I problemi della Guerra Civile italiana

Tra l’estate del 1943 alla primavera del 45 l’Italia è stata attraversata da una lunga guerra civile, che avrebbe fatto da contenitore per innumerevoli altri conflitti interni all’Italia del tempo. Dalla lotta politica a quella sociale, dalla guerra di liberazione a quella di resistenza, dalla guerra civile a quella contro gli invasori stranieri

Sono passati circa 30 anni da quando Claudio Pavone ha sdoganato la questione della guerra civile italiana nel 1943-1945, utilizzando per la prima volta il termine guerra civile invece che i tradizionali guerra di liberazione o guerra di resistenza, e osservando che, in quel conflitto made in italy, al di la delle varie interpretazioni politico filosofiche che si potessero dare al conflitto, alla fine, a combattere erano semplicemente italiani contro altri italiani, riproponendo le dinamiche e le meccaniche di una guerra civile, senza se e senza ma.

Questo conflitto interno all’Italia e allo stesso tempo inserito nel più ampio contesto della seconda guerra mondiale, si porta dietro non poche complicazioni che, per decenni, l’utilizzo di termini come guerra di resistenza e di liberazione, avevano in qualche modo messo a tacere, deviando l’attenzione su una più generale dinamica di contrapposizione tra italiani buoni e stranieri cattivi. E in questo paradigma in cui gli italiani, tutti gli italiani, siano essi dalla parte del Re o della RSI, combattevano contro delle potenze straniere e resistevano all’invasione e l’occupazione straniera dell’italia, gli italiani che si trovavano “dall’altra parte”, “dalla parte sbagliata” erano semplicemente delle vittime, innocenti, delle politiche di occupazione straniera, e questo, all’indomani della fine del conflitto, permetteva una più moderata riappacificazione delle due parti, dando così, agli italiani che avevano combattuto per la RSI e quelli che avevano combattuto per il CLN, di tornare ad essere buoni amici, in alcuni casi ricongiungendo famiglie che la guerra aveva tenuto lontane.

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Questo precario equilibri però, si fondava su un drammatico equivoco storico, un equivoco voluto per ragioni politiche e alimentato da un errata percezione popolare della storia e delle vicende storiche che in esso confluivano, impedendo, per decenni, di analizzare in maniera chiara e completa, le dinamiche del conflitto intercorso in italia tra l’estate del 43 e la primavera del 45. Si tratta di un periodo apparentemente breve e pure estremamente lungo, in cui l’italia, e soprattutto gli italiani, hanno dovuto fare i conti con loro stessi e con il proprio passato, si tratta di un periodo in cui, il conflitto bellico dava spazio a pregressi conflitti interni all’Italia stessa che il paese si portava dietro fin dalla sua nascita, fin dalla propria unificazione avvenuta quasi un secolo prima e che, nonostante il grande potere unificatore del ventennio fascista, non erano mai stati completamente debellati. Nel 1943 non esisteva una sola Italia, ma neanche due o tre Italie, esistevano in realtà decine di italie differenti, ognuna con le proprie ragioni e le proprie necessità, ognuna con i propri interessi e la propria voglia di esprimersi ed espandersi al resto del paese.

Vi era l’italia dei fascisti legata a Mussolini e incarnata nella RSI, ben radicata nell’area più settentrionale del paese, appoggiata e supportata dal tradizionale alleato italico, la Germania del terzo Reich, al cui fianco l’Italia aveva iniziato la guerra, vi era poi l’italia tradizionale, l’italia monarchica ancora fedele al Re, ben radicata nell’area più meridionale del paese, appoggiata e supportata dai nuovi alleati anglo americani, dopo l’armistizio del settembre del 1943, vi era poi l’italia degli “ignavi”, quell’Italia che semplicemente lasciava che le cose accadessero, senza prendere parte alle vicende storiche in corso, senza scegliere se stare con il re o con il duce, insomma, quell’Italia che non sapeva da che parte stare e banalmente aspettava la fine del conflitto per esultare alla vittoria, indipendentemente dalle sorti della guerra e da chi fossero stati i vincitori. Vi era poi l’italia del CLN, che si contrapponeva alla RSI e combatteva contro la RSI, rivendicando la necessità di creare una nuova italia lontana dal Re e lontana dal Fascismo e nel disegnare una nuova italia di divideva tra chi inseguiva sogni ed orizzonti liberali guardando ad occidente, guardando all’America e chi invece guardava dall’altra parte, chi guardava ad Est, sognando la Russia e l’Unione Sovietica.

Tutte queste realtà sono solo la punta dell’Iceberg, e scavando più a fondo incontriamo sempre maggiori differenze tra gli italiani, oltre al conflitto politico sopra descritto, incontriamo anche un conflitto sociale, anzi, incontriamo diversi conflitti sociali, conflitti che contrapponevano le masse popolari all’alta borghesia e all’aristocrazia e in questa contrapposizione il modello Nazifascista da una parte, il modello Americano da un altra parte e quello Sovietico da un altra parte ancora, si manifestavano come tre possibili vie da seguire e da inseguire, tre possibili realtà per cui valeva la pena combattere e questo solo per quanto riguarda le fasce popolari della popolazione italiana, perché poi anche aristocratici e borghesi avevano i propri interessi e combattevano per i propri interessi.

Vi erano gli aristocratici, grandi proprietari terrieri vicini sia al Re che al regime, vi erano gli imprenditori e l’alta borghesia vicina soprattutto al regime (e non perché tutta la borghesia italiana fosse fascista ma perché, semplicemente, la sola borghesia sopravvissuta al ventennio era quella vicina al fascismo), vi erano poi gli operai e i lavoratori dipendenti, che si riavvicinavano al partito comunista, e poi c’erano i contadini, affittuari e mezzadri del mezzogiorno che, soprattutto nelle campagne più remote della penisola, vivevano in realtà fuori dal tempo e dalla storia, totalmente immersi in un mondo alieno al tempo in cui vivevano e in cui cristo, inteso come la modernità, per citare Carlo Levi, non era mai giunto, si tratta di realtà arcaiche immerse in dinamiche quasi feudali e culturalmente in uno stadio molto primitivo di civiltà.

Ognuna di queste realtà ha degli interessi, dei desideri, delle ambizioni da seguire, ognuna di queste realtà storiche, politiche, sociali e culturali, aveva degli obbiettivi da raggiungere e un modo di vivere da difendere, ognuna di queste realtà aveva una ragione per combattere in quella guerra civile e a seconda dei casi, scegliere da che parte stare.

Chi rivendicava l’ideologia e i valori del fascismo, chi credeva in Mussolini e vedeva negli anglo americani degli stranieri che stavano penetrando e occupando militarmente l’Italia, chi rivendicava un primato nella tradizione e nella cultura italica e reclamava un ruolo egemone dell’italia nel Mediterraneo e nel mondo, combatteva contro gli alleati.

Chi rivendicava i valori della tradizione, chi credeva nel Re e vedeva nelle forze del Reich presenti in Italia una presenza straniera che stava occupando militarmente il paese, chi desiderava una rivoluzione sociale e temeva la deriva nazifascista, chi desiderava la nascita di una nuova italia libera e democratica, combatteva contro la RSI.

La guerra civile italiana del 1943-1945 si configura quindi con un grande, enorme calderone, al cui interno sono confluiti innumerevoli conflitti differenti, nati in momenti diversi e per ragioni diverse ed esplosi in un momento di grande fermento e caos e limitare il conflitto ad una soltanto delle sue componenti, guerra di liberazione dagli angloamericani o dal reich, guerra di resistenza all’avanzata degli angloamericani o del reich, guerra sociale, guerra di classe tra masse popolari e aristocratici, tra contadini e proprietari terrieri, tra operai e imprenditori, o più generalmente tra servi e padroni, tra atei o laici e cristiani, tra italiani e stranieri, ecc ecc , sarebbe estremamente riduttivo, e se oggi si predilige l’utilizzo di guerra civile è perché, al di la di tutte le componenti del conflitto, di tutte le ragioni e di tutte le possibili implicazioni e le diverse interpretazioni, alla fine, a combattere da una parte e dall’altra c’erano semplicemente degli italiani, e se a combattere erano due parti dello stesso popolo, della stessa nazione, allora non c’è chiave interpretativa che tenga, si tratta semplicemente di una guerra civile.

Fonti

C.Pavone, Una guerra Civile, https://amzn.to/2S0Tb19
M.Battini, Peccati di memoria, https://amzn.to/2CbSV9N
L.Paggi, Il popolo dei morti, https://amzn.to/2zWiMBm
C.Levi, Cristo si è fermato ad Eboli, https://amzn.to/2zSmjAz
E.De Martino, Sud e magia, https://amzn.to/2BthKgb

Quel giorno d’aprile in cui l’italia aspettava i propri figli, partiti come soldati e non ancora tornati | Storia Leggera

Il 25 Aprile, il giorno della celebrazione della liberazione, l’autentica pasqua laica della tradizione della nuova repubblicana e antifascista.

Qualche giorno fa, mentre sceglievo la canzone da cui partire per questo articolo, una cara amica ha pubblicato su Instagram la foto di un glicine in fiore e vedendo quella foto mi è venuta in mente una canzone che adoro e che è perfetta per questa rubrica, soprattutto in questo periodo dell’anno e quindi voglio ringraziare questa cara amica per aver involontariamente influenzato la scelta di questa canzone.
La canzone che ho scelto è “quel giorno d’aprile” contenuta nell’album L’ultima Thule di Francesco Guccini e ci racconta proprio quel giorno d’aprile del 1945, quel giorno d’aprile che ha segnato in un certo senso l’inizio della fine della guerra civile italiana, iniziata in seguito all’armistizio del settembre 1943, e che ha rappresenta uno dei passaggi più forti, dolorosi e importanti della recente storia italiana. Quel giorno ci viene raccontato attraverso gli occhi di un bambino e la canzone attinge ai ricordi di infanzia dello stesso autore accompagnandoci in un viaggio lungo tutta la storia italiana, un po come il film Forrest Gump ci ha raccontato quarant’anni di storia americana attraverso gli occhi e la vita del protagonista.

Quel 25 aprile, il futuro presidente della repubblica Sandro Pertini, che nel 1943 insieme a Pietro Nenni e Lelio Basso aveva contribuito a riportare il socialismo in Italia con la costituzione del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, partecipò attivamente agli eventi e alle manifestazioni che di li a poco avrebbero portato alla liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista.

«Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire.»

Proclama dello sciopero generale, Sandro Pertini, Milano, 25 aprile 1945.

All’epoca Pertini, insieme a Luigi Longo, Emilio Sereni e Leo Valiani, presiedeva il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia(CLNAI) la cui sede si trovava a Milano e proprio a Milano e da Milano, quel 25 aprile, fu organizzata e annunciata l’insurrezione generale che avrebbe portato alla liberazione del paese.

In realtà la liberazione su larga scala era già cominciata da qualche tempo, la ritirata delle forze nazifasciste era già in atto e con essa era in atto la distruzione sistematica di infrastrutture, impianti industriali e campi che avrebbero condannato l’Italia a fame certa e ad una lunga e lenta ricostruzione che fu resa meno insostenibile grazie agli aiuti dell’European Recovery Program. Prima di Milano il CLNAI aveva indetto scioperi e insurrezioni anche in altre città del nord Italia, in particolare a Bologna che si era liberata il 21 aprile e a Genova che si era liberata il 23 aprile, ma Bologna, Genova e le altre città liberate erano solo delle città occupate dalle forze nazifasciste, Milano invece era diversa, Milano era qualcosa di più, Milano era un simbolo dell’occupazione Milano era una delle roccaforti del comando nazifascista e la sua caduta fu molto più significava delle altre, la caduta di Milano significava in qualche modo la sconfitta delle forze nazifasciste, rappresentava la fine dell’occupazione perché Milano era in qualche modo la testa del serpente e una volta tagliata, una volta liberata, il corpo sarebbe morto, si sarebbe arreso.

Dopo la caduta di Milano le insurrezioni in tutta Italia si intensificarono e in meno di una settimana si giunse all’effettiva liberazione del paese il 1 maggio 1945 l’Italia intera era stata liberata. Ma questa liberazione non era stata facile e costrinse uomini, donne e bambini a compiere scelte difficili e dolorose, in particolare la liberazione di Milano si concluse nel sangue e avrebbe portato, tra le altre cose, alla cattura di Benito Mussolini, avvenuta il 27 aprile ad opera della 52° Brigata Garibaldina.
Come sappiamo Mussolini sarebbe stato condannato a morte e giustiziato in meno di ventiquattro ore e tra gli uomini che firmarono e votarono la sentenza, c’era anche anche il sopracitato Sandro Pertini, tuttavia, va detto che il trattamento che la 52° brigata riservò all’ex primo ministro italiano fu tutt’altro che brutale e nell’ultimo scritto di Mussolini redatto a Germasino, sopra Dongo, il 27 aprile 1945, si può leggere:

“La 52a Brigata Garibaldina mi ha catturato oggi venerdì 27 aprile nella Piazza di Dongo. Il trattamento usatomi durante e dopo la cattura è stato corretto”

Dall’ultimo scritto di Benito Mussolini, Germasino, 27 aprile 1945

La brutalità e la barbarie sarebbero sopraggiunte soltanto dopo l’esecuzione, con l’esposizione del cadavere a modi trofeo.

Il 25 aprile 1945 segnava la vittoria della resistenza sull’occupazione straniera e sarebbe diventata, una delle feste nazionali più importanti, se non addirittura la più importante dopo la festa della repubblica e nella sua celebrazione è stato possibile gettare le basi di una nuova Italia, di una nuova tradizione e di un nuovo folcklore italiano, quello di un Italia che è risorta dalle proprie ceneri come una fenice, un Italia che ha riconquistato la propria dignità perduta ed ha ritrovato un onore quasi dimenticato, è un Italia fatta di paesi finalmente in festa, che può salutare i soldati tornati dalla guerra e lentamente può ritornare alle stanze della propria vita quotidiana, come i fiori nei prati e come il vento di aprile.

Ma è anche un Italia speranzosa e dolorante che in quei giorni di aprile e di inizio maggio si affacciava insistentemente alle proprie finestre e passa ore intere sull’uscio delle case e nei cortili, nell’amara speranza di rivedere i propri cari, in attesa di vedere apparire all’orizzonte i propri padri, figli e mariti partiti volontari per la guerra, partiti come soldati non ancora tornati, partiti come partigiani per la resistenza, partiti per essere uomini liberi e senza pretesa di diventare eroi, e in quei giorni non si aspettavano eroi, perché non c’erano eroi, c’erano solo ma padri, mariti e figli che tardavano a ritornare.

Per molti quella speranza sarebbe sfumata, perdendosi nel tempo avvolta dal fuoco e dal fumo di un camino, offuscata dai litri di vino versato per festeggiare e anche un po’ per dimenticare, versato per non pensare, per non capire, per non accettare la realtà e restare aggrappati all’amaro pensiero che un giorno i propri cari sarebbero tornati, ed averebbero raccontato di fronte a quel camino le mille avventure vissute. Ma quel giorno, per migliaia di italiani, non sarebbe mai arrivato, furono a migliaia le famiglie che non rividero mai più i propri cari, perché caduti prigionieri o giustizia sul posto chissà dove, chissà quando e chissà da chi, solo perché avevano scelto di essere uomini liberi, solo perché avevano scelto di combattere per la libertà di tutti, per la propria terra e senza pretesa di essere ricordati come eroi quella libertà l’avrebbero pagata con la propria vita.

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