Il sogno di un Europa Unta e Universale

L’idea di un Europa unita in un unica nazione è un qualcosa che ci accompagna fin dalla caduta dell’Impero Romano, la fine di quell’impero universale ha infatti lasciato dietro di se un vuoto che negli ultimi 2000 anni molti sovrani hanno provato a colmare, e uno degli uomini che ci è andato più vicino è stato l’Imperatore Carlo V d’Asburgo che, nel XVI secolo riuscì ad unire quasi tutte le corone d’Europa nel tentativo di diventare il monarca della cristianità universale.

In questo contesto storico molto particolare, nel quale non voglio addentrarmi in questo articolo, vennero prodotte una serie di Xilografia molto suggestive che rappresentavano l’Europa nel corpo di una donna, e non una donna qualsiasi, ma l’Europa Regina, sposa dell’Imperatore Carlo X e in questo articolo voglio parlare proprio di una di queste Xilografie, spiegarne il significato e la simbologia.

Xilografie dell’Europa regina

Intorno alla metà del XV secolo, in Europa, iniziarono a circolare diverse raffigurazioni allegoriche dell’Europa, tra le più antiche di cui abbiamo traccia, una xilografia risalente al 1537 realizzata dal cartografo Johannes Bucius/Putsch, mentre la più popolare di queste, nota come Europa Regina o Europa Virgo, venne realizzata circa 40 anni dopo dal teologo tedesco Heinrich Bünting, e venne pubblicata nel testo “Itinerarium Sacrae Scripturae”, una riscrittura della bibbia in forma di libro di viaggi contenente una serie di dieci Xilografie, approssimativamente nel 1581.

Nell’Itinerarium Sacrae Scripturae appaiono circa 10 xilografie, e una di queste è proprio Europa Regina. C’è poi un immagine del mondo rappresentato come un trifoglio con Gerusalemme al centro, e l’Asia come cavallo Pegaso, il mitico cavallo alato.

Il significato di Europa Regina

La Xilografia Europa Regina di Bünting, come possiamo vedere, ci mostra l’Europa nella forma di una donna, e ogni elemento di questa immagine ha un suo peso e un significato ben preciso.

Partiamo dalla testa della donna, che coincide con la penisola iberica e su cui poggia una corona e non una corona comune, una corona ad anello carolingia, simbolo del potere imperiale e la supremazia che in quel tempo la Spagna esercitava sull’intero continente e allo stesso tempo un richiamo al Sacro Romano Impero. 

Nella mano sinistra della regina, che coincide con la Danimarca, vi è uno scettro, simbolo di autorità e dominio, mentre nella mano destra, che coincide con l’Italia, è presente un globo, Orbe, che coincide con la Sicilia ed è tradizionalmente il simbolo del potere universale e del dominio sul mondo.
Scettro, Orbe e Corona sono insieme insegne imperiali, simboli del Sacro Romano Impero che sottolineano la portata globale del potere europeo che si estende ben oltre i propri confini geografici.

I simboli imperiali sono nelle mani e sulla testa dell’Europa, e il suo corpo è l’Europa stessa, ed è il corpo di una donna, la cui testa è formata dalla penisola iberica, e il suo collo coincide con i pirenei che separano la testa dal busto e dal seno, rappresentati dalla Gallia, mentre i territori della germania e austria e in generale dell’Europa Centrale, rappresentano il torso e la parte centrale del corpo.

Il cuore di questa donna è leggermente spostato in basso, e coincide con Austria e Boemia, in altre rappresentazioni ha la forma di un medaglione all’altezza della sua vita. Infine, dalla Boemia in giù, o meglio, ad est, si distende il resto del corpo, fino ai suoi piedi, un corpo coperto da un lungo abito che ingloba Ungheria, Polonia, Lituania, Livonia, Bulgaria, Moscovia, Macedonia e Grecia

Mentre scandinava e Isole Britanniche sono mostrate parzialmente in forma schematica e separate dal corpo.

Significato storico e politico 

Questa Europa non è un europa qualsiasi, e in vero essa rappresenta la sposa dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo, la cui corona includeva la maggior parte dei territori che coincidono con il corpo dell’Europa. Carlo V regnava sul Sacro Romano Impero, i territori austriaci, le terre borgognone e il regno di Spagna e da sovrano di uno degli imperi più estesi d’Europa dai tempi di Roma, ambiva a diventare il monarca universale della Cristianità.


Non è quindi un caso se l’orientamento della donna è verso ovest e la Spagna (Hispania) rappresenta la testa della donna o se il volto stesso della donna assomigli a quello di Isabella di Portogallo, moglie di Carlo V.

Allo stesso tempo i territori asburgici spmp rappresentati come cuore e centro del corpo della donna, e il vestito della donna richiama gli abiti usati all’epoca presso la corte degli Asburgo.

La crisi del Trecento: Quali furono le cause?

Nel corso del primo Trecento l’Europa attraversò un periodo di forte crisi che ha influenzato il commercio internazionale e intercontinentale. Come si arriva a questo? Quali sono le cause?

Cambiamento climatico

Una delle cause che hanno portato ad una crisi del corso del Trecento potrebbe essere legata ad un cambiamento del clima con un abbassamento delle temperature. Calo delle temperature e inondazioni causate dall’eccessivo disboscamento delle foreste hanno portato ad una minor disponibilità di materie prime nell’edilizia, artigianato e la carenza di fauna selvatica incrementando l’avvento delle carestie.

Commercio, monete e crisi finanziaria

Un altro problema che ha portato alla crisi del Trecento è stata la carenza di metallo prezioso utilizzato per la coniazione di monete. La mancanza di materiale, avrebbe messo in crisi il commercio, soprattutto quello con l’Estremo Oriente. Mancando i contanti, questi divennero cari e i banchieri e finanziatori che ne avevano in quantità chiedevano degli interessi troppo alti ai mercanti. Questa situazione portò ad una crisi finanziaria alimentata dal fallimento delle banche italiane e in particolare delle società dei Bardi e dei Peruzzi. Queste due società avevano finanziato il Re Edoardo III d’Inghilterra durante la guerra contro la Francia ma, quando il sovrano dichiarò che non li avrebbe rimborsati, dovettero dichiarare il fallimento. Inoltre, le società avevano raccolto i risparmi dei privati ma anche questi furono coinvolti dalla crisi, peggiorando la loro posizione.

La peste del 1348

In questo clima di incertezza generale, nel 1348-1350 in Europa si diffuse un’epidemia di peste. La malattia iniziò a diffondersi nel 1347 in Asia centrale arrivando fino alla colonia genovese di Caffa, in Crimea. Successivamente, attraverso le navi si estese a Costantinopoli, Sicilia e Genova. Oltre all’Italia, furono colpite: Spagna, Francia, Germania, fino al Corno d’Africa. La peste veniva trasmessa dal batterio della pulce del ratto che, pungendo l’uomo, lo contagiava. Il tasso di mortalità fu molto elevato, in Europa morì un terzo della popolazione.

La ripresa

L’epidemia di peste fu un evento molto traumatico per la popolazione europea anche se migliorò le condizioni di vita del popolo. La riduzione demografica ebbe come conseguenza una maggior disponibilità di risorse ed un calo della manodopera e quindi un aumento dei salari. La crescita dei salari portò ad un calo dei prodotti alimentari poiché la produzione agricola sovrabbondava per una popolazione ridotta. Tutto questo permise alle famiglie di spendere il denaro per altro: vestiti, edilizia, arredamento. Chi risentì della crisi del Trecento furono i commerci intercontinentali che ridussero la loro importanza. I banchieri toscani acquisirono nuovamente importanza riorganizzandosi in compagnie più piccole, attente agli investimenti ed evitando di prestare somme troppo elevate.

Nazionalismo, la causa di ogni male della storia

ciò che ha segnato il declino e instillato guerre continue che hanno insanguinato e devastato l’europa per secoli, è stata l’incapacità di guardare oltre il proprio naso, soffermandosi sulle differenze più superficiali, soffermandosi su ciò che divideva piuttosto che su ciò che accomunava gli uomini ed i popoli europei (e non), disegnando una mappa del mondo, sempre più frammentaria e disgregando, una dopo l’altra, tutte le grandi realtà nate con l’intento di tenere lontane le guerre e garantire uno stato di pace duratura.

Se c’è qualcosa che la storia avrebbe dovuto insegnarci sul nazionalismo è che questi, è molto probabilmente, la principale causa di ogni guerra mai conosciuta dall’uomo.

Il nazionalismo così come siamo abituati a conoscerlo è un qualcosa di apparentemente recente e pure è qualcosa di estremamente antico che ha attraversato, corroso e distrutto la maggior parte, per non dire tutte, le grandi civiltà della storia a partire dalla culla delle civiltà in Mesopotamia, fino ai più remoti insediamenti Indios nelle americhe precolombiane, passando per le polis greche e Roma, il nazionalismo ed il sovranismo, hanno trascinato nel baratro ogni realtà che la storia abbia mai conosciuto.

A proposito di Roma, Roma è spesso indicata come un modello di eccellenza per i sostenitori del nazionalismo, e probabilmente non esiste esempio più sbagliato. Quello che infatti è, con molta probabilità, il più importante e significativo esempio di civiltà, fortemente nazionaliste (passatemi il termine nonostante sia estremamente anacronistico in questo contesto), non è Roma, ma la Grecia antica, sono le Polis.

Le polis rappresentano il più importante e noto esempio di nazionalismo (nel mondo antico) che possiamo incontrare nella storia e il loro declino è un monito, ignorato da sempre, a non ripetere gli stessi errori.

Le polis greche, nella loro storia, hanno dimostrato più di chiunque altro che il nazionalismo indebolisce i popoli, crea nemici rendendo un nemico chiunque non appartenga alla propria cerchia ristretta, ed espone i suddetti popoli alle minacce di questi nemici.

Le polis greche, come sappiamo, erano città stato, autonome e indipendenti le une dalle altre, individualmente deboli e facili da schiacciare, ma insieme rappresentavano una vera e propria forza della natura, un colosso inamovibile in grado di arrestare anche la più inarrestabile delle avanzate e ciò che è successo durante le guerre persiane ne è un chiaro esempio.

La civiltà greca costruita sulle polis tuttavia è sopravvissute a lungo nel profondo mare della storia e se bene il loro ricordo è giunto fino ad oggi, non è passato moltissimo tempo tra il respingimento delle forze persiane e l’annichilimento interno durante le guerre del Peloponneso, fino alla caduta sotto l’avanzata ellenica di Alessandro il Macedone.
La cosa interessante è che Alessandro, al tempo della conquista della Grecia era un nemico delle polis greche creato dalle stesse polis greche che non vollero riconoscere la natura greca della macedonia. Cosa ancora più interessante è che l’esercito con cui Alessandro invase e conquistò la Grecia era nei fatti numericamente inferiore, peggio armato e meno organizzato degli eserciti persiani, che appena qualche secolo prima, le polis avevano respinto e pure, Alessandro,
a differenza di Dario e di Serse, riuscì a soggiogare la grecia rendendola parte del proprio impero.

Il grande successo di Alessandro nasconde quello che, allo stesso tempo, è stato il grande fallimento delle polis, e questo è un passaggio che non va ignorato, perché per ogni successo, per ogni trionfo della storia, c’è un altrettanto grande fallimento, in questo caso, la sconfitta delle polis, la cui incapacità di vedere oltre il proprio naso è uno dei più grandi fallimenti della storia, che ha segnato la caduta della civiltà greca. Le polis sono state direttamente responsabili del proprio declino, poiché il loro “nazionalismo” e il loro “sovranismo”, hanno impedito ai governanti delle singole polis di superare le proprie divergenze, mantenendole così separate, isolate e deboli, fino al momento in cui non sono state totalmente travolte dalla storia attraverso l’annessione al regno di macedonia.

Dall’altra parte il modello di Roma, spesso iconizato e presentato come eccellenza del nazionalismo nel mondo antico, nei fatti fu tutt’altro che nazionalistico, in apparenza Roma fu una grande nazione universale, ma nella realtà tangibile delle cose, Roma rappresenta il primo, reale, concreto, vero e proprio esempio di struttura sovranazionale e di civiltà multietnica e multiculturale. Roma, nella sua forma reale, è l’antitesi stessa del concetto di nazionalismo.

Nella maggior parte della sua storia Roma è riuscita ad espandersi, includendo all’interno dei propri territori, civiltà e popoli diversi dal popolo romano, integrando gli stranieri nel substrato sociale dello stato romano, fin dai tempi dei re Etruschi di Roma, e permettendo ai vari popoli incorporati nello stato romano, di vivere secondo le proprie tradizioni, e nel rispetto delle regole e delle leggi di Roma.

Finché Roma ha vissuto in questo modo, la sua civiltà ha prosperato ed è cresciuta sempre di più, espandendosi fino, ed oltre, ai confini del mondo conosciuto, agghindando con i propri vessilli ogni angolo di ogni casa, di ogni strada d’Europa.

Purtroppo per Roma, la sua espansione non è stata eterna e ad un certo punto della storia la sua crescita si è arrestata, per poi iniziare un lento ed inesorabile declino.
Del declino di Roma ho già parlato altre volte, come ad esempio in questo articolo in cui approfondisco il legame tra la crisi economico finanziaria dell’impero e gli elefanteschi costi dell’esercito romano, conseguenza della riforma dell’ordinamento militare di Gaio Mario, ed è interessante osservare come questi, coincida in larga parte con la deriva nazionalistica e sovranista dello stato romano.

Il declino di Roma è iniziato quando Roma ha smesso di essere una realtà multietnica e multiculturale ed ha iniziato a limitare le libertà dei propri abitanti, imponendo l’adozione di un modello culturale unico in tutto l’impero, imponendo l’adozione della cultura e delle tradizioni romane, o meglio, dell’imperatore, a tutti gli abitanti dell’impero.

Il declino di Roma, che sarebbe culminato soltanto con la caduta dell’impero e di Roma, è iniziata con la deriva autoritaria e nazionalistica dell’impero, una deriva che avrebbe alimentato tensioni, rivalità ed ostilità tra i popoli che videro trasformate le proprie radici e la propria cultura, in qualcosa, prima di subordinato e poi di vietato.

Roma avrebbe cercato, in vano, di rimediare e di sedare queste tensioni, con la forza e con la politica, ma questi tentativi furono fatti troppo tardi, quando ormai l’integrità dell’impero universale, quale grande contenitore di civiltà, era già stata crepata, e a nulla valse provare ad ingrossare ulteriormente le fila del già pachidermico e dormiente esercito romano o l’estensione della cittadinanza prima latina e poi romana a tutti gli abitanti dell’impero, nel tentativo di sedare le nascenti e sempre più frequenti insurrezioni, con il conferimento di privilegi politici, anche perché, fattore non di poco conto, quelli che un tempo erano i privilegi legati allo status di Cittadino Romano, non erano più tali e nel momento in cui tutti nell’impero divennero cittadini romani, persino le elitè imperiali, che si videro poste sullo stesso piano dell’ultimo dei nati nella più povera e remota provincia imperiale, si videro traditi da Roma, contribuendo a loro volta ad inasprire ulteriormente la situazione, che di fatto, rese inefficace la strategia politica adottata dagli imperatori ed inevitabile la fine dell’impero stesso.

La crescente disunità dell’impero, da cui sarebbe derivata la divisione stessa dell’impero in almeno due parti, unita all’incessante crisi economica e mille altri problemi interni che si intrecciano tra di loro, avrebbe segnato un ulteriore punto a favore della disgregazione dell’impero, e con esso, la fine stessa dell’impero occidentale sul cui modello e per le stesse ragioni si sarebbero fondate e sarebbero cadute tutte le future grandi realtà politiche europee.

Dall’impero carolingio all’unione europea ciò che ha segnato la crescita e l’espansione è stata la voglia e la capacità di includere, nel tentativo di superare le differenze e le divergenze, per creare un qualcosa di nuovo, di più grande e significativo di ciò che era stato, per creare qualcosa che guardasse verso il futuro, senza dimenticare il passato.
Dall’altra parte invece, ciò che ha segnato il declino e instillato guerre continue che hanno insanguinato e devastato l’europa per secoli, è stata l’incapacità di guardare oltre il proprio naso, soffermandosi sulle differenze più superficiali, soffermandosi su ciò che divideva piuttosto che su ciò che accomunava gli uomini ed i popoli europei (e non), disegnando una mappa del mondo, sempre più frammentaria e disgregando, una dopo l’altra, tutte le grandi realtà nate con l’intento di tenere lontane le guerre e garantire uno stato di pace duratura.

Per approfondire lo studio della questione sul nazionalismo, consiglio la lettura del testo Nazioni e nazionalismi. Programma, mito, realtà, di Eric J.Hobsbawm

Avete scelto di essere audaci. Difenderò le speranze d’Europa

Grande fiducia nelle istituzioni internazionali e nella comunità europea, sembrano trasparire dalle parole del neoeletto presidente della repubblica francese Emmanuel Macron, che esordisce parlando di Audacia, si Speranza e di Europa.

“Avete scelto di essere audaci. Difenderò le speranze d’Europa”

Viviamo in un epoca in cui la fiducia nell’Unione Europea vacilla, e l’imminente uscita dall’unione della Gran Bretagna porta con se due soli possibili scenari, da una parte un effetto domino che nel giro di qualche anno potrebbe allontanare dalla comunità i paesi con un economia piu’ forte, uno su tutti la Francia, che, negli ultimi anni è stata una delle vittime privilegiate del terrorismo internazionale, e dall’altra parte, potrebbe verificarsi un consolidamento delle istituzioni europee, che avrebbero l’effetto di accelerare, o meglio, riportare a velocità ottimale, l’evoluzione comunitaria che, negli ultimi anni, ha subito un forte rallentamento, causato soprattutto dalla massiccia crisi economica, finanziaria e sociale, che, nell’ultimo decennio ha messo a dura prova anche i piu’ accesi sostenitori dell’Europa.

Già in passato, e in diverse occasioni, il “nazionalismo francese” incarnato soprattutto nella figura di Charles de Gaulle, ha rallentato la comunità europea, in alcuni casi, bloccando alcuni importanti progetti, di cui la rancia stessa era stata promotrice (come ad esempio la CED, la Comunità Europea per la Difesa) e in altre occasioni ha rallentato ed ostacolato il piu’ possibile, l’integrazione in alcuni settori commerciali che per Parigi erano considerati di vitale importanza per l’economia francese.

Marie Le Pen, sembrava incarnare quel Nazionalismo ed il suo partito sembrava rappresentare un ritorno a quel triste passato fatto di concorrenza e rivalità tra le nazioni europee, un passato in cui la Francia si scagliava “da sola” contro il mondo, temendo un rafforzamento dell’asse Londra-New York che avrebbe potuto creare un ineguagliabile polo economico/commerciale. Tuttavia, le recenti elezioni presidenziali si sono concluse positivamente per il candidato di centro sinistra Emmanuel Macron, sottolineando, almeno apparentemente, una rinnovata fiducia francese per nei confronti della comunità europea. Una fiducia francese che probabilmente deve un enorme tributo alla “sfiducia” britannica nei confronti della UE, manifestatasi lo scorso giugno con un referedum consultivo in cui è emersa un apparente volontà britannica di lasciare l’Europa, ma il Regno Unito, nonostante i suoi annunci, nonostante le sue decisioni, è ancora impantanata in una fitta rete burocratica, di cui sembra non volersi liberare, e che continua a tenere il paese legato all’UE.

La vittoria di Macron, che in campagna elettorale si è detto vicino alla comunità europea, ed ha dichiarato di voler mantenere gli impegni presi dalla Francia con la comunità europea, e continuare sulla strada dell’integrazione, nonostante l’elevatissimo livello di astensione, che ha raggiunto il picco piu’ alto dal 1969, negli anni quindi delle proteste e delle manifestazioni che seguirono la scia dei movimenti operai e studenteschi del sessantotto, con una Francia totalmente immersa in un anacronistico tentativo di mantenere vivo l’impero coloniale, che di fatto costava alla Francia piu’ di quanto non desse alla francia.

Il parallelismo tra l’ostinazione francese nel voler mantenere vivo l’impero coloniale negli anni sessanta, e quello odierno nel voler mantenere viva la comunità europea tuttavia è solo apparente, e se si guarda al 1969 è da tenere a mente che quelle elezioni furono vinte da Georges Pompidou, che subentrò alla presidenza di Charles de Gaulle.

Pompidou all’epoca rappresentò il cambiamento di rotta l’abbandono del nazionalismo francese e del gollismo, la rinuncia all’impero coloniale per puntare su qualcosa di nuovo e innovativo, Pompidou sarebbe stato un acceso sostenitore della nascente comunità europea, all’epoca costituita da diverse organizzazioni comunitarie quali la CECA, CEE, ecc. Ed è in questa fiducia di Pompidou per l’europa che vi è il reale parallelismo tra le elezioni del 1969 e quelle del 2017, ma il fatto piu’ interessante e allo stesso tempo “attuale” della presidenza di Pompidou avvenne nel 1972 quando il presidente francese propose un referendum che avrebbe permesso alla Gran Bretagna di entrare a far parte della comunità europea.

Fino a quel momento il Regno Unito si era mantenuto fuori dalle istanze comunitarie preferendo un legame piu’ solido con l’EFTA, organizzazione internazionale concorrenziale alla comunità europea, ma i risultati positivi che la comunità europea aveva ottenuto in pochissimi anni, nei vari settori in cui era impegnata, rappresentavano una ghiotta occasione per la monarchia britannica, e nel 1972 in seguito ad un referendum, fu concesso al Regno Unito di entrare a far parte della comunità europea, questo ingresso fu accolto a londra dalla promessa di una maggiore “autonomia” rispetto ad altri paesi che facevano parte della comunità, ma questa autonomia era suggellata da precise condizioni per un ipotetica uscita, uno scambio di condizioni tra Londra e Parigi che in quel momento parvero impopolari (in europa) e a tutto vantaggio di Londra, ma che, quarantacinque anni piu’ tardi, avrebbe permesso all’Unione Europea di mantenere una “linea dura” nei confronti della vicenda Brexit.

Il trionfo di Macron, unito all’attuale situazione geopolitica, unita alla necessità dell’europa di munirsi di una propria forza militare continentale, potrebbe rappresentare la scintilla in grado di riaccendere la miccia della sopracitata CED. Gli equilibri internazionali sono turbati dal dilagare di importanti minacce alla sicurezza globale, minacce che le istituzioni faticano per mancanza di risorse e volontà, a contrastare in maniera efficace, e la politica isolazionistica di Donald Trump oltreoceano, rischia di mettere in crisi l’alleanza atlantica, unica alleanza militare, esterna alle nazioni unite, sopravvissuta alla guerra fredda.

La NATO tuttavia ha un futuro incerto, e già da qualche anno (per non dire decennio), il suo ruolo nel mondo è imprecisato, al punto che, qualche tempo fa, il neoeletto presidente Trump l’ha definita “un organizzazione obsoleta”. In quell’occasione scrissi un post su facebook in cui evidenziavo le opportunità che l’Unione Europea avrebbe avuto, se, mostrandosi coesa, avesse approfittato dell’intento statunitense di ritirarsi “fuori dal mondo”. Recentemente tuttavia, il presidente Trump a rivisto la propria posizione nei confronti della NATO, probabilmente perché si è reso conto che allo stato attuale, essa rappresenta allo stesso tempo, uno scudo per l’europa ma anche, lo strumento con cui gli USA possono esercitare su scala globale la propria politica di potenza. Senza la NATO, la comunità europea non avrebbe piu’ il proprio “scudo” e si troverebbe nella condizione di dover provvedere “da sola” alla propria sicurezza, di fatto creando le premesse per la creazione di una Comunità Europea di Difesa, che, fino a questo momento è stata considerata come una “inutile doppio della Nato, ma senza l’America al suo interno“.

La comunità europea odierna rappresenta una “superpotenza” economica, finanziaria e commerciale,  ma non militare, e di fatto il monopolio della forza è nelle mani degli USA, ma se la comunità europea avesse una propria forza militare, come auspicato dagli stessi USA durante la Guerra Fredda, questi diventerebbe una superpotenza a tutti gli effetti, creando così un vero e proprio polo planetario, alternativo agli USA e all’allora URSS e oggi alla Cina. E se all’epoca, in un clima di tensione internazionale e di pace armata, questa possibilità (la nascita della CED) rappresentava un’opportunità positiva per gli USA, oggi è vista con maggiore diffidenza, poiché un Unione Europea militarmente autonoma, sarebbe sì, un alleato degli USA, ma anche, un suo potenziale rivale.

Fonti : 

Si tratta di un analisi storica di un fatto di cronaca, vi prego pertanto di non chiedetemi “le fonti” perché questa volta “non ce ne sono” o meglio, tutto quello che ho letto nella mia vita fino ad oggi, mi ha permesso di “trarre queste osservazioni”, di conseguenza, tutto quello che ho letto nella mia vita fino ad oggi sono le “fonti” di questo articolo, ma, non avendo “letto” nulla di specifico appositamente per scrivere questo articolo, vere e proprie fonti non ce ne sono.
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