Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono INCOMPATIBILI con la costituzione

In molti mi avete chiesto di parlare di quello che è successo a Torino tra il leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e il direttore del museo Egittologico di Torino Chrustian Greco. E delle recenti dichiarazioni del leader della Lega Matteo Salvini secondo cui l’Islam sarebbe incompatibile con la nostra costituzione.
Volevo realizzare un video per dire la mia a riguardo, ma non sapevo esattamente come impostare il discorso e non avevo voglia di mettere su luci, microfono e telecamera, così alla fine ho optato per un ennesimo post di opinione personale.

Cominciamo col dire che da circa 70 anni, ovvero dal primo gennaio del 1948, l’Italia è uno stato laico. Forse Matteo Salvini e Giorgia Meloni erano troppo impegnati a non portare a termine gli studi e si sono persi quel passaggio storico in cui il vecchio statuto Albertino veniva sostituito dalla nostra attuale carta costituzionale o forse, più semplicemente non hanno mai avuto modo di leggere tutta la costituzione, in fondo hanno iniziato la loro attività politica da giovanissimi e l’articolo 3 della costituzione non è proprio il primo articolo, ed è preceduto da almeno mezza pagina piena di parole complicate, quindi è perfettamente comprensibile che dei leader politici, appartenenti ad una delle principali coalizioni politiche del paese, non sappiano dell’esistenza di un articolo della costituzione che definisce l’Italia uno stato laico in cui ogni culto religioso e confessione religiosa, possono essere professati liberamente, ovviamente nei limiti concessi dalla legge.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8, 19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Articolo 3 della costituzione Italiana.

Ma forse la loro ignoranza non è così genuina, personalmente non credo che Matteo Salvini ne tantomeno Giorgia Meloni siano realmente così stupidi e ignoranti, e questo forse è ancora più grave, perché posso capire chi non conosce qualcosa, io per primo sono assolutamente ignorante in tantissimi campi, ma non accetto che si finge ignoranza, poiché fingendo di non conoscere e di non comprendere la differenza abissale che esiste tra una lingua, una nazione, una cultura e una religione, questi individui alimentano ignoranza e intolleranza, e come saprete se mi seguite da un po di tempo, reputo questi elementi il piatto preferito del terrorismo, quello vero, non quello sognato e forse desiderato da questi abominevoli personaggi politici.

La lotta all’ignoranza, la promozione della cultura e della storia sono ovviamente qualcosa che mi coinvolge e mi riguarda da vicino, non dedicherei così tanto tempo ed energie a fare divulgazione storica e culturale in maniera totalmente gratuita e questo desiderio di diffondere la cultura è qualcosa che ho in comune con il direttore del Museo Egittologico di Torini, questo desiderio è una delle ragioni principali che hanno spinto il direttore Chrustian Greco a promuovere un iniziativa che a mio avviso è assolutamente lodevole, promuovendo una mostra gratuita per chiunque fosse di lingua madre arabo. Io faccio video e scrivo articoli gratuiti per chiunque abbia accesso ad internet, e questo, ci tengo a precisarlo, non significa discriminare chi non ha accesso ad internet.

L’iniziativa di Greco si propone almeno tre obbiettivi.

  1. Avvicinare al museo e dunque alla cultura egizia, un pubblico che normalmente non entrerebbe al museo, abbiamo quindi una promozione della cultura e della storia, sul piano sociale questa iniziativa ha lo scopo di nobilitare un passato ed una storia che il terrorismo internazionale e ancora di più dal terrorismo politico, tendono ad oscurare e discriminare.
  2. Avvicinare alla storia e alla cultura egizia chi viene da una cultura affine a quella egizia e che, per questa sua appartenenza culturale viene quotidianamente discriminato e messo all’angolo, perché non prendiamoci in giro, al giorno d’oggi essere di cultura “araba” significa essere discriminati e questa discriminazione di massa è dovuta alle azioni sconsiderate di pochi individui privi di scrupoli e che ambiscono al potere personale.
  3. Mostrare agli italiani che gli “arabi” non sono tutti terroristi e criminali e che hanno una lunga e ricca storia alle spalle che nulla ha da invidiare alla storia europea, anzi.

Tutto questo è stato preso dalla Meloni, stuprato, calpestato, ricoperto di merda e distorto per fini politici che a mio avviso hanno del vergognoso, perché fanno apparire questa iniziativa che ha il fine ultimo di Includere, come un iniziativa che vuole Escludere qualcuno, e questo asserendo la folle e delirante teoria che agevolare qualcuno significhi discriminare qualcun altro, in questo caso secondo Giorgia Meloni, si discriminerebbero gli italiani.

A questo punto mi rivolgo direttamente a alla signora Meloni.

“Cara Giorgia, nessuno ti vieta di entrare al museo egittologico di torino (anche se, a questo punto, se fossi io il direttore, affiggerei un bel un cartello all’ingresso del museo con la tua faccia e la scritta “io qui non posso entrare” , almeno così potresti dire con ragione di causa di essere discriminata) e nessuno vieta agli italiani di fare visita regolarmente al museo, chiunque può entrare liberamente e normalmente, ma forse tu volevi solo risparmiare i soldi del biglietto e se ti fossi informata un minimo, sapresti che ci sono almeno 12 giornate all’anno in cui chiunque può entrare gratis al museo Egittologico di Torino, inoltre, in tutto l’anno ci sono numerose giornate speciali che permettono a varie categorie di entrare gratis, senza poi considerare tutti i giorni in cui il costo del biglietto è ridotto o puramente puramente simbolico e tutte le categorie, come gli studenti ad esempio, che godono di numerose agevolazioni.
Se dare l’ingresso gratuito, per un periodo limitato di 3 mesi, a chi parla arabo significa discriminare chiunque non parli arabo, allora anche dare l’ingresso gratuito ad i genitori alla festa del papà o alla festa della mamma, significa discriminare chi non ha figli,dare l’accesso gratuito alle coppie il giorno di san Valentino significa discriminano i single (in realtà chiunque vada lì da solo, perché per coppia si intendono letteralmente due persone) ecc, ecc, ecc, o ancora, il biglietto ridotto per gli studenti o per i minori di una certa età e sopra una certa età significa discriminare chi non è studente e chi ha un età nel mezzo tra i 18 ed i 65 anni circa, e ovviamente non è proprio così.
Cara Giorgia, probabilmente avrai notato che non ho scritto “gli italiani” ma ho elencato alcune categorie di persone, e l’ho fatto per una ragione, forse tu non lo sai, ma parlare arabo non significa avere una determinata nazionalità, praticare una determinata religione o appartenere ad una specifica etnia, la lingua non definisce nulla di tutto ciò, la lingua è solo uno dei tantissimi tratti culturali di cui disponiamo e ridurre tutta questa varietà culturale ad un mero aspetto linguistico, per quanto mi riguarda è terribilmente imbarazzante e profondamente ingiusto.

L’accesso al museo Egittologico, nell’iniziativa di Greco è gratuito per chiunque parli Arabo, ma cosa significa questo e dov’è l’errore o forse è meglio dire la malafede di Giorgia Meloni in tutto questo ?
Bisogna fare una premessa per me scontata ma a quanto pare, non lo è per tutti, se da una parte infatti parlare la lingua araba sia una conditio sine qua non per poter la fese islamica, poiché il vero Corano è scritto solo in arabo e questo perché tradurlo significherebbe modificare l’essenza del messaggio, non a caso molti dei problemi legati all’interpretazione del Corano sono derivati proprio dalla sua traduzione, comunque, un islamico deve necessariamente saper leggere, scrivere e parlare la lingua araba per poter prendere parte alla vita religiosa, tuttavia, parlare arabo non rende automaticamente islamici, vi sono de facto, nei paesi islamici o a maggioranza islamica come l’Egitto, numerose minoranze religiose non islamiche che però parlano arabo, in Egitto abbiamo una delle più grandi comunità copte del pianeta ed i copti sono cristiani se bene non di fede romana, sono comunque cristiani e quindi non serve che lo dica, non sono islamici, e pure la loro lingua è l’arabo, e il fatto che parlino arabo, nel caso specifico del museo Egittologico di Torino in questo momento, da loro diritto all’accesso agevolato al museo.

Agevolare qualcuno in qualcosa, per un periodo più o meno limitato di tempo, non significa e non può significare discriminare qualcun altro, perché se così fosse, l’esistenza delle categorie protette sarebbe una discriminazione per chi non appartiene a quelle categorie e non vi sarebbe più alcun dubbio sul fatto che le famose “quote rosa” di cui la signora Meloni è stata ed è una grande sostenitrice e promotrice, siano una terribile discriminazione nei confronti degli italiani di sesso maschile. E in effetti, grazie alle quote rosa una persona dalla dubbia competenza quale la signora Giorgia Meloni, ha potuto costruire gran parte della sua carriera politica, cosa che in un sistema meritocratico probabilmente non sarebbe mai stata possibile.

A questo punto mi sembra evidente che tra Chrustian Greco e Giorgia Meloni e le rispettive ragioni, esista un abisso culturale insormontabile, da una parte abbiamo un direttore museale che ha costruito la propria carriera sui propri studi e le proprie capacità ed ha come obbiettivo unico quello di promuovere la cultura. Dall’altra parte abbiamo un politico dalle dubbie competenze e capacità che ha costruito la propria carriera sfruttando le agevolazioni di cui godeva in quanto donna, ed ha come obbiettivo ultimo, creare una devastante e distruttiva spaccatura culturale, un obbiettivo che a quanto pare condivide con Matteo Salvini, probabilmente il peggior terrorista che abbiamo in Italia.
Personalmente credo che questi due esseri condividano un genuino desiderio di caos istituzionale e politico, credo che uomini e donne come loro nutrano un odio profondo nei confronti dell’italia e del suo popolo, della sua storia e della sua cultura millenaria, una storia fatta di incontri e scontri di civiltà che per millenni hanno plasmato la morfologia di uno dei popoli più variegati culturalmente dell’intero globo. Ma tutto questo a loro sfugge o peggio, fingono di non vederlo, rifugiandosi in un mitico passato che forse non è mai realmente esistito e rievocando gli spettri di anni oscuri, tra i più cupi che questo paese, questo continente e anzi, questo pianeta, abbiano mai vissuto.

Personalmente, da italiano, spero di non dover pagare per l’ignoranza, l’arroganza e l’incompetenza di uomini e donne come Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

 

L’occhio di Horus nella matematica Egizia

Secondo una legenda Egizia, il dio Seth aveva strappato l’occhio sinistro del dio Horus e lo aveva ridotto in pezzi, ma il dio Thoth riuscì a ricomporlo grazie alla sua magia e proprio la sua magia gli permise di rubare un frammento dell’occhio senza che però la sua assenza minasse l’integrità dell’occhio.

Questa leggenda, o se preferite questo mito, è considerato da molti come il “punto d’origine dell’aritmetica egizia” e del calcolo infinitesimale, infatti, le parti dell’occhio di Horus (successivamente identificato come occhio di Ra) erano utilizzate per per descrivere le frazioni e insieme rappresentavano l’unità, tuttavia si trattava di un unità approssimativa, data l’assenza di un frammento sparito grazie alla magia del dio  Thoth.

Nel suo insieme l’occhi rappresenta la somma dei primi 6 valori della serie numerica 1/2^n, la cui somma, nella matematica moderna equivale al numero decimale 0.984375, esprimibile anche come 63/64, ma nella matematica egizia, la somma di questi elementi dava come risultato 1, o meglio, dava come risultato 63/64 tuttavia, grazie alla magia di Thoth questa “unità” parziale poteva assumere i tratti di un’intero, diventando 64/64, insomma, la magia del dio Thoth aggiungeva il 1/64 mancante.

Oggi sappiamo che rimuovendo il vincolo dei primi cinque elementi e procedendo sommando tutte le infinite frazioni ottenute dimezzando il numero intero, ci avvicineremmo sempre di più all’unità 1 senza però mai raggiungerla effettivamente, di fatto ci ritroveremo di fronte ad una funzione espressa come la sommatoria 1/n^2 (∑ 1/2^n) dove n va da 1 ad e il cui risultato, dato appunto dalla somma di tutti gli elementi che compongono la serie numerica (quindi (1/2)+(1/4)+(1/8)+(1/16)+(1/32)+(1/64)+…) sarà un numero che converge (in matematica, la convergenza è la proprietà di una certa funzione o successione di possedere un limite finito di qualche tipo, o, il cui risultato al tendere della variabile o dell’indice eventualmente verso certi valori in un determinato punto o all’infinito) verso l’1.

mi scuso per la pessima spiegazione matematica, spero comunque di aver reso l’idea.

Il fatto che per gli egizi (1/2)+(1/4)+(1/8)+(1/16)+(1/32)+(1/64) non desse effettivamente 1 ma ci si avvicinava tantissimo e che la differenza tra 1 e 0.984375 (ovvero 0.015625) fosse un numero talmente piccolo da poter essere trascurato, ma non per questo ignorato, ci da un informazione ben precisa sul livello di accuratezza decimale posseduta dagli egizi, un accuratezza che si spingeva almeno fino ai 63/64 e quell’1/64 che restava fuori, rappresentato da un decimale con sei cifre dopo la virgola, che era considerato “trascurabile”, ed era trascurabile perché, per quelli che erano gli strumenti di osservazione dell’epoca, rappresentava un valore estremamente piccolo, la cui presenza o assenza non avrebbe avuto effetti visibili, tuttavia, in presenza di strumenti di osservazioni più accurati o per necessità particolari, era possibile avanzare con il frazionamento, raggiungendo così un livello di accuratezza sempre maggiore.

Detto più semplicemente, la magia di Thoth era soddisfacente per chi si accontentava dell’approssimazione, ma non chiudeva le porte a chi voleva scavare più affondo ed avere un’accuratezza maggiore.

Fingendo di usare un linguaggio matematico, potremmo dire che le parti osservate dell’occhio di Horus facciano parte di un certo insieme, ma per trovare la parte mancante bisogna estendere la ricerca ad un insieme “più ampio” e invisibile all’occhio umano, definito dalla magia di Thoth. Applicando un ragionamento di questo tipo alla matematica moderna il rischio di ricorrere in pericolosi paradossi non è trascurabile, tuttavia, mantenendo un minor livello di accuratezza e riempiendo i vuoti con la “magia di Thoth”, la logica matematica degli egizi riuscì ad eludere quei paradossi.

Questa osservazione fa supporre che gli egizi fossero in grado di eseguire calcoli molto più accurati, con un errore inferiore al sessantaquattresimo e se bene il valore minimo presente nell’occhio di Horus fosse rappresentato proprio da 1/64, questo non significava automaticamente che 1/64 fosse il valore minimo conosciuto dagli egizi, anzi, applicando lo stesso procedimento logico che ha portato al valore di 1/64 era potenzialmente possibile procedere all’infinito. Ma andiamo con ordine.

L’occhio di Horus è un elemento molto ricorrente nei reperti archeologici egizi, questo elemento ha un enorme valore, non soltanto sul piano matematico, ma anche e soprattutto sul piano religioso, ed è proprio nel mito dell’occhio di Horus che si può individuare un elemento matematico aggiuntivo.

Come sappiamo, secondo la mitologia egizia il dio Seth distrusse l’occhio sinistro di Horus che poi fu ricomposto dalla magia di Thoth. Il fatto che il mito specifichi che si tratti dell’occhio sinistro e che non ci venga fornita alcuna informazione sull’occhio destro di Horus  unito al fatto che in nessun mito ci viene detto che il dio Horus era un dio guercio, significa che da qualche parte doveva esserci anche un occhio destro di Horus e in effetti, reperti raffiguranti anche l’occhio destro di Horus non mancano, e tra i tanti, un reperto in particolare ha catturato l’attenzione degli studiosi della matematica degli egizi, si tratta della stele di Nebipusesostri, risalenti al regno di Amenemhet III, nella cui colonna centrale sono raffigurati i due occhi di Horus e non solo quelli.


L’elemento realmente interessante dal punto di vista matematico, non sono i due occhi, ma l’unione dei due occhi e in particolare l’elemento che si frappone tra i due occhi, si tratta di tre simboli paralleli, spesso indicati come “lacrime di Horus” situati al di sotto degli occhi e collocati esattamente tra i due simboli speculari che indicano il valore di 1/64.

Se procediamo assegniamo al simbolo centrale dei tre il valore 1/64 e ai due simboli esterni il valore 1/128 e poi sommiamo questi numeri otterremo 2/64, ovvero 1/64 per ognuno dei due occhi di Horus,  esattamente il valore mancante all’uno e all’altro occhio per raggiungere l’unità matematica e di conseguenza quei simboli potrebbero essere letti come una raffigurazione l’insieme esterno indicato dalla “magia di Thoth”.

Questa interpretazione matematica per quanto interessante e affascinante soffre di un profondo difetto logico che consiste nell’aver assegnato a tre simboli identici dei valori differenti, questa operazione matematica appare come troppo artificiale e forzata. Più probabilmente i tre simboli identificati come le tre lacrime di Horus avessero un valore un valore univoco ed il loro frazionamento produceva tre elementi di eguale valore. Procedendo con questa osservazione si può dedurre che le lacrime di Horus nel loro insieme avevano un valore di 3/128 e separate, ognuna delle tre lacrime assumeva un valore di 1/128. Ragionando in questi termini tuttavia emerge un ulteriore problema, o meglio, ritorna il problema dell’occhio di Horus, poiché non è possibile raggiungere l’unità, in quanto assegnando il simbolo dal valore 1/128 posto a destra all’occhio destro e quello posto a sinistra all’occhio sinistro, ci ritroveremmo nella situazione precedente, ovvero con un valore del singolo occhio pari a 127/128 e di conseguenza, ad ognuno degli occhi mancherebbe 1/128, e se è vero che nel geroglifico è presente ancora un simbolo dal valore di 1/128, è anche vero che per completare i due occhi servono 2/128, di conseguenza è possibile completare l’unità per un singolo occhio, presumibilmente quello destro, mentre l’altro occhio sinistro continuerà ad essere mantenuto insieme dalla sola magia di Thoth.

Vi è però un’apparente via d’uscita matematica, si può procedere con la divisione dell’ultima lacrima in due parti, entrambe dal valore di 1/256 che andranno ad unirsi, una all’occhio destro ed una all’occhio sinistro. In questo modo il problema non verrebbe realmente risolto, in quanto la somma di tutti gli elementi di un singolo occhio avrebbe come risultato 255/256 e quindi ad entrambi gli occhi mancherebbe ancora una volta un frammento, se bene estremamente più piccolo. Questa situazione, o meglio, la presenza della terza lacrima, ci suggerisce che è possibile dimezzare all’infinito un intero, ma allo stesso tempo ci dice anche che questa operazione è trascurabile poiché è “inutile” dimezzare per più di 7 volte un intero, e  1/128 è proprio la settima frazione dell’intero, questa frazione può essere espressa anche come 1/2^7.

Non c’entra molto, ma è interessante osservare che 7 è il numero massimo di volte in cui è possibile piegare a metà, dimezzando ogni volta la sua superficie, un foglio di carta. Indipendentemente dalle sue dimensioni infatti, non sarà possibile piegarle un foglio per più di 7 volte.
Se non ci credete provate pure, ma ricordatevi di dimezzare sempre la superficie del foglio, altrimenti non vale.

Tornando alle lacrime di Horus, come abbiamo visto, la loro presenza ci suggerisce ancora una volta che gli egizi avevano una conoscenza della matematica infinitesimale molto più avanzata di quanto si potrebbe immaginare. Come sappiamo, questo concetto che si sarebbe successivamente evoluto e diffuso fino ad arrivare ai giorni nostri e credo sia opportuno citare quello che molto probabilmente è il più celebre esempio di questo tipo di matematica nel mondo “occidentale.

Per quanto riguarda l’Egitto non sappiamo esattamente fino a che punto si spinse la loro matematica, l’occhio di Horus ci dice che conoscevano valori numerici estremamente piccoli e questo significa che erano in grado di eseguire calcoli estremamente complessi ed accurati. Purtroppo però, la loro conoscenze della matematica infinitesimale ha contribuito a gettare le basi della “matematica avanzata” del mondo occidentale (in particolare del mondo greco e romano) le cui origini, almeno per quanto riguarda il “calcolo infinitesimale” affondano soltanto nella Grecia del V secolo a.c. dove il filosofo Zenone di Elea, per difendere le tesi del proprio maestro Parmenide, il quale sosteneva che il movimento fosse un’illusione, elaborò il famoso paradosso di Achille e la tartaruga, noto anche come paradosso di Zenone, in cui Achille, inseguendo la tartaruga non riuscirà mai a raggiungerla.

La spiegazione matematica del paradosso di Zenone sta proprio nel fatto che gli infiniti intervalli percorsi ogni volta da Achille per raggiungere la tartaruga diventano sempre più piccoli ed il limite della loro somma converge per le proprietà delle serie geometriche. In questo caso Zenone osserva che una somma di infiniti elementi, o meglio, il limite di una somma di infiniti elementi non è necessariamente infinito e un esempio concreto di questa teoria è dato dalla somma delle frazioni ottenute dimezzando ogni volta un intero (analogamente a quanto accadrebbe prolungando la successione dell’occhio di Horus), quindi ∑1/n^2.

Se bene Achille in realtà fosse assolutamente in grado di raggiungere la tartaruga, dal punto di vista matematico non sarebbe mai riuscito a raggiungerla e quando una funzione matematica si trova in una situazione di questo tipo, si dice che tende ad un dato valore, in questo caso 1, ovvero si avvicina sempre di più ad 1 senza mai raggiungerlo. Possedere questo livello di conoscenza matematica implica la conoscenza del concetto di infinitesimo, ovvero di un valore numerico che tende allo zero senza però mai raggiungerlo.

 

 

 

Hatshepsut : “figlia del re, sorella del re, sposa di Dio, grande sposa reale”

“Colei che Amun abbraccia, Hatshepsut, è il nome di questa mia figlia. Ella avrà un regno eccelso su questa terra. Sua la mia anima! Suo il mio scettro! Suo il mio prestigio! Sua la mia corona! Affinché regni sui Due Paesi e comandi tutti i viventi.”

Il cinquantaquattrenne regno del faraone Thutmosis III ebbe inizio sotto alla reggenza di Hatshepsut, sua zia nonché matrigna, ricordata come la “prima” donna faraone della storia; unica figlia di Thutmosis I e della sua Grande Sposa Reale, fu da egli addestrata a regnare.

Busto di Hatshepsut

Nelle iscrizioni Hatshepsut non è descritta solo come sposa divina, sulle iscrizioni il suo nome appare seguito da “Maatkara“, ossia il suo prenomen; “Hatshepsut, la prima dei nobili, verità-giustizia è l’anima del sole”. Una volta preso il trono e dopo essersi immedesimata nella figura di un vero e proprio  faraone, poté affidarsi ad un solo precedente modello femminile: Sobekkara Sobekneferu (meglio nota come Nefrusobek), figlia di Amenemhat III, la quale regnò alla fine della dodicesima dinastia. Dopo la morte del fratello Amenemhat IV prese la reggenza del trono per poco meno di quattro anni, chiudendo il Medio Regno, il quale fu succeduto dal tanto noto quanto confuso “secondo periodo intermedio”. Non ci sono attestazioni di una sua co-reggenza con il fratello,  pare che ella riuscì ad imporsi come sovrana dopo la morte di quest’ultimo e fu designata come Faraone. Destino volle che il suo regno fosse breve e turbolento fin dall’inizio, Hatshepsut invece ereditò un Egitto ricco e potente, nel pieno della sua ricchezza e del suo splendore.

” King’s daughter, King’s sister, God’s wife, great royal wife Hatshepsut”

La figlia primogenita di Hatshepsut fu Neferura, avuta con Thutmosis II (suo fratellastro, figlio di Thutmosis I e di una sposa secondaria) la figlia dei due è nota sulle attestazioni come “moglie del Dio”, quindi probabilmente fu sposa reale di Thutmosis III, figliastro di Hatshepsut; quest’ultima fu incaricata reggente di Thutmosis III, ancora troppo piccolo per occuparsi dell’Egitto autonomamente e per assolvere al compito a lui designato; proprio durante questa co-reggenza egli risulta sposato con Neferura.  Quest’ultima morì giovane e svanì dalle attestazioni, il regno di sua madre subì un duro colpo. 

Tempio funerario di Hatshepsut – Deir el Bahri

Come regnante, Hatshepsut intraprese un grande progetto di costruzione, espandendo i siti utilizzati da Thutmosis I e II prima di lei: Kom Ombo, Hierakompolis, Elefantina sono solo alcuni di questi, sia lei sia Thutmosis III hanno lasciato molti resti anche in Nubia ma il luogo che ricevette maggiori attenzioni da parte della regina fu senza dubbio Tebe; il tempio di Karnak crebbe in bellezza sotto la sua supervisione.

“Ed ecco, io ero seduta nel mio palazzo e pensavo a colui che mi aveva creata. E il mio cuore mi indusse a fare per lui due obelischi in oro fino, i cui pyramidion si confondono col cielo.”
Hatshepsut

In quanto regnante, Hatshepsut fu sepolta nella Valle dei Re (KV20) la quale inizialmente fu costruita per Thutmosis I e successivamente da lei modificata per poter riposare accanto al padre: la KV20 fu ampliata, venne aggiunta una camera sepolcrale ed il faraone fu spostato in un sarcofago inizialmente creato per la figlia.

Sarcofago in origine creato per Hatshepsut ma in cui fu sepolto suo padre Thutmosis I

Durante il regno del nipote Thutmosis III, il faraone fu traslato in una nuova tomba, la KV38, con un nuovo corredo funerario, e si suppone avvenne contemporaneamente lo spostamento di Hatshepsut nella KV60: anche se solo inizialmente, pare quindi che il desiderio della regina di essere sepolta accanto a suo padre fu esaudito.

A Deir el Bahri, nella necropoli tebana, fu portato alla luce un sito adibito a nascondiglio (DB320, una cachette reale, nella quale vennero ritrovate più di 50 mummie di sovrani, regine, dignitari e numerosi oggetti facenti parte dei loro corredi funerari) nel quale erano conservati anche resti del corredo di Hatshepsut, tra cui uno scrigno per vasi canopi contenente una milza (o fegato) ed un molare con solo parte di radice.

La mummia di Hatshepsut,  vide la luce nel 1903 su scoperta di Howard Carter, il quale la trovò accanto ad un’altra donna, identificata come la sua balia, Sitra, già in origine occupante della KV60. Non ne fu confermato il riconoscimento fino al 2007, anno in cui il Dr. Zahi Hawass con un’attenta osservazione, ricerca e confronto dei ritrovamenti, notò un particolare: il molare presente nello scrigno trovato nella cachette reale era perfettamente compatibile con la dentatura della mummia nella KV60, la quale presentava un dente mancante e la radice ancora inserita nella gengiva.

Da non tralasciare fu la fine che fece questa potente e carismatica regina: dopo la sua morte (probabilmente avvenuta per cause naturali, forse per malattia, in correlazione all’abuso di una pomata per la pelle con ingredienti cancerogeni) subì la Damnatio Memoriae: condannata all’oblio, gran parte delle sue opere andarono distrutte o deturpate, si tentò perfino di murare il suo obelisco a Karnak (il secondo obelisco più alto del mondo, più di 29 metri, pesante circa 323 tonnellate) il suo nome fu rimosso dalle iscrizioni lasciandone solo il contorno dei cartigli. Ma allora, come mai abbiamo tanti reperti ed una così ricca documentazione su di lei? E chi fu ad infliggerle una tale sorte? Fu Thutmosis III, a causa dell’usurpazione del suo trono per oltre un ventennio? O fu colpa di Amenhotep II (figlio di Thutmosis III e della sposa minore Merira Hatshepsut) a causa dell’incertezza del suo diritto a regnare, non essendo figlio di una Grande Sposa Reale? Sappiamo che egli, dopo esser salito al trono, non lasciò liste di nomi delle sue spose. Non conosciamo l’identità della sua “grande sposa reale” e, ritenendo che le donne sotto tale carica avessero raggiunto troppa influenza, ne depotenziò la carica.

Raro cartiglio intatto di Hatshepsut

I dati sono incerti: entrambi avevano le loro motivazioni, non c’è dubbio che la distruzione dei documenti cominciò durante il regno di Thutmosis III così come non c’è dubbio che Amenhotep II fu un grande promotore della Damnatio Memoriae inflitta ad Hatshepsut.

È curioso però pensare che Thutmosis III, uno dei più grandi Faraoni della storia, ricordato come grande guerriero imbattuto, nonché grande personalità di spicco e di successo in numerosi ambiti, avesse permesso ad Hatshepsut di usurpargli il trono per oltre un ventennio senza fare nulla in proposito, senza alcun colpo di stato, “vendicandosi” semplicemente infliggendole una Damnatio Memoriae… (mal fatta, per giunta!) la quale dà l’impressione che non se ne volesse cancellare del tutto il ricordo.

“A king she would be, and a king’s fate she shared.”
-Howard Carter

Per concludere, una piccola curiosità su Hatshepsut che richiede un salto indietro nel tempo a non molti anni fa: i coniugi Van Houten (astronomi olandesi) formarono un gruppo di ricerca assieme all’astronomo statunitense Tom Gehrels e scoprirono diverse migliaia di asteroidi grazie ad un lavoro combinato tra l’osservatorio di monte Palomar e l’osservatorio di Leida. Una delle loro scoperte riguarda un asteroide di fascia principale (quindi, grossomodo, tra le orbite di Marte e di Giove) che ruota attorno al suo asse ogni 9 ore. Perché ci interessa? Beh, perché quando lo individuarono, lo scoprirono e fotografarono, il 24 settembre 1960, dal Palomar observatory (San Diego – USA) decisero di chiamarlo 2436 Hatshepsut(chiamato anche 6066 P–L · 1963 DL1978 YA1) proprio in onore della potente sovrana egiziana della XVIII dinastia. 

Probabilmente i due coniugi erano appassionati di storia o, quantomeno, questo è ciò che si evince nel vedere i nomi assegnati agli asteroidi da loro scoperti : 2435 Horemheb, 2462 Nehalennia, 2663 Miltiades, 2782 Leonidas, Ptah, Apollo sono solo i nomi di alcuni di essi.

I tre astronomi sono venuti a mancare non molti anni fa (2002, 2011, 2015) e, ad ognuno di loro, è stato dedicato un asteroide che ne porta il nome.

Hatshepsut – illustrata nel libro “Hatshepsut – La figlia del sole” [Laurie Elie, Alessandra Grimaldi, Forough Raihani]
Bibliografia:

– The Complete Valley of the Kings: Tombs and Treasures of Egypt’s Greatest Pharaohs (Richard H. Wilkinson, Nicholas Reeves) pg. 75 + 91-103

-The Oxford Guide of Ancient Egypt (Ian Shawn) pg. 237 – 243

-Archeologia dell’Antico Egitto (Kathryn A. Bard) pg. 210/211/212

 

GLI EGIZI – il popolo che costruì le piramidi e la sfinge

Intorno al sesto millennio a.c. diverse popolazioni iniziarono a migrare dai propri territori d’origine per insediarsi lungo il corso dei fiumi, e lungo le coste.
La Valle del Nilo, nell’Africa nord-orientale, era un territorio molto fertile ricco di acqua, vegetazione e animali e intorno al 5.000 a.c. vi si insediarono diverse popolazioni, costruendo numerosi villaggi progettati per sfruttare al meglio la potenziale fertilità della terra derivata dalle esondazioni del vicino fiume, senza però mettere a rischio le proprie abitazioni e la vita degli animali che allevavano. Questi popoli impararono presto a costruzione di dighe e canali la cui costruzione e manutenzione richiedeva un elevato numero di lavoratori.

Da questi primi villaggi sarebbe nata la civiltà egizia, una civiltà metropolitana come quella sumera, organizzata però come un unico grande stato al cui vertice vi era un sovrano detto Faraone.
Il faraone, era considerato dagli egizi come la personificazione del dio Horus, una delle più antiche divinità egizie, e tra le varie interpretazioni del significato di questo nome, una in particolare spicca sulle altre, secondo questa interpretazione Horus o Haru oppure Horu potrebbe significare “colui che è al di sopra/il superiore” secondo altre interpretazioni il suo nome potrebbe significare “il distante/il lontano” o anche “Falco” richiamando l’immagine iconica di questa divinità generalmente raffigurata con il corpo di uomo e la testa di falco.

Il Faraone è una sorta di monarca assoluto e rappresenta la prima forma storica di divinità impersonata da un sovrano, questo modello sarebbe stato successivamente ereditato dai popoli persiani e successivamente importato nel mondo Latino attraverso il contatto di Roma con l’Egitto dei Tolomei nel primo secolo.

Per quanto riguarda la scrittura l’invenzione dei geroglifici è datata intorno al 3000 avanti cristo, o meglio, in questo periodo è datata la più antica iscrizione geroglifica ovvero la Paletta Narmer, ritrovata durante gli scavi a Hierakonpolis (oggi Kawm al-Ahmar) alla fine del XIX. Rispetto al cuneiforme i geroglifici egizi erano concepiti come una translitterazione fonetica che combina al suo interno elementi ideografici, sillabici e alfabetici e secondo alcune ipotesi, sarebbero il punto d’origine della prima scrittura greca, introdotta dalla civiltà minoica intorno al 2000 a.c., un periodo di forte espansione della civiltà minoica in cui è probabile che le due civiltà siano entrate in contatto.

La società egizia è molto rigida e divisa in caste gerarchiche, alla sommità della piramide sociale vi era ovviamente il faraone, cui facevano seguito la casta dei sacerdoti cui era affidata l’amministrazione religiosa, e parimente ai sacerdoti vi era la casta dei funzionari, il cui compito era quello di amministrare la popolazione per conto del faraone.
Un gradino più in basso di sacerdoti e funzionari vi era la casta degli scriba i quali conoscevano la scrittura geroglifica e tra gli altri compiti avevano anche l’incarico di registrare le tasse pagate dai lavoratori allo stato, un compito che metteva gli scriba a diretto contatto con le ricchezze della corona, e questo li rendeva estremamente influenti e soprattutto ricchi e potenti.
Agli scriba facevano seguito i militari, una casta che, se bene potesse contare su ingenti ricchezze, non aveva particolare potere politico, in fine, vi erano le masse popolari fatte di artigiani, contadini e allevatori, mentre il gradino più basso della società egizia era occupato da chi non possedeva nulla, neanche se stesso, ovvero gli schiavi.

La schiavitù egizia è ancora oggi oggetto di studio e di ricerche, ed è avvolta da una fitta coltre di mistero, sappiamo che vi erano almeno tre diverse tipologie di schiavi, i primi erano i tradizionali schiavi catturati in battaglia, generalmente stranieri sottoposti all’istituzione della schiavitù affinché apprendessero la cultura egizia, vi erano poi i schiavi interni, divisi in due diverse categorie, gli schiavi per debito, ovvero coloro che si erano indebitati e per pagare il proprio debito diventavano schiavi, e gli “schiavi volontari”, un istituzione abbastanza comune nel mondo antico, in cui la popolazione egizia “libera” generalmente impegnata nell’attività agricola, prestava servizi alla corona, lavorando come operai edili al servizio del Faraone per la costruzione di edifici, tombe e templi.

Gli Egiziani erano convinti che l’anima non potesse esistere senza il corpo, e che una volta morti, i defunti potevano affrontare la vita eterna nel regno dei morti a condizione però che il loro corpo potesse conservarsi ed era molto importante mantenere il corpo integro dopo la morte, soprattutto per il faraone e per le classi più ricche della società egizie, per fare questo si ricorreva all’imbalsamazione/Mummificazione. Il corpo del defunto era svuotato degli organi interni e il colpo opportunamente trattato veniva avvolta da bende e rivestito con abiti preziosi, in seguito la mummia veniva racchiusa in un sarcofago e quindi posta in tombe monumentali costruite appositamente. Oltre alla camera dove era deposto il corpo del defunto vi erano solitamente altre stanze, piene di cibo, oggetti preziosi, gioielli e armi che dovevano servire al defunto per affrontare la vita oltre la morte.
Durante la fase di massima espansione della civiltà egizia questi sarebbero entrati in contatto e in alcuni casi si scontrarono con numerosi altri popoli, tra cui fenici, micenei, sumeri, ittiti, assiri, e babilonesi. Dei tanti contatti è opportuno citare gli Ittiti, popolo che sarebbe stato spazzato via dagli assiri, e contro i quali anche gli egizi vennero a scontrarsi tra il tredicesimo e il dodicesimo secolo a.c. In battaglia gli ittiti potevano contare sul grande vantaggio derivato dalla lavorazione del ferro, e tra le loro macchine da guerra più letali, il carro da guerra fu sicuramente uno dei più significativi ed è molto probabile che fu anche e soprattutto grazie a questi che gli Ittiti poterono conquistare un immenso territorio che si estendeva in tutta l’Asia minore.
Dallo scontro tra Egizi ed Ittiti nacque un accordo di aiuto reciproco tra i due popoli che sarebbe durato fino alla scomparsa degli Ittiti, avvenuta agli inizi del primo millennio, mentre la civiltà egizia continuò a prosperare fino ed oltre la conquista macedone per mano di Alessandro magno avvenuta nel quarto secolo e successivamente, sotto la guida dei Tolomei sopravvisse fino al 31 a. c. anno in cui, con la morte di Cleopatra, ultima regina d’Egitto e di Marco Antonio, l’Egitto venne inglobato da Ottaviano nei territori del nascente Impero Romano.

La fine dell’autonomia egizia segna anche la fine dell’ultima delle dieci fasi della storia egizia, intendendo solo il periodo dinastico ovvero gli anni in cui l’Egitto fu governato da un Faraone.
Fino al 3000 a.c. l’Egitto preistorico vive una fase detta predinastica, cui fanno seguito un primo periodo “arcaico” che va dal 3050 circa al 2686 anno in cui secondo la tradizione inizia l’antico regno, un epoca di circa cinque secoli che si conclude, sempre secondo la tradizione, nel 2181, all’Antico regno fa seguito un epoca di transizione detta primo periodo intermedio che si fa concludere nel 2050 con l’inizio del Medio regno.
Il medio regno dura poco più di tre secoli e generalmente lo si data tra il 2050 ed il 1690. al medio regno segue una nuova fase di transizione detta anche età degli Hyksos ovvero dei sovrani stranieri, in questa fase l’Egitto è governato seguendo la tradizione egizia ma vengono importate alcune importanti novità soprattutto in campo militare, con l’introduzione, tra le altre tecnologie, del carro da guerra.
Il declino degli Hyksos nel 1549 segna l’inizio del nuovo regno, che sarebbe terminato cinque secoli più tardi, nel 1069 con una nuova fase di transizione molto più lunga delle precedenti che avrebbe portato nel 653 all’inizio del periodo detto Tardo antico.
Il tardo antico è l’ultimo vero periodo della storia egizia poiché termina nel 332 con la conquista da parte di Alessandro e l’instaurazione dopo la sua morte della dinastia dei Tolomei, che come sappiamo fonderà insieme la cultura ellenica e quella egizia. In fine, il regno tolemaico termina nel 31 a.c. con la conquista Romana.

Psicostasia e Peso dell’Anima

Per quale motivo gli antichi egizi praticavano la mummificazione? Ed in cosa consisteva questa pratica? Una testimonianza, per quanto ormai contestata e superata grazie all’archeologia moderna, ci giunge dallo storico Erodoto: egli ci lasciò una descrizione abbastanza accurata di questa pratica, sostenendo che avvenisse in maniera differente per individui più o meno abbienti. Per i più ricchi il corpo veniva inciso ed eviscerato, per i più poveri asciugato nel sale. Ad oggi sappiamo che, al contrario, la mummificazione era un processo molto meno “classista”, che in alcune circostanze sia il cuore sia il cervello del defunto sono stati ritrovati nel corpo e che l’estrazione dei visceri tramite incisione trans-addominale era prevista per tutti. Le motivazioni di questa pratica, che richiedeva l’accurato lavoro di imbalsamatori esperti che hanno permesso la conservazione delle salme fino ad oggi, sono a dir poco ovvie: il corpo, casa dell’anima, doveva rimanere integro per permetterne il viaggio finale ed, almeno per le caste superiori, la mummificazione era d’obbligo: il corpo non doveva per nessun motivo decomporsi, altrimenti non avrebbe permesso alle forze immortali di compiere il viaggio per poi ricongiungersi dall’altro lato.

Nel corpo di un uomo, secondo gli antichi egizi, coesistevano tre forze vitali: Ka, Ba ed Akh. La principale, Ka, è il fulcro dell’essere umano: è il centro della sua anima, il suo spirito; Ba invece ne è la forza, l’individualità. Akh è una terza componente che si presenta al suo massimo solo post mortem.

oltre al corpo, anche l’anima doveva giungere nell’aldilà pura ed intatta: al fine di verificarlo, una volta giunto “dall’altra parte”, il defunto, doveva sottoporsi al giudizio dei morti: superava inizialmente delle prove di forza e coraggio, dopodiché giungeva, accompagnato dal dio Anubi, al cospetto di Osiride e dei suoi 42 giudici. 42, come le prescrizioni di Maat, dea dell’ordine cosmico, della giustizia e della verità; le sue prescrizioni erano semplicemente dei “comandamenti” da non infrangere assolutamente durante la vita. I 42 giudici, inoltre, rappresentavano i 42 peccati: sedevano in una lunga fila, il defunto doveva negare uno ad uno il peccato su cui ogni giudice presiedeva.

A questo punto, la prova più difficile, la psicostasia: la pesatura del cuore. Il defunto faceva dichiarazione di innocenza, il cuore veniva posto su un piatto della bilancia. Sull’altro? La piuma di Maat. Il dio Thot registrava il verdetto: se colpevole, se l’ago della bilancia pendeva dalla parte sbagliata, allora l’anima finiva in pasto ad Ammit, “la divoratrice” una mostruosa creatura (metà coccodrillo, leone ed ippopotamo, le bestie più pericolose dell’Egitto) se invece innocente proseguiva verso il luminoso regno di Osiride, la salvezza dell’anima, diretta continuazione della vita terrena.

Anche gli animali ricevevano una sepoltura “salva-anima”, degna di un sovrano; lo dimostrano luoghi come il Serapeo, Bubasteion, Anubieion… il primo, portato alla luce nel 1850 da Auguste Mariette (pioniere dell’egittologia, fondatore del museo del Cairo e del servizio delle antichità egiziane), ospitava le sepolture dei tori Apis, i quali venivano inumati davvero come faraoni: eviscerati, mummificati, corredati di vasi canopi ed ushabti dalle fattezze di toro. Il Bubasteion era dimora dei gatti, l’Anubieion accoglieva gli sciacalli. Gli animali ricevevano tale trattamento in quanto venerati alla stregua delle divinità: non a caso, infatti, ad esse era spesso associato un animale, immagine vivente della stessa, ipostasi.

Ma pesa, l’anima? E quanto?

Nell’aprile del 1901 fu condotto, in Massachusetts, uno studio a dir poco curioso: il dottor Duncan McDougall studiò i corpi di sei pazienti moribondi, pesandoli prima, durante e dopo la morte; rilevò effettivamente delle differenze di peso, calato di qualche grammo, qualche frazione di secondo dopo la morte.

L’esperimento fu ripetuto e, nel 1907, il New York Times descriveva dello storico momento in cui il paziente cessò di vivere ed il bilancino si mosse, ad una velocità e tempistica che aveva dell’incredibile. Ovviamente, in molti non vollero crederci, che cosa poteva aver causato quella perdita di peso? Furono prese in considerazione tutte le ipotesi, dai fluidi corporei all’aria nel polmoni, nulla spiegava l’accaduto. Dopo i suoi studi, dopo aver confrontato i risultati, il dottor McDougall così concluse: “l’anima umana pesa 21 grammi “.

Gli studi sugli animali non diedero risultati, concluse quindi che solo gli esseri umani hanno un’anima.

Bibliografia:

Corso di egittologia presso università degli studi di Milano
Laboratorio di ” testi ed archivi dell’Egitto faraonico” presso università degli studi di Milano
Erodoto, ” secondo libro delle storie” (mummificazione)
Film : “21 grammi” , anno 2003 (ha come oggetto gli studi del dottor McDougall)
Psicostasia, Libro dei morti , capitolo 125

Il Culto di Iside a Roma

In età Romana, il culto isiaco (culto per la dea Iside) si diffuse, a più riprese, in tutte le parti dell’impero.
In Italia, il culto della divinità egizia si sviluppò prevalentemente in età imperiale, frutto del contatto diretto tra l’impero e la cultura egizia, ed ebbe una diffusione di gran lunga maggiore rispetto a quello di Dionisio (Bacco) e Cibele (culti di origine Greca, ben più noti e popolari nell’immaginario collettivo).

Iside è considerata la dea della natura, della fecondità, la madre di tutte le cose, la dea universale. Questa divinità fu identificata da numerosi popoli antichi, come spesso accadeva, con nomi diversi. In Grecia ad esempio fu identificata in Era, Demetra, Afrodite, Selene, Io.
Iside, Osiride e il figlio Horus formano la triade suprema della religione egizia (una triade che, secondo alcune letture, può essere idea originaria di quella che sarebbe poi diventata la “trinità” cristiana). Insomma, la figura mitica di Iside (e ciò con cui era identificata più che la divinità stessa) è all’origine di numerosi altri miti, misteri e riti, diffusi in gran parte dei popoli antichi e delle civiltà precristiane.

Fatta questa premessa, molto approssimativa, sulla “storia delle religioni” (se vi interessa la mitologia vi rimando alla pagina Mitologicamente Grivitt se invece amate l’egittologia vi rimando a Djed Medu – Blog di Egittologia) ciò che mi interessava approfondire, è l’impatto culturale che il culto di Iside ha avuto sulla storia Romana (e di conseguenza, su tutto ciò che ne è venuto dopo), e visto che il culto di Iside ha potuto germogliare nella Roma prima repubblicana e poi Imperiale grazie a Cleopatra, che ricordiamo essere una “devota adoratrice del culto di Iside”. Possiamo asserire senza difficoltà che qui si parlerà anche dell’impatto culturale che Cleopatra ebbe su Roma.

Dico “anche” perché in realtà già prima di Cleopatra, tra il 239 ed il 169 a.C. Claudio Ennio per primo, istituì a Roma il culto isiaco, incontrando un grande favore popolare, cosa che suscitò le ire dell’aristocrazia romana ed l’effetto negativo di mobilitare il senato contro il culto isiaco; De facto portando ad una sorta di messa al bando del culto nel 64 a.C, perseguitando eventuali adepti di tale culto. Nonostante ciò il culto di Iside continuò a diffondersi clandestinamente nell’ultima repubblica, qui arriviamo a Giulio Cesare e Marco Antonio.

Come è noto dalla tradizione romana, durante la guerra civile tra Marco Antonio e Ottaviano, per il predominio politico e militare su roma, Marco Antonio, a causa della sua unione con Cleopatra e la vicinanza ai culti orientali (che altro non significa che, Antonio era divenuto un adoratore di Iside) e la conseguente lontananza culturale dalla tradizione romana, fu abbandonato sia dal senato che dall’opinione pubblica, dall’altra parte Otttaviano, professandosi “campione della tradizione Romana” nel rispetto della legge e dei costumi tradizionali, fu legittimato, a livello pubblico e politico, a procedere contro Antonio, in quanto dal 64 a.c. il culto di Iside era “perseguitato e fuori legge”.

Per queste stesse ragioni, già prima dello scontro tra Antonio e Ottaviano, più precisamente con Cesare e Bruto, i cesaricidi furono considerati “Liberatori di Roma”, per vari motivi politici (ben noti e che qui citeremo appena) in quanto assassino di un aspirante Monarca e in quanto, con l’assassinio di Cesare si restituiva Roma alla repubblica, ma fu anche liberatore “culturale” di Roma, in quanto, uccidendo Cesare, amante di Cleopatra, vicino ai culti Orientali e quindi ad Iside.

La persecuzione del culto isiaco tuttavia non sarà permanente, e anzi, con l’avvento di imperatori come Vespasiano, diventerà non solo legittimo, ma anche ufficiale, al punto che l’imperatore stesso farà coniare, nel 71 d.C, una moneta su cui sarà riprodotta su un lato l’immagine di Iside-Sothis a cavallo del cane e circondata da sei stelle. Questa moneta sarà ripresa in età severiana, quando l’imperatore Settimio Severo fece erigere un tempio dedicato ad Iside nel cuore storico di roma, presso il Campo Marzio, sulla cui facciata era raffigurata la moneta coniata dall’imperatore Vespasiano (creando quindi anche un ponte storico e culturale tra i due imperatori, ma questo è un altro discorso).

In conclusione, per gran parte della storia di Roma, il culto di Iside fu professato nell’ombra o alla luce splendente del sole, questo destino fu comune a molti culti religiosi, compreso il cristianesimo che passò dalla persecuzione più dura, al diventare culto imperiale.

Fonti :

F.Dunand. Le cult d’Isis dans lebassin oriental de la Méditerranée.3 voll. Leiden.Brill.
F.Trotta. I culti non greci inepoca sannitica e romana.L’evo antico.Electa.

Sacrifici umani nell’antico Egitto: credenza popolare o realtà?

Molti di voi avranno sentito dire e probabilmente crederanno che i sovrani dell’antico Egitto erano soliti portare con sé nella tomba i propri servitori, con lo scopo d’essere serviti anche nell’aldilà. Ma era realmente così?

Quando l’egittologo ed archeologo britannico Sir William Matthew Flinders Petrie trovò il sepolcro di Aha (faraone della prima dinastia e successore del noto Narmer) ad Abydos, notò delle tombe ad esso annesse ma non approfondì, essendo costruite con il fango le pensò di poca importanza e passarono momentaneamente in secondo piano, paragonate alla scoperta della tomba del noto sovrano. Invece, durante una spedizione archeologica condotta dall’università di New York, Yale e Pennsylvania, furono indagate le oltre 30 sepolture sussidiarie, risultando essere tutti sacrifici umani. Per molti, il privilegio di servire il sovrano in vita diveniva il meno ambito privilegio di servirlo da morto. Erano personaggi di rango differente e le loro morti erano attribuibili a cibo o bevande avvelenati oppure al suicidio, sempre con ausilio di veleno. Come nel caso di Aha, i sacrifici umani furono riscontrati anche con suo figlio Djer (per quest’ultimo, ben 318 sepolture sussidiarie!) ma ugualmente restava un’usanza generalmente non praticata. I sovrani abitualmente venivano accompagnati, sì, ma con delle statuette: durante il terzo millennio presero piede, erano soprattutto di terracotta, e riproducevano i servitori. Venivano poi sepolte con il sovrano, prendevano il nome di Ushabti, cioè “rispondenti”: avrebbero dovuto “animarsi” una volta giunti nell’aldilà e appunto rispondere per lui in tutti i lavori. Potevano essere mummiformi o rappresentare l’immagine di servitori o portatori di offerte, ed essere in legno o altri materiali a seconda della ricchezza del defunto. Molti Ushabti erano doni e, come tali, presentavano al di sotto delle dediche da parte del donatore. Dalla seconda metà del II secolo e per tutto il primo secolo, incise su di esse si iniziò a riportare il sesto capitolo del libro dei morti e non più solo il nome del sovrano. Ad oggi, si possono trovare numerosissimi esemplari di Ushabti online, di ogni genere ed a qualsiasi prezzo, anche se in linea di massima sono quasi tutti molto costosi.

È sfatata da tempo anche la credenza che, al termine della costruzione delle piramidi, gli operai venissero uccisi cosicché non rivelassero ai profanatori di tombe i segreti della stessa, o venissero lasciati al suo interno intrappolati a lavori ultimati, quando veniva chiusa la piramide. La grande piramide di Cheope, ad esempio, presentava un’uscita di sicurezza proprio per evacuare gli operai alla fine dei lavori. E non erano nemmeno gli schiavi, i costruttori di questi enormi e monumentali ipogei: è accertato fossero artigiani ed operai esperti e qualificati, possiamo affermare ciò soprattutto dopo la scoperta delle loro tombe, nei pressi della grande piramide. Essi vivevano in un villaggio poco lontano dalla sede di lavoro, con le loro famiglie, mantenuti come retribuzione per i lavori: la moneta ancora non esisteva, ricevevano dunque vitto, alloggio e cure mediche.

Oltre al quesito dei sacrifici umani, un altro interrogativo sorge sull’argomento cannibalismo: i sovrani egizi erano antropofagi? L’inno cannibale dei testi delle piramidi, trovato nel sepolcro del faraone Unis (ultimo regnante della quinta dinastia) parla chiaro: il sovrano, eroe nonché divinità, si cibò degli dèi (acquisendone i poteri) e, secondo appunto l’inno, si nutrì dei suoi predecessori. Ma sarà vero?

Sono dunque, in conclusione, presenti nella storia egiziana (come in qualsiasi altra) dei casi isolati, sia per quanto riguarda i sacrifici sia per quanto riguarda il cannibalismo ed, in via definitiva, si può affermare che tali pratiche non si diffusero ne mai presero piede durante questa grande e maestosa civiltà.

Bibliografia :

http://guide.supereva.it/egittologia/interventi/2004/04/157630.shtml
http://lastellarossa.blogspot.it/2015/03/linno-cannibale-dalla-piramide-del.html
http://www.storiamito.it/ushabti.asp

The Elder Lady – La misteriosa ciocca di capelli nella KV62

King’s Valley, Luxor. L’archeologo Howard Carter, dopo anni di ricerca e dopo il sudato ottenimento di un’ultima campagna di scavo, scoprì un gradino: il primo dei sedici gradini di quella che si rivelò la sua più grande scoperta, nonché una delle scoperte più sensazionali dell’archeologia… La tomba di Tutankhamon. Era il 4 Novembre 1922.

Morto all’alba dei diciannove anni, il “faraone bambino” fu sepolto frettolosamente nella tomba di qualcun altro (si suppone fosse per l’alto funzionario Ay) molti furono i tentativi di nasconderla, a causa dell’eresia di suo padre Akhenaton che, insieme alla moglie Nefertiti, abbandonò Tebe ed il culto di Amon, spostandosi ad Amarna e dedicandosi al culto dell’Aton. Proprio grazie al tentativo di cancellare dalla storia la dinastia di faraoni di Amarna, la tomba di “Tut” è giunta a noi praticamente intatta. I tesori trovati al suo interno lasciarono e lasciano tutt’ora senza fiato. Tra di essi, però, un particolare risveglia la curiosità: una ciocca di capelli.

the elder lady

Un ricordo? Una mancanza, un vuoto incolmabile, una parte di cuore portata con sé anche nell’aldilà?

Una ciocca di capelli color rame, non riconducibile a nessuna mummia presente nel suo ipogeo, che però contribuì nella stesura dell’albero genealogico del famoso faraone della XVIII dinastia. Grazie a TAC ed analisi del DNA un sottile filo rosso ha collegato tra loro una serie di personaggi, riordinando i tasselli di un puzzle di cui si era persa memoria più di tremila anni fa.
Bisogna però fare un salto di qualche anno fino al 1898, anno in cui Victor Loret, un professore di egittologia a cui si devono le più grandi scoperte, individuò la KV35: tomba di Amenhotep II, figlio di Thutmosi III, anch’essa come molte altre tombe depredata. La prima bella sorpresa per Victor Loret fu quella di trovare la mummia del padrone all’interno della tomba, nel sarcofago. Però, è evidente che la mummia di Amenhotep II fosse stata ribendata e che il sarcofago non era il suo d’origine.

Nella stanza numero 1 dell’ipogeo, Loret trovò adagiate a terra le mummie di un uomo e due donne: la donna più anziana, “The elder lady“, è stata identificata pressoché subito, analizzandone proprio i capelli! Essa è la regina Tiy (chiamata anche Tiye o Teye), moglie di Amenhotep III e madre di Akhenaton. Tutankhamon, su base di esami del DNA, è risultato essere figlio naturale della donna giovane nella tomba di Amenhotep II, la quale è figlia di Amenhotep III e di Tiy.

Figlia di Yuya e Thuya, descritta da tutti in chiave positiva, regnò al fianco del marito con amore e dedizione fino alla sua morte, momento in cui salì al trono il figlio Amenhotep IV (Akenhaton). Tiy, nonostante l’eresia del figlio, rimase al suo fianco come regina madre, attribuendo le azioni di esso al tentativo di arricchire ed aumentare il potere della corona.

Non si hanno certezze sulla data della sua morte ma si ipotizza possa essere avvenuta attorno al 1338 a.C e che lasciò un grande vuoto. Si dice anche che il regno subì una fase di declino. L’imbalsamazione fu eseguita con grande attenzione, i lineamenti del viso sono riconoscibili e i capelli perfettamente conservati, la donna non aveva neanche un capello grigio. Nella tomba di Tutankhamon erano presenti sarcofagi in miniatura recanti il nome della nonna. Una nonna tanto amata, della quale portò con sé il ricordo nel suo ultimo viaggio.

Bibliografia e Fonti :

http://www.nationalgeographic.it/dal-giornale/2010/09/03/news/tutankhamon_segreti_di_famiglia-96415/?refresh_ce
http://www.egittologia.net
http://www.ancient.eu/tiye/

Exit mobile version