Incendio del Reichstag, 27 febbraio 1933

Nella notte tra il 27 e 28 febbraio 1933, il palazzo del Reichstag a Berlino, importante edificio della democrazia tedesca dell’epoca, venne avvolto e divorato dalle fiamme. Secondo la versione ufficiale, il responsabile dell’attentato incendiario fu Marinus van der Lubbe, trovato sul posto durante le operazioni di spegnimento. La Germania era in quel tempo guidata dal neoeletto cancelliere Adolf Hitler, alla testa del partito Nazional Socialista dei lavoratori tedeschi (il partito Nazista), e il governo di Hitler trovò nell’incendio un eccellente pretesto per accusare i comunisti di cospirazione e attività sovversive, inaugurando così un epoca di forte repressione politica e sociale legittimata dal Decreto dell’Incendio del Reichstag, con cui sostanzialmente si sospendevano le libertà civili.

L’incendio del Reichstag è considerato il momento culminante della Repubblica di Weimar e l’inizio della trasformazione della Germania nel regime Nazista e ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, il dibattito storiografico sull’effettiva responsabilità dell’incendio rimane un tema caldo.

In questo articolo voglio parlare dell’incendio del Reichstag, del contesto storico in cui avvenne, delle sue implicazioni e la sua eredità.

Cos’è il Reichstag

Se parliamo dell’incendio del Reichstag, è importante capire cos’è il Reichstag. In breve, il Reichstag è un edificio che ospitava, fin dal 1894 la camera bassa del parlamento tedesco, costituito nel 1871. Il Reichstag ha accompagnato la politica sia del Deutsches Reich (l’Impero Tedesco) che della Repubblica di Weimar.

L’edificio del Reichstag è stato progettato costruito, tra il 1884 e il 1894, dall’architetto Paul Wallot, e inaugurato nel 1894 dall’imperatore Guglielmo II, che tuttavia, ne criticò l’estetica neorinascimentale, definendo l’edificio un “monumento al cattivo gusto”.

Come anticipato, tra il 1894 ed il 1933 il Reichstag ha ospitato la camera bassa del parlamento tedesco, questa camera era composta da deputati eletti tramite suffragio universale maschile. Il potere esecutivo invece, rimaneva nelle mani dell’imperatore (fino al 1918) e con l’istituzione della Repubblica di Weimar, passava nelle mani del presidente della Repubblica, che de facto sostituiva l’Imperatore.

Il contesto storico dell’incendio del Reichstag

Nel 1918, con la fine della prima guerra mondiale da cui l’Impero tedesco esce sconfitto, viene istituita la Repubblica di Weimar (1919-1933, si tratta sostanzialmente di un esperimento democratico molto fragile sorto in un epoca post bellica, di grande crisi economiche, in un paese contaminato e divorato da conflitti sociali e instabilità politica. Una serie di fattori che rendono la Repubblica di Weimar storicamente un istituzione debole. Alla base della repubblica c’era la Costituzione di Weimar, approvata nel 1919. Questa costituzione garantiva una serie di libertà civili e suffragio universale maschile, tuttavia, il sistema l’estremo militarismo prussiano e le ambizioni rivoluzionarie portarono ad una forte polarizzazione del clima politico tra estremismi di destra e di sinistra, senza troppo margine di manovra per le forze politiche più moderate.

In questo clima, partiti tradizionali come la SPD (socialdemocratici) e la DNVP (conservatori), persero progressivamente consenso, mentre il Partito Nazista (NSDAP), riuscì a crescere e imporsi rapidamente come principale forza antisistema, sfruttò soprattutto il malcontento popolare.

Nei primi anni 20 la dimensione politica del partito Nazista è marginale, tuttavia, sulla fine del decennio, grazie anche ad elementi strutturali come la crisi economica del 1929, una forte ondata inflazionistica e un tasso di disoccupazione crescente, alimentarono una forte sfiducia nei confronti delle istituzioni e, in un clima di forte sfiducia istituzionale, quelle forze politiche che si presentavano alla popolazione come paladini dell’ordine contro la barbarie bolscevica, riuscirono ad aumentare rapidamente i propri consensi.

Così, Hitler e la NSDAP, impostarono una forte campagna propagandistica di matrice antisocialista e anticomunista. I comunisti (KPD) ed i movimenti socialisti vennero accusati di minare l’unità nazionale, di cospirare intenzionalmente contro la nazione ed i tedeschi. La strategia propagandistica è un successo al punto che la propaganda antisocialista e anticomunista divenne una delle colonne portanti della strategia politica nazista.

In un primo momento le tensioni politiche crebbero a dismisura, sfociando in un clima di guerra civile latente, con attentati e scioperi, gli scontri di piazza, amplificati dalla violenza delle SA (squadrismo nazista) divennero una routine. In questo clima di disordine sociale il governo di Heinrich Brüning (1930-1932) fece ricorso ad una serie di decreti d’emergenza, con cui scavalcò sistematicamente il Reichstag, accelerando in questo modo l’erosione della già flebile democrazia tedesca dei primi anni 30.

Alle elezioni del 1932, i nazisti divennero il primo partito del Reichstag, senza però ottenere la maggioranza assoluta, tuttavia, grazie ad una serie di fruttuose e prolifiche alleanze tra élite conservatrici e radicali di destra, nel gennaio del 1933, Adolf Hitler riuscì ad ottenere la nomina di Cancelliere della repubblica di Weimar.

La nomina di un cancelliere come Adolf Hitler, portò ad un ulteriore deterioramento del clima politico e sociale, già devastato da un contesto di crisi e forte polarizzazione e per molti segnò l’inizio della fine per la Repubblica di Weimar.

La notte dell’incendio del Reichstag

A poche settimane dalla nomina di Hitler come nuovo cancelliere tedesco, nella serata del 27 febbraio 1933, alle 21:14, un violento incendio divampò all’interno del palazzo del Reichstag di Berlino. L’incendio divorò in pochi minuti l’aula della plenaria e parte dell’edificio. Stando alle cronache dell’epoca, la presenza nell’edificio di materiali altamente infiammabili come tendaggi e documenti, alimentarono rapidamente le fiamme rendendo l’incendio incontrollabile nonostante l’arrivo repentino e quasi immediato dei pompieri sul posto.

Nelle ore seguenti all’incendio i pompieri impegnati nelle operazioni di spegnimento dell’incendio, ritrovarono all’interno dell’edificio Marinus van der Lubbe, un giovane olandese, con simpatie comuniste, che secondo la versione ufficiale indossava indumenti bruciacchiati e portava con se attrezzi da lavoro. Lubbe era sopravvissuto all’incendio e venne immediatamente arrestato con l’accusa di aver appiccato il fuoco per conto del Partito Comunista Tedesco (KPD). Da quel che sappiamo, Lubbe dichiarò di aver agito da solo, tuttavia, per la propaganda Nazista Lubbe operava per conto del KPD e l’evento venne raccontato come una prova evidente di un complotto comunista che innescò una reazione a catena di responsabilità ed accuse politiche culminate nella fine della democrazia di Weimar e la nascita del terzo Reich.

Non troppo tempo dopo l’identificazione di van der Lubbe giunsero sul posto anche Adolf Hitler ed Hermann Göring e fu quest’ultimo a dichiarare, dopo aver appreso delle simpatie del giovane olandese per il comunismo, che l’incendio era stato orchestrato dai comunisti.

Il Decreto dell’Incendio del Reichstag (28 febbraio 1933)

Il vero momento di svolta per la democrazia tedesca fu il giorno successivo all’incendio del Reichstag, il 28 febbraio 1933. In quella data il presidente della repubblica di Weimar, Paul von Hindenburg firmò un decreto d’emergenza, detto “Reichstagsbrandverordnung” proposto da Hitler e i Nazisti, con cui si sospendeva parte della Costituzione di Weimar, in altri termini, numerose libertà civili garantite dalla costituzione vennero sospese.

Con la promulgazione del “Decreto per la protezione del Popolo e dello Stato” il governo ottenne il potere di limitare la libertà di stampa, di espressione e di riunione, inoltre poté legalizzare perquisizioni domiciliari e arresti arbitrari. Grazie a questo decreto, fu possibile avviare un imponente campagna repressiva ai danni di comunisti e socialdemocratici, accusati da Hermann Göring di aver attentato al Reichstag. In pochi giorni ci furono migliaia di arrestati e molti intellettuali, sindacalisti, giornalisti e politici furono costretti alla clandestinità.

Non è tutto, con questo decreto, in nome della sicurezza del popolo e lo stato, si conferivano al cancelliere tedesco, in quel momento Adolf Hitler, una serie di poteri straordinari, che rendevano superfluo il parlamento tedesco accelerando la trasformazione della Germania in uno stato autoritario e totalitario. Il Reichstagsbrandverordnung, prodotto come decreto d’emergenza, rimase in vigore per tutta la durata del Terzo Reich.

Teorie e dibattiti storiografici

Come abbiamo visto, secondo la versione ufficiale, sostenuta dalle autorità naziste, l’incendio del Reichstag fu un attentato di matrice comunista per destabilizzare il governo e di tale attentato uno degli esecutori materiali fu il giovane olandese Marinus van der Lubbe, il quale ha sempre dichiarato di aver agito da solo.

Questa versione della storia tuttavia non sembra convincere del tutto, e nel tempo ci sono state varie revisioni da parte di numerosi storici che mettono in discussione alcuni punti della narrazione. Uno degli aspetti maggiormente criticati della versione ufficiale è il ruolo di Lubbe nell’intera vicenda, secondo diversi autori infatti, la velocità e la portata dell’incendio non sembrano compatibili con la possibilità che un giovane abbia agito da solo. Molti ipotizzano che l’incendio possa essere stato organizzato e attuato dagli stessi Nazisti e che van der Lubbe non sia altro che un capro espiatorio finalizzato alla repressione politica.

A sostegno di questa tesi, l’estrema rapidità con cui è stato scritto, presentato e approvato il Decreto per la protezione del Popolo e dello Stato. Secondo alcuni storici, un altra prova a sostegno di questa tesi, sono testimonianze di chi assistette all’incendio. Molti infatti hanno sostenuto la presenza di squadre delle SA (le milizie naziste) all’interno del Reichstag prima dell’incendio, e alcuni sostengono l’esistenza di documenti mostrerebbero una pianificazione preventiva di misure repressive. Tali documenti tuttavia potrebbero non avere alcun legame diretto con l’attentato e potrebbero essere scollegati da un articolato piano eversivo e limitarsi ad una mera strategia repressiva da attuare in caso di ascesa al potere.

Conseguenze politiche e ascesa della dittatura

Il 5 marzo 1933 si tennero nuove elezioni parlamentari, quelle che ad oggi sono ufficialmente le ultime elezioni della Repubblica di Weimar. Quelle elezioni furono profondamente influenzate dall’incendio del Reichstag e dalla successiva repressione nazista che costò al Partito Comunista Tedesco oltre il 4,6% dei consensi rispetto alle elezioni di Novembre, mentre il Partito Nazionalsocialista di Hitler guadagnò oltre il 10%, conquistando il 43,9% dei consensi, imponendosi nuovamente come primo partito, senza però ottenere, ancora una volta, la maggioranza assoluta di seggi (288/647).

Pur non avendo la maggioranza assoluta, Hitler riuscì ad ottenere l’incarico di cancelliere, sostenuto dai conservatori del DNVP e il 23 marzo 1933, il Reichstag approvò la Ermächtigungsgesetz, una legge che conferì al cancelliere il potere di emanare leggi senza il consenso del parlamento, una legge che sostanzialmente conferiva ad Hitler pieni poteri, segnando de facto la fine della democrazia tedesca.

Politica: Tra filosofia, storia e sfera pubblica

Spesso ci riempiamo la bocca con la parola “Politica” usata in modo inopportuno, o peggio, dispregiativo, relegandola a determinati soggetti e categorie di persone, i soli che “possono fare politica” perché sono politica, e se non si fa ha questa etichetta, l’etichetta di politico, allora non si fa, non si può “fare politica”. Ma cos’è la politica, cos’è davvero la politica, cosa vuol dire fare politica e soprattutto chi è il politico, ovvero colui che fa politica?

Nell’uso comune spesso si intende la politica come qualcosa che fare con forme partitiche in qualche modo legate a governi e amministrazioni, ad una sorta di leadership gerarchica della società, ma se andiamo alla radice del termine e del concetto stesso di politica, possiamo osservare che in realtà politica è qualcosa di diverso, molto più semplice e per questo estremamente complesso.

Una delle definizione più semplicistiche e generali che possiamo dare del concetto di politica è “tutto ciò che ha a che fare con la sfera pubblica“, ma in questo senso apparentemente semplificato e generale, tutto può diventare politica. Ed è davvero così? Davvero tutto può diventare politica? un concerto, uno spettacolo teatrale, un dibattito, una scampagnata con gli amici, o delle semplici chiacchiere tra due individui, di persona o sui social, sono tutti esempi diversi di “politica”?

Partendo da questa definizione generale, che comprende letteralmente qualunque interazione tra due o più individui, tutto sembra essere politica. In questo articolo proveremo a “raffinare”, se così si può dire, su base etimologica, storica e filosofica, il concetto di politica.

Alle origini del termine

La prima cosa da individuare è l’etimologia della parola “Politica”, un termine che trova le proprie radici nel termine greco politeia (πολιτεία), parola già in uso e con un concetto ben radicato nella cultura greca classica. Questa parola designa l’essenza stessa dell’organizzazione politica come atto collettivo che si lega ad un altro termine, ben più noto, legato anch’esso alla cultura greca classica, ovvero polis (πόλις), la città-stato greca.

Per capire meglio il significato della Politica quindi, dobbiamo comprendere meglio anche il concetto di Polis, che non è solo un entità geografica e amministrativa, che incontriamo nella penisola ellenica tra il VI e il III secolo avanti cristo, ma anche è un vero e proprio modello di organizzazione etica e sociale, che regola la convivenza umana.

Ed è proprio in quel sistema sociale che nasce la parola politica. Al tempo e nel mondo polis greche infatti, incontriamo i primi utilizzi “formale” della parola politica, o meglio Politeia. Tra questi utilizzatori del termine incontriamo Platone con la sua “Politeia”, un opera meglio nota in italiano come “La Repubblica”.

La Politica in età classica

La Repubblica di Platone, è un opera monumentale, è uno dei testi più importanti della storia della Filosofia, ed è scritto nella forma di un dialogo con Socrate, vero protagonista del libro in cui il filosofo greco, attraverso il proprio maestro, cerca di rispondere alle domande sulla natura della giustizia, di fatto l’opera è per certi versi un indagine sulla natura della giustizia e sulla sua importanza nella vita dell’uomo e nella società e, tra le altre cose, Platone esplora diverse forme di governo, tra quelle note all’epoca ed ipotetiche, individuando con straordinaria lucidità e in maniera quasi profetica, alcune delle maggiori criticità delle democrazie moderne, come ad esempio la “sete di libertà”.

Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.

Platone

Per Platone il concetto di politica è fortemente legato alla moralità, alla conoscenza, alla giustizia e alla capacità del buon governante, che per lui deve essere un Re Filosofo, di prendere decisioni che beneficino l’intera comunità.

Come Platone, anche il suo miglior allievo, Aristotele, userà il termine politica, nell’opera Politica, in greco Tá politiká (Τά πολιτικά) per descrivere le varie forme di governo e la scienza che studia l’organizzazione delle Polis, per il maestro di Alessandro Magno, il politico non è solo un legislatore, ma è qualcosa di più, poiché la politica è finalizzata alla filosofia ed ha il dovere di creare condizioni ottimali affinché si possa coltivare la scholè (tempo libero) e le attività teoretiche (filosofia, matematica, fisica ecc).

Più semplicemente, per Aristotele politica, non si limita alla semplice amministrazione statale, ma implica una visione olistica del vivere politico, del vivere pubblico, per cui l’amministrazione e la ogni attore attivo di quel luogo e quello spazio pubblico in cui l’individuo realizza la propria natura di zoon politikón (animale politico). Ciò significa che i tre concetti moderni di politica, pubblico e sociale, per Aristotele coincidono in maniera totale, sono sovrapponibili e sostituibili, di fatto sono la stessa cosa e questo perché per Aristotele, politica non è solo amministrazione, ma anche socialità.

Cambiando “mondo” e spostandoci in avanti nel tempo di qualche circa 2 secoli, arriviamo alla Roma del primo secolo a.c., qui Marco Tullio Cicerone aggiunge il proprio contributo al concetto di Politica con il suo De Republica, in cui il filosofo latino associa la res publica alla legge intesa come fondamento della comunità e definisce la politica come una sorta di scienza del governo, concetto che, in forma più o meno diversa verrà ripreso a più battute in tutto il medioevo culminando con il realismo politico di Machiavelli per il quale la politeia diventa arte del potere, per cui la politica mente o come è più comunemente noto “il fine giustifica i mezzi“.

Possiamo quindi definire politica come un qualcosa che si compone di due elementi, esercizio del potere e partecipazione attiva alla sfera pubblica.

Chi fa Politica? Cittadini e governanti

Che la si guardi in ottica moderna, medievale o classica, la politica ha un forte legame con il pubblico e con il sociale, sia quando è esercizio del potere per governare il popolo, sia quando è espressione della volontà del popolo, sia quando è al servizio del popolo. Ma chi fa politica? chi è il politico?

Nella Grecia classica esiste il termine polites con cui ci si riferisce a coloro che partecipavano attivamente alla vita pubblica, esercitando diritti e doveri, potremmo tradurre questo termine con il moderno “politico” o “cittadino”. Apriamo allora una parentesi sul cittadino, nel mondo antico la cittadinanza era un concetto abbastanza ampio, al punto che in epoca Romana, incontriamo nello stesso stato diverse forme di cittadinanza che riflettono privilegi. Oggi la cittadinanza è qualcosa di diverso rispetto a come era concepita nel mondo antico, dove, semplificando moltissimo, era qualcosa di molto simile al concetto moderno di “sovranità popolare”, di conseguenza il cittadino contribuisce alla formazione della volontà generale e vi è pertanto un rapporto di reciprocità tra cittadino e governante, che insieme, e solo insieme, sono espressione autentica della politica.

Nel mondo classico il politico è in sostanza un attore attivo della vita pubblica, c’è sinergia tra il “politico e il governante”, per Platone i governanti dovessero essere filosofi guidati dalla saggezza e al servizio del benessere collettivo. Nel medioevo tuttavia, Machiavelli rovescia questa prospettiva, descrivendo ne Il principe, il leader come un abile manipolatore delle circostanze, anteponendo la sopravvivenza dello stato alla virtù personale e dopo di lui Hobbes, nel Leviatano, teorizza un sovrano assoluto in grado di garantire sicurezza al popolo, il cui potere tuttavia non è immutabile ed è legittimato da un contratto sociale.

Abbiamo visto prospettive differenti, da Platone ad Hobbes, ma nella sostanza, il politico mantiene un elemento costante, ovvero il suo legame con la sfera pubblica. Politico e pubblico, continuano ad essere, nel XVII secolo, concetti sovrapponibili.

Il confine tra pubblico e politico?

Per gran parte della nostra storia, siamo arrivati ad Hobbes, ma in realtà ancora oggi, pubblico e politico sono concetti ampiamente sovrapponibili, risulta quindi necessario cercare di capire se c’è, e se c’è dov’è questa la linea di demarcazione tra Pubblico e Politico, cosa definisce l’azione politica?

Per Hannah Arendt la politica è l’essenza stessa dell’azione collettiva e della vita pubblica. Non si tratta più semplicemente di istituzioni, di procedure, ma di un esperienza umana fondamentale, che affonda le proprie radici nella capacità degli individui di agire insieme. La politica è a tutti gli effetti uno spazio d’incontro tra individui, un luogo di dialogo e di decisioni collettive, uno spazio vitale per il funzionamento delle democrazie.

La Politeia oggi

Oggi la Politica è un concetto dinamico, ridefinito innumerevoli volte nel corso dei secoli e dalle trasformazioni storiche e filosofiche, ma alcuni elementi sono sopravvissuti nel tempo, passando, almeno in Europa e nel Mediterraneo, dalle Polis all’impero di Alessandro a quello Romano, ai regni romano barbarici a gli stati nazione e le monarchie assolute europee, per poi sfociare negli imperi risorgimentali, nei totalitarismi e giungere, in fine, alle democrazie moderne.

Della politica oggi rimane fondamentalmente un amalgama sociale, che non è solo istituzioni statali, ma anche e soprattutto movimenti sociali, organizzazioni nazionali e internazionali, è dibattiti pubblici e digitali, mantenendo nel suo insieme un focus unico ancora fisso sull’ideale aristotelico del bene comune, che la storia ha piegato e adattato rendendolo ad oggi compatibile con un mondo follemente e ferocemente interconnesso, dove il “pubblico” supera ampiamente i confini tradizionali e dove, come scriveva Sandro Pertini, «la moralità dell’uomo politico consiste nel perseguire il bene comune».

Quella linea di demarcazione tra pubblico e politico a conti fatti, non l’abbiamo trovata e questo perché la sfera pubblica e sociale è qualcosa di interconnesso, in maniera indissolubile all’esercizio politico, è politica. D’altro canto però, negare l’appartenenza alla sfera pubblica e cercare di ostacolare la natura pubblica e sociale della politica, chiudere quello spazio collettivo, baluardo della libertà e della democrazia, aiuta alla creazione di terreno fertile per i sistemi totalitari, e non è un caso se nel proprio percorso storico, uomini come Mussolini, Hitler, Stalin, e qualsiasi altro dittatore mai esistito, abbiano costruito i propri regimi partendo proprio dalla censura e il “diritto alla censura”, rivendicando per se quella stessa libertà che negavano ai propri oppositori.

Si entra qui nel paradosso della tolleranza di Popper che possiamo esprimere parafrasando Luca Marinelli nei panni di Mussolini in M il figlio del Secolo “La democrazia è una cosa straordinaria, ti da la libertà di fare ogni cosa, anche di distruggerla”, e nel farlo, concretizza la profezia platonica dei Coppieri che ubriacano il popolo assetato di libertà, permettendo alla mala pianta della tirannia di germogliare.

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La casa dove è nato Adolf Hitler diventerà un commissariato di polizia

La casa in cui è nato Hitler, dopo anni di polemiche, diventerà un commissariato di polizia, speriamo solo non diventi un covo di agenti neo-nazisti

La casa in cui sembra essere nato Adolf Hitler, che da anni è oggetto di polemiche a causa dei continui “pellegrinaggi” di gruppi neo-nazisti che si recano sul luogo per rendere omaggio al luogo natale del Führer, dopo anni di polemiche ha trovato una propria dimensione nella città austriaca, diventerà la nuova sede del commissariato di polizia.

Per anni l’edificio è stato oggetto di numerose critiche e polemiche che ruotano attorno a i raduni neo-nazisti che hanno come epicentro l’edificio, il governo austriaco per tanto ha deciso di espropriare l’abitazione, versando ai proprietari circa 812 mila euro, e l’intento originale era quello di demolire l’edificio, tuttavia, è stato osservato trattarsi pur sempre di un edificio storico, risalente al XIX secolo, e il fatto che in quel luogo sia nato Hitler, non dovrebbe pregiudicare il valore storico della struttura. Cosa fare dunque?

Da quando l’edificio è stato acquistato nell’ormai lontano 2017, sono passati alcuni anni e alla fine, il governo ha trovato un intesa con la comunità locale e le associazioni per la tutela del patrimonio culturale locale.

L’edificio continuerà ad esistere, verrà ristrutturato e rimodernato, senza che queste modifiche alterino l’aspetto originale della struttura, ma aggiunge il ministro dell’interno austriaco, che, per evitare futuri pellegrinaggi neo-nazisti, la struttura verrà destinata alle forze dell’ordine e trasformata in un commissariato di polizia.

“Attraverso l’utilizzo di questa casa da parte della polizia intendiamo dare un segnale non fraintendibile del fatto che questo edificio verrà per sempre sottratto alla memoria del nazionalsocialismo”

Il ministro Wolfgang Peschorn è assolutamente certo che questa destinazione “sottrarrà per sempre l’edificio alla memoria del nazionalsocialismo” e non ci resta che sperare che sia così e che non vi siano infiltrazioni di gruppi politici di estrema destra tra le autorità che stanzieranno in quel luogo. Diciamo pure che sarebbe poco “carino” se tra qualche anno saltasse fuori che gli agenti che richiedono di essere assegnati a quel commissariato, anno particolari simpatie per alcuni gruppi politici, e il mio auspicio è che il governo e la polizia austriaca, saranno molto selettivi nel destinare agenti a quel commissariato e che verranno presi seri provvedimenti disciplinari nel caso dovessero scoprire che, agenti schierati politicamente, chiederanno l’assegnazione a quel commissariato, e sono pronto a scommettere che in molti chiederanno di essere assegnati lì.

Il ruolo della propaganda nella storia

La propaganda è oggetto di studi dal XX secolo circa. Ma è un fenomeno nuovo?
Essa nasce con la società e quindi, nel momento in cui l’uomo ha deciso di organizzarsi con una struttura sociale ben definita e con un sistema di potere. Ma com’è cambiata e soprattutto quando la propaganda ha cominciato ad assumere un ruolo centrale nella storia?
Proprio questi sono gli interrogativi da porsi per capire l’essenza di uno strumento da sempre fondamentale per la gestione del potere sulle grandi masse, che ha sempre mantenuto un alto livello di efficienza ed ancora oggi viene utilizzato.

Già in epoca pre-romana la propaganda era uno strumento diffuso per la conquista del consenso, per la costruzione dell’opinione pubblica ed il mantenimento di un equilibrio sociale. Emblema del suo utilizzo è Pisistrato, tiranno di Atene. Tra l’altro la propaganda di Pisistrato è, paradossalmente, più vicina a quella moderna che a quella utilizzata in epoca romana. Egli utilizzò elementi moderni quali il nemico pubblico e quelle che oggi definiamo fake-news. I Romani invece, nonostante l’inserimento dell’informazione all’interno della propaganda quale elemento nuovo, si concentrarono di più su messaggi di adorazione verso l’imperatore di turno.

Oggi sappiamo che questo tipo di propaganda non funziona, ma funziona invece quella più vicina a Pisistrato e cioè mascherata dietro un’informazione apparentemente libera ed indipendente, che utilizza la tecnica del nemico pubblico, delle fake news e che prende dai Romani l’utilizzo dell’elemento informativo.

Il passaggio significativo da una propaganda di questo genere, ovvero efficace, ma comunque antica ad una moderna c’è stato con la Prima Guerra Mondiale. Rappresentavano l’avanguardia in questo campo le grandi potenze europee e gli Stati Uniti. La Germania, sarà maestra della propaganda nella Seconda Guerra Mondiale. Con questo strumento si riuscì a far passare una guerra come un qualcosa di doveroso, necessario, addirittura sacro.

La Grande Guerra fu il banco di prova del potere della persuasione: oltre al fronte fisico vero e proprio e cioè le trincee, si costituì in ogni paese coinvolto un fronte interno con lo scopo di mantenere l’equilibrio sociale e giustificare, in qualche modo, i sacrifici che si chiedevano alla popolazione. La propaganda fu lo strumento centrale per reclutare soldati giovani da mandare in trincea.

Senza lo Zio Sam con “I Want You” probabilmente nessuno si sarebbe mai arruolato volontariamente per andare a combattere con il 50% delle possibilità di non tornare a casa. Senza lo slogan “Fare il mondo sicuro per la democrazia”, probabilmente il popolo americano non avrebbe mai accettato la decisione del governo di entrare in guerra nel 1917 e si sarebbe organizzato per ribellarsi. Invece, con un’ottima propaganda si riuscì addirittura a rendere gli americani contenti ed orgogliosi dell’azione militare intrapresa. In Inghilterra nel solo primo anno di guerra si arruolarono circa 200.000 giovani grazie ad un’azione propagandistica fatta di 12.000 riunioni, 8 milioni di lettere, 54 milioni di manifesti e volantini: un ingente investimento che diete i frutti attesi. Co

n azioni di propaganda si finì per far credere alle masse che la guerra fosse un atto sacro e pian piano s’instaurò una vera e propria religione basata sulla guerra: altari della Patria, sepoltura del milite ignoto, cimiteri di guerra, monumenti ai caduti, spade accomunate a croci, soldati morti considerati martiri della Patria. Insomma, una vera e propria religione civile arricchita dagli elementi della sacralità della guerra e del militarismo.

Ma perché dalla propaganda si arrivò poi a delineare una vera e propria religione? Semplice, basta rifarsi alla definizione naturale del termine “propaganda”:

ciò che della fede deve essere propagato, cioè le credenze, i misteri, le leggende dei santi, i racconti dei miracoli.

Non si trattava di trasmettere quindi una conoscenza obiettiva e accessibile a tutti tramite il ragionamento, ma di convertire a verità nascoste che promanano dalla fede, non dalla ragione.

Nonostante quello appena descritto sia stato un significativo passaggio da una propaganda antica ad una moderna, essa non era ancora oggetto di studio vero e proprio e soprattutto non era ancora uno strumento largamente diffuso. Divenne una vera e propria scienza dopo la Grande Guerra, in particolar modo con Edward Bernays, nipote di Freud, che sfruttò la teoria freudiana della psicanalisi rendendo la propaganda uno strumento ancora più potente. Successivamente, con una geniale intuizione lo sfruttò anche in campo commerciale. Numerose aziende si affidarono a Bernays per accrescere il proprio volume di affari.

Perché gli inglesi oggi fanno colazione con uova e pancetta? Perché Bernays ricevette da un’azienda produttrice di pancetta l’incarico di fare una propaganda affinché aumentasse il consumo del loro prodotto. E. B. riuscì a trasmettere alla popolazione il messaggio secondo cui la mattina è necessaria, nonché consigliata dai medici, un’abbondante colazione, quindi cosa meglio di uova e pancetta?

È incredibile come con un semplice messaggio propagandistico si riesca a controllare una massa e a portarla a fare ciò che si vuole, a prescindere da tutto.

La propaganda, largamente diffusa ed utilizzata anche in ambito commerciale, assunse un particolare rilievo e raggiunse il suo apice di sviluppo nell’epoca dei totalitarismi e della Seconda Guerra Mondiale. Emblema di questo apice fu il  manifesto “Es Lebe Deutschland” della propaganda Nazista, che contiene tutti gli elementi della propaganda moderna e soprattutto della religione che con i totalitarismi da civile divenne politica. Ad oggi maestro della propaganda è il califfato islamico, che con tale strumento è riuscito a mettere in uno stato di continua tensione l’intero occidente. Per quanto possiamo essere informati e consapevoli circa il potere della propaganda, questa funzionerà sempre, perché agisce sull’inconscio.

Fonti:

M.Regnedda, Propaganda
G.Sabatucci, V.Vidotto, Storia Contemporanea, novecento
Marco Montemagno, la propaganda
L’invenzione della propaganda
N.Ferguson, Verità taciuta

Hitler: il prodotto di una pedagogia nera


La proiezione del vissuto infantile nella storia mondiale


Le gesta di Adolf Hitler sono note, in modo più o meno dettagliato, a tutti. Quello che c’è stato dietro quelle gesta, ciò che ha prodotto quel risultato: se lo chiedono in pochi. In molti si soffermano sulle date, sugli avvenimenti, sulle invasioni, sulle alleanze. In pochi si chiedono chi sia stato veramente A. Hitler, e ancora meno si soffermano a capire il ragionamento di un dittatore o di un folle, come alcuni lo definiscono. In molti si affrettano a dare giudizi: il nazismo un bene o un male? Hitler, bravo o cattivo? Non diamo giudizi, cerchiamo di capire.

L’Infanzia

Adolf Hitler era figlio di Kiara Polzi e Alois Hitler, entrambi austriaci, di probabile origine ebrea e quasi sicuramente consanguinei. Adolf era il quarto ed unico figlio della coppia, sopravvissuto sano fino all’età adulta. Proprio per questo motivo la madre, Kiara, si dice che lo amò profondamente. Ma se ragioniamo sul concetto di amore vero e puro, sappiamo tutti che questo corrisponde ad un’apertura e ad un’attenzione nel comprendere quelli che sono i veri bisogni di un figlio. Il comportamento di Kiara non corrisponde a questo concetto, perché in lei non c’era quest’apertura e attenzione e proprio quando manca questa disponibilità, il bambino viene viziato, vale a dire colmato di concessioni e sommerso di oggetti di cui non ha affatto bisogno, solo come surrogato per ciò che non gli si può dare a causa dei propri problemi personali. Se Adolf fosse stato davvero amato, avrebbe acquisito anch’egli la capacità di amare. Le sue relazioni con le donne, le perversioni dimostrano che non aveva ricevuto affetto da nessuno dei due genitori. Ma come Kiara poteva amare Adolf, dopo che gli erano morti tre figli? Lei visse questi decessi come uno shock, che la portarono così ad aver paura di amare. Una paura inconscia derivante dal costante timore che anche quest’ultimo figlio potesse andare incontro alla stessa sorte degli altri tre. Neanche Alois amò Adolf, al contrario lo picchiava spesso e picchiava anche la moglie. Alois rappresentava la figura dominante della famiglia, tutti dovevano essere sottomessi alla sua volontà ed alla sua eccessiva intransigenza, specialmente in pubblico. Bello, affascinante, forte, feroce: questo era il padre di Adolf Hitler.

La proiezione

Sulla scena della politica mondiale egli recitò senza rendersene conto il vero dramma della sua infanzia. La struttura della sua famiglia si può descrivere come il prototipo di un regime totalitario. Il suo unico e incontrastato signore è il padre. La moglie e i figli sono completamente sottomessi al suo volere, l’obbedienza è la loro principale regola di vita. Il regime totalitario istituito da Adolf Hitler non è quindi altro che il prodotto della pedagogia nera, ovvero di un’infanzia tragica e segnata da continue violenze ed abusi. Proprio nelle gesta di Hitler, nell’istituzione del suo regime, si vede come egli per reagire a questa pedagogia nera abbia scomposto il proprio sé reagendo con la proiezione ovvero con l’attribuire a persone o oggetti esterni i propri impulsi e desideri proibiti; l’intolleranza dell’individuo nei riguardi degli altri è accompagnata dalla severità verso sé stesso; l’effetto di questo meccanismo è la rottura del legame tra gli istinti inaccettabili e l’io. Un regime totalitario che probabilmente non sarebbe mai nato se Hitler avesse avuto un’infanzia diversa. Egli, inconsciamente, incarnò quindi il padre. Alois era rappresentato da Hitler in entrambe le sue forme: il ridicolo dittatore in uniforme, così come lo vedeva Adolf ed il grande dittatore, ammirato ed amato dalle masse, visione che invece aveva la madre Kiara di Alois. Ma se da un lato Adolf incarnò, inconsciamente, la figura del padre, sul piano conscio egli voleva vendicarsi di lui. Il sospetto che il padre fosse ebreo, fece in modo che Adolf identificò negli ebrei il nemico da estirpare e su cui consumare la propria vendetta. Egli trasferì alle masse, ovvero a se stesso e a sua madre, tale concetto. Possiamo, in conclusione, affermare che anche dietro lo scenario più folle ed abominevole della storia c’era una logica, criminale, ma neanche tanto complessa e strana. Hitler non è stato quindi un semplice dittatore, un folle, un malato, bensì il risultato di un’educazione sbagliata e del tentativo di correggere il proprio passato non gradito, attraverso la proiezione del proprio vissuto infantile in uno scenario mondiale. A farne le spese sono stati milioni di uomini e donne che hanno avuto la sfortuna di appartenere a quel target che Hitler identificò come nemico. Adolf adulto e nelle vesti del führer rappresentava il padre nel senso autoritario, le masse erano identificate come Kiara ed Hitler bambino e gli ebrei come il padre nel senso del nemico da cui Hitler bambino doveva a tutti i costi difendersi e difendere sua madre. E tutto torna, tutto ha una sua logica.

Fonti:

I Meccanismi di Difesa secondo A. Freud (http://www.igorvitale.org/2015/01/27/9-meccanismi-di-difesa-secondo-anna-freud/)

Psicopatologia di Hitler (http://www.igorvitale.org/2016/06/04/psicopatologia-di-hitler/)

Il profilo psicologico di un criminale (http://www.igorvitale.org/2016/07/05/psicologia-di-hitler-profilo-psicologico-criminale/)
L’ascesa al potere di Adolf Hitler (http://www.raistoria.rai.it/articoli/l%E2%80%99ascesa-di-hitler/32524/default.aspx)

 

WE THE PEOPLE || Il ruolo delle masse popolari nella storia

Il consenso delle masse popolari fu fondamentale per l’ascesa al potere di Ottaviano, che grazie al ad esse e all’appoggio del senato, poté governare e fino a trasformare in maniera profonda e radicale la struttura amministrativa e istituzionale di Roma. Esse furono determinanti nella trasformazione del culto di Iside, da culto proibito a culto prima tollerato e poi addirittura ufficialmente praticato dall’imperatore Vespasiano, e in tempi più recenti, le masse popolari si sarebbero dimostrate estremamente significative per l’affermazione di movimenti come il Nazional Socialismo, che avrebbe portato alla presa di potere di Adolf Hitler in Germania.

Determinare e capire qual è il ruolo storico delle masse popolari rappresenta una delle grandi problematiche della storiografia contemporanea, di forte ispirazione marxista, ed è al contempo, una tematica di estrema attualità.
Secondo il marxismo ortodosso, le masse popolari hanno un ruolo centrale nel determinare le grandi correnti ed i grandi eventi della storia, esse sono presentate come uno dei motori più potenti della storia, se non addirittura, il solo, vero cuore pulsante della storia, esse sono anonime, senza volto ne nome, ma costituiscono la base da cui i grandi protagonisti della storia hanno potuto elevarsi e ricoprire il posto di rilievo per cui sono divenuti noti. In quest’ottica la storia non è determinata dalle azioni di pochi grandi uomini, ma dall’operato e dal lavoro di milioni di uomini che nell’ombra hanno permesso a quei pochi uomini di essere ricordati.
Napoleone non sarebbe Napoleone senza gli eserciti al suo seguito, senza i soldati pronti a morire per quegli ideali, Colombo non avrebbe scoperto le Americhe senza il suo equipaggio, e così per Hitler, Lienin, Washington, Cromwell, Garibaldi, Ottaviano, Carlo V, il Saladino ecc ecc ecc.
Questa visione storiografica come dicevamo è di forte ispirazione marxista, e sarà centrale nel dibattito pubblico e accademico soprattutto negli anni successivi alla seconda guerra mondiale e per tutti gli anni cinquanta e sessanta, e in larga misura almeno fino ai primi anni novanta.
Ma prima di Marx, le masse popolari, cosa come erano viste dagli storici e che ruolo avevano nella storia?
Per lungo tempo, almeno fino alla seconda metà del diciottesimo secolo, le masse popolari erano considerate in maniera estremamente marginale e quasi insignificante sul piano storico e storiografico. Tutto questo però, inizia a cambiare con l’illuminismo e con l’affermazione della classe borghese, qui Marx potrebbe storcere il naso di fronte a queste mie parole, e pure, se le masse popolari, operaie e contadine, da un certo momento in poi, hanno potuto assumere una propria identità di fronte alla storia, questo è proprio grazie all’affermazione della classe operaia, la cui pretesa di attenzioni dalla società tradizionale, ed il desiderio di penetrare in quel mondo elitario, fino ad allora territorio esclusivo della nobiltà, ha portato ad uno stravolgimento degli equilibri tale da permettere anche alle masse popolari di entrare in quella storia di cui erano sempre state parte, come attori silenziosi, celati nell’ombra dei grandi avvenimenti, e in questa analogia con il teatro, le masse popolari possono essere percepite come l’esercito invisibile di tecnici, truccatori, costumisti ecc ecc ecc che anonimi si muovono dietro le quinte, permettendo allo spettacolo di andare avanti.
Gli ideali illuministici avrebbero portato all’affermazione dell’individuo e all’indipendenza delle colonie americane dal dominio britannico, creando così uno stato libero dal’antico dominio nobiliare, costruito e guidato per la prima volta nella storia da una leadership totalmente borghese; uno stato, dove la ricchezza ed il potere non erano predeterminati dalla nascita, ma frutto di lavoro, di volontà, e capacità (e anche un po dalla fortuna) dei singoli individui. Insomma, una nazione in cui un taglia-gole e un contrabbandiere potevano sedere al tavolo con gli uomini più potenti della nazione, senza che questi li guardassero con disprezzo. Qualcosa di analogo era già avvenuto a Roma, dove la grande mobilità sociale avrebbe permesso al nipote di un esattore, di accedere alle più alte vette politiche, fino a diventare Re, Console e Imperatore.
All’indipendenza americana avrebbe fatto seguito in europa, con qualche decennio di distanza, la rivoluzione francese e con essa l’avvento di Napoleone Bonaparte, che potremmo definire come l’uomo in grado di incarnare gli ideali rivoluzionari, e soprattutto l’uomo in grado di esportare, su larga scala, quegli stessi ideali. Napoleone avrà fama e fortuna in tutta europa e a suon di battaglie combattute dal Popolo per i Popoli, potrà mettere in ginocchio l’aristocrazia tradizionale, almeno fino al momento della sua sconfitta. Ma la sconfitta di Napoleone non significa e non può significare un ritorno al passato, i suoi contemporanei sono consapevoli che il mondo era cambiato, troppi anni erano passati tra il 1789 ed il 1814 affinché si potesse tornare al passato senza conseguenze, in quegli anni del sangue era stato versato per la libertà e per l’uguaglianza, figli non divennero mai padri, e madri videro cadere i propri figli per quel sogno di libertà; i nobili non potevano più governare mossi dai propri capricci, devono ascoltare o almeno provare ad ascoltare il popolo, un popolo che non avrebbe esitato un solo istante a scendere nuovamente in piazza e impugnare le armi contro i propri sovrani, e così sarebbe stato 1820, 1830 e in fine nel 1848.
Il 1848 è il momento decisivo, è lì che si sarebbe compiuta la magia, la rivoluzione del 48 rappresenta l’affermazione definitiva della volontà popolare sulla nobiltà, e non è un caso se il 12 Febbraio del 48 a Londra sarebbe stato pubblicato il manifesto del partito comunista. I moti del 48 esplodono più o meno nello stesso periodo e si espandono rapidamente in tutta europa, ma al di la della nazione e dei popoli in piazza, la richiesta, anzi, la pretesa è sempre la stessa, i popoli d’europa chiedono un parlamento eletto a suffragio universale ed una carta costituzionale scritta dal parlamento e non concessa dal sovrano. Queste richieste rappresenteranno l’ultimo chiodo sulla bara dell’antico regime, che da oltre 50 anni, tenta in vano di sopravvivere.
Da qui in avanti le masse popolari avranno la capacità, conquistata nelle piazze e con le armi, di nominare e deporre sovrani, di stabilire l’entrata o l’uscita da una guerra, si pensi in questo senso alla Russia, le cui rivoluzioni del 1917 sono forse il punto più alto del potere politico determinato dalla volontà popolare, e ancora, si pensi all’ascesa al potere di Hitler o la deposizione del Re d’Italia e la conseguente nascita della Repubblica italiana.
Il 1945 e con esso la fine della seconda guerra mondiale segnano una temporanea interruzione, almeno nel mondo occidentale, di questa sorta di età dell’oro delle masse popolari. I crimini commessi in Europa dal Nazismo (e non solo), producono un drastico cambiamento di rotta. Si afferma a livello politico l’idea che la volontà popolare da sola non è in grado di governare un popolo, poiché da sola, ha permesso ad Hitler di governare in Germania, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe comportato, gli storici di stampo liberale vedono nei fascismi europei e nell’unione sovietica il fallimento del potere popolare, sottolineando i limiti delle sue capacità di giudizio. Ci si rende conto che le masse popolari, soprattutto le plebi rurali, contadini e operai, possono essere facilmente plagiate e manipolate, fino al punto in cui queste arriveranno a credere ad ogni sorta di bufala propagandistica raccontata loro dal manipolatore di turno. Contemporaneamente i pilastri della terra iniziano a radicarsi nelle roccaforti economiche e finanziarie del pianeta, così, il lungo diciannovesimo secolo, iniziato con l’indipendenza americana e l’affermazione della borghesia sull’aristocrazia, si conclude con la seconda guerra mondiale, donando alla civiltà occidentale, una nuova aristocrazia dal “sangue verde”, figlia dell’indipendenza americana e il cui potere è legittimato da un nuovo dio denaro.
Lo spostamento del potere dalle masse popolari alla nuova borghesia capitalistica, è un processo in corso fin dalla rivoluzione americana, ma dopo la seconda guerra mondiale, e soprattutto con il fallimento dell’esperienza del socialismo reale nell’Unione Sovietica, subirà un accelerazione tale da trascinare in poco più di un decennio, il mondo intero (o meglio, gran parte parte del mondo) in un ottica capitalistica.
Il potere, soprattutto in europa è andato progressivamente rifugiandosi in meccanismi e istituzioni sovranazionali, delegando sempre di più e sempre più spesso, le scelte per il proprio futuro. Così, all’alba del terzo millennio, tra guerre, calamità naturali e crisi economiche, come forze reazionarie spinte da un’apparente perdita di potere decisionale, ritornano degli echi del Volksgeist, lo spirito del popolo, e lentamente le masse, aiutate dal web, tornano in piazza, ma a differenza del passato, le piazze del terzo millennio sono virtuali, in cui tutto è più rapido, tutto è più immediato, e la manipolazione più efficace. Qui, i nuovi Hitler più semplicemente che in passato, possono creare i propri squadroni, militanti, pronti a rivendicare, per se stessi e in nome del popolo, un posto centrale nel determinare l’evoluzione storica del mondo, nascono così sempre nuovi e più numerosi movimenti popolari di fede ipernazionalista e individualista, camuffati da movimenti collettivi e sociali. Questi movimenti rivendicano il benessere e la dignità dell’uomo, e si ripropongono di creare equità sociale, ottenendo facili consensi, ma paradossalmente, per raggiungere i propri fini, sistematicamente negano, nelle loro stesse intenzioni, benessere, dignità ed equità sociale, a minoranze etniche e religiose.
E così, in quei movimenti, le cui parole offuscata ed ubriacano le menti dei popoli, risorgono gli ideali che negli anni più oscuri del novecento, avevano portato alla sistematica distruzione di vite umane, dimenticando troppo facilmente i crimini del Nazismo furono anche i crimini del popolo tedesco, oltre che di tutti i popoli europei del mondo, ma soprattutto, per citare la Hannah Arendt, furono i crimini della stupidità umana, una stupidità che oggi come allora è molto diffusa, una stupidità che deriva dall’incapacità di vedersi realmente nei panni dell’altro.
I nostri antenati hanno peccato di superficialità, permettendo e la loro più grande colpa è quella di essersi opposti al nazismo, ma anzi, di averlo sostenuto e appoggiato, nonostante i suoi programmi ed i suoi piani, furono ampiamente esposti e largamente condivisi per molto tempo, prima che la guerra iniziasse per ragioni unicamente politiche.
Il consenso popolare ha permesso ad Hitler, Napoleone, Ottaviano e molti altri, di governare indisturbati (o quasi) mentre privavano di significato le istituzioni repubblicane. Il popolo li sosteneva perché in grado di proteggere il proprio popolo, la propria nazione, da ogni interferenza esterna, e mentre si presentavano al popolo come baluardi della nazione, se ne impossessavano, creando degli imperi e instaurando monarchie o dittature.
Il nostro mondo e il nostro tempo sono avvolti da quelle stesse tenebre che settant’anni fa distruggevano l’europa, non con le bombe, non con gli aerei, ma con le idee, e se allora l’europa perdeva la propri umanità trasformando gli uomini in numeri, oggi come allora, si costruiscono muri ideologici, culturali e fisici, nati per dividere gli uomini dagli altri, quelli che noi non siamo, quei muri portano il mondo occidentale a voltarsi dall’altra parte quando un uomo, uno degli altri, non è più un uomo ma un clandestino, e può morire in mare, in un tunnel o in un furgone, muore di fame perché ha perso il suo lavoro o una bomba ha distrutto la sua casa.
Quei muri privano gli uomini della propria dignità di essere umano, e distruggono ancora una volta il potere del popolo, concentrandolo nelle mani di opportunisti e manipolatori, pronti a costruire sulle macerie della nostra civiltà in crisi.
La storia ci ha insegnato l’estremizzazione di movimenti popolari e nazionalistici può portare ad una sola inevitabile conclusione, la fine di ogni ordinamento repubblicano e democratico, e la concentrazione di poteri straordinari nelle mani di un singolo uomo, sia esso Ottaviano, Cromwell, Napoleone, Hitler, Stalin, Putin o Trump.

Hitler fuggito in argentina , la bufala che a volte ritorna.

La teoria della fuga di Hitler in Argentina è una bufala persistente. Prove storiche e scientifiche, incluse analisi dentali e ossee, confermano il suo suicidio nel bunker di Berlino.

Uno degli argomenti storici più fortunati, più abusati e discussi su internet, molto probabilmente riguarda il destino di Adolf Hitler dopo la seconda guerra mondiale ed il crollo del Reich, e secondo varie teorie del complotto, il dittatore tedesco sul finire della guerra simulò la propria morte e fuggì in Argentina.

Dietro la teoria di Hitler in Argentina

Riguardo alla fuga di Hitler in Argentina, circolano diverse teorie, per lo più alimentate dalla “segretezza” relativa al luogo di sepoltura della salma di Hitler, alcune indagini condotte negli USA, soprattutto negli anni 50 e 60, per rintracciare diversi Nazisti fuggiti proprio in argentina e alcune testimonianze.

Nel 2016, come ogni anno, l’FBI ha declassificato numerosi documenti e fascicoli e tra questi alcuni rapporti e documenti relativi alle indagini compiute negli anni 50 e 60 per rintracciare fuggiaschi nazisti in Argentina, articoli di giornali dei primi anni 50 e testimonianze misteriose.

Sulla base di queste informazioni, il 5 maggio 2016, il portale di controinformazione cospirazionista AnonHQ ha rilanciato una versione della storia, per cui Hitler sarebbe fuggito in Argentina dove sarebbe morto serenamente di vecchiaia molti anni dopo.

Di seguito uno dei “documenti” che dimostrerebbero la teoria della fuga in Argentina di Hitler.

Nell’articolo di AnonHQ appare anche una foto di un anziano uomo affiancato ad una foto di Hitler, asserendo che si tratti della stessa persona.

Stando alla ricostruzione di AnonHQ, il suicidio di Hotler ed Eva Braun non solo sarebbe stato simulato, ma la successiva fuga in argentina, sarebbe stata favorita dagli USA, nella persona di Allen Dulles, all’epoca direttore dell’OSS ( Office of Strategic Services) agenzia smantellata nel 1945 e sostituita nel 1947 dalla CIA.

Secondo questa ricostruzione, finché Hitler è stato in vita, FBI e CIA avrebbero cercato di insabbiare la verità, nascondendo il dittatore tedesco e offrendogli protezione e l’Italia in questa particolare diramazione, giocherebbe un ruolo importante grazie a personalità come Licio Gelli, maestro venerabile della loggia P2, che sappiamo aver avuto forti legami, sia con alti funzionari USA che con Juan Domingo Perón, Gelli fu uno dei pochissimi italiani ad essere stato invitato al giuramento di Regan nel 1981, ma questa è un altra storia.

Tornando alla teoria di Hitler in Argentina, secondo la ricostruzione di AnonHQ gli USA avrebbero simulato la morte di Hitler, aiutato il dittatore a fuggire a bordo dell’u-boat tedesco U-530 fino in argentina. In seguito avrebbero mostrato al mondo un sosia di Hitler, morto con un colpo alla testa e nascosto il cadavere affinché non potesse essere identificato.

Fotni sulla morte di Hitler

Sebbene la teoria di AnonHQ sia molto affascinante, la storiografia ufficiale, soprattutto alla luce di recenti scoperte, non ha dubbi a riguardo, quando Berlino cadde in mano agli alleati, poco prima che questi penetrassero nel Bunker in cui si erano rifugiati Hitler, Eva Braun e altri collaboratori del führe, il dittatore nazista, con l’acqua alla gola, probabilmente più spaventato dalle torture che avrebbe ricevuto se fosse caduto in mano sovietica che non della morte, si tolsero la vita, e come lui molti altri ospiti del bunker.

Questa versione, va detto, che per molti anni ha sofferto di un enorme problema di verificabilità, si è basata infatti principalmente sui rapporti e le dichiarazioni ufficiali degli alleati che entrarono nel Bunker, documenti che tuttavia erano parziali, incompleti e spesso in larga parte censurati per via del contenuto delicato e strategico delle informazioni che contenevano, soprattutto in un momento di crescente tensione tra USA ed URSS, inoltre, non è mai stato possibile verificare effettivamente che la salma attribuita ad Hitler fosse effettivamente del dittatore tedesco, poiché, per ragioni di sicurezza, si preferì tenere segreta la collocazione del corpo.

Il motivo per cui non è mai stato rivelato dove sarebbe stato tumulato Hitler è dovuto ufficialmente alla preoccupazione che tale luogo, se noto, potesse diventare un luogo di culto, ipotesi non infondata se consideriamo cosa è successo a Predappio con la tomba di Mussolini.

Oltre ai documenti ufficiali, la storiografia contemporanea ha utilizzato anche altre fonti documentarie, in particolare documenti privati, lettere, diari e testimonianze dirette e in alcuni casi indiretta (ovvero di seconda mano) dei militari, dei loro commilitoni e dei civili, che all’epoca, per ragioni diverse e che sarebbe inutile elencare, avevano avuto accesso al bunker di Berlino. In fine, ci sono articoli di giornali e tantissimi altri documenti che per semplicità faremo rientrare nelle testimonianze dirette o di seconda mano.

Se i documenti militari si portano dietro il difetto della parzialità dovuta a censure e classificazioni, le testimonianze si portano dietro un altro difetto, quello dell’errore, della parzialità legata alla memoria distorta, oltre alla natura sostanzialmente tendenziosa delle informazioni permeate di giudizi ed osservazioni personali, pertanto poco utili, per non dire dannose, ad una corretta ricostruzione.

Ma del resto il lavoro della ricerca storiografica consiste proprio in questo, nel navigare in un mare di informazioni contrastanti e parziali, in cerca di una verità verificabile.

Partendo da queste fonti, e facendo riferimento alla versione ufficiale comunicata dalle potenze vincitrici della guerra, prima la stampa e poi gli storici, sono riusciti a ricostruire gli avvenimenti, che, nell’aprile del 45 portarono alla morte di Hitler.

Cosa dice la versione ufficiale?

La storiografia ufficiale generalmente concorda con la versione ufficiale fornita dagli alleati, ovvero con la versione che vedrebbe Hitler e la sua compagna togliersi la vita nel bunker, successivamente i loro corpi furono dati alle fiamme, e quando l’armata rossa irruppe nel bunker, si ritrovò a dover fare i conti con i corpi carbonizzati di un uomo ed una donna.

Oggi siamo abbastanza sicuri che uno dei corpi carbonizzati ritrovati nel bunker appartenesse ad Hitler, e che la teoria della fuga in Argentina, è fondamentalmente infondata, o meglio, sappiamo che negli ultimi mesi della guerra numerosi gerarchi nazisti fuggirono in Argentina, e questo lo sappiamo fin dagli anni 50, inoltre, durante il processo di Gerusalemme ad Adolf Heichmann, venne fornita una precisa e puntuale ricostruzione della modalità con cui i fuggiaschi nazisti riuscirono a lasciare la Germania.

Per quanto riguarda i resti carbonizzati, siamo quasi certi appartenere ad Hitler, per diverse ragioni, già tra il 1945 ed il 1948, vennero pubblicati, o comunque messi a disposizione della storiografia, innumerevoli documenti personali di Hitler, tra questi, la sua cartella clinica, estremamente preziosa e ricca di informazioni, soprattutto radiografie, per via dei suoi numerosi problemi di salute. In sostanza quindi, abbiamo un abbondanza di radiografie di Hitler, tra cui quelle della sua bocca e dei suoi denti.

L’identificazione tramite impronta dentale è nota fin dal XIX secolo, ed è utilizzata come tecnica forense fin dal 1897 circa, tuttavia, la falsificazione dell’impronta dentale, è tutt’altra cosa, ancora oggi, nel 2025, è qualcosa di estremamente complesso, e 80 anni fa, nel 1945, non esisteva la tecnologia per poter “clonare” un impronta dentale, e anche se fosse esistita, di sicuro tale tecnologia non era presente nel bunker di Berlino.

È inverosimile che Hitler e gli USA, abbiano modificato l’impronta dentale di un sosia di Hitler, per permettere di identificare il suo cadavere carbonizzato usando l’impronta dentale. E anche se lo avessero fatto, oggi saremmo in grado di rivelare l’alterazione.

UPDATE: A tale proposito nel 2018 infatti è stato pubblicato uno studio in cui sono stati ricontrollati alcuni frammenti ossei rinvenuti nel bunker di Berlino e questi sono stati attribuiti ad Hitler, con un margine d’errore dello 0,001%, grazie ad un analisi biomedica che ha permesso di comparazione tra la mascella e le radiografie dentali di Hitler del 36.

Errori di interpretazione nell’identificazione di Hitler nel 45

Nel 1945 l’identificazione di Hitler avvenne tramite impronta dentale, ma, la tecnologia dell’epoca non permise un’identificazione al 100% (cosa normale per l’epoca in realtà, soprattutto se in presenza di resti carbonizzati e danneggiati).

La coincidenza parziale dell’impronta dentale, unita a non pochi errori di traduzione, o per meglio dire, di interpretazione della traduzione, ha generato non pochi miti sulla “presunta morte di Hitler“.

Traduzione e interpretazione del testo sono passaggi cruciali nella ricostruzione storiografica, motivo per cui, nella maggior parte dei casi, gli storici si occupano in fase di ricerca, di un epoca e di un area geografica, di cui conoscono la lingua. Senza troppi giri di parole, difficilmente troveremo uno storico che si occupa della Germania Nazista, che non conosce Tedesco e Francese.

Cerco di spiegarmi meglio con un esempio, la frase tedesca “In dem Bunker, in dem sich Hitler vermutlich das Leben nahm, wurden auch die Überreste einer Frau gefunden.” Nel passaggio da Tedesco a Russo, o Inglese, o francese, e poi ad altre lingue, può variare, non poco, soprattutto se la traduzione avviene per la stampa.

Questa frase, che letteralmente significa “Nel bunker dove si presume che Hitler si tolse la vita, furono ritrovati anche i resti di una donna”, può facilmente diventare, “Nel bunker dove si presume che Hitler si tolse la vita, furono ritrovati i resti di una donna” .

Le due traduzioni differiscono tra loro solo in una parola, quella parola tuttavia è determinante per comprendere l’intera frase. Nel primo caso, la presenza di “anche”  lascia poco spazio all’immaginazione, tra i resti del bunker furono ritrovati anche i resti di una donna, in perfetto accordo con la versione ufficiale che vorrebbe Eva Broun togliersi la vita nel bunker insieme ad Hitler, e la conseguenza logica di questo è che nel bunker, oltre ai resti di Hitler, ci fossero anche i resti di una donna.

Nel secondo caso la cosa si complica, in quanto l’assenza di “anche” apre due possibili scenari, il primo in cui nel bunker furono trovati “i resti di una donna” e il secondo in cui nel bunker non vengono ritrovati resti di un uomo.

Prendiamo un altro esempio, “nel bunker furono ritrovati i resti solo di una donna carbonizzata” , questa frase pur essendo “corretta” perché l’unico corpo femminile carbonizzato ad essere stato rinvenuto nel bunker fu quello di Eva Braun, mentre l’altro corpo carbonizzato, quello di Hitler, era di un uomo, di conseguenza la donna carbonizzata effettivamente era solo una. Ma questa frase può essere interpretata anche in un modo diverso, e suggerire che oltre al corpo di Eva Braun, nel Bunker non furono trovati altri corpi carbonizzati.

Questi esempio rappresentano dei casi limite, presentano errori di interpretazione evidenti e facilmente riconoscibili, ed in casi reali le differenze sono sostanzialmente più sfumate e ruotano principalmente attorno ai diversi significati che può avere una singola parola.

Per quanto riguarda il caso Hitler, l’esempio che abbiamo fatto in realtà è molto veritiero, perché il mito della fuga di Hitler parte proprio da questi passaggi. Si passa dal raccontare del ritrovamento del corpo “anche di una donna” sulla stampa dell’epoca, a fonti più recenti che parlano del ritrovamento del “corpo di una donna”, fino ad arrivare ad articoli cospirazionisti in cui si parla del “solo corpo di una donna”.

Quell’anche dimenticato, che si perde nei meandri del tempo e delle innumerevoli traduzioni, forse un banale errore forse qualcosa di più intenzionale, ha fatto più danni di quanto si possa immaginare, perché de facto è alla base di buona parte dei miti sulla fuga di Hitler in Argentina sul finire della guerra.

Molti continuano a pensare che Hitler non sia morto suicida insieme ad Eva Bown nel Bunker di Berlino, ma sia riuscito a fuggire dalla Germania, aiutato dalla CIA e trovando asilo in Argentina e “la prova cruciale” della riuscita fuga risiede nel fatto che, nel bunker tra i resti e le macerie, trovarono i resti di una donna carbonizzata.

Ora, non serve certamente l’acume di Sherlock Holmes per dedurre che, se in un bunker ci sono un uomo (Hitler) ed una donna (Eva Broun) e questi si tolgono la vita, nel bunker ci saranno i resti di una donna.

Mettiamo in discussione la teoria della fuga

Come abbiamo visto, abbiamo sufficienti prove scientifiche per collocare il corpo senza vita di Hitler e nel bunker di Berlino quando gli alleati fecero irruzione e confutare definitivamente la teoria della fuga.

La teoria si fonda su informazioni parziali e domande senza risposta suscitate dalla versione ufficiale, tuttavia, quella stessa teoria, presenta molte più domande senza risposta della versione ufficiale.

Secondo la teoria Hitler trovò un sosia, cosa non difficile, lo uccise e diede fuoco al corpo per rendere difficile l’identificazione. Un piano brillante, se non fosse che l’identificazione tramite impronta dentale è stata effettuata comunque, poiché le fiamme hanno sì danneggiato, ma non compromesso la possibilità di identificare il corpo.

In effetti dando fuoco al corpo, ha reso impossibile recuperare il DNA di Hitler, ma nel 1945 non si utilizzava il DNA per identificare un corpo senza vita, anche perché quella tecnica si sarebbe diffusa quasi 40 anni più tardi, a partire dagli anni 80. Non c’era alcun motivo per Hitler di bruciare il corpo del suo sosia per distruggere il DNA (come molti sostengono). Al più, se avesse voluto simulare la propria morte, avrebbe dovuto compromettere l’identificazione tramite impronta dentale, all’epoca unico elemento in grado identificazione di un corpo non riconoscibile ad occhio nudo.

Per simulare la propria morte, sarebbe stato molto più funzionale ed efficace, minare il bunker e non lasciare alcuna traccia. Ciò che invece la teoria della fuga in argentina propone è un complesso sistema di specchi e leve, estremamente articolato e fragile, che cerca di rendere impossibile l’identificazione attraverso tecniche che sarebbero state introdotte mezzo secolo più tardi, ed utilizza tecnologie avanzate e sofisticate, che 80 anni più tardi non sarebbero state comunque disponibili, per manipolare un corpo in modo che potesse essere scambiato per il suo.

Conclusioni

Senza girarci troppo attorno, nei documenti dell’armata rossa pubblicati (parzialmente) nel 45 e in forma integrale negli anni 90 (anche se con alcuni passaggi cancellati) si evince chiaramente che nel bunker furono ritrovati i resti carbonizzati di due persone, un uomo ed una donna, l’uomo è stato identificato con Hitler attraverso l’impronta dentale, e in studi più recenti, una comparazione tra frammenti ossei e radiografie degli anni 30 hanno confermato tale ipotesi, la donna invece, se bene non è stato possibile identificarla al 100% a causa delle peggiori condizioni dei resti, è molto probabile che fosse Eva Broun.

In ultima istanza, nel bunker furono ritrovati anche i resti di un cane e anche se la Germania nazista faceva largo uso delle unità cinofile, questi non erano in alcun modo utili alla sopravvivenza e funzionamento di un bunker, tuttavia, nel bunker di Berlino era presente un singolo cane, non militare ma civile, che dai resti è stato identificato come il cane personale di Hitler.

Per quanto riguarda l’ipotesi di camuffamento e alterazione del corpo nel bunker, per prendere per buona la teoria della fuga, dovremmo assumere che Hitler fece uso di tecnologie più avanzate di quelle disponibili nel XXI secolo, per modificare l’impronta dentale di un sosia, e prese precauzioni per impedire l’identificazione tramite DNA (introdotta quasi mezzo secolo più tardi), insomma, per prendere per buona la teoria della fuga, dobbiamo assumere che Hitler venisse dal futuro.

La guerra parallela degli italiani

Quale fu il ruolo dell’italia nella seconda guerra mondiale ? Siamo abituati a considerare l’italia uno dei principali alleati della Germania ma fino a che punto i due paesi camminarono insieme ? Esisteva una gerarchia tra Italia e Germania , così come esisteva tra la Germania e tutti i suoi satelliti o l’italia godeva di un posto privilegiato nello scacchiere europeo ? Fino al 1941 circa, l’italia sarà impegnata di fatto in quella che è nota come guerra parallela, e solo a partire 1941/1942 e fino all’agosto del 1943, l’italia sarà costretta a fare un passo indietro, abbandonando il suo progetto autonomo di trasformare il mediterraneo in un “lago italiano” per seguire le direttive del Reich.

Fonte :

D.Rodogno, Il nuovo ordine del mediterraneo 

Hitler aveva un solo testicolo ?

Hitler aveva un solo testicolo, la conferma da un fascicolo medico degli anni venti, a portare alla luce la scoperta è stato lo storico Peter Feischmann con il saggio bibliografico Hitler come prigioniero a Landsberg 1923-1924 : fascicolo personale del prigioniero Hitler insieme ad altre fonti di custodia protettiva e prigionia nella fortezza di Landsberg

[Titolo originale “Hitler als Häftling in Landsberg am Lech 1923/24: Der Gefangenen-Personalakt Hitler nebst weiteren Quellen aus der Schutzhaft-, Untersuchungshaft- und Festungshaftanstalt Landsberg” ]

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Nuova edizione critica del Mein Kampf in Germania

Il Mein Kampf (la mia battaglia) opera principale, per non dire unica, di Adolf Hitler, torna in Germania con una nuova edizione critica a cura dell’istituto di storia contemporanea bavarese (Institut fur Zeitgeschichte).

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