Il primo bombardamento aereo della Storia

1 novembre 1911, l’italia era nel vivo della guerra italo turca, e Giulio Gavotti, un aviatore italiano, in questa data alle prime luci dell’alba partì a bordo del proprio monoplano Etrich Taube, un monoplano di fattura tedesca, ufficialmente per un operazione di ricognizione che, per iniziativa individuale dell’aviatore, si trasformò nel primo bombardamento aereo della storia.

Va detto che, prima del 1911 i dirigibili erano già stati utilizzati per operazioni offensive, e quindi c’erano già stati dei “bombardamenti aerei” tuttavia, nel 1911 , per la prima volta, l’offensiva fu portata a termine da un aereo-plano e non da un dirigibile, ed è proprio l’uso dell’aereo-plano l’elemento di novità che avrebbe cambiato per sempre il volto della guerra, segnando un punto di non ritorno nelle operazioni belliche.

Del bombardamento aereo del 1911 durante la guerra italo turca abbiamo molte informazioni e numerose fonti, una in particolare ci permette di ricostruire quei momenti, attraverso la testimonianza diretta di Giulio Gavotti, all’epoca un semplice aviere che da poco aveva terminato il corso di allievo ufficiale a Torino con il 5º reggimento “Genio Minatori” , dopo questa operazione, la carriera di Gavotti sarebbe decollata portandolo fino al grado di Tenente Colonnello, ma questa è un altra storia.

Il resoconto dettagliato degli avvenimenti del 1 novembre ci viene fornito da Gavotti, oltre che dal rapporto missione ufficiale, anche da una più interessante lettera, indirizzata al padre e che, vista la ricchezza di informazioni sul volo, si presume essere stata scritta nella stessa giornata del 1 novembre 1911. In questa lettera Gavotti scrive.

"Ho deciso di tentare oggi di lanciare delle bombe dall'aeroplano. È la prima volta che si tenta una cosa di questo genere e se riesco sarò contento di essere il primo."

Da queste prime parole possiamo osservare che Gavotti è perfettamente conscio di ciò che sta per fare, il suo obbiettivo è quello di mettersi in mostra con i propri superiori, lui è perfettamente consapevole di ciò che sta per compiere e, a discapito di quello che molti pensano, la sua azione non è stata improvvisata, ma anzi, è stata pianificata, se bene non sia chiarissimo quanti i superiori di Gavotti sapessero effettivamente delle sue intenzioni. Dal rapporto missione emerge una certa ambiguità lessicale, e probabilmente la sua era un operazione clandestina o comunque.

Il testo della lettera comunque continua dicendo che sarebbe quella mattina del 1 novembre era partito alle prime luci dell’alba “Appena è chiaro sono nel campo. Faccio uscire il mio apparecchio.” Aggiunge poi che, nell’abitacolo, se così lo si può chiamare, ha inchiodato un contenitore in cuoio “Vicino al seggiolino ho inchiodato una cassettina di cuoio; la fascio internamente di ovatta e vi adagio sopra le bombe con precauzione.”

Capiamo, da queste parole che è tutto molto amatoriale, forse troppo amatoriale, tuttavia, risulta strano e poco chiaro, come abbia fatto l’aviere Gavotti ad entrare in possesso di quattro bombe Cipelli. “Queste bombette sono sferiche e pesano circa un chilo e mezzo. Nella cassetta ne ho tre; l’altra la metto nella tasca della giubba di cuoio.” in questo passaggio ci viene data un informazione molto significativa sul tipo di ordigni di cui dispone, si tratta, come anticipato, di tre bombe “Cipelli”, uniche bombe in dotazione al regio esercito nel 1911, di forma sferica ad avere il peso di circa 1,5Kg e, il passaggio successivo ci conferma ulteriormente essere bombe Cipelli, poiché ci dice “In un’altra tasca ho una piccola scatoletta di cartone con entro quattro detonatori al fulminato di mercurio” e, le bombe Cipelli, erano attivate da detonatori esterni che andavano combinati alla bomba perché questa potesse essere innescata, diversamente da altre bombe che invece avevano un detonatore integrato.

Gavotti ci fornisce poi una serie di informazioni più o meno dettagliate sulla propria posizione e sul proprio itinerario “…Arrivo fin sopra la “Sicilia” ancorata a ovest di Tripoli dirimpetto all’oasi di Gurgi poi torno indietro passo sopra la “Brin”, la “Saint Bon” la “Filiberto” sui piroscafi ancorati in rada.”, ma l’informazione più interessante riguarda l’altitudine a cui avrebbe volato, “Quando ho raggiunto 700 metri mi dirigo verso l’interno”

Gavotti ci dice di volare ad un altitudine di circa 700 metri, e che prende quota sul mare per poi seguire il proprio itinerario nell’entroterra, oltre le linee nemiche, questi dati sono molto interessanti perché ci dicono molto sul volo e quello che è in qualche modo lo stato d’animo dell’aviatore, ci comunicano infatti eccitazione ma anche determinazione e tensione, oltre che voglia di riuscire nell’impresa e questo desiderio di successo si traduce nella decisione di volare a bassa quota ovvero a circa 700 metri, probabilmente per riuscire a colpire con maggiore precisione i bersagli.

Un monoplano Etrich Taube dell’epoca, stando alle informazioni tecniche della Igo Etrich, poteva volare fino a 2000 metri di altitudine, ma poteva spingersi anche più in alto e per le operazioni di ricognizione, generalmente era previsto un volo a circa 1500 metri, quasi al limite delle possibilità del Taube.

La lettera continua e da qui in avanti, sembra più un rapporto missione che una lettera informale al padre, Gavotti scrive “Oltrepasso la linea dei nostri avamposti situata sul limitare dell’oasi e mi inoltro sul deserto in direzione di Ain Zara altra piccola oasi dove avevo visto nei giorni precedenti gli accampamenti nemici (circa 2000 uomini).”

Arrivati all’altezza dell’oasi Gavotti si prepara all’azione offensiva “Con una mano tengo il volante, coll’altra sciolgo il corregile che tien chiuso il coperchio della scatola; estraggo una bomba la poso sulle ginocchia.” poi “Cambio mano al volante e con quella libera estraggo un detonatore dalla scatoletta e lo metto in bocca. Richiudo la scatoletta;”

L’azione che ci viene descritta è estremamente cinematografica, è una scena che abbiamo visto in centinaia di film, c’è questo giovane aviatore, solo nei cieli sopra i campi del nemico che con una mano pilota il proprio mezzo aereo e con l’altra, estrae il primo ordigno, lo innesca e guardando fuori dall’aereo-plano cerca di individuare un possibile bersaglio “metto il detonatore nella bomba e guardo abbasso. Sono pronto.”

Gavotti è vicinissimo al nemico, ci dice nella lettera, di trovarsi a circa un chilometro dall’oasi e già riesce ad identificare le sagome delle tende tende arabe, “Vedo due accampamenti vicino a una casa quadrata bianca uno di circa 200 uomini e, l’altro di circa 50.”

Queste informazioni sono per alcuni troppo accurate per la distanza che, secondo la lettera, in quel momento lo separava dal campo, non sappiamo se si tratti di una stima e dunque Gavotti abbia visto gli accampamenti e ipotizzato il numero di uomini che, sulla base della propria esperienza, potevano trovarsi nel campo, o se invece si tratti di un espediente narrativo, volta ad enfatizzare il momento, in fondo, si tratta pur sempre di una lettera al padre e non di un vero e proprio rapporto missione. Nel rapporto missione non vi è alcun riferimento a questo passaggio quasi acrobatico.

In ogni caso, la lettera continua “Poco prima di esservi sopra afferro la bomba colla mano destra; coi denti strappo la chiavetta di sicurezza e butto la bomba fuori dall’ala. Riesco a seguirla coll’occhio per pochi secondi poi scompare. Dopo un momento vedo proprio in mezzo al piccolo attendamento una nuvoletta scura.”

L’azione continua ad essere estremamente cinematografica, vediamo questo pilota che strappa la chiavetta di sicurezza dell’ordigno e lancia fuori dall’abitacolo per poi vederlo svanire, a causa delle piccole dimensioni dell’ordigno e della distanza crescente tra l’ordigno e l’aereoplano, ma poi, ecco che si giunge al momento decisivo, l’ordigno tocca il suolo ed esplode, il pilota vede una nuvola di fumo nero alzarsi dal campo, l’esplosione esalta l’aviatore e allo stesso tempo turba l’equilibrio del campo, che certo non immaginava cosa stava accadendo. Prima d’allora non era mai successo nulla di simile, prima d’allora nessun’aereo da ricognizione aveva mai sganciato bombe.

Il racconto di Gavotti continua e ci dà un altre informazioni, ci dice che nonostante il successo in realtà l’obiettivo a cui aveva mirato è stato mancato, ma ciò nonostante è soddisfatto del risultato e decide quindi di ripetere l’esperimento, lanciando altre bombe “Io veramente avevo mirato il grande ma sono stato fortunato lo stesso; ho colpito giusto. Ripasso parecchie volte e lancio altre due bombe di cui però non riesco a constatare l’effetto. Me ne rimane una ancora che lancio più tardi sull’oasi stessa di Tripoli.”

In questo passaggio Gavotti ci ha ha detto qualcosa che in realtà già conoscevamo, questo tipo di azioni si porta dietro molta imprecisione, Gavotti è stato fortunato, molto fortunato, probabilmente la sua conoscenza delle leggi della fisica gli hanno permesso di stimare e calcolare ad occhio il momento esatto in cui lanciare l’ordigno affinché questo potesse avvicinarsi il più possibile al bersaglio.

Conoscendo infatti l’altezza, la velocità e la direzione dell’aereo, per un ingegnere con una formazione da aviatore non doveva essere troppo difficile calcolare la traiettoria del lancio, e il caso volle che Gavotti fosse proprio un ingegnere con una formazione da aviatore e probabilmente questa stessa azione, portata avanti da un qualsiasi altro aviere, non avrebbe avuto lo stesso risultato.

Queste fortuite coincidenze non sappiamo quanto siano fortuite e quanto siano coincidenze, per quanto ne sappiamo, l’intera operazione fu un azione individuale, ma possiamo immaginare che forse, Gavotti fu scelto, proprio per l’insieme delle proprie esperienze, come campione ideale per questo test.

Dalla lettera al padre Gavotti appare molto soddisfatto del successo ottenuto e ansioso di riferire l’esito dell’operazione ai propri superiori “Scendo molto contento del risultato ottenuto. Vado subito alla divisione a riferire e poi dal Governatore gen. Caneva. Tutti si dimostrano assai soddisfatti”

Le ultime parole della lettera sono molto particolare ed interessante, se si trattasse di un iniziativa individuale Gavotti sarebbe colpevole di aver rubato degli ordigni, di aver portato avanti un azione offensiva senza autorizzazione e di aver messo a rischio un aereo del regio esercito, tutti fattori che lo avrebbero portato di fronte alla corte marziale, ma noi sappiamo che Gavotti venne celebrato come eroe di quella guerra e che ricevette, per le proprie azioni, una medaglia d’argento per il valore militare, e questo ci fa supporre che, nonostante non esistano ordini scritti, questa operazione fu autorizzata dall’alto.Album dei Pionieri della Aviazione italiana, Roma 1982 Stampato presso Tipolitografia della Scuola di Applicazione A.M. – FI 1982.

Gli sports meccanici, Roma, 15 maggio 1933;
G. Dicorato, G. Bignozzi, B. Catalanotto, C. Falessi, Storia dell’Aviazione, Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1973.
R.G. Grant, (ed. italiana a cura di R. Niccoli), Il volo – 100 anni di aviazione, Novara, DeAgostini, 2003,

La Bomba Atomica nazista che non è mai esistita | Facciamo chiarezza sul programma nucleare del Terzo Reich

Secondo alcuni giornali on line, da alcuni documenti segreti declassificati dal governo statunitense, sarebbero essere emerse delle prove che dimostrerebbero l’esistenza di ordigni nucleari progettati dalla Germania nazista. Ma cosa effettivamente è emerso dal report APO 696, si tratta di una una comunicazione postale a lunga distanza effettuata dalle truppe statunitensi presenti in Europa nel 1944 e Washington.
Secondo questa comunicazione militare, inviata nell’ottobre 1944, archiviata nel 1947 e declassificata soltanto nel 2017, alcuni testimoni civili avrebbero avvistato un enorme esplosione, che oggi, col senno di poi, possiamo associare ad un esplosione nucleare. Ma a che punto era effettivamente il programma di armamento nucleare della Germania Nazista nel 1944?

Insieme al debunker Juanne Pili, abbiamo realizzato un video in cui spiegavamo cosa effettivamente è emerso dal report APO 696 e a che punto sono effettivamente le ricerche storiografiche legate al programma di armamento nucleare della Germania Nazista, vi lascio qui di seguito il video pubblicato sul suo canale youtube.

Per quanto riguarda le indagini storiografiche, queste, come spesso accade in ogni ricerca storiografica, sono attualmente in una situazione di stallo, letteralmente impantanate dalla carenza di dati e informazioni materiali, nel caso specifico di questa particolare ricerca, l’assenza di informazioni è dovuta principalmente a tre diversi fattori.

  • Distruzione dei documenti da parte dei nazisti durante la guerra
  • Distruzione dei documenti come conseguenza delle incursioni e bombardamenti degli alleati
  • Classificazione del materiale documentario recuperato dagli alleati

Durante la ritirata, nelle fasi finali della guerra (1944-1945), gli ufficiali della Wehrmacht e delle SS, si impegnarono affinché nessun documento del Reich cadesse nelle mani degli alleati, provvedendo alla sistematica distruzione di documenti. Ci sono numerose ragioni strategiche per cui venne adottata questa scelta e la trasformazione della guerra, in atto fin dalle campagne napoleoniche, in chi le informazioni rappresentano una delle armi più potenti nelle mani dei generali, rappresenta soltanto una delle infinite ragioni per cui, una qualsiasi forza armata impegnata in una ritirata strategica, proceda con la distruzione di ogni qualsiasi informazione.

I primi documenti ad essere distrutti sono quelli che possono permettere l’identificazione e localizzazione di eventuali altre basi militari, impianti di produzione o di ricerca più o meno segrete, e più o meno lontane, seguono i documenti contenenti informazioni sulla strategia della ritirata, sugli spostamenti, sui rifornimenti, rifugi, vie e piani di evacuazione ecc ecc ecc. E nel caso fortuito in cui qualche documento riuscì a sopravvivere alla distruzione sistematica operata dagli ufficiali del Reich, incendi, infiltrazioni d’acqua, crolli e macerie generati dai bombardamenti sull’Europa, contribuirono indirettamente alla distruzione del materiale informativo.

Poteva però capitare che, per svariati motivi, le truppe alleate, statunitensi o sovietici, riuscissero a prendere e liberare alcune basi militari prima che l’opera di distruzione fosse ultimata, riuscendo così a mettere le mani su importanti e preziose informazioni che, soprattutto per quanto riguarda il lato scientifico, potevano essere utilizzate dall’una o l’altra nazione per ottenere una posizione di vantaggio alla fine della guerra rispetto ai propri alleati, che si sapeva, non sarebbero rimasti tali per molto tempo dopo la fine della guerra. In questo senso l’esempio dei razzi V2 di Wernher von Braun, è perfetto per sostenere questa tesi.

Durante la conferenza di Jalta, i leader delle tre principali potenze alleate, Iosif Stalin, Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill, presero alcune importanti decisioni in merito alla futura organizzazione territoriale di Polonia e Germania, andando così a definire quelle che sarebbero poi divenute le sfere di influenza di Stati Uniti e Unione Sovietica. Nel dicembre del 1944 l’Unione Sovietica aveva individuato la posizione di un importante impianto di produzione di razzi V2, situata in un area che successivamente sarebbe stata consegnata all’influenza di Stati Uniti e Gran Bretagna, la scoperta spinse gli uomini dell’Armata Rossa a trasferire nel minor tempo possibile gran parte della documentazione, della strumentazione e dei prototipi presenti nell’impianto in un area dopo la guerra sarebbe rimasta sotto il controllo sovietico, e grazie a quella tecnologia, negli anni 50 l’unione sovietica avrebbe potuto avviare il proprio programma spaziale, avendo come punto di origine per i propri vettori aerospaziali, la base progettuale ed i prototipi dei V2 progettati da Wernher von Braun. Queste informazioni sono rimaste segrete per tutta la guerra fredda e pubblicate soltanto dopo la fine dell’unione sovietica, fornendo ai ricercatori attivi negli anni novanta, nuove e importanti informazioni su cui lavorare, sia per quanto riguarda gli anni della guerra fredda, sia per quanto riguarda la tecnologia nazista durante la seconda guerra mondiale.

Queste nuove informazioni, hanno finito inevitabilmente con l’alimentare numerose speculazioni teoriche in merito al livello di tecnologia effettivamente raggiunto dalla Germania Nazista, al punto che ancora oggi ci si continua a chiedere se effettivamente i nazisti avessero costruito armi nucleari, laser della morte, basi sotterranee in europa, nell’artico, in Antartide, e sulla luna. E molti non addetti ai lavori si chiedono, quanto del materiale che l’Unione Sovietica ha tenuto segreto per decenni sia stato effettivamente divulgato e quanto invece, per diverse ragioni, sia ancora protetto dal segreto militare.

Per quanto riguarda la ricerca storiografica sul nucleare nazista e tutte le ricerche in corso fanno largo uso di testimonianza orali, pervenute soprattutto attraverso la popolazione civile. Queste informazioni, per loro natura sono generalmente considerate indiziarie, poiché come è noto, la memoria umana può essere ingannata e alterata, contaminata da paure, pregiudizi e informazioni successive che permettono una rielaborazione postuma della memoria. Per queste ragioni la testimonianza, anche quella diretta, è presa in considerazione nel processo di indagine storiografica, e assume tanto più valore quanto quella testimonianza è condivisa e supportata da prove empiriche, quali possono essere ritrovamenti, documenti o altri testimoni che confermano quella data versione dei fatti.

In questo caso specifico le testimonianze giunte fino a noi sono molto variegate, e nella maggior parte dei casi raccolte e documentate soltanto a partire dal 1946, ovvero dopo la fine della guerra, ma cosa più importante, dopo gli episodi di Hiroshima e Nagasaki, la cui natura devastante e drammatica, ha finito inevitabilmente per imprimersi nella memoria collettiva dell’intera civiltà umana.

Tra le tante testimonianze più o meno attendibili alcune sembrano essere più interessanti di altre, come nel caso del corrispondente di guerra italiano Luigi Romersa, inviato in Germania nel 1944 per osservare e alcuni test balistici, e in questa occasione Romersa sembra abbia incontrato personalmente Wernher von Braun. Durante la sua visita racconta Romersa, gli fu permesso di assistere al test di un nuovo ordigno esplosivo, questo test avvenuto nell’ottobre del 1944 avrebbe avuto come effetto un esplosione che per portata ed effetto potrebbe essere associata ad un esplosione nucleare, nel racconto di Romersa figura anche il caratteristico fungo atomico. Questo test sembra essersi compiuto in una base di ricerca segreta situata su un imprecisata isola del mare del Nord.

La testimonianza di Romersa tuttavia presenta alcune lievi incongruenze, dalla location imprecisa, alla descrizione dell’esplosione, il suo racconto infatti viene fuori soltanto dopo gli episodi di Hiroshima e Nagasaki, e se bene l’esplosione da lui descritta ricordi un esplosione nucleare, alcuni dati riportati da Romersa non sembrano essere totalmente coerenti con gli effetti di un effettiva esplosione nucleare. Nella sua testimonianza è infatti presente il fungo atomico, ma le sue dimensioni sembrano essere fortemente contenute rispetto ai funghi atomici di Los Alamos, Hiroshima e Nagasaki. Potrebbe tuttavia trattarsi di un semplice errore di valutazione dovuto alla grande distanza e per questi motivi viene concesso a Romersa il beneficio del dubbio.

Se la sua testimonianza fosse reale, da qualche parte nel mare del nord, si troverebbe un certa concentrazione di radiazioni, coerente con l’esplosione di un ordigno nucleare avvenuta 70 anni fa, ma la distanza temporale potrebbe rendere particolarmente complicata la ricerca poiché la pioggia, le intemperie e il naturale decadimento, potrebbero aver completamente lavato via ogni traccia di eventuali radiazioni.

Cercare picchi di radiazioni lungo il mar baltico di conseguenza non è la strada più semplice per dimostrare l’effettivo stadio di avanzamento del programma nucleare nazista, un programma che sappiamo essere reale, e che avrebbe potuto nascondere anche un parallelo programma di armamento nucleare, almeno secondo uomini del calibro di Albert Einstein e altri scienziati europei fuggiti negli USA, i quali nell’agosto del 1939 scrissero una lettera indirizzata all’allora presidente USA, Franklin Delano Roosevelt, che avrebbe poi dato il via a quello che sarebbe diventato il Progetto Manhattan.

Il programma nucleare iniziato nel 39 sembra tuttavia essersi concluso nel 1941, quando il capo progetto Werner Karl Heisenberg, avrebbe rinunciato all’idea di produrre un ordigno nucleare, impegnando la propria equipe nella progettazione di un reattore nucleare dedito alla produzione energetica. Il reattore sperimentale di Heisenberg è stato individuato già nel 1945 e smantellato dalle forze militari di Stati Uniti e Gran Bretagna. Non mi dilungo oltre in questa direzione poiché queste informazioni sono ampiamente disponibili ed estremamente facili da reperire.

Come dicevamo, cercare picchi di radiazioni nel baltico è estremamente problematico, una ricerca più “semplice” e tradizionale, si lega al materiale documentario esistente, se effettivamente il Reich ha continuato le sue ricerche per la creazione di un arma nucleare dopo il 1941, qualcuno dovrà aver lavorato a quel progetto e da qualche parte, prima o poi, dovrà saltare fuori qualche documento.

Inoltre, si ipotizza un qualche collegamento tra un ipotetico programma nucleare ed il programma missilistico guidato dal già citato Wernher von Braun, che, in qualità di massimo esperto di ingegneria missilistica del Reich, è ipotizzabile che sarebbe stato coinvolto nella progettazione di un vettore a medio-lungo raggio in grado di trasportare un oggetto dal peso e la massa di un ordigno nucleare. Se si tiene in considerazione questa ipotesi è interessante osservare i risultati raggiunti dal suddetto von Broun negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni cinquanta e sessanta, quando, coinvolto nel programma spaziale statunitense, si impegno nella progettazione di nuovi vettori più potenti, questa volta in grado di raggiungere lo spazio e non “solo Londra”.

Le indagini per far chiarezza sull’effettivo stato del programma di armamento nucleare della Germania Nazista sono ancora in corso, al momento le uniche informazioni certe che si hanno, vedono un programma iniziato nel 1939 e abbandonato in favore di un programma energetico nel 1941. Parallelamente si hanno alcune testimonianze più o meno attendibili non supportate da alcun documento o prova empirica, e se mai qualcosa verrà fuori, sarà grazie all’accurata analisi di una documentazione estremamente limitata e le indagini sul campo degli archeologi del nazismo impegnati nella ricerca di tutte le strutture, basi e bunker che i nazisti seminarono in tutto il Reich.