L’impero Moghul e le conquiste militari

All’inizio del XVI secolo si formarono tre grandi imperi islamici che subentrarono al posto di piccoli stati islamici. Questi tre grandi regni erano quello in India dei Moghul, quello persiano dei Safawidi e quello turco degli Ottomani. Si trattava di governi profondamente radicati nel medioevo islamico a causa dell’aspetto religioso, ma tutti esposti in primo piano all’epoca moderna europea, caratterizzata da una ripresa dei commerci e dall’espansione coloniale degli stati europei, fattori che porteranno a dei cambiamenti economici anche all’interno di questi imperi.

La Fondazione dell’Impero Moghul in India

La storia della presenza islamica in India è molto antica e si può far risalire almeno al regno di Muhmud di Ghaznì fondato nella provincia di Khurasan nel 999, anche se le prime invasioni islamiche in India avvennero precedentemente dall’ Afghanistan. A partire dall’inizio del XIII secolo dominò il sultanato di Delhi, governato da una dinastia militare afghano-turca. La presenza islamica in India diventò rilevante nel periodo dell’impero dei Moghul.

L’impero fu un grande regno che nel periodo di massima espansione governò su tutto il subcontinente indiano, senza precedenti. Nel periodo che va tra il 1556 e il 1658 l’impero islamico dei Moghul è stato un potente stato centralizzato, organizzato con una capillare burocrazia, un esercito e un impero con una fede aperta e tollerante, dove vi fu una sintesi religiosa tra induismo e islamismo.

La fondazione risale al regno Zahir-ud-Din Muhammad Babur, un condottiero turco erede in linea materna di Gengis Khan, e in linea paterna, da Tamerlano, che riuscì a stabilire un regno nel nord dell’India nel 1526, sfruttando le rivalità tra gli emiri locali e il disordine provocato dalle guerre dei Safavidi con gli Uzbechi. Oltre ad essere un conquistatore insaziabile, fu un grande uomo di cultura: le sue memorie – scritte in prosa – sono considerate un’opera importante dell’intera letteratura turca. Nel 1504 e nel 1506 Babur conquistò rispettivamente Kabul e Kandahar e nel 1526 anche l’intera India del nord, grazie ad una cavalleria e ad una tecnica bellica nettamente superiori.
Il regno di Babur durò solo quattro anni a partire dalla conquista della città di Agrae e la proclamazione d’imperatore dell’Hindustan, ma gli eredi riuscirono a consolidare il regno. In particolare due suoi eredi: Humayun e soprattutto Akbar.

L’Era di Akbar: Consolidamento e Apogeo dell’Impero Moghul

Akbar, il terzo padishah, fu il vero creatore della potenza Moghul e regnò dal 1556 al 1605: è considerato il più importante all’interno di una dinastia dove vi erano personaggi straordinari, tanto da essere ricordato come una delle figure più rappresentative della storia indiana.

I primi anni del regno non furono tali da far presagire tale grandezza: fino al 1560 fu governato con durezza dal reggente Bairam Khan. Sotto la sua guida, vennero sconfitti gli ultimi principi Sur e i Moghul occuparono alcuni centri chiave come Lahore, Multhan, Jaunpur che si aggiunsero a Delhi e Agra. Questa espansione si arrestò per i contrasti tra Akbar e Bairam Khan stesso, che si conclusero con la rimozione dall’incarico di quest’ultimo nel 1560. Successivamente a questi avvenimenti la gestione della nuova linea politica venne lasciata ad una fazione capeggiata dalla nutrice di Akbar e da suo figlio Adam Khan. Egli riprese l’espansione con la spedizione contro il sultanato del Malwa. Presto però i rapporti tra il padishah e Adam Khan si deteriorano e le tensioni tra i due esplosero quando Adam Khan uccise il primo ministro, una delle figure più vicini ad Akbar.

Le cronache raccontano che Adam Khan si recò all’ingresso dell’harem sporco di sangue della vittima e l’imperatore lo affrontò a mani nude, stordendolo e poi dando l’ordine di gettarlo da uno dei balconi del palazzo: dopo tale episodio la madre si suicidò. Tutto ciò è descritto nelle cronache dell’epoca e rappresentato anche nelle miniature.

Riorganizzazione dello Stato e Strategie Militari di Akbar

Il dominio Moghul in quella parte dell’India del Nord continuava ad essere quello di un esercito d’ occupazione in un territorio vasto ed ostile: era circondato da una moltitudine di stati in armi e anche la società indiana era fortemente militarizzata. L’esercito in questa fase era poco organizzato e con forti limiti strutturali, formato da 51 distaccamenti al servizio di nobili legati al sovrano da vincoli di fedeltà. La maggior parte di essi, essendo di origine turca e uzbeca, considerava il sovrano un primus inter pares, quindi questo non assicurava la loro fedeltà al sovrano, che doveva essere guadagnata ogni volta.

La minoranza – formata da circa 16 nobili – era di origine persiana, influenzata quindi dall’ideologia imperiale, cui si doveva fedeltà e obbedienza al sovrano. Akbar per modificare questa situazione, attuò una politica che aveva due obbiettivi: il controllo sulla nobiltà e uno stato in grado sbarazzarsi di ogni possibile avversario.

Queste strategie comportarono la possibilità di concentrare tutte le risorse per alcune battaglie rilevanti condotte dal padishah in persona, che si rivelò un ottimo stratega e conquistò prima del 1562 tutta l’India del Nord, l’Afghanistan e il Kandesh. La battaglia di Panipat, per quanto vinta di stretta misura, diede la fama a Akbar di essere invincibile nelle battaglie in campo aperto, mentre la conquista di alcune fortezze importanti tra il 1658 e il 1569 dimostrarono la sua abilità anche nella guerra di posizione.
La fama di Akbar – e dell’esercito Moghul – fu di essere invincibili sia nella guerra di posizione che in quella in campo aperto. Ciò è dimostrato anche dal fatto che alcuni nobili e regni accettarono di sottomettersi a lui in cambio della nobiltà Moghul.

Articolo a cura di Sbalchiero Francesco Sunil

Fonti

Hans Kung, Islam, Bur, Milano, 2015
Michelangelo Torri, Storia dell’India, Laterza, Bari, 2010
Raffaele Russo, Islam: storie e dottrine http://www.academia.edu/1900477/Islam_storie_e_dottrine

Ragazzi, spiegate l’Islam ai vostri genitori… ma fatelo per bene || Risposta a Roberto Saviano

Oggi mi tocca rispondere ad un video di Roberto Saviano, che saluto, in cui parla dell’islam in un modo davvero molto interessante, è davvero un bel video, se non fosse che la premessa storica su cui è stato costruito l’intero discorso è leggermente inesatta (dico leggere, ma che in realtà lo è molto di più).

Faccio una premessa, come saprete sono molto elastico per quanto riguarda gli “errori”, se si sbaglia una data, un nome o si ha un lapsus, non li considero errori, ma in questo caso abbiamo un ragionamento che parte da un concetto sbagliato, nel video, il buon Saviano dice che i giovani di Brooklin, all’epoca una delle più importanti città legate alla scena Hip Hop, parlano lingua dell’Islam e parlano questa lingua perché è la lingua dei loro antenati, portati in america come schiavi.

Ecco, questo non è proprio esattissimo, diciamo anche che la prima parte è giusta, ma la seconda parte presenta un errore anche abbastanza grave e fuorviante.

La religione degli schiavi africani, deportati tra nelle Americhe tra XVI e si XVIII secolo non è l’islam, non è mai stato l’islam, quei popoli avevano qualche contatto con il mondo islamico, ma la loro cultura anzi, le loro culture, non erano culture islamiche, si trattava invece di culture “animiste” e “spiritualiste”, i popoli che vivevano nell’Africa subsaharianasono nei secoli della tratta atlantica avevano culture molto antiche e in un certo senso molto primitive, dalla cui fusione con le pratiche cristiane (e l’indottrinamento forzato al cristianesimo) sarebbero nate nuove culture religiose.

Avete mai sentito parlare di voodoo ?

Diciamo che il Voodoo africano è una delle “religioni” più antiche del mondo, diffusa in Africa molto prima della colonizzazione e che mischiandosi al cristianesimo avrebbe dato vita al voodoo moderno praticato in america, e per chi fosse appassionato di musica, vi regalo una chicca, alcune tracce di queste culture “originarie” sono presenti nella simbologia e nella ritualità legata ad un altro genere musicale, ovvero la cultura blues, ma questo è un altro discorso, che ho affrontato in un articolo pubblicato qualche giorno fa tra sul giornale on-line La COOLtura.

Tornando all’islam, questa cultura religiosa si diffuse nell’africa subsahariana nel contesto generale della decolonizzazione (stiamo parlando della seconda metà del XX secolo, non certo del XVI o XVIII secolo). Nello stesso periodo avviene anche la sua diffusione tra gli afroamericani e non è un caso.
Le motivazioni di questa diffusione, in questi due mondi legati tra loro dalla tratta atlantica, avviene a partire soprattutto dal secondo dopoguerra e si avrà soprattutto grazie al carisma di alcuni predicatori e l’attivismo di alcune organizzazioni, non scendo troppo nei dettagli, un esempio lampante in questo senso potrebbe essere rappresentato dalle Black Panther e da Malcom X, ma di esempi de ne potrebbero fare molti altri.
Questo avvicinamento del black peolple, il popolo di colore, è dettato dal bisogno di un intero popolo, di prendere le distanze da quella cultura che li aveva prima ridotti in schiavitù e poi costretti a vivere segregati, il desiderio di identificarsi in una cultura che non avesse prodotto organizzazioni come il ku klux klan, e da questo desiderio vi sarebbe stato un netto allontanamento, sia dalla cultura degli oppressori, quindi la cultura cristiana, sia dalla cultura originaria, che era stata l’artefice di prima mano della riduzione in schiavitù di milioni di persone. In questo senso è importante sottolineare che non furono quasi mai gli europei a “catturare” gli uomini e le donne che sarebbero poi diventati schiavi, ma a ridurre quegli uomini e donne in schiavitù furono principalmente altre popolazioni africane, che si impegnarono in questo commercio molto redditizio che era fortemente alimentato dalla crescente domanda dei commercianti europea (ma questo è un altro discorso).

Il black peopole nel secondo dopoguerra quindi, prende le distanze dal cristianesimo e dalle pratiche religiose originarie e si ritrova a dover compiere una scelta sul piano culturale, per questi “esuli culturali” vi erano, in quel dato momento storico, soltanto due strade possibili strade percorribili, da un lato potevano scegliere se avvicinarsi ad una religione laica, promossa dai vari circoli comunisti e socialisti, che nel contesto generale della guerra fredda, avrebbe significato l’allineamento con il mondo sovietico e negli USA significava oltre alla segregazione anche l’accusa di essere dei cospiratori … essere nero e comunista… e magari anche donna, negli USA durante gli anni cinquanta e sessanta era una condanna a morte quasi certa sul piano dei diritti civili. Dall’altro lato potevano scegliere una religione non laica, che tuttavia fosse esterna a quel mondo, esterna alle dinamiche della guerra fredda e che si proponeva come una cultura religiosa storicamente in conflitto con il cristianesimo e la civiltà cristiana.

Gli afroamericani come gli islamici erano stati combattuti e oppressi dai cristiani, questo aveva portato alla schiavitù e poi alla segregazione degli afroamericani da una parte e alle crociate prima e il colonialismo poi per gli islamici. Questo parallelismo culturale, questo reciproco senso di oppressione, l’essere stati schiacciati dalla civiltà cristiana, avrebbe spinto molti a scegliere la via dell’islam, che con la religione degli antenati, c’entrava meno di nulla.

Qual è la differenza tra Sunniti e Sciiti ?

La divisione è puramente ideologica e presenta due letture/visioni inconciliabili l’una con l’altra.

La disputa ha inizio nel 632 alla morte di Maometto, detto in breve, alla morte del profeta, ci fu una lotta per stabilire chi dovesse riempire il vuoto di potere, e tra i tanti contendenti alla successione di Maometto, in due trionfarono, da una parte Abu Bakr, amico del profeta e padre di Aisha, moglie Maometto, dando origine al ramo Sunnita, secondo cui, ogni musulmano di buona fede, e abbastanza addentrato nella dottrina, potesse accedere alla carica di guida politica e spirituale dell’intera Umma, tutta la comunità islamica mondiale.
Dall’altra parte trionfò Ali, cugino e genero di Maometto, dando origine alla corrente sciita, secondo cui, alla guida politica e spirituale dell’Umma avrebbe dovuto esserci un consanguineo di Maometto, un discendente diretto della sua famiglia.

Questa differenza apparentemente minimale, è in realtà una profonda differenza sul piano politico, de facto, che avrebbe portato la corrente sunnita a diventare la principale e più diffusa corrente islamica (ad oggi circa il 90% della popolazione islamica è di fede sunnita). Questo per ovvie ragioni soprattutto politiche.

La corrente sunnita è quella che più si presta ad una possibile “carriera” politica e spirituale, chiunque si professi di fede sunnita può infatti ambire a diventare guida politica e spirituale dell’intera comunità, e più probabilmente potrà riunire sotto un unico vessillo l’Umma.
Dall’altra parte, questo progetto, per gli sciiti è molto più complesso e difficile da perseguire, poiché solo un legame di parentela reale o presunto con il profeta poteva garantire la possibilità di accedere a tale carica, in questo senso, la fede sciita, più dinastica si sarebbe ritrovata a vivere sulla propria pelle, numerose crisi e lotte politiche tra i vari eredi o presunti eredi, che ambivano alla successione di Maometto, queste lotte interne avrebbero portato alla nascita di numerose correnti minori, di cui almeno tre grandi confessioni sciita, da una parte i Duodecimani (1) (o Imamiti), da un altra parte gli Ismailiti (Settimani) e in fine i Zayditi.

I Duodecimani e Ismailiti nascono in seguito al problema della successione dell’ Imam Jaʿfar al-Ṣādiq avvenuta nel 765, il cui erede legittimo, il primogenito Ismāʿīl era morto prima di Jaʿfar al-Ṣādiq. A questo punto si aprì un problema di successione, per gli Ismailiti l’erede legittimo era Muḥammad b. Ismāʿīl, figlio di Ismāʿīl e nipote di Jaʿfar al-Ṣādiq, mentre i Duodecimani sostennero il fratello di Ismāʿīl, Mūsā al-Kāẓim, nonché figlio secondogenito di Jaʿfar al-Ṣādiq.

Per i sunniti il problema della successione dinastica, per certi versi, non si pone, l’erede legittimo non è infatti colui che condivide il sangue con il suo predecessore, ma colui che si sarebbe dimostrato più inoltrato nello studio e nella conoscenza dei testi sacri.

La grande “versatilità” politica offerta dalla fede Sunnita, l’ha resa con il passare del tempo, sempre più diffusa, fino ad arrivare, come abbiamo già detto, a coprire più del 90% della popolazione islamica mondiale, e soprattutto negli ultimi secoli, in cui gli avvenimenti europei mettevano in discussione il diritto di nascita, e professavano il trionfo della democrazia, la fede sunnita, acquisiva sempre maggiori consensi sul piano, creando leader carismatici in grado di trascinare le folle, dando vita a partiti politici di massa, come il Ba’ath o i Fratelli Musulmani, il cui principale obbiettivo politico è la riunificazione del popolo islamico.
La visione internazionalista della fede sunnita, e la sua politica molto più democratica di quanto non fosse la visione sciita, avrebbe incontrato nell’ultimo secolo e mezzo la visione marxista, portando alla nascita di numerosi partiti socialisti islamici, come il Ba’ath, i cui leader più illustri sono probabilmente la “dinastia” degli Assad in Siria e Saddam Hussein in Iraq, o i Fratelli Musulmani, più radicati in Egitto e a Gaza, e che per l’aperta conflittualità con il Ba’ath, sarebbero stati messi fuorilegge in paesi come Bahrain, Egitto, Russia, Siria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Tagikistan e Uzbekistan.

  1. I termini Decimanide e Settimanide derivano rispettivamente dal decimo e settimo califfato. Per estensione, l’affermazione della dinastia di Osman I, che avrebbe portato alla nascita dell’impero Ottomano, deriva dall’ottavo califfato

Fonti : 

W. Montgomery Watt, Breve Storia dell’Islam, Il Mulino, 2001
M. Emiliani, Medio Oriente. Una storia dal 1918 al 1991, Laterza, 2014.
What is the difference between Sunni and Shia Muslims?, The Economist, Mag 29 2013, S.B. Traduzione in italiano sull’Internazionale, a cura di Giusy Muzzopappa, Gen 05 Gen 2016.

Crociata e jihad a confronto

Crociata e jihād due termini spesso confusi tra loro ed usati come sinonimi. Entrambi i termini possono essere collegati sotto la categoria della “guerra santa”, ma da essa, come tra di loro, esistono delle differenze sostanziali.  Prima di mostrare le differenze che intercorrono tra la crociata e il jihād, farò una piccola digressione descrivendo brevemente la loro origine e i precetti cardine su cui si sostengono.

La crociata venne invocata per la prima volta dal papa Urbano II – vicario di Cristo dal 1088 al 1099 − nel suo discorso di Clermont nel 1095, che aveva come obiettivo la riconquista del luogo più sacro della cristianità: Gerusalemme. Delle guerre sante di rioccupazione dei territori cristiani perduti erano già state intraprese nel passato come sarebbero state combattute nel futuro, ma nessuna di esse raggiunge la sacralità della ripresa di Gerusalemme e del santo sepolcro di Cristo. Il papa, per tale scopo, si rivolse a tutta la cristianità scavalcando l’autorità di re e principi e pregando ogni credente di imbracciare le armi, promettendo anche ricompense ultraterrene, per recuperare l’eredità del figlio di Dio. I toni poi presero anche una piega apocalittica e profetica poiché le sacre scritture descrivevano la presa di Gerusalemme come il prologo per l’Armageddon. Tuttavia, prima di andare a Gerusalemme, l’ultimo imperatore dei tempi doveva convertire gli ebrei, per cui le successive stragi perpetrate contro il popolo ebraico sono il risultato del loro rifiuto a convertirsi al cristianesimo. Con la conquista di Gerusalemme, infine, si sarebbe aperta una nuova via sicura per la città santa. Via che secondo alcuni cronisti dell’epoca era minacciata dalla presenza degli infedeli. La crociata era la guerra santa per eccellenza, volta alla liberazione di Gerusalemme.

 

Il jihād ha come scopo la conquista dei territori non ancora sottomessi all’Islam. Alcuni studiosi del Corano ritengono che questa lotta sia interiore, piuttosto che fisica; una lotta spirituale tra bene e male. È indubbio che al principio il jihād venne inteso nel senso guerriero, infatti lo stesso Maometto combatté le tribù arabe e promise il paradiso per coloro che sarebbero morti in nome di Allah. Tuttavia non necessariamente predicò la conquista oltre l’Arabia, come fecero i suoi successori nei secoli successivi alla sua morte. Il Profeta prevedeva inoltre una certa tolleranza nei confronti degli ebrei e dei cristiani perché riconosceva un origine, un’illuminazione comune. Illuminazione che, per i musulmani, era completata dal Corano. Perciò gli ebrei e i cristiani che vivevano nel mondo musulmano erano ‘protetti’ – dhimmi – e relativamente poco disturbati. Si parla di differenza davanti alla giustizia e al fisco, distinzioni nell’abbigliamento e un generale disprezzo da parte dei musulmani. Gli ebrei e i cristiani erano però liberi di praticare i loro riti liberamente, pur tuttavia senza cercare e formare nuovi seguaci, nel pieno rispetto delle leggi e dell’autorità musulmana.

 

È da questo ultimo aspetto del mondo musulmano che si nota la prima differenza con quello cristiano. Gli ebrei e i cristiani venivano ‘protetti’ dai musulmani, che riconoscevano loro un’origine comune. Così però non era, se non in parte, per i fedeli di Cristo. Infatti gli ebrei ricoprivano quella carica di ‘protetti’. Erano visti come dei fedeli incompleti e godevano, anche se in minor misura, della stessa ‘tolleranza’. I musulmani invece erano visti come un’aberrazione, un’eresia, un castigo divino. Altra differenza è la predicazione del jihād, il quale è volto a riconquistare i territori profondamente cristianizzati come il vicino Oriente, l’Africa, la Spagna e altre regioni. Questo aspetto ha conferito un’ulteriore aura di sacralità per i cristiani che avevano visti invasi, conquistati e saccheggiati i propri luoghi sacri: Roma era stata saccheggiata nell’846 d.C.; Santiago de Compostela veniva distrutta nel 997, e Gerusalemme era una meta di pellegrinaggio da tempo in mano agli infedeli. L’impegno per la riconquista dei territori perduti e dei luoghi sacri avrebbe indotto Dio a placare la sua furia e a ristabilire lo status quo ante. Infine il jihād è originario nella fede musulmana, sia che lo si intenda come una lotta armata sia come una spirituale. Esso è voluto dai fedeli per estendere il ‘territorio della fede’. Invece la crociata, e in generale la guerra santa, è un frutto dell’evoluzione socio-politica di circa mille anni. Essa è una guerra che volta le spalle alla dottrina della prima Chiesa e dei precetti evangelici.

 

In conclusione il jihād è una forma di guerra santa prevista dalla religione musulmana e reclamata dai fedeli per la conquista, o riconquista, di territori della fede. La crociata è la più santa tra le guerre sante, ha come obiettivo la riconquista di Gerusalemme e della tomba di Cristo, volta le spalle ai precetti evangelici ed è invocata e voluta dal papa.

 

Bibliografia

La guerra santa di Flori Jean

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