Chruščëv e la Scarpa all’ONU: Il Giorno che Cambiò la Storia

Nikita Chruščëv ha davvero battuto la scarpa sui banchi dell’ONU? se si, cosa lo ha spinto a tanto e se non è andata così, cosa è successo davvero il 12 ottobre 1960?

Nikita Chruščëv ha davvero battuto la scarpa sui banchi dell’ONU? Sse si, cosa lo ha spinto a tanto e se non è andata così, cosa è successo davvero il 12 ottobre 1960?

Il Contesto: L’assemblea ONU del 12 ottobre 1960 e l’intervento di Sumulong

Era un mercoledì quel 12 ottobre del 1960, quando al palazzo dell’ONU di New York, era in corso la 902a riunione planetaria dell’assemblea generale delle nazioni unite.

Durante questa storica riunione, tra i punti all’ordine del giorno, vi era un intervento del delegato filippino Lorenzo Sumulong, nel quale, si denunciava la condizione sociale e politica dei popoli dell’Europa orientale, che, stando alle dichiarazioni del delegato filippino, riportate fedelmente nei dattiloscritti ufficiali della seduta, erano stati “privati del libero esercizio dei loro diritti civili e politici e che sono stati inghiottiti, per così dire, dall’Unione Sovietica”.

Il delegato filippino non ha scelto casualmente questa riunione per denunciare questi fatti, avrebbe potuto parlarne in qualunque riunione planetaria, ma, la 902a riunione planetaria dell’ONU aveva un qualcosa di unico rispetto a qualsiasi riunione precedente, poiché in sala, quel 12 ottobre, era presente il primo segretario del partito comunista dell’unione sovietica, nonché presidente del consiglio dei ministri dell’unione sovietica, Nikita Sergeevič Chruščëv.

La replica accesa di Chruščëv: Difesa dell’URSS e scontro di visioni

L’intervento del delegato filippino attirò inevitabilmente l’attenzione della delegazione sovietica e di Chruščëv, e, al termine dell’intervento, lo stesso Chruščëv riuscì a conquistare il podio e prendere la parola.

Questo è il momento decisivo, il momento in cui il mito incontra la realtà, che segnò l’inizio dello spettacolo internazionale dai toni decisamente sopra le righe e noto al mondo come l’incidente di battitura della scarpa.

Durante il lungo intervento, il leader sovietico provò in ogni modo a lui consentito di giustificare e definire la politica “interna” dell’unione sovietica, ed è importante sottolineare il termine interna, poiché agli occhi della leadership sovietica si trattava di politica interna, mentre, agli occhi del delegato filippino, i rapporti tra Mosca e altri paesi dell’Unione, erano una questione di politica estera, de facto, Sumulong, e come lui numerosi altri delegati delle nazioni unite, non riconoscevano totalmente l’Unione Sovietica come un unico stato, ma come un insieme di stati autonomi e indipendenti, se pur legati strettamente tra loro da accordi internazionali.

Per Sumulong, l’Unione Sovietica non era diversa nella sostanza dalle Nazioni Unite, tuttavia, questo parallelismo era soltanto teorico e nella pratica, l’Unione Sovietica era un Impero guidato da Mosca, in cui la Russia era una potenza centrale che esercitava il proprio potere in maniera arbitraria su tutte le altre nazioni (non libere) dell’Unione.

Queste argomentazioni, molto forti, provocatorie e in larga parte condivise, sia da quella fetta di mondo non allineata con l’unione sovietica, che da parte delle popolazioni “sottomesse” dall’unione sovietica (e che, alcune parti, totalmente disallineate sia dagli USA che dall’URSS, vedevano come una versione più incisiva e meno subdola dell’analogo imperialismo statunitense) ebbero come effetto, l’escandescenza di Nikita Sergeevič Chruščëv che, in prima battuta osservò che non vi era alcuna limitazione nelle libertà civili e politiche dei cittadini sovietici, rimarcando l’unità dell’Unione Sovietica come nazione, e non come entità sovranazionale, osservando poi che, le diverse realtà che componevano l’unione sovietica, avevano visioni politiche non necessariamente identiche e anzi, in alcuni casi in contrasto tra loro, rimarcando più volte che, la propria corrente politica di appartenenza era in aperto contrasto con la corrente stalinista che lo aveva preceduto alla guida dell’unione.
Insomma, Chruščëv, nel proprio intervento, ricordò al mondo che l’Unione Sovietica era uno stato, con al proprio interno tante nazioni e altrettante correnti politiche, tutte libere anche se inserite all’interno del grande calderone del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, un partito che, aveva al proprio interno correnti più legate all’estrema sinistra, correnti più moderate e persino correnti liberali e di destra, del resto, egli stesso si era fatto promotore nell’URSS di una politica di destatalizzazione che potremmo interpretare come espressione di un comunismo sovietico più liberale e moderato.

Il gesto controverso: Chruščëv si sfila la scarpa

Durante l’intervento molto partecipato, Chruščëv si lasciò trasportare, forse un po’ troppo dalle emozioni, scaldandosi particolarmente e, nell’esprimere in maniera molto forte i propri concetti, le proprie posizioni, e le proprie emozioni, durante le battute finali dell’intervento, Chruščëv iniziò ad agitare violentemente il pugno per poi sfilarsi una scarpa e appoggiarla sul bancone.

In tutto l’intervento, stando a quanto asserisce William Taubman, giornalista statunitense, laureato ad Harvard e vincitore del premio Pulizer, se bene Chruščëv abbia effettivamente sfilato la scarpa e l’abbia poggiata sul bancone, non vi è alcuna prova video, non vi è alcuna immagine o testimone che possa confermare che Chruščëv abbia agitato la scarpa e che l’abbia battuta con forza sul bancone.

Secondo Taubman, la foto storica di Chruščëv che agita la scarpa è un artefatto ed è curioso come quella foto sia effettivamente l’unica foto, non ve ne sono altre, o almeno non ne sono mai state divulgate, pubblicate o distribuite altre, ed è curioso, osserva Taubman, che esiste, una foto identica, che mostra la stessa scena, lo stesso istante, dalla stessa angolazione, un immagine perfettamente sovrapponibile all’immagine della scarpa, in cui, tuttavia, non vi è alcuna scarpa, ma un semplice pugno.

Mistero e Iconicità

L’immagine di Chruščëv che batte la scarpa all’ONU è forse una delle immagini più iconiche e rappresentative del XX secolo, ed è un immagine che porta dietro di se un alone di mistero, poiché letteralmente unica.

Qualcuno ha ipotizzato che in quei pochi istanti altri fotografi erano distratti e che per qualche motivo, le telecamere non erano puntate su Chruščëv, cosa curiosa e abbastanza anomala visto che in quel momento, Chruščëv, leader dell’Unione Sovietica, che era insieme agli USA una delle due super potenze mondiali in quel momento storico, era in piedi, di fronte all’assemblea planetaria delle nazioni unite, impegnato a difendere l’immagine dell’Unione Sovietica.

Va però detto che, secondo la RAI esiste un video che mostra Chruščëv intento ad agitare la scarpa, tuttavia, quel video, dal quale si ipotizza sia stato estrapolato il celebre fotogramma non è di pubblico dominio, ma è nascosto e custodito in gran segreto negli archivi RAI, emittente radiotelevisiva italiana che per qualche motivo, sembrerebbe avere l’unica prova video dell’incidente della scarpa di Chruščëv all’ONU, mentre, in tutti gli altri filmati, Chruščëv agita e poi batte il pungo, e non la scarpa, sul bancone.

Fonti e approfondimento

Kruscev Ricorda
Atti XX convegno partito comunista URSS
Dialogo sulla distensione

Protetto: Le sette guerre mondiali

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USA & URSS | nemici amici

perché USA e URSS, protagonisti della guerra fredda, nemici giurati da sempre, esponenti di due visioni del mondo opposte, si allearono contro il terzo Reich?

La verità sull’alleanza “innaturale” tra USA e URSS, contro il Terzo Reich

USA e URSS, protagonisti della guerra fredda, nemici giurati fin dalla nascita dell’Unione Sovietica, i due esponenti di due visioni del mondo opposte, alternative e totalmente incompatibile, e pure, negli anni 40, durante la seconda guerra mondiale, USA e URSS, misero da parte le proprie divergenze per combattere un nemico comune, il Terzo Reich.

Ma perché questa innaturale alleanza?

Col senno di poi, sappiamo che i crimini del nazifascismo furono tra i più abominevoli ed efferati di cui la storia abbia memoria, ma all’epoca dell’alleanza, non si sapeva dei campi di sterminio, e la ghettizzazione di alcune minoranze esisteva, sia negli USA che nell’URSS, eppure, ci fu qualcosa che spinse Roosvelet, Churchill e Stalin e mettere insieme le proprie forze e coordinare le proprie azioni, nella guerra contro l’asse.

Ma di cosa si tratta?

La risposta, amico mio, non soffia nel vento, ma è ben nota alla storia e potrai scoprirla guardando questo video, oppure, in questo articolo, in cui dirò le stesse cose che dirò in video.

USA & URSS, nemici amici.

Cominciamo col dire che la rivalità eterna, tra USA e URSS era figlia dell’incompatibilità tra le due diverse interpretazioni del mondo, dai due diversi sistemi di organizzazione dello stato e della società, e delle due diverse chiavi interpretative dell’individuo nella società

La Società Borghese

Nel mondo statunitense, nella società capitalistica borghese, l’individuo è posto al centro della società e tutto ciò che riesce ad ottenere nella propria vita è percepito (semplificando molto) come un suo successo individuale o come una sua responsabilità, diversamente, nel mondo sovietico, l’individuo è inserito all’interno di una collettività più ampia, formata da molti individui, le cui esistenze sono in qualche modo correlate, ed è compito dello stato, fornire a tutti gli individui un eguale insieme di servizi essenziali. Servizi che, in misura ridotta, lo stato fornisce anche nel mondo capitalistico borghese, ma che, in quel sistema mondo, sono affiancati di servizi e strutture private, inesistenti nel mondo sovietico, che, fondate e alimentate da capitali privati, si collocano su un livello più elevato, e non sono accessibili a chiunque, ma solo a chi è in possesso di determinati prerequisiti economici.

Queste due diverse organizzazioni della società però, presentano un principio di fondo comune, il principio per cui tutti gli uomini (maschile generico universale) sono uguali e dotati di diritti inalienabili e che, sono scollegati da ogni qualsivoglia sistema di predeterminazione sociale, imposta alla nascita, diversamente da quanto accadeva invece nell’antico sistema “feudale“, nell’ancien regime, in strutture aristocratiche, statiche e stantia, in cui il dinamismo sociale era inesistente e la vita degli uomini era predeterminata dalle condizioni sociali della propria nascita.

In quel sistema universale, precedente l’avvento delle teorie e idee illuministiche, chi nasceva da una famiglia di contadini, viveva in miseria e moriva da contadino, chi nasceva da principe, viveva nel lusso e moriva da principe, chi nasceva da una famiglia borghese, di mercanti, moriva da mercante e anche quando, per qualche motivo fosse riuscito ad ottenere ricchezze superiori a quelle degli imperiali del proprio tempo, non sarebbe mai entrato nella cerchia ristretta delle elite, in quel mondo chiuso in cui era possibile accedere soltanto per diritto di nascita.

La guerra di indipendenza americana, nella seconda metà del XVIII secolo, la successiva rivoluzione francese e poi l’età napoleonica, mettono in discussione quell’antico sistema di valori. Con la rivoluzione americana, nasce la prima nazione totalmente libera dalle antiche aristocrazie, nasce la prima nazione borghese della storia, la cui esistenza, in modo più o meno diretto, avrebbe rafforzato in europa il pensiero illuminista alimentando la rivoluzione francese, e formando, in età napoleonica, una nuova leadership europea, aliena alle antiche famiglie aristocratiche. Poi, come sappiamo il congresso di Vienna riportò l’antico ordine precostituito in europa, e riportò le antiche famiglie sui troni d’europa, ma qualcosa si era rotto, e l’esistenza di una nazione borghese, dall’altra parte dell’Atlantico, rappresentava una minaccia costante, che aleggiava sull’Europa e l’antico regime.

Tra napoleone e il 1848, come sappiamo, diverse ondate rivoluzionarie attraversarono l’europa, se pur, nella maggior parte dei casi, senza successo. Il fallimento dei moti del 20/21 e del 30/31 fu l’effetto di una rivoluzione parziale, che, a differenza della rivoluzione francese del 1792, non vide una grossa partecipazione delle masse popolari, di fatto i moti rivoluzionari della prima metà del XIX secolo furono soprattutto moti borghesi, furono rivoluzioni borghesi, per citare Hobsbawm, e fu proprio in quel contesto che si iniziò a prestare attenzione al peso e al ruolo delle masse popolari nella storia.

Negli anni cinquanta del secolo successivo si inizia a parlare di irruzione delle masse popolari della storia, un irruzione teorica in realtà, che non è mai avvenuta, di fatto le masse popolari, avrebbero osservato alcuni osservatori proprio in quegli anni, sono presenti da sempre nella storia ed il loro coinvolgimento nei grandi eventi del passato, è stato determinante.

Ad ogni modo, la presa di coscienza del peso e della forza enorme delle masse popolari nella storia e nelle società, si condensa nel pensiero di Friedrich Engels e Karl Marx, e in quello che sarebbe diventato il manifesto del partito comunista, un partito politico fondato sul principio dell’universalità umana, sull’uguaglianza dei diritti per tutti gli uomini e sul fatto che le distinzioni economiche e sociali sono un artificio costruito per tutelare il privilegio dei pochi sui molti. Esattamente gli stessi principi che, poco più di mezzo secolo prima avevano ispirato la rivoluzione francese, e prima ancora quella americana.

La società borghese capitalistica americana e la società sovietica del comunismo reale, sono figlie dello stesso mondo, Karl Marx e Samuel Adams, almeno virtualmente, combattono la stessa battaglia e difendono gli stessi ideali, se bene poi divergano nell’applicazione di quegli ideali ed è in quella divergenza che si sarebbe successivamente forma la rivalità tra USA e URSS, ma, per quanto rivali, le due realtà storiche e politiche, condividono una radice ed un atavico nemico comune, l’aristocrazia tradizionale, la cui esistenza implica l’accettazione di strutture sociali predeterminate alla nascita, un immobilismo sociale che non si confà ne con l’individualismo americano, ne con il collettivismo sovietico.

La Seconda guerra mondiale

Quando sul finire degli anni 30 e l’inizio degli anni 40 del novecento, inizia la seconda guerra mondiale, Stati Uniti e in maniera ancora maggiore, l’Unione Sovietica, individuano nel nazifascismo, l’antico nemico comune ad entrambi i sistemi di valori, il Nazismo era percepito da USA e URSS come lo spettro di quel mondo antico in cui le gerarchie sociali erano statiche e determinate alla nascita, ed è questa la principale minaccia che le due realtà, figlie dell’illuminismo, vedono nel terzo reich. Non nei campi di internamento, presenti anche in URSS e negli USA, non nei ghetti per minoranze, presenti anche in URSS e USA, non nei campi di sterminio, di cui all’epoca non si sapeva nulla, ma nel fatto che attraverso i propri valori, il terzo riech stava ricostruendo quel mondo ormai obsoleto, di matrice quasi feudale, in cui il sangue è determinante nel definire il ruolo degli individui nel mondo e nella società.

Il terzo Reich viene percepito, sia da USA che da URSS, come un tentativo di riaffermazione dell’aristocrazia tradizionale e non è un caso se ciò che rimaneva delle antiche “nobili” famiglie, in Germania furono vicine al reich, ed in italia sostennero il fascismo, e nel caso specifico dell’italia, questo elemento diventa particolarmente evidente se si guarda all’esito del referendum del 2 giugno 1946, quando l’italia e gli italiani furono chiamato a scegliere tra Monarchia e Repubblica.

L’innaturale alleanza tra USA e URSS durante la seconda guerra mondiale, alla luce di questa “radice comune” appare chiara, evidente, e non vi è alcun dubbio sulla sua natura tutt’altro che innaturale.

La vera storia della festa della donna

Avete presente la storiella della fabbrica che andò a fuoco? sappiate che non c’entra nulla con la festa della donna. ma proprio 0, è stata inserita “di prepotenza” negli anni 70/80 per ragioni politiche.

Vi dico (per l’ennesima volta) qualche data, così da tracciare una linea cronologica.

La prima giornata della donna (negli usa) risale al 1905, evento isolato i poche cittadine americane, su iniziativa del movimento socialista e promosso da alcuni attivisti di organizzazioni per i diritti delle donne.

La giornata della donna nel primo novecento

Nel 1909, sempre negli usa, sempre per iniziativa socialista (e promossa da diversi circoli comunisti) si ha la prima giornata “nazionale” della donna (negli USA).

Nel 1911 la giornata diventa “internazionale” seguendo la vocazione internazionalistica del movimento socialista e del partito comunista, in quel momento, in aperta contrapposizione alla politica americana ancora legata alla dottrina Monroe e alla cultura americana fondata sul culto del’uomo bianco, e in cui donne e uomini di altre etnie vi erano “naturalmente” subordinati.

La prima giornata internazionale della donna viene celebrata il 19 marzo, e più che ad una giornata di festa assomigliava ad uno sciopero, in cui c’erano donne in strada con cartelli, bandiere, striscioni, che rivendicano aumenti salariali, maggiori tutele sul lavoro maggiori diritti civili e, in alcuni casi, anche il diritto al voto, tutte cose che all’epoca erano una prerogativa dell’uomo bianco.

Sei giorni dopo questa manifestazione, il 25 marzo 1911, c’è stato il famoso incendio nella fabbrica newyorkese, che costò la vita a 123 donne, diversi uomini, di cui però non è mai fregato nulla a nessuno e, forse questa è la cosa più grave, un numero imprecisato di bambini che al momento dell’incendio si trovavano nell’edificio, e che, ancora oggi, fingiamo di non sapere esattamente perché fossero in quello stabilimento industriale.

Negli anni successivi la giornata della donna viene celebrata a singhiozzo, soprattutto a causa prima guerra mondiale e negli anni della grande guerra la giornata della donna subì alcune trasformazioni, assumendo i connotati di una manifestazione delle donne contro la guerra. Queste manifestazioni si reiterarono e furono riproposte ogni anno per tutti gli anni della guerra, ma coinvolgendo un numero sempre minore di manifestanti e città, arrivando quasi a sul punto di sparire e cadere nel dimenticatoio.

La giornata della donna dopo la grande guerra

Nel 1917 ci fu un ultimo, estremo tentativo, di mettere fine alla guerra, e in Russia venne organizzata, dal partito comunista una serie di manifestazioni “coordinate” in occasione dell’8 marzo, data simbolo che aveva caratterizzato le manifestazioni contro la guerra negli ultimi anni. Queste manifestazioni videro mobilitarsi in prima linea le donne del popolo, praticamente, madri, mogli, sorelle e figlie dei soldati impegnati al fronte, e al seguito si sarebbero uniti anche numerosi operai, contadini, e altra gente che, per vari altri motivi, non era andata in guerra ma aveva cari in guerra, per manifestare contro quella guerra che stava impoverendo il paese e richiedere a gran voce il ritiro della Russia dalla grande guerra.

Questa manifestazione sarebbe successivamente evoluta nella famosa rivoluzione di febbraio e alla fine, dopo vari passaggi e altre mobilitazioni di diversa natura, la Russia si ritirò dalla grande guerra, ma dal 1918 in poi, la giornata internazionale della donna appare come un lontano ricordo, almeno fino al 1921.

Nel 1921, nel contesto generale dell’internazionale comunista, si decise di far rinascere questa giornata per celebrare contemporaneamente, sia le donne che l’8 marzo 1917 avevano fatto sentire la propria voce alla Russia, sia per celebrare, in senso più ampio la donna e riprendere anche fuori dall’unione sovietica le lotte originali per l’emancipazione femminile. E visto che era superfluo fare due giornate diverse decisero di accorpare tutto alla data più simbolica, quella dell’8 marzo.

Dal 1921 in poi la giornata internazionale della donna sarebbe stata celebrata (nel mondo sovietico) non più il 19 marzo ma l’8 marzo, nel resto del mondo invece… beh, il resto del mondo odiava i comunisti, quindi la festa della donna non si è più celebrata, se non nella forma originale di manifestazione e scioperi, di dimensioni molto contenute, sponsorizzate dai comunisti, che molto spesso portarono all’arresto dei manifestanti, ma questa è un altra storia.

La giornata della donna durante la guerra fredda

Nel 1975, l’anno internazionale della donna, le Nazioni Unite avrebbero riconosciuto ufficialmente la giornata internazionale della donna che quindi sarebbe uscita definitivamente dall’orbita socialista/comunista/sovietica e divenne la festa della donna così come la conosciamo… più o meno.

In quel periodo, ci troviamo tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80, siamo nel vivo della guerra fredda e negli USA comincia a circolare non poco malcontento nei riguardi di questa giornata, perché la sua storia nobilitava il mondo comunista, e gli USA, non potevano accettare il merito dei comunisti di aver celebrato le donne per più di mezzo secolo, mentre negli usa si era costruita l’immagine della donna quale creatura subordinata all’uomo, di fatto segregata in cucina e ai fornelli, intenta a stirare, lavare, cucinare e prendersi cura della famiglia, mentre le donne sovietiche andavano nello spazio.

La festa della donna tra occidente e mondo sovietico

Negli stati uniti il divario tra le donne “americane“, generalmente dipinte come casalinghe, e le donne “sovietiche“, che andavano nello spazio, era inaccettabile e per evitare che il movimento femminista americano, che in quegli anni acquisiva sempre maggior forza, consensi e influenza, che in quegli anni si impegnava attivamente nella lotta per l’emancipazione della donna americana quale controparte femminile dell’uomo e non come modello subordinato ad esso, come dicevo, per evitare che il movimento femminista americano potesse spostarsi troppo a “sinistra” e finire nella sfera di influenza “comunista“, proprio negli USA iniziò a circolare il falso storico della giornata della donna nata come “ricorrenza” di un incendio in fabbrica avvenuto in un ipotetico 8 marzo di non si sa bene quale anno precedente la prima guerra mondiale.

Del resto quell’incendio era ben documentato e noto, soprattutto nella grande mela, e viste le fondamenta solide e la veridicità dell’episodio, il racconto si diffuse letteralmente a macchia d’olio, sovrascrivendo per molto tempo, la storia reale che c’è dietro la giornata internazionale della donna, una giornata che già nel 1911 si rifaceva ad idee politiche di emancipazione della donna ed affondava le proprie radici da un lato nel movimento socialista e dall’altro, nel movimento delle suffragette. E anche se l’incendio è vero, e ciò che è successo è drammatico e quella storia non va assolutamente dimenticata, è importante sottolineare che quell’incendio non ha e non ha mai avuto un reale legame con la giornata internazionale della donna, la cui storia, è fortemente legata alle lotte per l’emancipazione della donna, alle manifestazioni per maggiori tutele sul lavoro e innumerevoli battaglie per i diritti civili, promosse da associazioni ed organizzazioni, di varia natura e più o meno vicine al mondo socialista/comunista.

Conclusioni

La giornata della donna, possiamo dire che nasce come una giornata, uno sciopero, una manifestazione per l’emancipazione della donna e che finisce con il legarsi in maniera indissolubile alla tradizione sovietica. Rappresenta un punto di incontro tra due mondi, tra due realtà che nel vivo della guerra fredda si consideravano incompatibili ed è proprio in quel clima di grande tensione che caratterizzò la guerra fredda che l’occidente filoamericano sentì il bisogno, quasi viscerale, di trovare una “storia alternativa“, per raccontare le origini di quella ricorrenza riconosciuta come estremamente importante e necessaria in tutto il mondo. Con la “storiella” della fabbrica il mondo occidentale prova quindi ad “appropriarsi” o meglio, a “riappropriarsi” oltre mezzo secolo più tardi, di quel concetto di emancipazione, libertà e uguaglianza, intrinsechi nella giornata, concepita nel mondo occidentale e celebrata per la prima volta nel 1905 negli USA, e slittata (per volontà politiche) nell’orbita comunista.

Fonte ONU : http://www.un.org/en/events/womensday/history.shtml

Intervista al professor Guido Formigoni

Ho deciso di intervistare  il Prof. Guido Formigoni  che insegna Storia contemporanea nell’Università IULM di Milano autore di diversi libri:  “La Democrazia Cristiana e l’alleanza occidentale” (1996), “Storia della politica internazionale nell’età contemporanea” (nuova ed. 2006) ,  “L’Italia dei cattolici” (2010) e “Aldo Moro” ( 2016).

Nel suo libro Storia d’Italia nella Guerra Fredda (Il Mulino,2017) dà molto spazio al contesto internazionale in cui molti fatti si svolgono, al contrario di altre pubblicazioni che sottovalutano questo aspetto. Quali sono le motivazioni dietro a questa scelta ?

Ho l’impressione che la storiografia italiana recentemente abbia trascurato troppo i nessi che esistono tra storia sociale e politica interna e orizzonte internazionale. Soprattutto nelle sintesi di lungo periodo o nella manualistica, la separazione di attenzioni, complicata dalla storica distinzione accademica tra storici contemporaneisti e storici delle relazioni internazionali, appare ancora piuttosto marcata. Nelle indagini specifiche e nelle monografie approfondite si è ridotta diffusamente negli ultimi anni, ma senza effetti consolidati. Questa separazione è avvenuta nonostante nelle nostre tradizioni ci sia l’esempio nobile di una corrente di studi che risale a Federico Chabod e alla sua spiccata attenzione a questi collegamenti. Va detto che dovrebbe essere proprio la coscienza dell’originalità della storia del Novecento ad accelerare tale incontro. I nessi interno-internazionali sono stati fortemente rafforzati nel corso del secolo, in cui si è sviluppata un crescente pervasività del contesto sistemico internazionale sulle singole situazioni locali e in qualche modo quindi è cresciuto l’influsso del “centro” del mondo sulle zone “periferiche”. Naturalmente il problema non è verificare solo forme e modi con cui gli assetti di potere internazionali pesano sulle diverse situazioni interne, ma considerare come questa influenza venga recepita, contrastata o accettata, comunque rimodellata, nell’impatto con le strutture, le forze e gli attori della società italiana. La stagione della guerra fredda a mio parere è stata una delle occasioni in cui questi collegamenti si sono verificati essere più incisivi e importanti. Del resto, l’attuale storico sviluppo della cosiddetta “globalizzazione” non poteva che avere radici e origini più lontane, proprio in quell’orizzonte. Non è quindi più possibile, a mio parere, scrivere storie d’Italia esclusivamente concentrate sulle caratteristiche del conflitto culturale, sociale e politico interno, o dello sviluppo economico locale.

 

Guido Formigoni, storia d’Italia nella Guerra Fredda, Il Mulino, 2017

 

Negli ultimi anni le pubblicazioni sul periodo della  “Guerra Fredda” in Italia sono state frequenti ma in molti casi di carattere generale come per esempio: Paolo Soddu, La via italiana alla democrazia,Laterza, 2017, Agostino Giovagnoli, La repubblica degli italiani, Laterza, 2016, Guido Crainz,  Storia della Repubblica, Donzelli,2016 o biografico. Questi due generi, anche se hanno molti pregi, mancano forse di presentare un’analisi sui singoli partiti che hanno caratterizzato la cosiddetta “Prima Repubblica”. Secondo lei quali sono le motivazioni di questa scelta?

Non saprei dire se i volumi citati sottovalutino l’analisi del ruolo dei singoli partiti: alcuni di essi, al contrario, mi pare siano molto attenti almeno alle dinamiche del sistema dei partiti nel suo complesso. La domanda però mi permette di far presente un’altra questione: certamente oggi la storiografia sui partiti è in una fase di difficoltà. Se non altro perché il progressivo indebolimento del loro ruolo (almeno nella società, se non nelle istituzioni), li ha fatti scivolare al margine della scena, in termini di visibilità comunicativa e di “mode culturali”. Per cui oggi viviamo una situazione paradossale. Da una parte potremmo affrontare la storia della “repubblica dei partiti” (per usare l’espressione di Pietro Scoppola) con maggiore distacco e sulla base di una documentazione ampia che si è resa disponibile. Potremmo anche superare l’identificazione autobiografica di soggetto e oggetto presente in molti studi del passato sui partiti, dato che si tratta di storie per molti versi concluse. Per altro verso, però, ci sono meno risorse finanziarie per organizzare studi sistematici e i giovani studiosi sono molto più lontani e distratti dalla volontà di approfondire la vicenda di un fenomeno che pure nella nostra storia ha avuto un ruolo così importante.

L’inizio della crisi del centrismo si può far risalire già a dopo il risultato elettorale del 7 giugno 1953 e solo nel 1963 si arriva a un centro-sinistra organico. Come incide la situazione internazionale sulla lentezza con cui si riesce ad arrivare all’apertura al PSI?

Beh, non è una mia scoperta originale il fatto che la resistenza della diplomazia americana, sotto tutta l’amministrazione Eisenhower, nei confronti di questa evoluzione politica, fosse molto forte. Io credo però di avere messo in luce nel mio libro come anche questa dinamica si nutrisse di una sorta di continua triangolazione tra politica italiana e quadro internazionale: erano le resistenze interne, massicce e organizzate, a esprimersi e a rafforzarsi anche fornendo argomenti, informazioni e pressioni nei confronti delle autorità americane. Certo, spesso i diplomatici o i politici d’Oltreoceano non avevano bisogno di essere messi in guardia, perché erano molto sospettosi nei confronti dei socialisti. Ma le due realtà si sostenevano vicendevolmente: la loro convergenza assumeva un peso molto forte. Anche un eventuale “veto” americano all’evoluzione politica avrebbe potuto essere molto più fragile e difficile da far valere, se non accompagnato da questa estesa e pervicace resistenza interna.

Che conseguenze ha avuto nella politica italiana il rapporto Cruscëv, in particolare all’interno del PSI?

Tutta la vicenda della crisi del 1956 nel blocco sovietico ebbe un’importanza rilevante nel contribuire a rafforzare l’evoluzione politica della linea di Nenni, sempre più critica del mondo sovietico e quindi portata a prendere le distanze dal Pci in politica interna, dando fiato alle posizioni degli autonomisti. I quali non furono mai solida maggioranza del partito, ma pian piano riuscirono a orientarne le decisioni. Seppur in un contesto sempre molto diviso e incerto.

Un momento di crisi nei rapporti tra Italia e Stati Uniti fu l’elezione alla Presidenza della repubblica di Gronchi. La crisi fu dovuta alla diffidenza degli Stati Uniti verso Gronchi o c’è anche un fattore di diffidenza interna alla stessa Dc?

Il caso Gronchi è un’altra ottima manifestazione delle complesse triangolazioni che esistevano tra correnti politiche italiane e ambasciata americana. È noto che l’elezione di Gronchi fu il frutto di una sconfitta della segreteria democristiana di Fanfani. Ma il nuovo presidente, a parte essere stato contrario all’adesione al patto atlantico nel 1949, non era più assolutamente su posizioni neutraliste o antiamericane. Siccome però passava per sostenitore dell’“apertura a sinistra”, il fuoco di fila degli oppositori interni (la destra democristiana, i liberali, una parte cospicua della diplomazia stessa) fece di tutto per metterlo in cattiva luce nei confronti degli statunitensi. La presenza a via Veneto a Roma di alcuni diplomatici acuti ma molto conservatori permise alla manovra di avere notevoli effetti. Il nuovo presidente incontrò quindi parecchie difficoltà a intraprendere un rapporto positivo oltre atlantico. Paradossalmente, ne fu ostacolato anche quando sosteneva per la politica estera italiana posizioni “neoatlantiche”, che miravano a sviluppare la presenza nazionale e mediterranea dell’Italia, ma nel quadro di una solida alleanza con il ruolo-guida statunitense in occidente.

Nel suo libro si ferma al 1978; quali sono state le motivazioni dietro questa scelta?

Mi rendo ben contro che è una scelta discutibile, come tutte le opzioni di periodizzazione. Da una parte, è stata indotta da una motivazione pratica: dopo quell’anno si rarefacevano le fonti disponibili (soprattutto quelle americane). Ma nasconde una convinzione più forte: gli anni Settanta (la crisi economica e ancor più la crisi dell’assetto socio-politico cosiddetto fordista; politicamente e simbolicamente, poi, per l’Italia, il delitto Moro) assumono sempre più ai miei occhi, man mano che passa il tempo, il senso di uno spartiacque significativo nel dopoguerra. Dividono due periodi contrapposti, in un certo senso. Il periodo di consolidamento democratico e ascesa economica guidato dai partiti e inserito con un proprio ruolo nel “mondo libero” (o nel particolarissimo “impero americano”, come lo si voglia chiamare). E la stagione di molte maggiori incertezze economiche, nel quadro difficile da dominare dell’incipiente globalizzazione, con una crisi evidente della democrazia e in generale una minor capacità delle classi dirigenti a gestire i processi storici. In questo senso, la cesura dei ’70 è per me più forte di quella dell’’89 e anche del ’94. Gli anni ’80 appaiono perciò più anni di transizione ai nuovi equilibri che uno sviluppo ulteriore della “repubblica dei partiti”. E anche la cosiddetta “seconda guerra fredda” fu molto meno decisiva per il sistema, rispetto a percorsi di finanziarizzazione e globalizzazione dell’economia che cominciarono a manifestarsi.

Vorrei concludere adesso con una domanda un po’ personale. E’ consuetudine di “Historical Eye” chiedere agli studiosi intervistati un po’ del loro percorso personale e delle motivazioni che li hanno spinti a intraprendere il difficile mestiere di storico. Crediamo sia molto importante capire “perché” si studi la storia o si diventi storici. Quindi, in definitiva, professore, quali furono le motivazioni che la portarono a scegliere di studiare storia?

Mah, come spesso succede sono anche incontri personali o letture, o occasioni particolari a orientare le scelte e la vita di tutti noi. Per me, la passione per la storia è nata negli anni della scuola superiore, quando ho cominciato a percepire come lo sguardo al passato potesse essere tutt’altro che arido e nozionistico, ma aprire a orizzonti di comprensione migliore del nostro presente. O meglio ancora, la convinzione che mi sono costruito è che comprendere come sono cambiate le cose ad opera dell’azione di uomini e donne nel nostro passato, servisse molto a capire come orientarsi nel presente e a istruire la possibilità di cambiamento delle nostre esperienze attuali. Di qui poi a trasformare questa intuizione in un mestiere, naturalmente, la cosa non è stata semplice. L’università degli anni ’80, quando mi sono laureato, soffriva forse un po’ meno di quella attuale di un’insopportabile asfissia di risorse. Tuttavia, nel mondo degli studi umanistici, i posti non erano nemmeno allora così numerosi. Ma devo dire di essere contento di esserci riuscito.

 

 

Quando inizia la GUERRA FREDDA ?

Nel video sulle origini della guerra fredda dico che questo periodo va dal 1947/1948 circa al 1990/1991 circa, perché non esiste una data “ufficiale” per l’inizio, non c’è, come nel caso della prima o seconda guerra mondiale, una dichiarazione di guerra che segna l’inizio e un armistizio che ne segna la fine, e trattandosi di una fase di tensione dalle mille sfaccettature, trattandosi di una guerra non militare combattuta su molti piani diversi, sarebbe stupido per non dire da folli, dire “la guerra fredda inizia nell’anno X e finisce nell’anno Y” perché non c’è un anno x o y ma una serie di dinamiche.
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Quindi, quando inizia la Guerra Fredda ?

Possiamo dire che inizia con la rottura tra USA e URSS e la definizione delle rispettive sfere di influenza, o meglio, possiamo quindi dire che la guerra fredda inizia con gli accordi di Yalta nel 45, e non sarebbe sbagliato. Possiamo altresì dire che la guerra fredda inizia nel 47 con l’annuncio dell’ERP (European Recovery Program, meglio noto come Piano Marshall) e il conseguente rifiuto sovietico di aderire al programma, e non sarebbe sbagliato, ancora, possiamo dire che inizia quando nel 48 l’unione sovietica si è chiamata fuori dagli accordi di Bretton Woods presi nel 1944 e ancora una volta non sarebbe sbagliato, e ancora, possiamo dire che inizia nel 49 con la creazione del COMECON nell’europa dell’est o la creazione della NATO sulle due sponde dell’atlantico, in fine possiamo dire che inizia nel 1955 con la nascita del patto di Varsavia.
Lo stesso discorso può essere fatto per definire la fine della guerra, collocata da qualche parte tra il 1987 ed il 1991. In questa forbice di tempo si verifica un lungo e lento processo di distensione che avrebbe portato alla fine della tensione e della rivalità, nel 1978 l’Ungheria lascia l’URSS, e in unione sovietica cambiano le procedure elettorali, nell’88 l’Unione Sovietica si apre alla libertà religiosa e nello stesso anno il segretario di stato del vaticano, viene ricevuto al cremlino, nel 1989 c’è l’abbattimento del muro di Berlino e l’anno seguente nella Germania dell’est si tengono le prime elezioni dal 57, possiamo dire che la guerra fredda finisce in questo momento, o che finisce l’anno seguente, nel 1991 quando Bush e Gorbaciov si incontrano per ben tre volte, l’ultima delle quali per prendere una decisione geopolitica comune in merito alla crisi del golfo persico.

E questi sono solo i più famosi, ma di momenti che potremmo prendere come atto di inizio o di fine della guerra fredda ce ne sono mille altri.
Un epoca storica non può essere definita da paletti fissi, ma è definita da una serie di circostanze che si verificano nel tempo, questo tempo può essere più o meno ampio, nel caso della guerra fredda, il periodo di inizio va almeno dal 47 al 52 e per la fine va dal 87 al 91 , forbici che, per quanto concise, sono comunque troppo ampie e troppo importanti per non essere considerate, ognuno degli eventi sopra citati è come il gatto di schrodinger, allo steso tempo interno ed esterno alla guerra fredda, dipende solo dalla volontà del lettore di comprendere realmente i fatti o di imparare date a memoria.
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