Giorgia Meloni attacca di nuovo la Costituzione

Nuova proposta di riforma costituzionale proposta da Giorgia Meloni, dopo aver proposto una modifica della struttura parlamentare ed una modifica dell’intero ecosistema istituzionale, questa volta sono sotto attacco le relazioni internazionali.

Quasi con regolarità svizzera, Giorgia Meloni, leader del partito Fratelli d’Italia, ha proposto l’ennesima modifica della costituzione Italiana, questa volta scagliandosi contro gli articoli che regolamentano i rapporti dell’Italia con l’Unione Europea e per essere più precisi, si tratta degli articoli 97 – 117 e 119.

Questi articoli, oggi sotto attacco, vanno ad aggiungersi alla già lunga lista di articoli e parti della costituzione che la Meloni vorrebbe modificare e in questa lista, oltre ad alcuni articoli immodificabili facenti parte dei principi fondamentali, 2 – 3 – 11, vi sono almeno altri venti articoli, che vanno dall’articolo 21, l’articolo che sancisce la libertà di espressione e di opinione, all’articolo 135 che riguarda le attività della corte costituzionale, nel mezzo vi sono tutto il Titolo secondo della seconda parte della costituzione, in cui sono regolamentati i poteri ed i doveri del Presidente della Repubblica, articoli dall’83 al 91, e in fine, ma non meno importante, vi è una serie molto lunga di articoli in ordine sparso riguardanti il reato di tradimento, le funzioni del parlamento, delle istituzioni ed il riconoscimento di alcuni diritti civili, più precisamente gli articoli art. 68, art. 69, art. 70, art. 73, art. 76, art. 103, art. 122, art. 123, art. 135.

Va fatta una precisazione, Giorgia Meloni non ha mai detto di voler effettivamente modificare tutti questi articoli, e soprattutto non ha mai detto di voler modificare articoli della prima parte della costituzione, anche perché i principi fondamentali non possono essere modificati, tuttavia gli articoli citati, verrebbero modificati indirette come conseguenza della modifica di dei pochi articoli ha dichiarato di voler modificare. Cerco di spiegarmi nella maniera più semplice possibile, più in questi anni volte Giorgia Meloni (e non solo lei) ha richiesto o meglio, ha dichiarato di voler apportare alcune modifiche nella procedura di elezione del presidente della Repubblica, invocando l’elezione diretta del presidente della repubblica con conseguente trasformazione dell’Italia da Repubblica Parlamentare a Repubblica Presidenziale. Perché questa trasformazione possa avvenire è necessario modificare quella parte della costituzione (titolo II della sezione II ) in cui vengono definite le modalità di elezione del presidente della repubblica e conseguentemente tutti gli articoli, ordinamenti e regolamenti, che ne definiscono i poteri e, al fine di evitare un dualismo istituzionale in cui cariche diverse assolvono alle stesse funzioni, è necessario ridefinire i ruoli, i poteri e di conseguenza le modalità di nomina ed elezione di tutti gli organi repubblicani, dal parlamento al presidente del consiglio al consiglio dei ministri, e nel fare questo bisogna toccare una quantità spropositata di articoli della costituzione, tuttavia questo non è possibile in quanto vi sono articoli della costituzione posti come clausola di salvaguardia dello stato e delle istituzioni che impediscono la modifica di una parte così ampia della costituzione.

Il problema può essere in parte superato modificando, uno per volta, gli articoli che vincolano e limitano le possibilità di modificare e manipolare la costituzione, oltre agli articoli che regolamentano gli organi di vigilanza sulle modifiche costituzionali, incastrandoli in un complesso sistema di scatole cinesi in cui vari organi, articoli e cariche istituzionali, si intrecciano e si incastrano tra loro, rendendo quasi impossibile una modifica della struttura repubblicana creata nel dopoguerra, e non è un caso che sia così.

Questo complicato sistema di incastri è stato costruito proprio sulla base della precedente esperienza costituzionale italiana in cui, sotto lo sguardo assente del Re, il primo ministro Benito Mussolini aveva svuotato dall’interno, manipolando, riformando ed aggiornando l’allora costituzione italiana nota come Statuto Albertino. Lo statuto Albertino era privo di qualsivoglia clausola di sicurezza e in pochissimi anni, tra il 1924 ed il 1929 Mussolini riuscì a modificarla in maniera così radicale da riuscire impadronire dello stato italiano senza che questo violasse la costituzione e nel 1945 l’assemblea costituente prese tutte le precauzioni necessarie affinché nella nuova Repubblica Italiana, non fosse possibile svuotare la costituzione, ed è importante ricordare che, l’assemblea costituente fu  presieduta da Enrico de Nicola, il quale, nel 1924 aveva assistito in prima persona alla distruzione dello stato italiano iniziata con la legge Acerbo, poiché lo stesso de Nicola era stato nel 1924 presidente della commissione parlamentare che aveva lavorato proprio alla legge Acerbo, ed è stato merito di de Nicola se la legge acerbo si era limitata ad assegnare un premio di maggioranza del 60% al primo partito italiano invece che dell’80 come inizialmente proposto.

Chiusa la parentesi storica, che non può mancare qui nell’osservatorio di Historicaleye, mi rendo conto che commentare tutti gli articoli della costituzione che direttamente o indirettamente alcune forze politiche vorrebbe vorrebbe modificati, richiederebbe uno sforzo troppo grande, ed è per questo che mi limiterò a fare un unico commento per commentarli tutti.

Questi articoli, dal primo all’ultimo, garantiscono i diritti degli italiani, limitano il potere politico dei singoli individui e dei singoli partiti e garantiscono che l’attività politica nel nostro paese sia vincolata a regole democratiche in cui le forze di maggioranza non possono ignorare o calpestare le minoranze, poiché entrambe le parti rappresentano gli italiani ed è loro dovere servire gli italiani, questi articoli vincolando le decisioni politiche al rispetto della legalità e della costituzione ed inseriscono la vita politica in un contesto quadrato, estremamente rigido, fatto di regole e norme che devono essere rispettate, fatto di procedure che devono essere seguite, così che i diritti ed i doveri di tutti i cittadini italiani, siano garantiti e rispettati, senza alcuna distinzione.

Modificare anche un solo articolo è qualcosa che dovrebbe essere evitato, o comunque fatto molto raramente e solo per aggiornare la costituzione, se questa dovesse rivelarsi troppo arretrata/obsoleta, la costituzione non è il regolamento di un gioco da tavolo che ogni giocatore può modificare prima di una partita perché gli va, la costituzione è il documento più importante dello stato, il pilastro fondamentale della repubblica, e da essa dipendono i diritti ed i doveri di tutti, non è un qualcosa che può essere modificata con leggerezza, non si può richiedere e proporre modifiche costituzionali ogni volta che se ne ha voglia e in italia, Giorgia Meloni, ma come lei anche Matteo Salvini e Luigi di Maio, parlano di modificare la costituzione con la stessa frequenza con cui parlano di modificare gli ingredienti sulla pizza al sabato sera.

Ripeto, non sto dicendo che la costituzione è intoccabile, la costituzione, lo ripeto, può essere modificata, ma con parsimonia e cautela e la stessa costituzione ci dice come procedere per modificarla affinché le modifiche effettuate vadano a migliorare la costituzione, ed è l’unico motivo per cui la si può modificare, per migliorarla non per asservirla ai propri intenti politici. Migliorare la costituzione significa potenziarla non limitarla e visto che il compito primario della costituzione è quello di definire i diritti ed i doveri dei cittadini, modificarla significa ampliare i diritti e i doveri dei cittadini, non limitarli. Ma non è questo l’intento della Meloni, poiché gli articoli che vuole modificare, e che in questo caso specifico sono gli articoli 97 – 117 – 119, sono articoli che regolamentano i doveri dello stato italiano, detto molto semplicemente, ciò che vuole fare la Meloni è ridurre i doveri internazionali dello stato italiano, senza però considerare che dal rispetto di quei doveri istituzionali e internazionali dipendono alcuni diritti fondamentali e quindi, limitare i doveri si traduce, inevitabilmente in una limitazione dei diritti e delle libertà per gli italiani, per tutti gli italiani, ma soprattutto quelli più poveri che magari non sono nati in italia o sono figli di almeno un genitore italiano.

Mi sono dilungato anche troppo, quindi concludo lasciandovi di seguito il testo degli articoli 97 – 117 e 119. Per tutti gli altri, potete leggere il testo integrale della costituzione sul portale istituzionale del Senato.

Articolo 97

Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge [95 c.3], in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari [28].Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge [51 c.1].

Articolo 117

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;b) immigrazione;c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie;f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;n) norme generali sull’istruzione;o) previdenza sociale;p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni.
La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive [3].
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

Articolo 119 


I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione [53 c.2] e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato.
Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio.
E’ esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.

La costituzione – https://www.senato.it/1024

Fonti

https://www.ilfoglio.it/politica/2018/10/22/news/via-l-ue-dalla-costituzione-ecco-l-italexit-targata-meloni-220337/
https://storia.camera.it/legislature/sistema-premio-maggioranza-1924

Mattarella ha fatto il suo dovere, Salvini e Di Maio hanno pisciato sulla costituzione

Sergio Mattarella ha fatto il proprio dovere di Presidente della Repubblica, nel rispetto e nei limiti della costituzione italiana, quanto a Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Giorgia Meloni, per dirla con una metafora, molto pittoresca, hanno pisciato sulla costituzione e cagato nei corridoi del quirinale per poi puntare il dito contro Mattarella, dicendo che era già sporco di merda quando sono arrivati.

Fatta questa premessa molto forte e di impatto che ha il solo scopo di far incazzare la maggior parte dei lettori, torniamo razionali, torniamo seri e cerchiamo di contestualizzare storicamente quello che è successo negli ultimi giorni.

Stavo ragionando in merito ai più recenti avvenimenti della politica italiana quando mi si è accesa una lampadina poco incoraggiante e un pensiero trasversale mi ha portato ad associare la rinuncia di Giuseppe Conte all’abbandono della delegazione italiana alla conferenza di londra del 1920, la conferenza in cui avvenne la ripartizione tra le potenze vincitrici della prima guerra mondiale, dei possedimenti coloniali ed alcune aree territoriali delle potenze sconfitte.

In quell’occasione la delegazione Italiana chiedeva a gran voce il riconoscimento del proprio successo bellico e della concessione di alcuni territori fino a quel momento posti sotto il controllo dell’ex impero austro-ungarico, tuttavia, trovando inascoltate le proprie richieste, decise di utilizzare come strumento di pressione, la famosa politica della sedia vuota, abbandonando la conferenza nel tentativo di rafforzare la propria posizione.

Come è noto questa strategia si tradusse in un fallimento politico internazionale per l’italia che, invece di ottenere ciò che richiedeva, si ritrovò esclusa dalla ripartizione territoriale, segnando così l’inizio del moto politico della vittoria mutilata di cui il partito nazionale fascista sarebbe diventato un portavoce privilegiato e grazie al quale avrebbe rafforzato e consolidato sempre di più la propria posizione politica fino ad ottenere un sempre maggiore consenso popolare che si sarebbe tradotto, in pochi anni, nella dittatura fascista.

Ma perché la “fuga” di Conte mi ha ricordato la conferenza di Londra?

Fondamentalmente perché la rinuncia di conte è stata dettata, con molte probabilità, da una precisa strategia politica dettata da Matteo Salvini e Luigi di Maio, il cui intento potrebbe essere quello di rafforzare la propria posizione politica nel paese ed accrescere i propri consensi utilizzando una vecchia ricetta, risalente ai tempi di Giulio Cesare, sempre molto efficace per ottenere il consenso delle masse popolari.

Come già Benedetto Croce osservò agli inizi del novecento, commentando il collasso della destra storica che portò al potere la sinistra permettendo in seguito la nascita del fenomeno del trasformismo, osservò che questi, il trasformismo, era stato possibile proprio grazie al tracollo della destra che aveva portato al successo la sinistra cavalcando l’onda del dissenso, costruendo una forte campagna di opposizione alle leadership politiche preesistenti, alla troppo rigida politica fiscale imposta dalla destra per sanare il debito italiano. Croce osserva che è molto facile ottenere consensi cavalcando il dissenso, e sulla stessa linea sarebbe stata, qualche decennio più tardi, anche Hannah Arendt, con il suo Le origini del Totalitarismo, opera in cui avrebbe individuato quella che in qualche modo possiamo identificare come la ricetta perfetta per raggiungere il potere grazie all’appoggio delle masse popolari e nello specifico per la creazione di un “regime totalitario“.

Sia Depretis che i regimi totalitari descritti dalla Arendt riescono a conquistare il potere proprio cavalcando il dissenso popolare, il malcontento, facendo proprie alcune tematiche sociali in qualche modo dimenticate o mal comunicate dall’altra parte, ed individuando un nemico esterno contro cui convogliare le proprie energie. Utilizzare una minaccia esterna alla nazione, alla repubblica, per ottenere vantaggi, è sempre stato un elemento vincente, basti guardare alla nascita dell’impero galattico nella saga cinematografica di Star Wars, o se vogliamo restare con i piedi piantati nella storia reale, alla nascita del Terzo Reich, alla nascita dell’Unione Sovietica, alla nascita del primo e del secondo impero francese, alla dittatura di Oliver Cromwell ecc ecc ecc fino ad arrivare alla nascita dell’impero romano e l’impero ateniense di Pericle.

In tutti questi casi l’ordinamento repubblicano è venuto a mancare, portando al conferimento di poteri speciali ai capi politici, trasformando de facto quei sistemi politici “repubblicani” in sistemi totalitari, dal sapore monarchico, senza però assumere ufficialmente il titolo di “monarchia”, Pericle divenne “primo cittadino Ateniense“, Cesare venne proclamato dittatore a vita, Ottaviano scelse il “titolo” di Augusto, Cromwell divenne Lord Protettore, Napoleone fu proclamato Primo console (e poi imperatore), come anche Napoleone III e il cancelliere Palpatine in Star Wars, Lienin prima e Stalini poi, avevano assunto per loro le principali cariche dell’URSS ed Hitler divenne Führer, un titolo costruito ad hoc, che formalmente significava capo assoluto dello stato.

Le loro esperienze politiche e militari, sono molto diverse, e pure, presentano numerosi elementi di congiunzione, tutti loro riuscirono a trasformare l’ordinamento repubblicano, assumendo poteri straordinari a tempo indeterminato, e in tutti i casi sopracitati, questa assunzione di poteri straordinari fu determinata dalla necessità e dalla volontà popolare, di contrastare una minaccia politica/economica/militare interna o esterna, che rischiava di distruggere la pace e il benessere della repubblica. In tutti questi casi la repubblica aveva attraversato un periodo più o meno lungo di crisi istituzionale, che aveva portato ad una perdita di fiducia nelle istituzioni tradizionali.

Nel caso di Pericle, Atene era stata impegnata nelle guerre del Peloponneso, la Roma di Cesare e di Ottaviano aveva conosciuto quasi un secolo di guerra civile, con Cromwell, il regno unito aveva appena iniziato a muovere i primi passi in un sistema repubblicano, la francia di Napoleone Bonaparte e di Napoleone III aveva appena attraversato una forte e dolorosa ondata rivoluzionaria, la Russia di Lienin aveva conosciuto la rivoluzione, la caduta degli Zar e la prima guerra mondiale, e la Germania di Hitler veniva dalla sconfitta nella prima guerra mondiale e dalla fallimentare esperienza della repubblica di Weimar, l’Impero galattico, aveva conosciuto una profonda crisi finanziaria ed una colossale guerra civile durata più di vent’anni e in fine, ma non meno importante, anche se non costituì l’avvento di una dittatura, il successo elettorale di Agostino Depretis nel 1876, venne dopo quindici anni di politiche economiche e sociali che non erano riuscite a sanare la frattura sociale tra l’italia meridionale e l’italia settentrionale, e in cui, si era prodotto un progressivo inasprimento delle politiche economiche giunto al proprio culmine con la creazione di tasse altamente impopolari, come la tassa sul macinato, il tutto, agli albori della storia unitaria del neonato regno d’italia che, nel 1876 esisteva ufficialmente da soli quindici anni.

Potrei andare avanti all’infinito, di esempi ne abbiamo ancora a migliaia, ma direi che possiamo anche fermarci qui, quelli elencati ci forniscono un immagine molto nitida di questa particolare meccanica politica che, a tutti gli effetti possiamo identificare come una dinamica storica.

Non vi è miglior modo per compattare la propria base elettorale per produrre la nascita di una nazione se non quello di individuare un nemico esterno con il quale non è possibile identificarsi e a cui attribuire la responsabilità di ogni male e disfunzione della nostra società e questo lo sanno anche i bambini.

Intorno all’anno 1096 l’europa era fortemente frantuma, il potere ecclesiastico e quello imperiale erano in forte competizione, l’europa viveva a pieno le lotte per le investiture e in quel momento storico, fu adottata, ancora una volta questa ricetta, il nemico dell’europa, nello scontro tra Papato ed Impero, fu individuato nel mondo islamico, nel controllo della terra santa e fu indetta la prima crociata che, tra le mille ragioni economiche e politiche possiamo certamente indicare la necessità di spostare l’attenzione su un nemico esterno per rafforzare la politica interna.

Ci tengo a sottolineare che, non tutti gli esempi che ho citato produssero un effettivo regime totalitario e in alcuni casi ciò che venne a crearsi fu un sistema istituzionale “positivo” e magari anche democratico, basti pensare all’Atene di Pericle o all’Italia di Depretis. Ciò accomuna tutti gli esempi sopracitati (e anche quelli che non ho citato perché sarebbero troppi da citare tutti) non è la natura totalitaria del sistema politico che venne a crearsi, non sto riscrivendo le origini del totalitarismo, non sono certo Hannah Arendt, ciò che li accomuna è che è al centro di questo articolo, fu la strategia politica, comunicativa, espressiva, che venne utilizzata per il raggiungimento del potere ed è una strategia che possiamo individuare nell’attuale politica italiana di Lega e Movimento 5 Stelle.

A scanso di equivoci, con questo articolo non voglio insinuare in alcun modo che Lega e Movimento puntino a creare un regime totalitario in italia, ciò che mi interessa fare con questo articolo è  analizzare e contestualizzare storicamente la strategia politica utilizzata dalle due forze politiche che hanno monopolizzato il terreno del dissenso generale.

Come abbiamo visto fino ad ora, la linea politica scelta dai due partiti non è certo un invenzione del ventunesimo secolo, non è certo il frutto del meticoloso lavoro di un brillante e innovativo stratega politico, la strategia utilizzata è una strategia vecchia, antica, quasi ammuffita se non fosse che è una strategia efficace, funziona oggi come funzionava il secolo scorso e come funzionava duemila anni fa.

Matteo Salvini e Luigi di Maio non sono altro che dei novelli Marco Antonio e Ottaviano, durante il secondo triumvirato, accomunati da un senso di rivalsa e di vendetta nei confronti dei cesaricidi, presentati al popolo romano come cospiratori che avevano attentato alle istituzioni repubblicane e ottenendo l’appoggio delle istituzioni repubblicane e del popolo romano per sconfiggere questo nemico comune.

Marco Antonio ed Ottaviano costruirono la propria campagna politica puntando sulla guerra contro i cesaricidi facendo passare l’idea che l’assassinio di cesare fosse un attentato alla repubblica e che i cesaricidi fossero dei criminali, perché in effetti Cesare ricopriva quella posizione di dittatore a vita in maniera legittima e godeva di un enorme consenso popolare, de facto assassinare cesare e soprattutto assassinare il leader supremo Cesare fu effettivamente un attacco “terroristico” ai danni della repubblica. Va però ricordato che il primo ad attentare alla repubblica fu proprio Cesare che aveva assunto per se poteri politici illimitati, e li aveva ottenuti in maniera legittima perché lui, li aveva resi legittimi, dall’altra parte i cesaricidi avevano agito al di fuori della legalità perché posti fuori dalla legalità da Cesare, ma, nei loro intenti,  ambivano alla ricostruzione della repubblica, una repubblica che da quasi un secolo, tra guerre sociali e guerre civili, aveva smesso di funzionare regolarmente.

Vi è dunque una forte ambiguità giuridica nella vicenda del cesaricidio che, a seconda della chiave interpretativa, può dare ragione ai Cesaricidi o ad Ottaviano e Marco Antonio.

Ed è proprio partendo da questa ambiguità giuridica che parte la mia associazione di Salvini e DiMaio a Marco Antonio ed Ottaviano, poiché, in seguito alla rinuncia di Conte all’incarico di presidente del consiglio dei ministri dovuto al veto posto dal presidente della repubblica Sergio Mattarella sul nome del proposto ministro dell’economia e della finanza Paolo Savona, Salvini e Di Maio, hanno gridato nelle rispettive dirette su facebook, ad un Attacco alla democrazia da parte del Presidente Mattarella, il quale, secondo i due politicanti avrebbe “abusato” dei propri poteri di capo dello stato, imponendo la sostituzione di un ministro, rivendicando così una presunta ambiguità giuridica nelle azioni di Mattarella.

In realtà nella decisione del Presidente della Repubblica non ci è alcuna ambiguità giuridica, in quanto gli articoli 87 e 92 della costituzione italiana, sono abbastanza chiari ed esplicativi, il Presidente della Repubblica nomina il presidente del consiglio e su proposta di questo i ministri. Va da se che il termine “proposta” implica la possibilità di un rifiuto di quei ministri e quindi la necessità di proporne semplicemente di nuovi.

In questo senso, non è infatti anomalo, nella storia dell’Italia repubblicana, imbattersi in Presidenti della Repubblica che, nel pieno dei propri poteri riconosciuti dalla costituzione, hanno richiesto al presidente del consiglio di sostituire alcuni nomi, basti ricordare che:

Nel 1979, il presidente Sandro Pertini, il più amato dagli italiani, bocciò il nome di Clelio Darida, proposto dal presidente del consiglio Francesco Cossiga per il ministero della difesa, la risposta di Cossiga a questo rifiuto fu la sostituzione del nome di Darida con quello di Attilio Ruffini, ma il cambio di nome sulla poltrona ministeriale non costituì un cambio della politica di Cossiga sul tema della difesa.

Nel 1994, il presidente Oscar Luigi Scalfaro, bocciò il nome di Cesare Previti, proposto da Silvio Berlusconi per il ministero della Giustizia, come Cossiga prima di lui, Berlusconi sostituì il nome di Previti con quello di Alfredo Biondi senza però modificare la politica del governo Belusconi I sul tema della giustizia.

Nel 2001, il presidente Carlo Azeglio Ciampi, bocciò, il nome di Roberto Maroni, proposto da Silvio Berlusconi, per il ministero della Giustizia, come già accaduto nel 94, Berlusconi cambiò il nome del ministro ma non la politica del suo governo sul tema della giustizia.

In fine, ma non meno importante, nel 2014, il presidente Giorgio Napolitano, bocciò il nome di Nicola Gratteri proposto da Matteo Renzi per il ministero della giustizia. Come tutti i suoi predecessori, il rifiuto del presidente della repubblica per il nome di un ministro non portò al fallimento del governo o ad un cambio di rotta del governo sul tema della giustizia, Renzi, come Berlusconi e Cossiga prima di lui, si limitò ad indicare un nuovo nome per il ministero e la sua scelta ricadde sul nome di Andrea Orlando.

Quest’ultimo nome è forse quello più interessante per l’esempio e per demistificare la teoria cospirazionista avanzata da Lega e Movimento 5 Stelle secondo cui vi sarebbe un potere occulto a Bruxelle che vuole rendere schiavo il popolo italiano e i poteri forti nazionali, incarnati dalla politica di Matteo Renzi e del Partito Democratico sarebbero al servizio di questo potere occulto, e pure, lo stesso Matteo Renzi, che secondo la teoria cospirazionista era al servizio di queste forze occulte, nel 2014, ha visto bocciare uno dei ministri che aveva proposto, Renzi non era un servo di quei poteri forti? perché Napolitano gli bocciò il nome di Gratteri? questa bocciatura rappresenta una falla di proporzioni bibliche nella teoria cospirazionista.

La bocciatura di un nome per un ministero, non è altro che una questione di formalità, in quanto, in una repubblica parlamentare, i ministri non agiscono e non possono agire in piena autonomia, ma devono rispondere alle linee guida fornite dal parlamento e dai partiti che lo compongono, de facto i ministri non dettano la direzione del ministero ma ne incarnano il volto, sono una sorta di biglietto da visita e svolgono una funzione prevalentemente di rappresentanza oltre che politico amministrativa.

In questo caso specifico, in cui lo stesso presidente del consiglio dei ministri Giuseppe Conte avrebbe ricoperto un ruolo prevalentemente politico e le cui decisioni, tra cui la stessa rosa dei ministri, sarebbero dipese quasi totalmente dalla volontà dei due vicepresidente del consiglio proposti, Matteo Salvini e Luigi DiMaio, il nome del ministro incaricato sarebbe totalmente irrilevante e la linea d’azione di quel ministero sarebbe dipesa esclusivamente dalle direttive gialloverdi e se dai due partiti e dai due leader politici vi fosse stata una reale inclinazione democratica alla formazione di un governo, sarebbe stato sufficiente indicare un nome alternativo ed indicare Paolo Savona come sottosegretario, affidando de facto a lui il controllo formale del ministero, ma ponendo un volto differente.

Il ritiro immediato di Conte difronte alla richiesta del presidente della repubblica di proporre un nome differente per il ministero dell’economia e la netta chiusura di Matteo Salvini e Luigi DiMaio al dialogo democratico, si traduce in un reale attacco alla democrazia che in apertura ho descritto come un pisciare sulla costituzione e cagare nei corridoi del Quirinale per poi puntare il dito contro Mattarella, un uomo che ha assolto ai propri doveri in maniera encomiabile e concedendo fin troppo tempo e fiducia a due forze politiche costituenti una maggioranza estremamente fragile, e questa fragilità è emersa alla prima incertezza, alla prima indecisione, alla prima richiesta di una reale attività politica, avendo come effetto un irrazionale e sproporzionata chiusura alle istituzioni. Sergio Mattarella ha concesso a Salvini e DiMaio tempo e fiducia, ha affidato loro il futuro del nostro paese ed in cambio ha chiesto un dialogo che gli è stato negato ed ha ottenuto come risultato insulti e minacce ingiustificabili ed estremamente gravi, i cui autori, per quanto mi riguarda, dovrebbero essere condotti dinanzi alla giustizia dalle autorità competenti.

Il cuore della COSTITUZIONE – Articolo terzo dei principi fondamentali

Personalmente credo che i principi fondamentali della costituzione, e in realtà tutta la costituzione siano superflui, o meglio, che facciano da contorno e servano a rafforzare e proteggere un unico principio inviolabile.

Questo principio è sancito in maniera indelebile dall’articolo 3 della costituzione ed esso, a mio avviso, rappresenta il cuore pulsante della costituzione, il centro gravitazionale attorno a cui tutto ruota, il cardine stesso della costituzione. Tutti i principi fondamentali e tutti gli altri articoli servono ad adornare e completare questo articolo, che di perse dice tutto quello che c’è bisogno di dire; mi piace pensare che la costituzione rappresenti un insieme di regole che hanno il preciso compito di rendere attuabile quanto comandato nell’articolo terzo dei principi fondamentali.

Per chi non lo sapesse, l’articolo terzo dei principi fondamentali della costituzione recita queste parole:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”

L’articolo in realtà è molto più lungo, e in questo post cercheremo di spiegarlo tutto, ma già queste prime parole ne definiscono l’essenza, tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, rileggiamolo, ripetiamolo, ascoltiamolo, ascoltiamo come suona bene, come suonano bene queste parole, sono parole magnifiche, candide, pure, immacolate, sembrano pronunciate da un bambino che con ingenuità crede ancora nelle favole e nella magia, sono parole che toccano direttamente il cuore degli italiani e per non lasciare spazio alle interpretazioni degli adulti, che si sa, hanno smesso di sognare già da qualche anno, l’articolo stesso ci tiene a sottolineare che quel “tutti” non è messo lì per caso, non è una parola usata tanto per usarla, quel tutti è messo lì con ragione di causa non per nulla l’articolo non dice “tutti tranne”, “tutti a condizione che”  o “tutti ma”, no, l’articolo dice solo “tutti”, e in tutto l’articolo, in pochissime parole, ribadisce più e più volte questo concetto di universalità dell’eguaglianza dei cittadini, continuando in questo modo.

Tutti sono uguali “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Alla costituzione non importa che qualcuno sia nato in una regione invece che in un altra, che sia nato in Italia o fuori d’Italia, che i suoi genitori siano italiani o stranieri, alla costituzione non importa che qualcuno sia bello, ricco, cristiano o uomo, per la costituzione qualcuno può essere basso, brutto, uomo, donna o aver cambiato sesso, può essere nato in una famiglia ricca o essere cresciuto in un orfanotrofio, può essere tutto e nulla, l’unica cosa che importa alla costituzione è che questo qualcuno sia vivo, sia libero e che possa godere degli stessi diritti di chiunque altro nel paese, e non c’è etichetta che regga, se qualcuno è un cittadino italiano allora ha gli stessi diritti di chiunque altro, non importa che sia nato cittadino o lo sia diventato in un secondo momento.

Questo concetto di universalità dei diritti è talmente semplice che non avrebbe bisogno di spiegazioni aggiuntive, ma i padri costituenti avevano vissuto in un epoca in cui tali diritti non erano dati per scontati, e l’essere o meno cittadino italiano era stato, per lungo tempo (quasi un ventennio) subordinato ai capricci di uno specifico partito politico, e quindi, per evitare che questi capricci potessero tornare, i padri della costituzione ebbero la lungimiranza di specificare, al di la di ogni ragionevole dubbio, che “tutti” significava “proprio tutti” e che nessuno dovesse essere abbandonato o dimenticato. Un po come in Lilo e Stich “Ohana significa famiglia. Famiglia significa che nessuno viene abbandonato” così nella costituzione italiana essere cittadini italiani significa appartenere ad una grande famiglia, e famiglia, per l’appunto, significa che nessuno viene abbandonato.

E perché nessuno venisse abbandonato, l’articolo terzo della costituzione specifica che

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”.

Mi piace immaginare la repubblica, come un padre ed una madre amorevole, e come tali ha il compito, ha il dovere, di prendersi cura dei propri figli, senza fare alcuna distinzione tra essi, senza fare alcuna preferenza tutti i suoi figli, neanche quanto si tratta di dover scegliere tra il figlio naturale e quello adottivo.

L’articolo dice che la repubblica ha il compito di rimuovere quegli ostacoli che limitano l’eguaglianza e questo significa la repubblica deve prendersi maggiormente cura del figlio malato, che attenzione, non significa ignorare il figlio sano, significa semplicemente non abbandonare chi, con le proprie forze, non è in grado di affrontare da solo il mondo.

Prendo in questo senso ad esempio due bambini, due fratelli, uno perfettamente sano ed in grado di camminare con le proprie gambe, ed uno malato che non è in grado di camminare, il padre, la madre o chi che sia, nel prendersi cura di entrambi è chiamato a fare uno sforzo maggiore per il bambino malato, che non può camminare, rispetto a quello sano, deve prendendolo letteralmente sulle proprie spalle affinché anche lui possa prendere parte alla vita di famiglia, magari durante una passeggiata in spiaggia, alla quale, con le proprie forze, non avrebbe potuto partecipare.

In questa suggestiva immagine familiare, in cui un padre tiene per mano il bambino sano e sulle proprie spalle quello malato, io vedo l’essenza stessa della repubblica italiana. Prendendo sulle spalle il figlio malato il padre non ha abbandona quello sano, e se bene i due figli siano uguali, non è possibile fare il contrario, perché prendere sulle proprie spalle il figlio sano significherebbe lasciare in dietro quello malato.

Abbiamo visto che l’articolo si apre dicendo che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge” e nell’essere eguali, non sempre è possibile adottare lo stesso trattamento e la costituzione ne è perfettamente consapevole, sa che un figlio malato avrà bisogno di più cure, di più fatiche e di più attenzioni da parte del genitore rispetto al fratello sano e allora l’articolo continua, specificando che

 è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

In quest’ultimo passaggio possiamo notare, con grande stupore di qualcuno, che non si usa più la parola cittadini, questa parola è stata sostituita da “persona umana”, e questo per ribadire, ancora una volta, il valore universale di questo principio fondamentale, un principio, anzi, una serie di principi che vanno oltre il banale sentimento nazionale, l’essere o non essere cittadini di una o di un altra nazione non conta più nulla, ciò che rende umani e degni di diritti non è un foglio di carta bollata che riconosce l’appartenenza giuridica ad una nazione, ma l’appartenenza innata alla specie umana e in questo passaggio finale, ci viene detto che ogni persona, in Italia, deve essere trattata al pari di chiunque altro e d’avanti alle leggi chiunque è uguale a chiunque altro. L’articolo ci dice che gli esseri umani hanno diritto ad alcuni diritti inalienabili e allo stesso tempo questi diritti rendono tutti responsabili di alcuni improrogabili doveri fondamentali affinché i diritti di tutti vengano rispettati.

Nella sua estrema semplicità, l’articolo terzo dei principi fondamentali della costituzione, nasconde una complessità impressionante, una complessità che forse può essere compresa a pieno solo da un bambino e nel suo essere semplice e complesso, ci dice tutti in Italia sono uguali e che la repubblica deve prendersi cura dei più deboli affinché questi non restino in dietro. Non dice altro.

Mi permetto di aggiungere, come considerazione personale che, nel caso il figlio sano dovesse pretendere di essere preso sulle spalle del padre, e quindi dovesse pretendere di lasciare a terra il fratello malato, in questo caso, credo sia compito e dovere della repubblica fare una ramanzina a quel figlio egoista e capriccioso, che forse, non è stato educato correttamente e dimostra, con questa sua pretesa, di non avere a cuore null’altro che se stesso, ignorando e calpestando così i sogni, la vita ed il futuro del suo fratello più debole e indifeso.