in M il figlio del Secolo “La democrazia è una cosa straordinaria, ti da la libertà di fare ogni cosa, anche di distruggerla”, e nel farlo, concretizza la profezia platonica dei Coppieri che ubriacano il popolo assetato di libertà, permettendo alla mala pianta della tirannia di germogliare.

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UCRAINA: Mosca convoca seduta straordinaria del Consiglio di Sicurezza

Ucraina: La russia convoca una seduta straordinaria del consiglio di sicurezza, per discutere della questione ucraina

Contro ogni previsione e in modo completamente inaspettato, l’ONU entra in gioco sulla questione Ucraina (finalmente) , su richiesta della Russia.

A quanto si legge, la Russia ha chiesto una seduta straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Perché la Russia ha convocato il cds? che, vista l’occupazione illegale della crimea e la presenza di militari russi in diverse regioni dell’ucraina, dovrebbe attivarsi contro la Russia, attivando un embargo totale (come previsto dall’articolo 41 della carta dell’ONU) contro la Russia che sta minacciando l’integrità e la sovranità nazionale dell’Ucraina?

La risposta a queste domande è nella retorica dell’isteria occidentale e la parallela fuga in massa di russofoni dall’Ucraina verso la Russia.

Il Cremlino parla di oltre 60mila rifugiati ucraini in Russia, rifugiati vessati da anni di conflitto interno al paese, che sono ora “esasperati” dalla presenza di militari occidentali nel paese.

Questo mi riporta alla mia teoria, avanzata diverse settimane fa, per cui, sarebbe arrivato il giorno in cui la Russia, avrebbe fatto un passo in avanti nella propria strategia, indicando gli USA come responsabili dei disordini in Ucraina

.La presenza in Ucraina di occidentali è, per la Russia, una minaccia, non solo ai propri confini, ma anche all’integrità della stessa Ucraina, e dunque, possiamo aspettarci che il consiglio di sicurezza delle nazioni unite, si esprimerà a favore dell’ucraina, richiedendo il ritiro delle forze NATO dal paese, o, più probabilmente, con un nulla di fatto dovuto all’attivazione di un veto degli USA che rifiuteranno di lasciare il paese.

Ecco quindi che la retorica dell’Isteria si trasforma in “legittima preoccupazione” della Russia, che sulla carta non ha ancora fatto nulla di male e anzi, ha addirittura convocato una seduta straordinaria del Consiglio di Sicurezza, dando l’idea di una “fiducia” istituzionale nel ruolo pacificatore delle nazioni unite.

Sta per iniziare, come avevo anticipato nel mio articolo del 15 febbraio, una nuova fase nella strategia russa, una fase che, molto probabilmente sarà incentrata sulla retorica dell’imperialismo americano, una retorica che ha il fine ultimo di legittimare l’ingresso nella regione del Donbass di militari Russi, perché il loro sarà un ingresso di carattere “difensivo” al fine di “pacificare” la regione e permettere ai rifugiati Ucraini in Russia, di rientrare nel proprio paese e nelle proprie case, che in questo momento non sono sicure a causa della guerra civile tra una “resistenza” da parte dei separatisti, e occupanti occidentali.

Sintetizzando al massimo quindi, il motivo per cui la Russia ha attivato l’ONU è che vuole rendere “illegittima” la presenza di militari occidentali in Ucraina, e, se dovesse fallire a causa del veto degli USA, potrò parlare di occupazione americana dell’Ucraina orientale.

Curdi traditi dagli USA?

Per anni, gli Stati Uniti sono stati accusati di trovarsi abusivamente in curdistan (turchia, siria, iraq, iran) e ora che vanno via, vengono criticati per essere andati via …

Curdi traditi dall’occidente, Curdi abbandonati dagli USA, gli USA si ritirano lasciando campo libero alla Turchia, ecc ecc ecc.

Questi sono, a grandi linee i titoli dei giornali nazionali e internazionali, sulla vicenda curda, la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi e la conseguente avanzata turca di occupazione di quei territori.

Oggi, intorno alla metà di ottobre del 2019 il mondo intero guarda con rabbia e punta il dito contro gli Stati Uniti, contro il presidente Trump, per aver abbandonato il popolo curdo, popolo che, durante la guerra all’ISIS è stato determinante nel conseguimento di alcuni importanti vittorie contro lo stato islamico.

Oggi la situazione è questa, i curdi vengono raccontati in questo modo, come un popolo senza stato. che è stato sfruttato durante la guerra e poi è stato abbandonato al proprio destino, gettato via come uno straccio vecchio che non serve più, dagli stati uniti.

Se però facciamo un salto in dietro nel tempo, di uno, due, tre, cinque anni, la narrazione cambia, pur non cambiando di una virgola.

La regione del Kurdistan

Per anni, durante la propria presenza nel vicino oriente, in quell’angolo di mondo diviso principalmente tra Siria, Turchia, Iraq e Iran, in cui dimora, separato da confini politici, il popolo curdo, gli Stati Uniti, sono stati accusati, rispettivamente da Siria, Turchia, Iran e Russia, di trovarsi lì’ illegalmente, di aver occupato in maniera illegittima il territorio siriano o turco.

Accuse abbastanza ridicole se lanciate dalla Russia che contemporaneamente portava avanti l'occupazione della Crimea, sottraendola con la forza all'Ucraina ed annettendola ai territori russi, dico ai territori e non allo stato perché se da un lato la Russia rivendica l'appartenenza della Crimea alla Russia, dall'altro, le persone che vivono in crimea, non godono di alcun diritto politico e civile, ma questa è un altra storia.

Per anni, gli Stati Uniti sono stati accusati, pubblicamente, sia dai leader delle singole nazioni, che dai loro rappresenanti alle Nazioni Unite, di trovarsi abusivamente nel vicino oriente, di torvarsi abusivamente in Siria e turchia e di interferire in operazioni che riguardavano esclusivamente Turchia e Siria, competenza poi estesa alla russia perché alleata della Siria e la cui presenza era legittimata dalle richieste del “legittimo” leader Siriano.

La cui legittimità è più quella di un principe ereditario che di un leader democraticamente eletto in una repubblica, ma anche questa è un altra storia.

Coem dicevo, per anni, è stato richiesto agli USA, dal mondo intero, e dal diritto internazionale, di ritirarsi dal “kurdistan”, ed ora che lo hanno fatto vengono, gli USA vengono accusati di aver abbandonato i curdi.

Insomma, che gli USA fossero rimasti o fossero andati via, sarebbero stati accusati di qualcosa.

Se ne evince che, il presidente Trump, ha fatto una scelta politica, ha messo sulla bilancia le due opzioni ed ha scelto quella più conveniente per il proprio paese, ed è questo, secondo me, il punto davvero interessante dell’intera vicenda, proverò quindi a fare la stessa cosa, e comparare le due opzioni, nel tentativo di capire perché gli USA hanno preferito ritirarsi, piuttosto che rimanere lì, garantire coperture al kurdistan e assicurarsi la fedeltà di un potenziale nuovo stato, in un area del mondo particolarmente problematica e interessante.

Per rispondere a questa domanda, bisogna ampliare lo sguardo, e guardare all’intero asset geopolitico degli USA in questo dato momento storico, e facendolo osserviamo che, la presenza gli USA nel mondo è fortemente ridimensionata rispetto a qualche anno fa.

Sul piano economico gli USA non sono poiù i padroni assoluti del mondo, e devono fare i conti con la concorrenziale economia dell’Unione Europea e l’ancora più pesante e competitiva economia Cinese.

Sul piano militare i suoi “nemici” storici, sembrano essersi rifugiati tutti sotto l’ombrello della Russia che a colpi di veto nel consiglio di sicurezza dell’ONU sta garantendo protezione a chiunque provi ad opporsi agli Stati Uniti, radunando attorno a se, una serie di stati, caratterizzati da una visione del mondo, fortemente anti americana, e tendenzialmente autoritaria, per non dire totalitaria (vedi la Corea del nord, Iran, Turchia, Siria e le new entry Venezuela e Brasile).

L’attuale asset internazionale delinea una politica estera statunitense, fondamentalmente in declino, e dall’altra parte un imperialismo russo sempre più incisivo ed espansivo.

Stiamo entrando in una nuova fase storica, in cui Mosca ha iniziato ad allungare i propri tentacoli sul mondo intero, e temo che questa nuova fase, sarà molto più violenta e controversa di quella che ci stiamo lasciando alle spalle in cui i tentacoli sul mondo partivano da Washington.

Il minor peso internazionale degli USA è facilmente individuabile attraverso le sue decisioni in poplitica estera, tra ritiri forzati e imposizione di dazi doganali, ed è ancora più concreta se ci spostiamo nel luogo in cui risiede il diritto internazionale, l’ONU.

Se ci pensate, è molto curioso che, poche settimane dopo la decisione dell’ONU di “condannare” la politica estera statunitense e le sue interferenze nella politica interna del Venezuela (che ricordiamo essere un alleato della Russia), gli stati uniti abbiano deciso di ritirarsi dal kurdistan, che ricordiamo, non esistere come stato e che si tratta di una regione condivisa tra Siria, Turchia Iraq e Iran, ed è curioso osservare come Tre di questi stati, siano alleati della Russia e dichiaratamente anti americani.

Personalmente credo che le due vicende siano strettamente collegate, e questo mi preoccupa non poco, perché se la mia ipotesi dovesse risultare esatta, se gli USA si stanno ritirando dal kurdistan per le pressioni di Mosca e dei suoi alleati in seno all’ONU, allora saremmo di fronte ad un grande problema, perché ciò significherebbe che ormai siamo prossimi al declino dell’ONU, che, ormai, è sempre più spesso abusato dalla Russia (e degli USA), molto più che durante la guerra fredda.

Personalmente dubito che assisteremo a breve allo scioglimento dell’organizzazione, temo invece che non assisteremo ad una sua riorganizzazione in senso democratico e al contrario, vedremo sempre più spesso l’ONU con le mani legate di fronte alle violazioni e agli abusi compiute da alcuni popoli e nazioni.

Concludendo, il problema degli USA è che dovevano scegliere se essere criticati per aver fatto la cosa “giusta”, ma non del tutto legittima, ovvero rimanere al fianco dei Curdi e riconoscere la loro esistenza come stato, oppure fare la cosa “sbagliata” ma muoversi nella legittimità del diritto internazionale.
Personalmente avrei preferito che gli USA rimanessero al fianco dei Curdi, perché ritengo che la loro presenza lì era “illegittima” semplicemente perché la Russia abusando di uno strumento obsoleto, nelle mani dei vincitori della seconda guerra mondiale, in seno all’onu, ovvero il diritto di veto.

Carola Rackete, una donna meravigliosa, con più palle della nazionale maschile di Rugby, e la volontà di lottare e morire per i propri ideali di giustizia universale.

Carola Rackete, una donna con più Palle della nazionale maschile di Rugby, Simbolo di un mondo in cui lottare per i propri ideali è ancora possibile, simbolo di un mondo in cui cè ancora speranza di salvezza per lumanità

Paura del diverso e del contrario, di chi lotta per cambiare,
paura delle idee di gente libera, che soffre, sbaglia e spera.

Con queste parole, nel 1994 Francesco Guccini descriveva gli USA per aver arrestato “preventivamenteSilvia Baraldini, accusata di star pianificando una rapina per finanziare il terrorismo in italia.
In quella canzone Guccini evidenzia un concetto fondamentale “non è possibile rinchiudere le idee in una prigione” e soprattutto che “da sempre l’ignoranza fa paura, ed il silenzio è uguale a morte” , e direi che questi due concetti, si adattano perfettamente al caso di Carola Rackete, arrestata più per le sue idee che per le sue azioni, e portatrice di valori ed idee che al bigotto mondo ultranazionalista fanno decisamente troppa paura. E nel suo caso, il suo silenzio, inteso come un non far nulla, sarebbe costato la vita ad oltre 40 persone, persone che oggi nessuno vuole, ma che se ci piaccia o meno, se non fosse stato per l’intervento di Carola, oggi sarebbero mangime per pesci.

Questi sono i miei due centesimi per Carola Rackete, una donna che non posso fare a meno di ritenere meravigliosa e non posso non associare alla figura di Silvia Baraldini, cantata da Francesco Guccini nel brano “canzone per Silvia“, ed approfitto di questo articolo per dedicare a Carola, questa meravigliosa canzone.

L’ONU è nata come istituzione volta a risolvere le controversie internazionali senza necessità di passare per l’uso della forza e delle armi, è nato come istituzione volta a bandire la guerra, ed è per questo che l’ONU non si è mai dotata di un proprio, reale, esercito, scegliendo invece la via delle “forze di pace“, ma l’ONU per essere il luogo di risoluzione delle controversie, deve avere anche la forza e gli strumenti per risolvere le controversie, e questi strumenti al momento non li ha, e dalla sua istituzione non li ha mai avuti.

Oggi l’ONU è un luogo di dialogo e confronto, ma la cui legge, che dovrebbe essere superiore a qualsiasi altra legge è in realtà solo fumo, molto fumo, un fumo così denso che fa lacrimare gli occhi e impedisce di vedere la realtà, ma pur sempre fumo, intangibile, e può essere spazzato via agitando qualche foglio di carta, come ad esempio un decreto legge ministeriale che de facto rende illegale quello che per il diritto internazionale dovrebbe essere un dovere universale. Soccorrere chi è in difficoltà e portare in salvo chi viene recuperato in mare.

Il ruolo del diritto internazionale rispetto al diritto nazionale non è chiaro e cristallino come sembra, e nei fatti si colloca in una zona grigia molto ambigua e complessa da decifrare, e nel tentativo di fare un po’ di chiarezza ho scritto questo articolo “ONU e Diritto Internazionale, una questione spinosa”

Qui c’è il paradosso di Carola Rackete, le cui azioni sul piano del diritto nazionale italiano, si sono compiute in una zona grigia al limite della legalità, tuttavia, secondo il diritto internazionale, secondo la convenzione di ginevra e la carta dei diritti fondamentali dell’uomo, non vi erano molte altre strade percorribili e le sue azioni sono per il diritto internazionale, pienamente legittime. Ma come dicevamo, il diritto internazionale, molto spesso, come in questo caso, è solo fumo.

In ogni caso comunque, Carola ha più palle di tutti gli italiani messi insieme, e al di la di ciò che verrà deciso dalla magistratura, non posso fare a meno di provare una profonda sttima per una donna, che in nome di un ideale ha deciso di mettere a rischio se stessa, la propria vita e la propria libertà.

Paura del diverso e del contrario, di chi lotta per cambiare,
paura delle idee di gente libera, che soffre, sbaglia e spera.
Nazione di bigotti! Ora vi chiedo di lasciarla ritornare
perché non è possibile rinchiudere le idee in una galera.

Come dicevo, non riesco a non associare Carola, questa donna a mio avviso meravigliosa, alla figura di Silvia Baraldini cantata da Guccini, riascoltando la Canzone per Silvia, ogni strofa, ogni verso, ogni singola parola, sembra scritto ora ed oggi e sembra raccontare e parlare di lei, di Carola, di questa donna che di fatto, ha commesso il grande crimine di essere una donna Libera guidata da una legge morale che si trova più in alto di qualsiasi altra legge terrena.

Come cantava Guccini, non è possibbile rinchiudere le idee in una prigione, e se all’epoca Guccini immaginava Silvia con indosso una maglietta con su scritte le parole “da sempre l’ignoranza fa paura, ed il silenzio è uguale a morte” io oggi vedo quella stessa maglietta indossata con fierezza da Carola, perché oggi come allora, il silenzio è uguale a morte, e il suo silenzio avrebbe significato la morte di oltre 40 persone.

Persone che se oggi sono vive è solo grazie a lei e alla sua precisa volontà di rispondere ad una legge superiore, per la quale la vita di ogni essere umano, viene prima di qualsiasi altra cosa, indipendentemente dal luogo in cui quelle persone sono nate, dal colore della loro pelle, dalla loro religione o dal fatto che i loro organi genitali siano interni anziché esterni.

ONU e diritto internazionale, una questione spinosa

È in giorni come questi, di grande turbamento, ambiguità e confusione sul piano internazionale e del diritto internazionale che l’ONU mostra la stessa fallacia che fu per la Società delle Nazioni quasi un secolo fa, e diventa sempre più evidente la necessità, oltre che l’urgenza di una profonda e sincera riflessione, sul ruolo e il funzionamento di questa organizzazione, de iure un istituzione internazionale, de facto, un mero accozzaglio di politicanti e burocrati senza alcun potere o autorità reale.

L’ONU oggi non ha il potere necessario ad imporre le norme del diritto internazionale ai propri membri, poiché afflitta da un male originale, quale un profondo deficit democratico e di natura politica, che accompagna l’istituzione sin dalla propria fondazione nell’immediato dopoguerra.

All’epoca l’ONU, il cui compito principale, la cui missione fondativa, la cui ragione d’essere, è la prevenzione dei conflitti tra le nazioni e la creazione di canali diplomatici in cui confrontarsi e dialogare in cerca di soluzioni alle controversie internazionali, quando venne creata, non aveva la possibilità di diventare pienamente il luogo della risoluzione delle controversie internazionali, perché il mondo, in quegli anni, stava ancora piangendo le vittime della seconda guerra mondiale e si stava preparando ad un conflitto politico e ideologico tra i due principali vincitori del conflitto.

La divergenza di visione tra USA e URSS, non è un segreto, ha mutilato l’ONU alle sue origini, che, con la creazione di un meccanismo di salvaguardia per le due super potenze ed i vincitori della seconda guerra mondiale, ha de facto reso nulla ogni possibile risoluzione onu che partisse da principi universali, limitando l’efficacia dell’organizzazione alle sole operazioni congrue alla volontà dei cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza.

I membri permanenti del consiglio di sicurezza hanno un potere enorme nell’istituzione, che non è il potere di decidere dove intervenire, ma qualcosa di molto più importante, il potere di decidere dove e quando l’ONU non può intervenire.

Nel mio podcast “l’osservatorio” su spotify e su youtube, ho parlato diverse volte dell’onu, delle sue origini e dei suoi limiti, e in questo articolo voglio soffermarmi ancora una volta sui limiti dell’ONU.

Il motivo per cui l’organizzazione delle nazioni unite ha poteri limitati è principalmente politco, oltre che storico e intreccia insieme la volontà dei vincitori della Seconda guerra mondiale, di ritagliarsi uno spazione nel nuovo ordine mondiale, e dall’altro lato, lanecessità, di rispettare la sovranità delle singole nazioni membre delle nazioni unite, e a scanso di equivoci, questa necessità, è a sua volta frutto della seconda guerra mondiale e dell’imminente guerra fredda.

L’onu delle origini doveva trovare un modo per permettere all’ONU stessa di collocarsi nel mondo al di sopra delle nazioni, affinché potesse rappresentare, come dicevo, quel luogo di confronto, in cui risolvere le controversie internazionali, senza ricorrere all’uso delle armi, ma, allo stesso tempo, doveva configurarsi come un istituzione subordinata alla volontà politica delle singole nazioni.

Il punto di incontro tra queste due necessità venne trovato nella creazione del consiglio di sicurezza dall’altro, e nella configurazione di un assemblea generale che avesse natura nominativa e non politica.

Detto più semplicemente, l’ONU, nel 1945, ha scartato la possibilità di creare la prima forma di un ipotessi di parlamento internazionale, preferendo creare un assemblea rappresentativa degli stati i cui membri non sono cariche elettive, ma nominali, e affidando ai singoli paesi piena autonomia sui modi e i mezzi per nominare i propri rappresentanti presso le nazioni unite, creando in questo modo un interessante paradosso.

Non avendo alcuna carica elettiva (nessun membro, commissario, rappresentante ecc, dell’ONU viene eletto) l’ONU non alcun tipo di potere politico, e sul piano giuridico, se bene rappresenti in un certo senso la sede centrale del diritto internazionale, e se bene , in un ordine gerarchico teorico, il diritto internazionale si pone al di sopra del diritto nazionale, in realtà, quel diritto non ha la forza di imporsi sul diritto nazionale che, prodotto da legislatori eletti, pur trovandosi gerarchicamente più in basso rispetto al diritto internazionale, politicamente è legittimamente e paradossalmente più in alto del diritto internazionale.

Va però precisato che, i singoli stati membri delle nazioni unite, hanno accettato implicitamente di riconoscere, sottoscrivendo i vari trattati, il diritto internazionale di cui l’ONU è depositario, riconoscendolo quindi, superiore al diritto nazionale.

Detto così sembra molto caotico e confusionario, e in effetti lo è, la questione del diritto internazionale è estremamente confusa, ma può essere semplificata in questo modo.

Il diritto internazionale è superiore al diritto nazionale, nei limiti concessi dal diritto nazionale, insomma, la legge internazionale esiste, ha valore, gli stati hanno l’obbligo di rispettarla e se non viene rispettata ci possono essere delle ripercussioni, a meno che non si abbiano le spalle coperte, come ad esempio facendo parte del consiglio permanente o più ambiguamente, tenendosi ben cari amici ed alleati che fanno parte del consiglio permanente.

Circa trent’anni fa, con la fine della guerra fredda, il mondo iniziava una prima riflessione sull’ONU e paventava la possibilità oltre che la necessità di una riforma dellorganizzazione, con una svolta di natura politica che segnasse il primo passo verso la costruzione di un primo tassello di quello che un giorno sarebbe potuto diventare un governo mondiale, nel quale tutti i popoli si sarebbero uniti in un unica nazione, nel nome del diritto internazionale dal valore universale.

Negli ultimi trent’anni questa riforma non c’è stata e anzi, l’ONU negli ultimi anni ha perso molta della propria autorità, sempre più spesso messa all’angolo dalle grandi potenze mondiali che de facto, dell’ONU e del diritto internazionale, perdonate il termine tecnico, se ne sciacquano le palle.

Adrian di Celentano, criticato da chi neanche ha visto l’anteprima.

Stavo leggendo alcune delle critiche mosse al primo episodio della serie “Adrian” e anche se non l’ho ancora visto (ieri ho visto solo l’anteprima), sono davvero tentato di pubblicare anche io una mia recensione, tanto… da quello che sto leggendo chi lo ha recensito su testate nazionali non lo ha visto e chi lo ha visto o comunque ha assistito all’anteprima, evidentemente non l’ha capita.

Io lo ammetto, ho visto solo l’anteprima e tutto ciò che si sta scrivendo in queste ore a proposito di Adrian era stato scritto, detto e predetto nella stessa anteprima, e questo non è accaduto perché Celentano conosce il futuro attraverso viaggi nel tempo o possiede una sfera di cristallo, semplicemente conosce la stampa, la sua disattenzione, la sua passione per il clamore e lo scandalo ed ha fatto sì che questi elementi mettessero in ombra, tra le pagine dei giornali, tutto il resto.

Non ho letto un solo articolo che parlasse di Adrian, ma ne ho letti a dozzine che parlavano dell’anteprima e visto che, almeno quella l’ho vista, ho alcune domande e osservazioni da sottoporvi.

Ho letto molte critiche, davvero tante, alle illustrazioni “troppo spinte” del cartone animato mandato in onda e che, a detta di molti, avrebbero dovuto segnalare con un bollino rosso. Mi chiedo se queste persone hanno mai visto un illustrazione di Milo Manara, Avanti Un Altro, un qualsiasi altro programma mediaset in cui ci sono delle ballerine e non c’è Gerry Scotty, o uno dei classici cine-panettone, lo chiedo perché il tasso di volgarità e nudità raggiunto nei suddetti film e programmi è di gran lunga superiore alle illustrazioni realizzate da Manara, e a proposito di Manara, Adrian è stato illustrato da Milo Manara, che, è uno dei più grandi illustratori erotici al mondo, dire che le sue illustrazioni sono erotiche è un po’ come scoprire l’acqua calda, e criticare queste illustrazioni, mentre si tace sulle prorompendi scollature e allusioni sessuali della Bonas di Avanti un altro è un chiaro segno di ipocrisia e malafede.

Ho letto critiche riguardanti la poca presenza di Celentano durante l’anteprima, e non posso fare a meno di chiedermi, queste persone dov’erano e cosa facevano, mentre il Natalino Balasso, comico bergamasco vestito da barbone, scherzava dicendo “avete pagato per non vedere Celentano” ? ma soprattutto, dove erano quando, durante le varie interviste che hanno preceduto la “serie evento” lo stesso Celentano dichiarava apertamente “Non ci saranno monologhi” e che la sua presenza fisica nello “show” sarebbe stata minima.

Sono curioso, voglio capire, perché vi aspettavate da Celentano qualcosa che lo stesso Celentano aveva dichiarato non ci sarebbe stato sottolineando che il cuore di Adrian sarebbe stato il “cartone animato” e non lo spettacolo Live?

Più leggevo recensioni e critiche, più la mia perplessità cresceva ed aumentavano i miei interrogativi. Come è possibile che nessuna delle recensioni e critiche sia andata a segno? come è possibile che chiunque (o quasi) si sia espresso su Adrian abbia puntato la lente sulle sagome, senza vedere cosa queste contenevano? come è possibile che la maggior parte delle recensioni abbiano osservato solo ed esclusivamente gli aspetti più superficiali dell’anteprima?

Cerco di spiegarmi meglio, nell’anteprima, chi ha prestato attenzione alla fila per l’arca, sottolineando la banale comicità di Nino Frassica e
Francesco Scali, era forse distratto quando quella stessa comicità banale “allontanava brutalmente dall’arca” gli animatori, gli illustratori e gli sceneggiatori della graphic novel Adrian, lasciando però “passare senza particolari obiezioni” verso la società del futuro, una bella ragazza senza alcun talento, un esibizionista ed un uomo a cui non serviva fare domande perché ad assicurare il suo passaggio era bastata una tangente da 250 mila euro pagata in contante ai frati doganieri.

Mi chiedo inoltre cosa stessero guardando questi severi critici durante il monologo di Natalino Balasso, quando il comico vestito da barbone, puntava il dito e attaccava duramente il governo ed i suoi sostenitori, dichiarando che avrebbe pagato volentieri “5000€ per non vedere Povia” (che ricordiamo essere uno dei più ferventi sostenitori di uno delle due forze di governo) per poi inasprire il monologo, riprendendo il discorso di fine anno del Presidente Mattarella, critica le politiche incentrate sulla sicurezza che però ignorano la criminalità organizzata e guardano dall’altra parte quando si ritrovano di fronte a dei crimini e abusi “domestici”, siano essi “femminicidio” o altro, dall’altra parte invece, in nome del decoro, persegue in maniera sproporzionata, la povera gente colpevole solo di avere tanta fame e nessun posto dove dormire.

Tutte critiche che ovviamente incontrano l’approvazione di Celentano che, nella sua breve apparizione, male interpretata, dichiara che approva tutto ciò che Balasso ha detto nel proprio monologo prima che i due bevano insieme, un gesto banale, classico che proietta su Balasso la figura di Celentano, i due in quei pochi istanti si fondono e quello che è stato il monologo critico di Balasso si configura come un vero e proprio monologo di Celentano.

Forse è vero che Adriano è stato fisicamente poco presente sul palco durante l’anteprima, ma la sua presenza in realtà è stata totale, in sua vece hanno parlato Frassica, Scali e Balasso ed hanno parlato ininterrottamente per più di 30 minuti… un po’ tanti se si considera che “non ci sarebbero stati lunghi monologhi” .

Ho letto critiche sugli ospiti assenti o defilati dallo show, che non parteciperanno ai prossimi episodi, senza che questi personaggi abbiano mai dichiarato la propria partecipazione o assenza …è un po’ come dire che io non sarò presente sul palco dell’Ariston, come ospite durante il Festival di Sanremo… altra scoperta dell’acqua calda visto che ancora una volta, nell’anteprima già tutto era stato detto e predetto.

Nei primissimi minuti di anteprima, nell’anteprima dell’anteprima, tra una pubblicità e l’altra, abbiamo potuto vedere Balasso parlare al confessionale, in cui, stando alle sue parole, Celentano si era ritirato in meditazione, invocandolo e invitandolo a palesarsi perché i giornali erano impazziti e stavano scrivendo di tutto, “ci accusano di tutto, dicono che hai lasciato lo spettacolo, e lo spettacolo non è ancora cominciato“.

Quanto ai commenti veri e propri su Adrian invece, si legge poco o nulla, qualcuno dice “Adrian è stato esattamente ciò che ci si aspettava”, e a questo punto è doveroso chiederlo, quale Adrian? di cosa state parlate? non avete speso una parola su Adrian, tutto ciò che è stato scritto riguarda l’anteprima ed è stato scritto esattamente ciò che Celentano voleva venisse scritto, è stato scritto ciò che si è detto nell’anteprima, facendo, di proposito o meno, il gioco di Celentano.
Per quanto riguarda la serie animata invece, io quella non l’ho vista, e credo non l’abbia vista nessuno (o quasi) di coloro che si sono espressi in merito.

Italiani Ubriachi di libertà, con a capo dei Coppieri che gliene versano quanta ne vuole.

“Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.”

Queste parole possono sembrare scritte “ieri” e pure sono vecchie di oltre duemila anni, a scriverle non è stato un capo politico, un giornalista, un “buonista”, non sono le parole di un qualche politico del Partito Democratico, di Liberi e Uguali o di + Europa, per criticare le scelte e la politica del governo Lega-M5S, ma sono state scritte da Platone nel libro VIII della Repubblica, e per quanto “vecchie”, sono parole estremamente attuali, sono riflessioni ancora oggi estremamente valide e veritiere che dipingono alla perfezione la realtà politica del nostro paese in questo preciso momento storico.

La prima volta che ho letto, o meglio, che ho ascoltato queste parole è stato ai tempi della scuola, io sono un perito informatico e nella mia scuola non c’era l’ora di filosofia, ma avevo un insegnante, Lucio di Costanzo, professore di Elettronica che era profondamente convinto che il compito della scuola non fosse solo quello di insegnarci nozioni, ma che dovesse prepararci alla vita, per lui la scuola era soprattutto scuola di vita e nelle sue ore, almeno una volta all’anno ci faceva leggere questo passaggio della Repubblica di Platone spingendoci a riflettere sul suo contenuto. All’epoca non ne comprendevo a pieno il significato, la politica non mi interessava, la prima volta che ho votato ho annullato la scheda perché mi era indifferente scegliere e preferire l’uno o l’altro partito, e quelle ore passate a leggere Platone e chiacchierare di attualità per me erano solo un ottima scusa per non studiare resistenze, condensatori, transistor e circuiti elettronici, e pure, oggi, quelle ore sono forse il ricordo più vivo e importante degli anni della scuola. A distanza di oltre dieci anni ne comprendo il valore, ne comprendo il significato e soprattutto ne comprendo l’importanza.
Se oggi ho una coscienza politica, se oggi sono uno “studioso di storia” e mi interesso di attualità e alla realtà politica è anche grazie a lui, ma non voglio annoiarvi con i miei racconti della scuola, voglio invece, con questo post, riproporre a voi alcune riflessioni sul testo di Platone, e mi scuso con eventuali puristi che si sentiranno infastiditi dal fatto che non ho riportato il testo in Greco Antico e si sentiranno offesi dal fatto che parlo di Platone senza mai aver letto o tradotto i suoi libri, ma basandomi solo su traduzioni altrui, ma come vi dicevo, sono un perito informatico, non ho mai studiato greco antico, ne filosofia antica.

Indipendentemente dalla mia superficiale conoscenza dell’opera di Platone, questo passaggio del libro ottavo della repubblica resta estremamente chiaro ed eloquente.
Oggi viviamo in un epoca di estrema libertà, una libertà tale da permettere a chiunque di esprimere la propria opinione e questo, grazie anche agli strumenti offerti dal web, come forum, blog e social network. Viviamo in un epoca talmente libera che una persona con la terza elementare può sentirsi in diritto di criticare le scelte del governo (un diritto sacrosanto, sia chiaro) e di mettere becco in questioni di cui non ha la minima conoscenza e competenza, viviamo in un epoca in cui consiglieri regionali di taluni partiti politici mettono in discussione i progressi della scienza moderna e della medicina, con campagne politiche contro i vaccini, responsabili nella loro visione, di chissà quale malattia e pure basta fare qualche rapida ricerca sul web, o in biblioteca, per scoprire che grazie alla medicina moderna l’età media della vita, nel mondo “civilizzato” si è alzata esponenzialmente nell’ultimo secolo e mezzo. Prima dell’Unità d’Italia, nel nostro paese c’era un elevatissimo tasso di mortalità infantile e l’età media si aggirava intorno ai 60 anni. A distanza di un secolo e mezzo una persona di sessant’anni è considerata ancora abile al lavoro, e ben lontana dalla possibilità di un pensionamento. Certo, anche centocinquanta anni fa a sessant’anni una persona lavorava ancora, ma parliamo di un epoca in cui si lavorava da quando si era in grado di mantenere una pala in mano e trasportare un cesto pieno, fino alla morte, non c’era pensione, non c’era riposo, c’era solo duro lavoro e tanta fame.
Oggi le cose sono profondamente diverse, nell’ultimo secolo e mezzo, il succedersi al governo e al potere, in Italia (e più in generale in Europa e nel mondo) le varie forze politiche, siano esse di destra, di centro o di sinistra, hanno ottenuto importanti conquiste volte a migliorare progressivamente le condizioni di vita e di lavoro. Non sono ovviamente mancati errori e passi indietro, né sono mancate manovre che hanno limitato le possibilità lavorative delle persone, ma nel complesso, rispetto al 1861, anno dell’unità d’Italia, ma anche solo rispetto ad un secolo fa e ancora, rispetto a 50, 30, 20 anni fa, è innegabile che le condizioni di vita e di lavoro (legali) delle persone in Italia siano migliorate. Oggi le persone dispongono di giornate più “lunghe” grazie al miglioramento dei trasporti, dispongono di una vita più lunga, grazie a medicinali e assistenza sanitaria, e qualcuno di più fortunato, se riesce ad andare in pensione dopo quarant’anni di lavoro, può finalmente godersi un po’ di meritato riposo.
Sia chiaro, è estremamente legittimo criticare quelle manovre e decisioni dei governi passati e presenti che sono andate e vanno a “limitare” tutte queste conquiste, sociali e civili, è più che legittimo criticare quelle riforme che hanno limitato le possibilità di lavoro ed impedito l’accesso alla pensione a milioni di italiani, così come è legittimo criticare quelle decisioni volte a limitare i diritti conquistati in questi anni. Penso al diritto allo studio, penso al diritto alla vita, penso al diritto di poter condividere la vita con la persona che si ama, indipendentemente dal proprio sesso ed orientamento sessuale, indipendentemente dalla propria etnia.
Ma in questo clima di liberà senza precedenti, in cui è possibile parlare di terra-piatta, di scie chimiche e di cospirazioni globali per la sostituzione etnica dell’Europa, senza però dare una concreta spiegazione delle ragioni per cui ci sarebbero queste cospirazioni, in questo clima in cui ognuno può esprimere la propria opinione, come è giusto che sia, la sete di liberà di un popolo comincia a crescere, cresce sempre di più, ed è una sete che non può essere arrestata. Con l’aumento della sete di libertà si rivendicano diritti biechi e incompatibili con quelli già riconosciuti, si rivendica il diritto al razzismo, si rivendica il diritto alla violenza, si rivendica il diritto alla libertà di parola per insultare e minacciare chi la pensa diversamente condannando il libero pensiero che per assurdo viene indicato come pensiero unico e si rivendica il pensiero unico, forzando chi la pensa diversamente a rinunciare alla propria libertà di pensiero e di espressione per sottomettersi ad un reale pensiero unico.
In questo clima di libertà senza precedenti, un giornalista che critica il governo, le decisioni e dichiarazioni di un ministro, viene querelato e minacciato dal suddetto ministro, un ministro che, come scriveva Platone qualche millennio fa, è un coppiere pronto a riempire il calice dei propri clienti, versandogli apparentemente in maniera gratuita, tutto il vino che desidera fino ad ubriacarlo e alla fine si ritrova ad avere una locanda piena di gente ubriaca che si lascia andare a pensieri e riflessioni deliranti e irrazionali, tra un conato di vomito ed una scoreggia.
In questo clima di ubriachezza, voluta dal coppiere, il coppiere diventa un benefattore, e chi invece proverà a dirgli “smettila di bere”, si trasformerà in un nemico, qualcuno che non vuole di troppo severo e ligio al dovere che vuole limitare la nostra libertà di bere e ubriacarci.
Il bevitore però non sa che alla fine lui o i suoi figli dovranno comunque pagare il conto e sarà un conto estremamente salato, fino a quel momento lui continuerà a bere ed abbuffarsi, nel solo interesse del coppiere e del proprietario della taverna/locanda. Una locanda che alla fine sarà sporca di vomito e puzzerà da far schifo, una locanda in cui magari ci sarà anche qualche rissa, qualcuna finirà presto, qualcun’altra finirà male, e l’amico, io genitore, il figlio che proverà a far smettere qualcuno di bere, probabilmente tornerà a casa con un occhio nero.

In questo clima di estrema libertà dovremmo avere al capo dei governi non dei coppieri, ma dei genitori che contro la nostra volontà ci facciano smettere di bere, per non vederci stare male, e in questa immagine il popolo appare come un figlio giovane e assetato di libertà e di vino, un giovane che non sempre riuscirà a comprendere le decisioni dei propri genitori, non subito almeno, e finché avrà chi gli versa da bere, preferirà comunque bere e allora, come scriveva Platone, “il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi (vedi reddito di cittadinanza – M5S), e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani (vedi reddito di inclusione – PD).

In questo clima di libertà senza precedenti, ancora una volta come scriveva Platone “nel nome della medesima libertà, non vi è più riguardo per nessuno” e “In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia”.

Sono passati più di duemila anni da quanto Platone ha scritto queste parole, sono passati più di duemila anni da quando queste riflessioni descrivevano la decadenza dell’antica e gloriosa civiltà ateniese che di lì a qualche anno sarebbe sprofondata inglobata, insieme a tutta la Grecia, nell’impero di Alessandro Magno prima e in quello romano poi.

Mi auguro che nella nostra epoca gli Italiani siano più razionali e responsabili degli antichi ateniesi, mi auguro che ci sia un risveglio delle coscienze degli italiani e che questi smettano di bere prima che sia troppo tardi, mi auguro che gli italiani ritornino presto a pensare con lucidità e buon senso e mi auguro che questo risveglio delle coscienze avvenga prima che la pianta della tirannia possa radicarsi troppo nel profondo nella nostra civiltà e dare i propri nocivi frutti che se mangiati avveleneranno definitivamente i cuori degli italiani, condannandoli nuovamente ad un terribile oblio che metterà a ferro e fuoco la nostra civiltà.

Mattarella ha fatto il suo dovere, Salvini e Di Maio hanno pisciato sulla costituzione

Sergio Mattarella ha fatto il proprio dovere di Presidente della Repubblica, nel rispetto e nei limiti della costituzione italiana, quanto a Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Giorgia Meloni, per dirla con una metafora, molto pittoresca, hanno pisciato sulla costituzione e cagato nei corridoi del quirinale per poi puntare il dito contro Mattarella, dicendo che era già sporco di merda quando sono arrivati.

Fatta questa premessa molto forte e di impatto che ha il solo scopo di far incazzare la maggior parte dei lettori, torniamo razionali, torniamo seri e cerchiamo di contestualizzare storicamente quello che è successo negli ultimi giorni.

Stavo ragionando in merito ai più recenti avvenimenti della politica italiana quando mi si è accesa una lampadina poco incoraggiante e un pensiero trasversale mi ha portato ad associare la rinuncia di Giuseppe Conte all’abbandono della delegazione italiana alla conferenza di londra del 1920, la conferenza in cui avvenne la ripartizione tra le potenze vincitrici della prima guerra mondiale, dei possedimenti coloniali ed alcune aree territoriali delle potenze sconfitte.

In quell’occasione la delegazione Italiana chiedeva a gran voce il riconoscimento del proprio successo bellico e della concessione di alcuni territori fino a quel momento posti sotto il controllo dell’ex impero austro-ungarico, tuttavia, trovando inascoltate le proprie richieste, decise di utilizzare come strumento di pressione, la famosa politica della sedia vuota, abbandonando la conferenza nel tentativo di rafforzare la propria posizione.

Come è noto questa strategia si tradusse in un fallimento politico internazionale per l’italia che, invece di ottenere ciò che richiedeva, si ritrovò esclusa dalla ripartizione territoriale, segnando così l’inizio del moto politico della vittoria mutilata di cui il partito nazionale fascista sarebbe diventato un portavoce privilegiato e grazie al quale avrebbe rafforzato e consolidato sempre di più la propria posizione politica fino ad ottenere un sempre maggiore consenso popolare che si sarebbe tradotto, in pochi anni, nella dittatura fascista.

Ma perché la “fuga” di Conte mi ha ricordato la conferenza di Londra?

Fondamentalmente perché la rinuncia di conte è stata dettata, con molte probabilità, da una precisa strategia politica dettata da Matteo Salvini e Luigi di Maio, il cui intento potrebbe essere quello di rafforzare la propria posizione politica nel paese ed accrescere i propri consensi utilizzando una vecchia ricetta, risalente ai tempi di Giulio Cesare, sempre molto efficace per ottenere il consenso delle masse popolari.

Come già Benedetto Croce osservò agli inizi del novecento, commentando il collasso della destra storica che portò al potere la sinistra permettendo in seguito la nascita del fenomeno del trasformismo, osservò che questi, il trasformismo, era stato possibile proprio grazie al tracollo della destra che aveva portato al successo la sinistra cavalcando l’onda del dissenso, costruendo una forte campagna di opposizione alle leadership politiche preesistenti, alla troppo rigida politica fiscale imposta dalla destra per sanare il debito italiano. Croce osserva che è molto facile ottenere consensi cavalcando il dissenso, e sulla stessa linea sarebbe stata, qualche decennio più tardi, anche Hannah Arendt, con il suo Le origini del Totalitarismo, opera in cui avrebbe individuato quella che in qualche modo possiamo identificare come la ricetta perfetta per raggiungere il potere grazie all’appoggio delle masse popolari e nello specifico per la creazione di un “regime totalitario“.

Sia Depretis che i regimi totalitari descritti dalla Arendt riescono a conquistare il potere proprio cavalcando il dissenso popolare, il malcontento, facendo proprie alcune tematiche sociali in qualche modo dimenticate o mal comunicate dall’altra parte, ed individuando un nemico esterno contro cui convogliare le proprie energie. Utilizzare una minaccia esterna alla nazione, alla repubblica, per ottenere vantaggi, è sempre stato un elemento vincente, basti guardare alla nascita dell’impero galattico nella saga cinematografica di Star Wars, o se vogliamo restare con i piedi piantati nella storia reale, alla nascita del Terzo Reich, alla nascita dell’Unione Sovietica, alla nascita del primo e del secondo impero francese, alla dittatura di Oliver Cromwell ecc ecc ecc fino ad arrivare alla nascita dell’impero romano e l’impero ateniense di Pericle.

In tutti questi casi l’ordinamento repubblicano è venuto a mancare, portando al conferimento di poteri speciali ai capi politici, trasformando de facto quei sistemi politici “repubblicani” in sistemi totalitari, dal sapore monarchico, senza però assumere ufficialmente il titolo di “monarchia”, Pericle divenne “primo cittadino Ateniense“, Cesare venne proclamato dittatore a vita, Ottaviano scelse il “titolo” di Augusto, Cromwell divenne Lord Protettore, Napoleone fu proclamato Primo console (e poi imperatore), come anche Napoleone III e il cancelliere Palpatine in Star Wars, Lienin prima e Stalini poi, avevano assunto per loro le principali cariche dell’URSS ed Hitler divenne Führer, un titolo costruito ad hoc, che formalmente significava capo assoluto dello stato.

Le loro esperienze politiche e militari, sono molto diverse, e pure, presentano numerosi elementi di congiunzione, tutti loro riuscirono a trasformare l’ordinamento repubblicano, assumendo poteri straordinari a tempo indeterminato, e in tutti i casi sopracitati, questa assunzione di poteri straordinari fu determinata dalla necessità e dalla volontà popolare, di contrastare una minaccia politica/economica/militare interna o esterna, che rischiava di distruggere la pace e il benessere della repubblica. In tutti questi casi la repubblica aveva attraversato un periodo più o meno lungo di crisi istituzionale, che aveva portato ad una perdita di fiducia nelle istituzioni tradizionali.

Nel caso di Pericle, Atene era stata impegnata nelle guerre del Peloponneso, la Roma di Cesare e di Ottaviano aveva conosciuto quasi un secolo di guerra civile, con Cromwell, il regno unito aveva appena iniziato a muovere i primi passi in un sistema repubblicano, la francia di Napoleone Bonaparte e di Napoleone III aveva appena attraversato una forte e dolorosa ondata rivoluzionaria, la Russia di Lienin aveva conosciuto la rivoluzione, la caduta degli Zar e la prima guerra mondiale, e la Germania di Hitler veniva dalla sconfitta nella prima guerra mondiale e dalla fallimentare esperienza della repubblica di Weimar, l’Impero galattico, aveva conosciuto una profonda crisi finanziaria ed una colossale guerra civile durata più di vent’anni e in fine, ma non meno importante, anche se non costituì l’avvento di una dittatura, il successo elettorale di Agostino Depretis nel 1876, venne dopo quindici anni di politiche economiche e sociali che non erano riuscite a sanare la frattura sociale tra l’italia meridionale e l’italia settentrionale, e in cui, si era prodotto un progressivo inasprimento delle politiche economiche giunto al proprio culmine con la creazione di tasse altamente impopolari, come la tassa sul macinato, il tutto, agli albori della storia unitaria del neonato regno d’italia che, nel 1876 esisteva ufficialmente da soli quindici anni.

Potrei andare avanti all’infinito, di esempi ne abbiamo ancora a migliaia, ma direi che possiamo anche fermarci qui, quelli elencati ci forniscono un immagine molto nitida di questa particolare meccanica politica che, a tutti gli effetti possiamo identificare come una dinamica storica.

Non vi è miglior modo per compattare la propria base elettorale per produrre la nascita di una nazione se non quello di individuare un nemico esterno con il quale non è possibile identificarsi e a cui attribuire la responsabilità di ogni male e disfunzione della nostra società e questo lo sanno anche i bambini.

Intorno all’anno 1096 l’europa era fortemente frantuma, il potere ecclesiastico e quello imperiale erano in forte competizione, l’europa viveva a pieno le lotte per le investiture e in quel momento storico, fu adottata, ancora una volta questa ricetta, il nemico dell’europa, nello scontro tra Papato ed Impero, fu individuato nel mondo islamico, nel controllo della terra santa e fu indetta la prima crociata che, tra le mille ragioni economiche e politiche possiamo certamente indicare la necessità di spostare l’attenzione su un nemico esterno per rafforzare la politica interna.

Ci tengo a sottolineare che, non tutti gli esempi che ho citato produssero un effettivo regime totalitario e in alcuni casi ciò che venne a crearsi fu un sistema istituzionale “positivo” e magari anche democratico, basti pensare all’Atene di Pericle o all’Italia di Depretis. Ciò accomuna tutti gli esempi sopracitati (e anche quelli che non ho citato perché sarebbero troppi da citare tutti) non è la natura totalitaria del sistema politico che venne a crearsi, non sto riscrivendo le origini del totalitarismo, non sono certo Hannah Arendt, ciò che li accomuna è che è al centro di questo articolo, fu la strategia politica, comunicativa, espressiva, che venne utilizzata per il raggiungimento del potere ed è una strategia che possiamo individuare nell’attuale politica italiana di Lega e Movimento 5 Stelle.

A scanso di equivoci, con questo articolo non voglio insinuare in alcun modo che Lega e Movimento puntino a creare un regime totalitario in italia, ciò che mi interessa fare con questo articolo è  analizzare e contestualizzare storicamente la strategia politica utilizzata dalle due forze politiche che hanno monopolizzato il terreno del dissenso generale.

Come abbiamo visto fino ad ora, la linea politica scelta dai due partiti non è certo un invenzione del ventunesimo secolo, non è certo il frutto del meticoloso lavoro di un brillante e innovativo stratega politico, la strategia utilizzata è una strategia vecchia, antica, quasi ammuffita se non fosse che è una strategia efficace, funziona oggi come funzionava il secolo scorso e come funzionava duemila anni fa.

Matteo Salvini e Luigi di Maio non sono altro che dei novelli Marco Antonio e Ottaviano, durante il secondo triumvirato, accomunati da un senso di rivalsa e di vendetta nei confronti dei cesaricidi, presentati al popolo romano come cospiratori che avevano attentato alle istituzioni repubblicane e ottenendo l’appoggio delle istituzioni repubblicane e del popolo romano per sconfiggere questo nemico comune.

Marco Antonio ed Ottaviano costruirono la propria campagna politica puntando sulla guerra contro i cesaricidi facendo passare l’idea che l’assassinio di cesare fosse un attentato alla repubblica e che i cesaricidi fossero dei criminali, perché in effetti Cesare ricopriva quella posizione di dittatore a vita in maniera legittima e godeva di un enorme consenso popolare, de facto assassinare cesare e soprattutto assassinare il leader supremo Cesare fu effettivamente un attacco “terroristico” ai danni della repubblica. Va però ricordato che il primo ad attentare alla repubblica fu proprio Cesare che aveva assunto per se poteri politici illimitati, e li aveva ottenuti in maniera legittima perché lui, li aveva resi legittimi, dall’altra parte i cesaricidi avevano agito al di fuori della legalità perché posti fuori dalla legalità da Cesare, ma, nei loro intenti,  ambivano alla ricostruzione della repubblica, una repubblica che da quasi un secolo, tra guerre sociali e guerre civili, aveva smesso di funzionare regolarmente.

Vi è dunque una forte ambiguità giuridica nella vicenda del cesaricidio che, a seconda della chiave interpretativa, può dare ragione ai Cesaricidi o ad Ottaviano e Marco Antonio.

Ed è proprio partendo da questa ambiguità giuridica che parte la mia associazione di Salvini e DiMaio a Marco Antonio ed Ottaviano, poiché, in seguito alla rinuncia di Conte all’incarico di presidente del consiglio dei ministri dovuto al veto posto dal presidente della repubblica Sergio Mattarella sul nome del proposto ministro dell’economia e della finanza Paolo Savona, Salvini e Di Maio, hanno gridato nelle rispettive dirette su facebook, ad un Attacco alla democrazia da parte del Presidente Mattarella, il quale, secondo i due politicanti avrebbe “abusato” dei propri poteri di capo dello stato, imponendo la sostituzione di un ministro, rivendicando così una presunta ambiguità giuridica nelle azioni di Mattarella.

In realtà nella decisione del Presidente della Repubblica non ci è alcuna ambiguità giuridica, in quanto gli articoli 87 e 92 della costituzione italiana, sono abbastanza chiari ed esplicativi, il Presidente della Repubblica nomina il presidente del consiglio e su proposta di questo i ministri. Va da se che il termine “proposta” implica la possibilità di un rifiuto di quei ministri e quindi la necessità di proporne semplicemente di nuovi.

In questo senso, non è infatti anomalo, nella storia dell’Italia repubblicana, imbattersi in Presidenti della Repubblica che, nel pieno dei propri poteri riconosciuti dalla costituzione, hanno richiesto al presidente del consiglio di sostituire alcuni nomi, basti ricordare che:

Nel 1979, il presidente Sandro Pertini, il più amato dagli italiani, bocciò il nome di Clelio Darida, proposto dal presidente del consiglio Francesco Cossiga per il ministero della difesa, la risposta di Cossiga a questo rifiuto fu la sostituzione del nome di Darida con quello di Attilio Ruffini, ma il cambio di nome sulla poltrona ministeriale non costituì un cambio della politica di Cossiga sul tema della difesa.

Nel 1994, il presidente Oscar Luigi Scalfaro, bocciò il nome di Cesare Previti, proposto da Silvio Berlusconi per il ministero della Giustizia, come Cossiga prima di lui, Berlusconi sostituì il nome di Previti con quello di Alfredo Biondi senza però modificare la politica del governo Belusconi I sul tema della giustizia.

Nel 2001, il presidente Carlo Azeglio Ciampi, bocciò, il nome di Roberto Maroni, proposto da Silvio Berlusconi, per il ministero della Giustizia, come già accaduto nel 94, Berlusconi cambiò il nome del ministro ma non la politica del suo governo sul tema della giustizia.

In fine, ma non meno importante, nel 2014, il presidente Giorgio Napolitano, bocciò il nome di Nicola Gratteri proposto da Matteo Renzi per il ministero della giustizia. Come tutti i suoi predecessori, il rifiuto del presidente della repubblica per il nome di un ministro non portò al fallimento del governo o ad un cambio di rotta del governo sul tema della giustizia, Renzi, come Berlusconi e Cossiga prima di lui, si limitò ad indicare un nuovo nome per il ministero e la sua scelta ricadde sul nome di Andrea Orlando.

Quest’ultimo nome è forse quello più interessante per l’esempio e per demistificare la teoria cospirazionista avanzata da Lega e Movimento 5 Stelle secondo cui vi sarebbe un potere occulto a Bruxelle che vuole rendere schiavo il popolo italiano e i poteri forti nazionali, incarnati dalla politica di Matteo Renzi e del Partito Democratico sarebbero al servizio di questo potere occulto, e pure, lo stesso Matteo Renzi, che secondo la teoria cospirazionista era al servizio di queste forze occulte, nel 2014, ha visto bocciare uno dei ministri che aveva proposto, Renzi non era un servo di quei poteri forti? perché Napolitano gli bocciò il nome di Gratteri? questa bocciatura rappresenta una falla di proporzioni bibliche nella teoria cospirazionista.

La bocciatura di un nome per un ministero, non è altro che una questione di formalità, in quanto, in una repubblica parlamentare, i ministri non agiscono e non possono agire in piena autonomia, ma devono rispondere alle linee guida fornite dal parlamento e dai partiti che lo compongono, de facto i ministri non dettano la direzione del ministero ma ne incarnano il volto, sono una sorta di biglietto da visita e svolgono una funzione prevalentemente di rappresentanza oltre che politico amministrativa.

In questo caso specifico, in cui lo stesso presidente del consiglio dei ministri Giuseppe Conte avrebbe ricoperto un ruolo prevalentemente politico e le cui decisioni, tra cui la stessa rosa dei ministri, sarebbero dipese quasi totalmente dalla volontà dei due vicepresidente del consiglio proposti, Matteo Salvini e Luigi DiMaio, il nome del ministro incaricato sarebbe totalmente irrilevante e la linea d’azione di quel ministero sarebbe dipesa esclusivamente dalle direttive gialloverdi e se dai due partiti e dai due leader politici vi fosse stata una reale inclinazione democratica alla formazione di un governo, sarebbe stato sufficiente indicare un nome alternativo ed indicare Paolo Savona come sottosegretario, affidando de facto a lui il controllo formale del ministero, ma ponendo un volto differente.

Il ritiro immediato di Conte difronte alla richiesta del presidente della repubblica di proporre un nome differente per il ministero dell’economia e la netta chiusura di Matteo Salvini e Luigi DiMaio al dialogo democratico, si traduce in un reale attacco alla democrazia che in apertura ho descritto come un pisciare sulla costituzione e cagare nei corridoi del Quirinale per poi puntare il dito contro Mattarella, un uomo che ha assolto ai propri doveri in maniera encomiabile e concedendo fin troppo tempo e fiducia a due forze politiche costituenti una maggioranza estremamente fragile, e questa fragilità è emersa alla prima incertezza, alla prima indecisione, alla prima richiesta di una reale attività politica, avendo come effetto un irrazionale e sproporzionata chiusura alle istituzioni. Sergio Mattarella ha concesso a Salvini e DiMaio tempo e fiducia, ha affidato loro il futuro del nostro paese ed in cambio ha chiesto un dialogo che gli è stato negato ed ha ottenuto come risultato insulti e minacce ingiustificabili ed estremamente gravi, i cui autori, per quanto mi riguarda, dovrebbero essere condotti dinanzi alla giustizia dalle autorità competenti.

Il cuore della COSTITUZIONE – Articolo terzo dei principi fondamentali

Personalmente credo che i principi fondamentali della costituzione, e in realtà tutta la costituzione siano superflui, o meglio, che facciano da contorno e servano a rafforzare e proteggere un unico principio inviolabile.

Questo principio è sancito in maniera indelebile dall’articolo 3 della costituzione ed esso, a mio avviso, rappresenta il cuore pulsante della costituzione, il centro gravitazionale attorno a cui tutto ruota, il cardine stesso della costituzione. Tutti i principi fondamentali e tutti gli altri articoli servono ad adornare e completare questo articolo, che di perse dice tutto quello che c’è bisogno di dire; mi piace pensare che la costituzione rappresenti un insieme di regole che hanno il preciso compito di rendere attuabile quanto comandato nell’articolo terzo dei principi fondamentali.

Per chi non lo sapesse, l’articolo terzo dei principi fondamentali della costituzione recita queste parole:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”

L’articolo in realtà è molto più lungo, e in questo post cercheremo di spiegarlo tutto, ma già queste prime parole ne definiscono l’essenza, tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, rileggiamolo, ripetiamolo, ascoltiamolo, ascoltiamo come suona bene, come suonano bene queste parole, sono parole magnifiche, candide, pure, immacolate, sembrano pronunciate da un bambino che con ingenuità crede ancora nelle favole e nella magia, sono parole che toccano direttamente il cuore degli italiani e per non lasciare spazio alle interpretazioni degli adulti, che si sa, hanno smesso di sognare già da qualche anno, l’articolo stesso ci tiene a sottolineare che quel “tutti” non è messo lì per caso, non è una parola usata tanto per usarla, quel tutti è messo lì con ragione di causa non per nulla l’articolo non dice “tutti tranne”, “tutti a condizione che”  o “tutti ma”, no, l’articolo dice solo “tutti”, e in tutto l’articolo, in pochissime parole, ribadisce più e più volte questo concetto di universalità dell’eguaglianza dei cittadini, continuando in questo modo.

Tutti sono uguali “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Alla costituzione non importa che qualcuno sia nato in una regione invece che in un altra, che sia nato in Italia o fuori d’Italia, che i suoi genitori siano italiani o stranieri, alla costituzione non importa che qualcuno sia bello, ricco, cristiano o uomo, per la costituzione qualcuno può essere basso, brutto, uomo, donna o aver cambiato sesso, può essere nato in una famiglia ricca o essere cresciuto in un orfanotrofio, può essere tutto e nulla, l’unica cosa che importa alla costituzione è che questo qualcuno sia vivo, sia libero e che possa godere degli stessi diritti di chiunque altro nel paese, e non c’è etichetta che regga, se qualcuno è un cittadino italiano allora ha gli stessi diritti di chiunque altro, non importa che sia nato cittadino o lo sia diventato in un secondo momento.

Questo concetto di universalità dei diritti è talmente semplice che non avrebbe bisogno di spiegazioni aggiuntive, ma i padri costituenti avevano vissuto in un epoca in cui tali diritti non erano dati per scontati, e l’essere o meno cittadino italiano era stato, per lungo tempo (quasi un ventennio) subordinato ai capricci di uno specifico partito politico, e quindi, per evitare che questi capricci potessero tornare, i padri della costituzione ebbero la lungimiranza di specificare, al di la di ogni ragionevole dubbio, che “tutti” significava “proprio tutti” e che nessuno dovesse essere abbandonato o dimenticato. Un po come in Lilo e Stich “Ohana significa famiglia. Famiglia significa che nessuno viene abbandonato” così nella costituzione italiana essere cittadini italiani significa appartenere ad una grande famiglia, e famiglia, per l’appunto, significa che nessuno viene abbandonato.

E perché nessuno venisse abbandonato, l’articolo terzo della costituzione specifica che

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”.

Mi piace immaginare la repubblica, come un padre ed una madre amorevole, e come tali ha il compito, ha il dovere, di prendersi cura dei propri figli, senza fare alcuna distinzione tra essi, senza fare alcuna preferenza tutti i suoi figli, neanche quanto si tratta di dover scegliere tra il figlio naturale e quello adottivo.

L’articolo dice che la repubblica ha il compito di rimuovere quegli ostacoli che limitano l’eguaglianza e questo significa la repubblica deve prendersi maggiormente cura del figlio malato, che attenzione, non significa ignorare il figlio sano, significa semplicemente non abbandonare chi, con le proprie forze, non è in grado di affrontare da solo il mondo.

Prendo in questo senso ad esempio due bambini, due fratelli, uno perfettamente sano ed in grado di camminare con le proprie gambe, ed uno malato che non è in grado di camminare, il padre, la madre o chi che sia, nel prendersi cura di entrambi è chiamato a fare uno sforzo maggiore per il bambino malato, che non può camminare, rispetto a quello sano, deve prendendolo letteralmente sulle proprie spalle affinché anche lui possa prendere parte alla vita di famiglia, magari durante una passeggiata in spiaggia, alla quale, con le proprie forze, non avrebbe potuto partecipare.

In questa suggestiva immagine familiare, in cui un padre tiene per mano il bambino sano e sulle proprie spalle quello malato, io vedo l’essenza stessa della repubblica italiana. Prendendo sulle spalle il figlio malato il padre non ha abbandona quello sano, e se bene i due figli siano uguali, non è possibile fare il contrario, perché prendere sulle proprie spalle il figlio sano significherebbe lasciare in dietro quello malato.

Abbiamo visto che l’articolo si apre dicendo che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge” e nell’essere eguali, non sempre è possibile adottare lo stesso trattamento e la costituzione ne è perfettamente consapevole, sa che un figlio malato avrà bisogno di più cure, di più fatiche e di più attenzioni da parte del genitore rispetto al fratello sano e allora l’articolo continua, specificando che

 è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

In quest’ultimo passaggio possiamo notare, con grande stupore di qualcuno, che non si usa più la parola cittadini, questa parola è stata sostituita da “persona umana”, e questo per ribadire, ancora una volta, il valore universale di questo principio fondamentale, un principio, anzi, una serie di principi che vanno oltre il banale sentimento nazionale, l’essere o non essere cittadini di una o di un altra nazione non conta più nulla, ciò che rende umani e degni di diritti non è un foglio di carta bollata che riconosce l’appartenenza giuridica ad una nazione, ma l’appartenenza innata alla specie umana e in questo passaggio finale, ci viene detto che ogni persona, in Italia, deve essere trattata al pari di chiunque altro e d’avanti alle leggi chiunque è uguale a chiunque altro. L’articolo ci dice che gli esseri umani hanno diritto ad alcuni diritti inalienabili e allo stesso tempo questi diritti rendono tutti responsabili di alcuni improrogabili doveri fondamentali affinché i diritti di tutti vengano rispettati.

Nella sua estrema semplicità, l’articolo terzo dei principi fondamentali della costituzione, nasconde una complessità impressionante, una complessità che forse può essere compresa a pieno solo da un bambino e nel suo essere semplice e complesso, ci dice tutti in Italia sono uguali e che la repubblica deve prendersi cura dei più deboli affinché questi non restino in dietro. Non dice altro.

Mi permetto di aggiungere, come considerazione personale che, nel caso il figlio sano dovesse pretendere di essere preso sulle spalle del padre, e quindi dovesse pretendere di lasciare a terra il fratello malato, in questo caso, credo sia compito e dovere della repubblica fare una ramanzina a quel figlio egoista e capriccioso, che forse, non è stato educato correttamente e dimostra, con questa sua pretesa, di non avere a cuore null’altro che se stesso, ignorando e calpestando così i sogni, la vita ed il futuro del suo fratello più debole e indifeso.

TRIUMVIRATO – Quando un accordo privato decide le sorti di una repubblica

Come certamente saprete il Primo Triumvirato tra Gaio Giulio Cesare, Marco Licinio Crasso, e Gneo Pompeo Magno nel 60 a.c. è stato un accordo privato e non ufficiale che avrebbe permesso a tre uomini politici di ottenere enormi poteri e privilegi.
Ma come è stato possibile, nella perfezione della Repubblica di Roma, che tre uomini, tre privati cittadini, grazie ad un accordo privato, siano riusciti ad ottenere il controllo totale della repubblica e delle sue istituzioni?

Per dirlo in breve, questi tre uomini erano tutti e tre uomini politici che avevano seguito il lungo iter della politica romana del tempo e con questo accordo non ufficiale decisero di allearsi politicamente e di appoggiarsi a vicenda nelle elezioni per le varie magistrature, potremmo definirla come una sorta di archetipo di una moderna alleanza non ufficiale tra partiti politici.

Per fare un esempio contemporaneo e di attualità, chiamo in causa tre leader di partiti politici a caso, ai fini dell’esempio i nomi non sono importanti. Queste tre personalità politiche si incontrano privatamente in una località esterna ai luoghi della politica. quale può essere un resort di lusso, una sagra di paese o una residenza privata e durante l’incontro o gli incontri vengono definiti gli aspetti principali del loro accordo con cui, restando elasticamente fedeli alla propria linea politica e restando politicamente separati, in quanto candidati in partiti differenti che tuttavia corrono in un unica lista e, al momento delle elezioni, facendo confluire i voti raccolti dai singoli partiti nell’unica lista comune, riescono ad ottenere o a far ottenere almeno ad uno dei tre, un importante incarico politico.

Questo tipo di accordi oggi è ufficialmente riconosciuto e consentito, ma nella prima metà del primo secolo A.C. non era propriamente ufficiale come pratica, se bene fosse abbastanza comune che vari uomini politici si accordassero privatamente per il conseguimento di una data magistratura. Il discorso sarebbe cambiato leggermente con il secondo triumvirato, ma questo è un altro discorso.

Tornando al primo Triumvirato, prima di allearsi tra loro Cesare, Crasso e Pompeo avevano già ricoperto diverse magistrature “inferiori” grazie alle quali erano riusciti ad ottenere in alcuni casi incarichi militari più o meno importanti, con tutti i privilegi che ne derivano e questo non è un elemento di poco, anzi, direi che è fondamentale per spiegare le ragioni del potere di questi tre uomini.

L’aver ricoperto incarichi militari in questo dato momento storico è molti importante, perché siamo in una Roma post riforma dell’ordine militare di Gaio Mario, una riforma che rese l’esercito da volontario a professionistico e mercenario, in pratica i soldati iniziavano la carriera militare in primis per la garanzia del soldum (fondamentalmente un salario) e poi per l’onore e la patria, ma quando l’alternativa è la fame, l’onore e la patria passano in secondo piano. Questa trasformazione dell’esercito ha importantissime conseguenze politiche e sociali che avrebbero trasformato radicalmente il volto di roma ed avrebbe portato soprattutto ai comandanti militari un grande, enorme potere politico.

Il potere derivato da un comando militare era dovuto a diversi fattori riducibili per lo più al forte legame che intercorre tra i comandanti ed i propri soldati. Questo legame non è ovviamente un esclusiva dell’esercito romano, anzi, è un qualcosa che ha caratterizzato e caratterizza tutt’oggi qualsiasi organismo militare e questo legame è particolarmente forte quando i comandanti vivono sul campo insieme ai propri soldati e ancora di più quando sono i comandanti a pagare i propri soldati. Certo, la paga dei soldati era versata dalle casse di Roma e non dalla tasca del comandante, ma quando sei sul campo, impegnato in lunghe marce che durano mesi e mesi, oltre i confini, in una terra selvaggia e ostile, contro un nemico invisibile e in un epoca in cui non esiste il diritto internazionale, e che non lo fai un saccheggio al villaggio/città nemica più vicino? non lasci stuprare donne, uomini e bambini che vivono nei villaggi/città che stai saccheggiando ai tuoi soldati? Non prendiamoci in giro, certo che lo fai.
Garantire ai propri soldati questo genere di “privilegi”, e di “libertà” che rendevano meno faticosa la vita militare e inoltre permetteva ai soldati di arrotondare il salario, è una pratica barbarica oggi ampiamente condannata che tuttavia è sopravvissuta almeno fino all’ultimo conflitto mondiale e storicamente si è sempre tradotta, quasi automaticamente in un rafforzamento del già forte legame tra i comandanti ed i soldati sotto al loro comando. Questo legame, questa fedeltà, si traduce a sua volta in peso e influenza politica, perché fondamentalmente i soldati, rappresentano la spada dello stato, inoltre, in epoca romana i soldati votano e il voto dei soldati è in questo momento un voto privilegiato per ragioni che vedremo più in avanti, inoltre anche le loro famiglie votano e il soldato vota il proprio comandante, vota l’uomo con cui ha versato fiumi di sangue e con cui ha rischiato la vita, vota l’uomo che lo ha reso, non dico ricco, ma gli ha permesso di avere una casa dignitosa e magari anche con un pezzo di terra da coltivare.
A tutto questo va aggiunto anche che, soprattutto Cesare, ma anche Crasso e Pompeo, godevano di un enorme e crescente consenso popolare, questo consenso era dovuto al fatto che i tre erano percepiti come “uomini nuovi” della politica romana, fondamentalmente perché politicamente legati a quelli che possiamo considerare, in maniera molto anacronistica, dei partiti populisti che de facto prendevano le distanze dalla vecchia politica, dalle vecchie caste e dalla tradizionale aristocrazia romana, proponendo al contrario riforme, innovazioni e una nuova classe dirigente per Roma che veniva direttamente dal popolo.

Cesare, Crasso e Pompeo sono quindi uomini nuovi che possono godere della fedeltà dell’esercito e  l’esercito, nella politica romana, è sempre stato un interlocutore privilegiato per diversi fattori, in primis perché durante la fase espansionistica l’esercito rappresenta il principale motore economico e sociale per uno stato, e nel primo secolo a.c. Roma è nel vivo della propria fase espansionistica. Se da un lato l’esercito rappresenta la principale spesa per la Repubblica, perché mantenere un esercito permanente così grande costa tanto, è anche vero che le nuove conquiste territoriali che avrebbero portato Roma ad estendere, in questo periodo, il proprio potere sull’intero bacino del mediterraneo, hanno l’effetto di portare sotto il controllo di Roma nuove terre e ingenti ricchezze e fondamentalmente l’esercito non solo si ripaga da solo con le proprie conquiste territoriali, ma il surplus di ricchezza e terra si traduce in un importante introito a vantaggio di tutta Roma.
Procedendo con un altro esempio contemporaneo, potremmo sostituire l’esercito romano con un interlocutore privilegiato della nostra epoca, ovvero le grandi aziende nazionali e multinazionali. In un epoca in cui non c’è più nulla da conquistare sul pianeta e l’economia è diventata più astratta e meno legata alla terra, non è più la conquista geografica a garantire un canale privilegiato con la politica, ma il fatturato e per via delle loro enormi entrate economiche, le grandi aziende e corporazioni da un lato, ed i sindacati dall’altro sono diventate de facto alcuni dei principali interlocutore della politica.
Garantire ai soldati di epoca romana, libertà di stupro e saccheggio si traduce in epoca moderna nel garantire e tutelare i mercati nazionali con misure protezionistiche, si traduce nello strizzare un occhio al settore industriale promettendo misure meno rigide per quanto riguarda le emissioni inquinanti, la sicurezza dei propri lavoratori e l’evasione fiscale, ma anche, dall’altra parte, garanzie per il mantenimento di posti di lavoro e per maggiori tutele in campo di sicurezza sul lavoro.

L’insieme di un crescente consenso popolare dovuto allo scontento per l’inadeguatezza della vecchia classe politica e l’appoggio di importanti interlocutori privilegiati e di mille altri fattori, si traduce in un enorme influenza e peso politico che de facto avrebbe dato a Cesare, Crasso e Pompeo il potere di poter decidere insieme le sorti di Roma, alleandosi e formando quello che sarebbe passato alla storia come il primo Triumvirato.

Elogio a : Murubutu | Una voce attraverso storia, filosofia ed emozioni

L’hip hop non è un argomento che tratteremmo normalmente su questo sito ma faremo volentiere una eccezione per uno degli artisti più promettente della scena italiana, ed è particolare anche il musicista che merita questo articolo. Professore di storia e filosofia al Liceo Matilde di Canossa a Reggio Emilia, classe 1975, rapper e fondatore del collettivo La Kattiveria. Alessio Mariani a.k.a. Murubutu.

La sua capacità nello storytelling (il racconto di una storia attraverso una base hip hop) è straordinaria, le storie raccontate sono travolgenti ed è incredibile come tramite le rime Murubutu riesca a farti partecipe delle avventure dei personaggi. Basta premere play per sentirti vicino ad Angelo mentre abbandona il suo corpo e diventa il vento al punto che riesci a sentire la brezza sulla tua pelle , o il senso di malinconia che colpisce il Paolo che realizzerà il desiderio che un po’ tutti noi abbiamo avuto prima o poi, ovvero quello di abbandonare tutto e partire senza meta ma è ancora più assurdo come riesca a catturare anche il sentimento opposto ovvero la paura e il dubbio di lasciare la propria casa tramite la triste vicenda di Claudio sull’Isola Verde che lo ha cresciuto.

Queste vicende catturano sentimenti che poi artisti sono riusciti a trasmettere ma la sua abilità poetica non si limita a questo in quanto Murubutu non si ferma a raccontare storie d’amore senza renderle banali e non si fa problemi a dare un volto umano ai personaggi i quali sono vittime fragili del mondo che li circonda come ci viene ricordato duramente tra le note di I Marinai Tornano Tardi nel quale una donna continua ad attendere il proprio amore nonostante siano già passati 10 anni dalla sua morte in mare, le vicende felici si costruiscono attraverso frammenti tristi che impediscono alla storia di diventare un banalissimo “e vissero felici e contenti” come l’internamento a Buchenwald del partigiano Dino il quale una volta tornato dalla sua amata vivrà insieme a lei nonstante il trauma subito ed insieme vedranno l’italia rinascenere nel Comitatà della Liberazione Nazionale.

Si nota la sua passione per l’istruzione sopratutto nei brani dedicati alla filosofia e alla storia, una nota particolare va fatta per Diogene di Sinope e La Scuola Cinica dove il rapper emiliano si scatena in una sfilza di rime impossibili da eseguire e presenta a sua volta i pensieri e le storie di alcuni dei migliori filosofi ricercatori dell’eudemonismo. Nulla a che vedere con la sua performance dedicata alla scomparsa inspiegata dei soldati di Cambise nel quale si può percepire sin dalle prime rime la lunga marcia dei legionari che svanirono nel nulla durante il loro percorso verso le valli del Nilo.

Mi permetto di prendere un altro paragrafo per esaltare quest’ultima canzone perché secondo me è davvero la sua magnum opus. Il brano racconta la folle ma leggendaria marcia dei 59’000 uomini dell’esercito persiano attraverso il deserto verso la città di Siwa. Il ritmo incalzante risuona come tamburi da guerra che guidano la il passo dei legionari e dei mercenari mentre vengono interrotti dal sibilare del rapper come le brezze del vento che alzano la sabbia rovente e l’uso della “s” non fa altro che rafforzare la calura ardente che colpisce gli uomini strozzati nell’oceano di sabbia senza la possibilità di andare ne avanti ne indietro. I brevi intervalli nei quali il rapper racconta la mistica vicenda danno i dettagli di quella assurda spedizione e basta chiudere gli occhi per vedere gli animali scalciare e liberarsi mentre la sabbia si fa strada nel corpo dei poveri soldati e la disperazione prende il controllo in quello che era il più grande esercito dell’antichità che aveva messo in ginocchio tutti gli altri. E nella spaventosa bufera di sabbia tutti scomparirono nel nulla.

Nel silenzio, che ti incanta, una voce canta stanca

Segue il senso, della sabbia, giunse lento e scaldò l’aria

No, non lo videro

No, non lo udirono

Lui li raggiunse in un soffio ogni corpo svanì

WE THE PEOPLE || Il ruolo delle masse popolari nella storia

Il consenso delle masse popolari fu fondamentale per l’ascesa al potere di Ottaviano, che grazie al ad esse e all’appoggio del senato, poté governare e fino a trasformare in maniera profonda e radicale la struttura amministrativa e istituzionale di Roma. Esse furono determinanti nella trasformazione del culto di Iside, da culto proibito a culto prima tollerato e poi addirittura ufficialmente praticato dall’imperatore Vespasiano, e in tempi più recenti, le masse popolari si sarebbero dimostrate estremamente significative per l’affermazione di movimenti come il Nazional Socialismo, che avrebbe portato alla presa di potere di Adolf Hitler in Germania.

Determinare e capire qual è il ruolo storico delle masse popolari rappresenta una delle grandi problematiche della storiografia contemporanea, di forte ispirazione marxista, ed è al contempo, una tematica di estrema attualità.
Secondo il marxismo ortodosso, le masse popolari hanno un ruolo centrale nel determinare le grandi correnti ed i grandi eventi della storia, esse sono presentate come uno dei motori più potenti della storia, se non addirittura, il solo, vero cuore pulsante della storia, esse sono anonime, senza volto ne nome, ma costituiscono la base da cui i grandi protagonisti della storia hanno potuto elevarsi e ricoprire il posto di rilievo per cui sono divenuti noti. In quest’ottica la storia non è determinata dalle azioni di pochi grandi uomini, ma dall’operato e dal lavoro di milioni di uomini che nell’ombra hanno permesso a quei pochi uomini di essere ricordati.
Napoleone non sarebbe Napoleone senza gli eserciti al suo seguito, senza i soldati pronti a morire per quegli ideali, Colombo non avrebbe scoperto le Americhe senza il suo equipaggio, e così per Hitler, Lienin, Washington, Cromwell, Garibaldi, Ottaviano, Carlo V, il Saladino ecc ecc ecc.
Questa visione storiografica come dicevamo è di forte ispirazione marxista, e sarà centrale nel dibattito pubblico e accademico soprattutto negli anni successivi alla seconda guerra mondiale e per tutti gli anni cinquanta e sessanta, e in larga misura almeno fino ai primi anni novanta.
Ma prima di Marx, le masse popolari, cosa come erano viste dagli storici e che ruolo avevano nella storia?
Per lungo tempo, almeno fino alla seconda metà del diciottesimo secolo, le masse popolari erano considerate in maniera estremamente marginale e quasi insignificante sul piano storico e storiografico. Tutto questo però, inizia a cambiare con l’illuminismo e con l’affermazione della classe borghese, qui Marx potrebbe storcere il naso di fronte a queste mie parole, e pure, se le masse popolari, operaie e contadine, da un certo momento in poi, hanno potuto assumere una propria identità di fronte alla storia, questo è proprio grazie all’affermazione della classe operaia, la cui pretesa di attenzioni dalla società tradizionale, ed il desiderio di penetrare in quel mondo elitario, fino ad allora territorio esclusivo della nobiltà, ha portato ad uno stravolgimento degli equilibri tale da permettere anche alle masse popolari di entrare in quella storia di cui erano sempre state parte, come attori silenziosi, celati nell’ombra dei grandi avvenimenti, e in questa analogia con il teatro, le masse popolari possono essere percepite come l’esercito invisibile di tecnici, truccatori, costumisti ecc ecc ecc che anonimi si muovono dietro le quinte, permettendo allo spettacolo di andare avanti.
Gli ideali illuministici avrebbero portato all’affermazione dell’individuo e all’indipendenza delle colonie americane dal dominio britannico, creando così uno stato libero dal’antico dominio nobiliare, costruito e guidato per la prima volta nella storia da una leadership totalmente borghese; uno stato, dove la ricchezza ed il potere non erano predeterminati dalla nascita, ma frutto di lavoro, di volontà, e capacità (e anche un po dalla fortuna) dei singoli individui. Insomma, una nazione in cui un taglia-gole e un contrabbandiere potevano sedere al tavolo con gli uomini più potenti della nazione, senza che questi li guardassero con disprezzo. Qualcosa di analogo era già avvenuto a Roma, dove la grande mobilità sociale avrebbe permesso al nipote di un esattore, di accedere alle più alte vette politiche, fino a diventare Re, Console e Imperatore.
All’indipendenza americana avrebbe fatto seguito in europa, con qualche decennio di distanza, la rivoluzione francese e con essa l’avvento di Napoleone Bonaparte, che potremmo definire come l’uomo in grado di incarnare gli ideali rivoluzionari, e soprattutto l’uomo in grado di esportare, su larga scala, quegli stessi ideali. Napoleone avrà fama e fortuna in tutta europa e a suon di battaglie combattute dal Popolo per i Popoli, potrà mettere in ginocchio l’aristocrazia tradizionale, almeno fino al momento della sua sconfitta. Ma la sconfitta di Napoleone non significa e non può significare un ritorno al passato, i suoi contemporanei sono consapevoli che il mondo era cambiato, troppi anni erano passati tra il 1789 ed il 1814 affinché si potesse tornare al passato senza conseguenze, in quegli anni del sangue era stato versato per la libertà e per l’uguaglianza, figli non divennero mai padri, e madri videro cadere i propri figli per quel sogno di libertà; i nobili non potevano più governare mossi dai propri capricci, devono ascoltare o almeno provare ad ascoltare il popolo, un popolo che non avrebbe esitato un solo istante a scendere nuovamente in piazza e impugnare le armi contro i propri sovrani, e così sarebbe stato 1820, 1830 e in fine nel 1848.
Il 1848 è il momento decisivo, è lì che si sarebbe compiuta la magia, la rivoluzione del 48 rappresenta l’affermazione definitiva della volontà popolare sulla nobiltà, e non è un caso se il 12 Febbraio del 48 a Londra sarebbe stato pubblicato il manifesto del partito comunista. I moti del 48 esplodono più o meno nello stesso periodo e si espandono rapidamente in tutta europa, ma al di la della nazione e dei popoli in piazza, la richiesta, anzi, la pretesa è sempre la stessa, i popoli d’europa chiedono un parlamento eletto a suffragio universale ed una carta costituzionale scritta dal parlamento e non concessa dal sovrano. Queste richieste rappresenteranno l’ultimo chiodo sulla bara dell’antico regime, che da oltre 50 anni, tenta in vano di sopravvivere.
Da qui in avanti le masse popolari avranno la capacità, conquistata nelle piazze e con le armi, di nominare e deporre sovrani, di stabilire l’entrata o l’uscita da una guerra, si pensi in questo senso alla Russia, le cui rivoluzioni del 1917 sono forse il punto più alto del potere politico determinato dalla volontà popolare, e ancora, si pensi all’ascesa al potere di Hitler o la deposizione del Re d’Italia e la conseguente nascita della Repubblica italiana.
Il 1945 e con esso la fine della seconda guerra mondiale segnano una temporanea interruzione, almeno nel mondo occidentale, di questa sorta di età dell’oro delle masse popolari. I crimini commessi in Europa dal Nazismo (e non solo), producono un drastico cambiamento di rotta. Si afferma a livello politico l’idea che la volontà popolare da sola non è in grado di governare un popolo, poiché da sola, ha permesso ad Hitler di governare in Germania, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe comportato, gli storici di stampo liberale vedono nei fascismi europei e nell’unione sovietica il fallimento del potere popolare, sottolineando i limiti delle sue capacità di giudizio. Ci si rende conto che le masse popolari, soprattutto le plebi rurali, contadini e operai, possono essere facilmente plagiate e manipolate, fino al punto in cui queste arriveranno a credere ad ogni sorta di bufala propagandistica raccontata loro dal manipolatore di turno. Contemporaneamente i pilastri della terra iniziano a radicarsi nelle roccaforti economiche e finanziarie del pianeta, così, il lungo diciannovesimo secolo, iniziato con l’indipendenza americana e l’affermazione della borghesia sull’aristocrazia, si conclude con la seconda guerra mondiale, donando alla civiltà occidentale, una nuova aristocrazia dal “sangue verde”, figlia dell’indipendenza americana e il cui potere è legittimato da un nuovo dio denaro.
Lo spostamento del potere dalle masse popolari alla nuova borghesia capitalistica, è un processo in corso fin dalla rivoluzione americana, ma dopo la seconda guerra mondiale, e soprattutto con il fallimento dell’esperienza del socialismo reale nell’Unione Sovietica, subirà un accelerazione tale da trascinare in poco più di un decennio, il mondo intero (o meglio, gran parte parte del mondo) in un ottica capitalistica.
Il potere, soprattutto in europa è andato progressivamente rifugiandosi in meccanismi e istituzioni sovranazionali, delegando sempre di più e sempre più spesso, le scelte per il proprio futuro. Così, all’alba del terzo millennio, tra guerre, calamità naturali e crisi economiche, come forze reazionarie spinte da un’apparente perdita di potere decisionale, ritornano degli echi del Volksgeist, lo spirito del popolo, e lentamente le masse, aiutate dal web, tornano in piazza, ma a differenza del passato, le piazze del terzo millennio sono virtuali, in cui tutto è più rapido, tutto è più immediato, e la manipolazione più efficace. Qui, i nuovi Hitler più semplicemente che in passato, possono creare i propri squadroni, militanti, pronti a rivendicare, per se stessi e in nome del popolo, un posto centrale nel determinare l’evoluzione storica del mondo, nascono così sempre nuovi e più numerosi movimenti popolari di fede ipernazionalista e individualista, camuffati da movimenti collettivi e sociali. Questi movimenti rivendicano il benessere e la dignità dell’uomo, e si ripropongono di creare equità sociale, ottenendo facili consensi, ma paradossalmente, per raggiungere i propri fini, sistematicamente negano, nelle loro stesse intenzioni, benessere, dignità ed equità sociale, a minoranze etniche e religiose.
E così, in quei movimenti, le cui parole offuscata ed ubriacano le menti dei popoli, risorgono gli ideali che negli anni più oscuri del novecento, avevano portato alla sistematica distruzione di vite umane, dimenticando troppo facilmente i crimini del Nazismo furono anche i crimini del popolo tedesco, oltre che di tutti i popoli europei del mondo, ma soprattutto, per citare la Hannah Arendt, furono i crimini della stupidità umana, una stupidità che oggi come allora è molto diffusa, una stupidità che deriva dall’incapacità di vedersi realmente nei panni dell’altro.
I nostri antenati hanno peccato di superficialità, permettendo e la loro più grande colpa è quella di essersi opposti al nazismo, ma anzi, di averlo sostenuto e appoggiato, nonostante i suoi programmi ed i suoi piani, furono ampiamente esposti e largamente condivisi per molto tempo, prima che la guerra iniziasse per ragioni unicamente politiche.
Il consenso popolare ha permesso ad Hitler, Napoleone, Ottaviano e molti altri, di governare indisturbati (o quasi) mentre privavano di significato le istituzioni repubblicane. Il popolo li sosteneva perché in grado di proteggere il proprio popolo, la propria nazione, da ogni interferenza esterna, e mentre si presentavano al popolo come baluardi della nazione, se ne impossessavano, creando degli imperi e instaurando monarchie o dittature.
Il nostro mondo e il nostro tempo sono avvolti da quelle stesse tenebre che settant’anni fa distruggevano l’europa, non con le bombe, non con gli aerei, ma con le idee, e se allora l’europa perdeva la propri umanità trasformando gli uomini in numeri, oggi come allora, si costruiscono muri ideologici, culturali e fisici, nati per dividere gli uomini dagli altri, quelli che noi non siamo, quei muri portano il mondo occidentale a voltarsi dall’altra parte quando un uomo, uno degli altri, non è più un uomo ma un clandestino, e può morire in mare, in un tunnel o in un furgone, muore di fame perché ha perso il suo lavoro o una bomba ha distrutto la sua casa.
Quei muri privano gli uomini della propria dignità di essere umano, e distruggono ancora una volta il potere del popolo, concentrandolo nelle mani di opportunisti e manipolatori, pronti a costruire sulle macerie della nostra civiltà in crisi.
La storia ci ha insegnato l’estremizzazione di movimenti popolari e nazionalistici può portare ad una sola inevitabile conclusione, la fine di ogni ordinamento repubblicano e democratico, e la concentrazione di poteri straordinari nelle mani di un singolo uomo, sia esso Ottaviano, Cromwell, Napoleone, Hitler, Stalin, Putin o Trump.

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