Taiwan : Storia di un’isola contesa tra Cina e Stati Uniti

Periodicamente l’attenzione dei media globali torna su Taiwan, il conflitto con la Cina per la sua “indipendenza” e gli interessi USA nella regione. MA perché un isola grande appena un decimo dell’Italia, con una popolazione di appena 24 milioni di abitanti e un PIL pari a 2/5 di quello italiano, è così importante per USA e Cina?

Taiwan è per la Cina quello che Fiume fu per l’Italia dopo la prima guerra mondiale. L’emblema di una “vittoria mutilata“, di una promessa tradita da parte degli alleati. O almeno questo è quello che la Cina nazionalista (come l’Italia dell’epoca) racconta a se stessa e ai propri cittadini.

Siamo nel pieno della seconda guerra mondiale, la Cina, al fianco degli alleati, combatte l’impero giapponese al fianco dell’asse. Per la Cina vincere significa riconquistare l’isola di Formosa, persa contro i giapponesi durante l’ultima guerra sino-nipponica (circa 50 anni prima) e garantirsi una maggiore influenza sul pacifico e il traffico tra pacifico e mar cinese meridionale.

La guerra finisce, l’isola è conquistata, ma neanche 5 anni più tardi, la rivoluzione di Mao cambia il volto del paese. La Nuova Repubblica Popolare Cinese controlla il continente, ma a Taiwan, dove la rivoluzione non attecchisce, si stabilisce il vecchio governo della Repubblica di Cina e per vent’anni entrambi i governi rivendicano la propria sovranità sull’intero territorio cinese, (compresa Taiwan), ed è qui , nel 1949 che iniziano i problemi.

Facciamo allora qualche passo indietro, cerchiamo di capire perché le varie versioni, molto diverse tra loro, fornite da Cina, USA e Taiwan, sono così fortemente politicizzate e polarizzate e sostanzialmente appaiono agli occhi della storia come narrazioni distorte di una realtà che in qualche modo si è perduta.

In questo articolo, senza altri giri di parole, voglio andare alla scoperta delle “origini” di Taiwan e delle ragioni che si celano dietro le pretese territoriali di Cina, USA e Taiwan.

Le origini di Taiwan

Storicamente è difficile parlare di Taiwan senza parlare del conflitto con la Cina, poiché le due realtà viaggiano parallelamente e affondano le proprie radici nella Cina moderna e sono il frutto di un articolato intreccio di guerra civile, interessi economici nazionalisti e imperialisti, forze interne e pressioni esterne, in particolare degli Stati Uniti, ma non solo. 

Secondo fonti ufficiali, l’Isola di Taiwan, originariamente chiamata Formosa, venne colonizzata dagli esploratori europei nel XVI secolo, tra 1500 e 1600 e secondo annali, registri commerciali e atti diplomatici, l’isola rimase sotto il controllo diretto delle potenze occidentali almeno fino al XIX secolo, quando venne inglobata nella neonata provincia di Fujian-Taiwan, istituita dall’impero cinese intorno al 1887 e rimase sotto il controllo cinese, fino alla guerra sino-giapponese (1894-1895) al cui termine, i giapponesi sottrassero l’Isola al controllo cinese.

Nel mezzo secolo successivo l’isola fa parte dell’impero giapponese e solo i trattati di pace alla fine della seconda guerra mondiale, videro la cessione dell’Isola alla Cina. Ed è proprio in questi anni, tra il 1945 ed il 1949, con la rivoluzione di Mao, che ebbe inizio il “conflitto” diretto tra Taiwan e la Cina continentale.

Più precisamente, mentre nella Cina continentale il partito comunista cinese guidato da Mao Zedong avanzava e trionfava nella guerra civile, ciò che rimaneva dell’altra parte, il governo del Kuomintang, si rifugiarono sull’isola di Formosa a Taiwan ed è questo il momento di rottura.

Le forze militari del Kuomintang, asserragliate sull’isola, riescono a resistere alla rivoluzione maoista, e mentre nella Cina continentale veniva costituita la Repubblica Popolare Cinese (RPC), che rivendicava la propria sovranità su tutto il territorio della Cina continentale e possedimenti extraterritoriali della Cina, dall’altra parte, il governo separatista di Taiwan riconosceva se stesso come legittimo governo della Repubblica di Cina (RPC) istituita nel 1912 e di conseguenza rivendicava la propria autorità sull’intero territorio cinese, sia continentale che extraterritoriale.

Disputa territoriale tra Cina e Taiewan

A questo punto ci sono due istituzioni, la RPC e la ROC, con due governi distinti, che rivendicano entrambe la sovranità sull’intera Cina, la prima controlla effettivamente il paese e governa da Pechino, la seconda in esilio a Taiwan senza alcun controllo diretto o indiretto sul territorio cinese.

Questa disputa viene parzialmente risolta nel 1971 con la risoluzione 2758 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, risoluzione che riconosce la Repubblica Popolare di Cina come l’unico rappresentante legittimo della Cina continentale all’interno delle Nazioni Unite, e di conseguenza riconosce il governo di Pechino come legittimo governo cinese, espellendo i rappresentanti della ROC dall’ONU.

La questione sembra risolta, tuttavia il governo di Taiwan, rivendica il proprio diritto a partecipare alle Nazioni Unite, poiché la risoluzione 2758, non la riconosce ufficialmente come parte del territorio cinese. Dall’altra parte per la Cina continentale, e la stessa ONU, tale riconoscimento non può avvenire in maniera arbitraria, ma deve esserci un istanza di indipendenza da parte di Taiwan, la cui assenza rende de facto Taiwan una regione autonoma della Cina (esattamente come Hong Kong, Macao ecc).

Dal 1971 ad oggi, Taiwan ha presentato diverse richieste all’ONU per essere riconosciuta come stato sovrano, richieste per lo più respinte in favore delle opposizioni della Cina.

Dall’altra parte, va detto che il governo di Pechino è tutt’altro che indulgente con Taiwan, ha sempre considerato Taiwan una parte irrinunciabile del territorio cinese, e de facto considera qualsiasi movimento estero a sostegno dell’indipendenza formale dell’isola come una minaccia diretta all’integrità territoriale della Repubblica Popolare Cinese.

Su questo punto è bene fare un chiarimento aggiuntivo. Le opposizioni della RPC all’indipendenza di Taiwan, sono sia interne che esterne, e si fondano prevalentemente sulla “costituzione” cinese, il diritto cinese e lo stesso statuto dell’ONU.

Si tratta delle stesse opposizioni mosse dal governo spagnolo nei confronti dell’indipendenza catalana, o delle opposizioni Italiane alle richiesta di indipendenza della padania, o degli USA alle recenti richieste di indipendenza di alcuni stati federali.

Sebbene la RPC sia contrario e si opponga fortemente all’indipendenza formale di Taiwan, non ne esclude esclude la possibilità, e in più occasioni il governo di Pechino si è detto disposto ad accettarle a condizione che questa richiesta venga formulata seguendo la prassi riconosciuta dall’ONU e il principio di autodeterminazione dei popoli. Ed è su quest’ultimo punto che sorge il vero problema dell’indipendenza di Taiwan, perché la stessa Taiwan, pur rivendicando insistentemente la propria indipendenza dalla Cina, non ha mai riconosciuto se stessa come un popolo diverso da quello cinese, rigettando de facto l’idea di un nazione diversa.

Ricordate la risoluzione 2758 del 1971 che riconosce al governo di pechino la sovranità sull’intero territorio della Cina? Ecco, Taiwan non ha mai accettato apertamente tale risoluzione e, anche se espulsa dall’ONU, ha continuato e continua tutt’oggi, sostenuta dagli USA a riconoscere se stessa come parte del territorio cinese e continua a rivendicare la propria sovranità sull’intera cina.

Prendete quanto segue molto con le pinze, ma sembra quasi che tra Cina continentale e Taiwan, la vera disputa territoriale, continui ad essere non la sovranità sull’isola di Taiwan, ma la sovranità sulla Cina continentale, o almeno così è stato fino a circa 20 anni fa.

Fino a gli anni 90 anche nei documenti ufficiali, sia Taiwan che USA e Giappone, hanno continuato a definire Taiwan come “Taiwan-Cina”, e solo di recente questo nominativo è scomparso in favore del semplice “Taiwan“.

Tutti vogliono Taiwan

Come abbiamo visto, la questione di Taiwan è molto più che una semplice disputa territoriale per il controllo di un isola, e se per la Cina rappresenta una risorsa strategica, ma soprattutto un importante obbiettivo politico in termini di unità nazionale, per fare un esempio pratico, per la Cina, Taiwan è un po’ quello che Fiume era per l’Italia dopo la prima guerra mondiale. Ma non solo, dal punto di vista geopolitico, Taiwan occupa una posizione strategica estremamente rilevante, l’isola venne colonizzata nel XVI secolo per la sua posizione chiave per il controllo delle rotte e l’accesso l’accesso marittimo tra il Mare della Cina Meridionale e l’Oceano Pacifico.

Per la Cina controllare Taiwan significherebbe permetter alla propria marina di ottenere uno sbocco diretto sul Pacifico, estendendo di conseguenza la propria influenza marittima e mettendo in discussione l’attuale supremazia navale statunitense nelle acque dell’estremo oriente. Supremazia ottenuta a seguito della vittoria sul Giappone nella seconda guerra mondiale e la nascita di Taiwan, che de facto ha “mutilato” la vittoria cinese.

Fonti

Restoration of the lawful rights of the People’s Republic of China in the United Nations.
Taiwan. L’isola nello scacchiere asiatico e mondiale

Cina: La Città Proibita

Un Viaggio nella Storia, nell’Architettura e nel Simbolismo

Nel cuore antico di Pechino, sorge la Città Proibita, uno dei monumenti più iconici della storia cinese che, per quasi mezzo millennio è stata il cuore pulsante della politica Cinese. Tra il 1420 e il 1912, la Città Proibita ha ospitato il centro politico e cerimoniale dell’Impero cinese, e tra i suoi edifici hanno camminato 24 imperatori delle dinastie Ming e Qing.

Il suo nome, “Città Proibita” è estremamente evocativo e affonda le proprie origini nel corso dei secoli. In questo articolo andremo alla ricerca delle sue origini ed esploreremo la sua funzione nel periodo in cui è stata il centro di potere più importante dell’Impero Cinese e dell’intera Asia.

Le Origini della Città Proibita

La storia della Città Proibita inizia in tempi relativamente recenti, siamo nel XV, la Cina è governata dalla dinastia Ming, e sul trono imperiale siede l’imperatore Yongle, terzo sovrano della suddetta dinastia Ming. Il regno di Yongle durerà tra il 1402 e il 1424 e rappresenta un punto di svolta nella politica cinese. Yongle decise di trasferire la capitale imperiale dalla tradizionale Nanchino a Pechino. La scelta è di natura politica, Trasferire la capitale, e con essa l’intera corte imperiale a Pechino, significa consolidare il controllo imperiale nella regione settentrionale dell’impero, che in quel periodo era oggetto di diverse incursioni mongole.

Portare la capitale a Pechino permette all’imperatore di controllare meglio l’esercito impegnato al nord, e quindi respingere con maggiore efficacia lee incursioni mongole. Qualcosa di analogo è stato fatto più di un millennio prima, anche nel mediterraneo, da diversi imperatori Romani, che spostarono la corte militare da Roma alle regioni più bellicose, come l’area germanica e l’oriente. Pensiamo a Costantino. Ecco Yongle è una sorta di Costantino dell’impero cinese dei Ming, e Pechino in un certo senso la sua Costantinopoli.

Per trasferire la capitale, e costruire per l’intera corte imperiale palazzi ed edifici che permettessero di amministrare il paese, furono impiegati, secondo la tradizione, oltre un milione di operai e artigiani, e nel 1420 venne inaugurata, nel cuore di Pechino, la “città proibita”.

Un complesso edilizio senza eguali, che si estendeva su una superficie di circa 72 ettari interamente circondato da mura alte 10 metri e profondi fossati. All’interno delle mura sorgevano oltre 1.000 edifici, la maggior parte dei quali adibiti a palazzi residenziali per funzionari e ospiti, ma non mancano templi, giardini e cortili. L’intera città proibita è stata progettata, sia dal punto di vista architettonico che organizzativo, secondo i principi del feng shui riflettendo così la cosmologica cinese e ponendo l’accento sull’armonia tra cielo, terra e uomo.

Il Significato del Nome: Perché “Proibita”?

Per quanto riguarda il nome, questa in origine si chiama Zǐjìn Chéng, un termine composto da tre parole, ovvero Zǐ, Jìn e Chéng che insieme formano appunto 紫禁城 (Zǐjìn Chéng), il cui significato può essere tradotto letteralmente in Città Proibita della Porpora Celeste, questo perché il termine 紫 (Zǐ) significa “porpora” o “viola”. Tale colore, secondo la tradizione cinese, era associato alla Stella Polare, stella che, nella cosmologia cinese rappresentava il centro celeste dell’universo. Il colore porpora è associato anche all’Imperatore, questo perché secondo la tradizione, l’Imperatore era il “Figlio del Cielo” e la sua residenza rappresentava la dimora terrena del potere divino.

Il termine 禁 (Jìn) invece significa “proibito” o “vietato”. Questo è esplicativo del fatto che l’accesso alla Città riservato solo a pochi privilegiati, per lo più nobili, funzionari, o al più, ospiti dell’imperatore. Pertanto, l’accesso alla città era rigidamente controllato e alla maggior parte della popolazione non solo non era consentito accedervi, ma era proprio vietato l’accesso.

In fine, il termine 城 (Chéng) significa semplicemente “città” o “fortezza”.

Come anticipato, Zǐjìn Chéng significa “letteralmente” Città Proibita della Porpora Celeste, mentre una traduzione più “concettuale”, un adattamento del nome, potrebbe essere Fortezza/Città Proibita dell’Imperatore, e in effetti, Zǐjìn Chéng non è altro che la “fortezza dell’Imperatore” e nell’uso comune col tempo è diventata la Città Proibita.

La Funzione della Città Proibita

La Città Proibita è un centro di potere a tutti gli effetti, un po’ come lo è ad oggi il “Vaticano” o Washington DC, e volendo fare un parallelismo con Washington la città proibita in senso stretto, è un po’ come se fosse la Casa Bianca. Ma la città proibita non è solo la residenza imperiale, è appunto una città, ed ospita anche il centro amministrativo e cerimoniale dell’Impero, e si articola in due grandi aree interne alle mura.

L’area più interna, è detta Nèicháo ed era riservata alla vita privata della famiglia imperiale, analogamente al giardino e il secondo piano della Casa Bianca. Questa parte della città comprendeva i quartieri dell’imperatore, della sua consorte e del suo harem. Non mancano giardini, biblioteche e sale per la meditazione.

L’area più esterna invece, è detta Wàicháo ed ospitava amministrativi, e quelli dedicati alle attività ufficiali, un esempio noto è la Sala della Suprema Armonia (Taihe Dian), che ospitava le cerimonie più importanti, come l’incoronazione degli imperatori e la nomina dei funzionari di corte. Volendo sempre mantenere il parallelismo con la White House e Washington, è come se la Taihe Dian fosse lo studio ovale dell’imperatore cinese mentre altri edifici nella Wàicháo assumevano altre funzioni che possiamo associare ai vari dipartimenti, al congresso e al pentagono.

La Città proibita però non è solo una residenza e luogo amministrativo, ma è anche un un simbolo del potere assoluto dell’imperatore. E in questo possiamo associarla ad altri edifici che nella storia occidentale abbiamo imparato a conoscere meglio, pensiamo alla Domus Aurea di Nerone, alla città del Vaticano, alla Reggia di Versailles di Luigi XIV o la White House.

Declino e Rinascita

La città proibita è stata il centro del potere imperiale tra il 1420 ed il 1912. Nel 1912 la Città Proibita il proprio ruolo politico, simbolico e la sua funzione di sede del potere imperiale a seguito della caduta dell’imperatore Puyi, l’ultimo imperatore cinese della dinastia Qing.

Sebbene la città non fosse più sede del governo, Pu Yi e molti dei suoi funzionari, rimasero “prigionieri” nella Città Proibita fino al 1924, quando Feng Yuxiang prese il controllo di Pechino con un colpo di Stato e negli anni seguenti, la città proibita è stata progressivamente abbandonata. Nel complesso, guerre e rivoluzioni del XX secolo hanno contributo a danneggiare enormemente la città proibita, almeno fino agli anni 80.

Nel 1987 l’UNESCO ha inserito il “palazzo imperiale delle dinastie Ming e Qing” tra i siti patrimonio dell’umanità, e da quel momento la città Proibita ha visto una seconda vita questa volta come città museo, non più aperta ad una cerchia ristretta di funzionari imperiali, ma totalmente aperta al pubblico e si stima che ogni anno attiri milioni di visitatori da tutto il mondo.

Conclusione

La Città Proibita è molto più di un semplice palazzo imperiale: è un libro di storia scritto in pietra, legno e oro. Attraverso la sua architettura e il suo simbolismo, racconta la storia di un impero, delle sue tradizioni e del suo rapporto con il divino. Oggi, mentre camminiamo tra le sue sale e cortili, possiamo immaginare la vita di imperatori, cortigiani e servitori che hanno plasmato il destino della Cina per secoli. La Città Proibita, con il suo fascino senza tempo, continua a ispirare e a stupire, offrendoci una finestra sul passato glorioso di una delle civiltà più antiche del mondo.

Di Battista cita Mussolini… ma la citazione è FALSA

il 22 Febbraio Vittorio di Battista, padre di alessandro di battista, in un post su facebook ha citato mussolini… ma la frase da lui attribuita al duce, non è mai stata pronunciata da l dittatore italiano

“Attenzione al pericolo giallo”, così scrive Vittorio Di Battista, padre dell’ex deputato M5S Alessandro di Battista, in un suo post, in cui attribuisce la paternità di queste parole all’ex dittatore italiano Benito Mussolini.

Di Battista senior, a proposito dell’emergenza coronavirus, ha scritto su facebook

LA PROFEZIA. 
"Attenzione al pericolo giallo. Nei prossimi decenni ci dovremo guardare dall'espansionismo cinese. Invaderanno il mondo con la loro smisurata prolificità, con i loro prodotti a basso costo e con le epidemie che coltivano al loro interno".
Benito Mussolini, discorso di saluto a Galeazzo Ciano, nominato rappresentante italiano a Shangai. Discorso pronunciato a Roma nel 1927, anno V° EF. E mo? E mo, Speranza…

Con queste parole, il fascista più liberale conosciuto da Alessandro di Battista lascia intendere una profetica visione di Mussolini con la quale il duce degli italiani, non solo avrebbe “previsto” l’espansione economica cinese, ma anche l’epidemia di corona virus.

Nel suo post Di Battista Senior ci fornisce anche un indicazione ben precisa del momento in cui Mussolini avrebbe pronunciato quelle parole. Il discorso di saluto a Galeazzo Ciano, nominato rappresentante italiano a Shangai, nel 1927.

Comparando questa informazione con con il percorso diplomatico di Ciano notiamo alcune incongruenze.

Nel 1927 Ciano non si trovava a Shangai, ma a Pechino dove era stato inviato come segretario di legazione, alle dipendenze dell’ambasciatore Daniele Varè. In quell’occasione Ciano era poco più di un semplice funzionario statale, di basso livello, e il suo legame con Mussolini era prevalentemente privato e dovuto alla relazione sentimentale con Edda Mussolini, figlia del duce. Non vi è peraltro traccia (come è normale che sia) di un discorso pubblico di saluto a Ciano nel 1927.

Già questo sarebbe sufficiente per etichettare la citazione fatta da Vittorio di Battista a Mussolini, come falsa o inesatta. Vi è però una fase della carriera di Ciano in cui il diplomatico fascista è stato effettivamente a Shangai, e alla sua partenza vi è stato un saluto pubblico da parte del Duce, ovvero, nel tra il maggio del 1930 e il luglio del 1933.

Nel maggio del 1930 Galeazzo Ciano venne nominato Console italiano a Shangai, e partì, insieme alla consorte, Edda Mussolini, figlia di Benito Mussolini, a pochi giorni dal proprio matrimonio, avvenuto il 24 aprile 1930. In occasione della loro partenza, il duce tenne un discorso pubblico in cui salutava il nuovo console, non tanto in funzione del proprio ruolo diplomatico, ma quanto più perché marito di Edda. In questo discorso Mussolini si rivolge soprattutto alla coppia, e non affronta questioni politiche.
L’anno successivo Ciano venne trasferito da Shangai a Pechino, dive ottenne l’incarico, nel 1931, di Ambasciatore Plenipotenziario a Pechino.

Continua a non esserci traccia, nei discorsi di Mussolini, al “pericolo giallo” citato da di Battista.

Facendo un passo in dietro, e andando a ricercare tra i documenti della Camera, scopriamo però che, il 26 Maggio 1927, Mussolini tenne un discorso alla Camera dei Deputati, oggi noto come “Discorso dell’ Ascensione“, in cui, affrontando, tra le altre cose, il tema della sanità e della salute pubblica, Mussolini pronunciò le seguenti parole:

[...]Sotto la diretta sorveglianza degli organi della Sanità pubblica si sono derattizzati novemila bastimenti, cioè si sono uccisi quei roditori che portano dall'Oriente malattie contagiose: quell'Oriente donde ci vengono molte cose gentili, febbre gialla e bolscevismo. [...] 

Questo discorso è molto celebre, perché è il punto di origine del mito per cui Mussolini avrebbe sconfitto la Mafia, in quanto, in questo stesso discorso, Mussolini presenta i numeri relativi ad alcuni interventi statali e di polizia, grazie ai quali, un elevato numero di “delinquenti associati” sono stati individuati e arrestati. Ma questa è un altra storia.

Il discorso dell’ascensione è l’unico discorso, pronunciato da Mussolini nel 1927, in cui si fa un esplicito riferimento all’oriente, e alle “malattie” provenienti dall’oriente. Non vi è però, alcuna connessione, tra questo discorso e la nomina di Ciano a Console a Shangai o di Ambasciatore a Pechino, e la frase, messa tra virgolette da Vittorio di Battista, non è mai stata pronunciata da Benito Mussolini.

Si tratta quindi di una Falsa Attribuzione, probabilmente il frutto di una distorta interpretazione del discorso dell’ascensione, dal quale sono stati estrapolati alcuni concetti, quali la diffidenza e la preoccupazione espressi da Mussolini nei confronti della Cina, per poi adattare quei concetti alla quasi contemporanea partenza di Ciano per la Cina.

Fonti:
V.Moccia, La Cina di Ciano, La diplomazia fascista in estremo oriente
G.Ciano, I diari di Ciano: Testi originali
G.B.Guerri, Galeazzo Ciano, Una Vita(1903-1944)
B.Mussolini, Discorso dell’ascensione presso la Camera dei Deputati, 26 maggio 1927

STORIA DELLA CINA – dai primi insediamenti alla nascita del primo impero cinese

L’età arcaica della Cina, come spesso accade quando si tratta di antiche civiltà, e in particolare del periodo in cui queste popolazioni non conoscevano ancora la scrittura, è avvolta da una fitta coltre di mistero e molto di quello che sappiamo dei primi millenni di storia cinese è derivato soprattutto da ricostruzioni archeologiche.

A complicare enormemente le cose una serie di incendi e di roghi che intorno al secondo secolo a.c. portarono alla distruzione di un enorme fetta della storia di quei popoli. Sul piano storiografico la cina ha una propria tradizione analitica che inizia proprio nel secondo secolo a.c. con Sima Quin, un autore che, secondo la tradizione, di continuare a fare il suo lavoro, scelse l’evirazione, aneddotica a parte, Sima Quin è noto principalmente per essere stato il primo “storico” cinese, e nelle sue opere avrebbe messo per iscritto secoli di tradizione orale, lasciando ai posteri un immensa raccolta documentaria per quanto riguarda l’età arcaica e questo fa di lui, l’Erodoto della storiografia cinese e proprio come Erodoto anche Sima Quin aveva una visione molto descrittiva della “storia”, nei suoi scritti da molto spazio anche a numerosi popoli stranieri, di fatto tracciando il profilo “internazionale” della Cina durante la sua epoca e nelle epoche passate.

Questa Mappa carta indica la divisione della cina arcaica introno alla metà del III secolo, i confini esterni rappresentano il confine dell’intera Cina arcaica

La narrazione di Sima Quin parte dal 3500 a.c. in un epoca che chiama dei tre augusti e cinque imperatori, si tratta di un epoca in cui storia e mitologia si intrecciano in maniera molto forte, analogamente a quanto accaduto in Egitto nell’età pre-dinastica e se si considera che la prima “dinastia” successiva a quest’epoca è quella Xia la cui presenza è attestata intorno al 2100.a.c. ci ritroviamo ad avere un età pre-arcaica di circa 1300/1400 anni.

In ogni caso, secondo la ricostruzione fornita da Sima Quin, è con la dinastia Xia, o meglio, il popolo Xia, poiché in questa fase non abbiamo una vera e propria casa regnante, nel senso “moderno” ed “europeo” del termine, la corona di fatto non ha un vero e proprio potere politico, ma il re è una figura più religiosa, di fatto il suo compito è relegato allo svolgimento di pratiche e cerimonie religiose, che nulla hanno a che fare con l’amministrazione politica delle città.

Durante la dinastia Xia secondo la tradizione si sarebbe sviluppata la prima forma di stato in Cina, ed è sempre in quel periodo che si sarebbero affermate le cariche di governo e si sarebbe consolidata la successione ereditaria secondo modalità che sarebbero giunte almeno fino alla fondazione del primo impero cinese, intorno al 220 a.c. con l’ascesa della dinastia Qin in seguito ad un lungo periodo di guerra civile e disordine militare. Comunque, tra il 2100 ed il 1600 circa, la dinastia Xia estende progressivamente il proprio potere lungo la valle del fiume giallo conquistando le regioni di Henan, Shandong, Shanix, Hubei e Hebei che più o meno corrisponde alla fascia centro settentrionale della cina, immediatamente a sud est della mongolia. La società cinese in questa fase ha un ordinamento molto vago, è presumibile che, vista la vicinanza con il fiume giallo, l’agricoltura fosse una delle attività principali, seguite dall’artigianato, e dall’allevamento.

Il racconto di Sima Quin sembra essere confermato da alcuni ritrovamenti archeologici nel sito di Erlitou, odierna Yanshi nella regione di Henan, probabile luogo di origine della civiltà Xia, in particolare il ritrovamento delle fondamenta di alcuni palazzi datati intorno al II millennio, sembrano essere la prova tangibile dell’avanzato livello di sviluppo sociale della società Xia, poiché per realizzare opere pubbliche o private di quella portata è necessaria la presenza di molti operai edili, uomini liberi o schiavi è indifferente, e questi operai in qualche modo devono essere nutriti e questo implica la presenza di una classe di contadini impegnati in un agricoltura non di sussistenza, dunque è necessario che vi sia un sistema fiscale di tassazione e un apparto amministrativo, entrambe identificative di un livello di sviluppo della società abbastanza avanzato.

Purtroppo la narrazione di Sima Quin non ci fornisce molte informazioni su come la dinastia Xia sia caduta in declino, e l’archeologia non è ancora riuscita a trovare indizi che possano spiegare cosa sia successo, quel che sappiamo è soltanto che, a partire dal 1600 circa e fino al 1040 circa, l’epicentro della civiltà cinese si sposta alla corte della dinastia Shang detta anche dinastia Yin che risiedeva nell’area nordorientale della Cina e che in questi sei secoli avrebbe controllato la valle del fiume giallo.

Come per il gli Xia anche il regno gli Shang hanno un economia basata prevalentemente sull’agricoltura, ma a differenza dei loro predecessori, sembra che in quest’epoca l’allevamento fu praticato in maniera molto più estesa, sappiamo inoltre che è durante durante la dinastia Shang che la società cinese compie due importanti passi in avanti, sul piano tecnico saranno i primi (in oriente) ad entrare nell’età delle leghe riuscendo a lavorare il bronzo, e come accaduto anche per sumeri ed egizi, il passaggio all’età del bronzo coincide con l’introduzione delle prime forme di scrittura e la produzione delle prime ceramiche ornamentali.
Secondo Sima quin, in quest’epoca la capitale fu spostata diverse volte e intorno al 1350 fu trasferita per l’ultima volta nella città di Yin-Xu, è molto probabile che questo cambio di capitale sia dovuto ad un cambio al vertice del potere e che la dinastie Shang e Yin siano in realtà due dinastie separate, come erano popoli separati Assiri e Babilonesi, se bene condividessero lingua e divinità, secondo altre ipotesi invece i due nomi indicano la prima e l’ultima capitale di questo popolo. Probabilmente non lo sapremo mai, ciò che sappiamo però è che il trasferimento della capitale portò molta fortuna al regno e gli ultimi due secoli sono considerati una sorta di l’età d’oro della dinastia Shang-Yin.
Nel 1056 in seguito alla battaglia di Muye sarebbe emersa la dinastia Zhou, un antico popolo, originario della parte più orientale del regno, che avevano sempre goduto di una certa autonomia territoriale e che, in un certo senso, per secoli era stato in lotta contro la dinastia regnante degli Shang-Yin, la rivalità tra i due popoli sarebbe svanita con la caduta di Shang nella battaglia di Muye, segnando così l’inizio di una nuova fase della storia cinese.

Il regno degli Zhou è considerato da alcuni il più longevo dei regni della cina arcaica, durato per oltre otto secoli, ovvero fino alla metà del terzo secolo, secondo altri invece, la frammentazione del regno a partire dal quinto secolo segnerebbe la fine della dinastia. In ogni caso, durante quest’epoca assistiamo alla massima espressione del classicismo cinese, il regno Zhou avrebbe dato i natali a personalità del calibro di Confucio e Laozi fondatori rispettivamente del confucianesimo e del taoismo, due culti filosofici che rappresentano le fondamenta di tutto il pensiero e la cultura cinese, un po come Socrate, Platone ed Aristotele rappresentano un importante tassello nelle fondamenta culturali dell’occidente europeo.

Come anticipavo poco sopra, negli ultimi due secoli il regno Zhou è tutt’altro che unito, e la dinastia si spezzerà in tre diversi stati indipendenti, questi saranno lo stato Han, lo stato Wei e lo stato Zhao e successivamente questi tre regni si sarebbero frammentati ulteriormente dando origine a sette principati, Han, Zhao, Wei, Yan, Qin , Qi e Chu, che sarebbero stati perennemente in guerra tra loro per oltre due secoli, ovvero dalla spaccatura dello stato Zhou fino al trionfo dei Qin su tutti e sette i regni. Questa fase di anarchia militare e instabilità politica è detta età dei regni combattenti e in seguito al trionfo dei Qin la Cina sarebbe stata riunificata e rivoluzionata con la creazione del primo impero cinese.

La divisione della cina tra i sette principati al tempo dei regni combattenti

Le tradizionali istituzioni gerarchiche e cariche politiche vengono stravolte e il re che fino a quel momento aveva assolto a compiti prevalentemente rituali, con l’ascesa dei Qin diventa il principale depositario del potere politico e militare.

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