Trump dichiara ANTIFA un organizzazione terroristica, da non confondere con l’Antifascismo.

Washington DC erano le 18:23, (ora italiana) quando il presidente della prima democrazia al mondo, ha dichiarato che “Gli Stati Uniti d’America designeranno ANTIFA come organizzazione terroristica”, un tweet di Donald Trump che non lascia molto spazio all’immaginazione, ma che può può facilmente essere frainteso.

The United States of America will be designating ANTIFA as a Terrorist Organization.
-Donald Trump, 31 Maggio 2020…

Washington DC erano le 18:23, (ora italiana) quando il presidente della prima democrazia al mondo, ha dichiarato che “Gli Stati Uniti d’America designeranno ANTIFA come organizzazione terroristica”, un tweet di Donald Trump che non lascia molto spazio all’immaginazione, ma che può può facilmente essere frainteso.

Chiariamo una cosa quindi, Trump, non ha detto che gli USA tratteranno l’antifascismo come un organizzazione terroristica, ma ha ha scritto che gli USA tratteranno ANTIFA come un organizzazione terroristica.

Può sembrare la stessa cosa, ma non è assolutamente così, ANTIFA sta all’antifascismo come Al Qaeda sta all’Islam o come il KKK stava alla chiesa cattolica, sono cose diverse, sono cose diverse, la prima, ANTIFA, è una rete spontanea, la seconda, l’antifascismo, un Ideologia, e in quella rete spontanea, ci sono dei terroristi che, già in passato hanno compiuto attentati, così come ci sono persone con un ideale.

In ogni caso, Trump, non ha reso e non intende rendere l’antifascismo illegale, o considerare gli antifascisti dei terroristi, i soli che verranno considerati terroristi saranno coloro che, in nome dell’antifascismo, piazzeranno progetteranno o compiranno attentati.

Cerchiamo allora di mettere un po’ di ordine e capire cosa volesse dire Trump con quelle parole e perché le ha dette.

Che cos’è ANTIFA?

Qualcuno potrebbe giustamente chiedersi, cos’è ANTIFA? e la risposta più semplice è che ANTIFA, abbreviazione di anti fascist action o meglio si tratta di un movimento politico, apartitico, che quindi non si identifica in nessun partito politico, generalmente associata a valori di sinistra o anarchici, anche se tra padri del movimento vi erano numerosi uomini appartenenti anche e soprattutto ad altri ambienti politici, come la destra liberale.

L’intento di ANTIFA questo movimento di ispirazione antifascista è fondamentalmente uno, impedire, denunciare e opporsi alla nascita di movimenti di estrema destra di ispirazione fascista, che, al di la del nome del partito politico italiano degli anni venti, identifica una ben precisa ideologia politica di estrema destra sovranista e conservatrice che presenta al proprio interno alcuni elementi di socialismo nazionalista.

ANTIFA e Antifascismo

ANTIFA è un organizzazione di matrice antifascista, che quindi si ispira al manifesto politico dell’antifascismo scritto in italia nel 1925, redatto da Benedetto Croce e firmato, tra gli altri, da uomini del calibro di Giovanni Gentile.

Tuttavia, tra l’ispirazione antifascista e ciò che ANTIFA è effettivamente, c’è un intero mondo. Insomma, ANTIFA non è l’antifascismo, così come il partito comunista dell’unione sovietica non è il comunismo. All’atto pratico ANTIFA è un organizzazione spontanea, un collettivo, riconosciuto ufficialmente in alcuni paesi, come gli USA, ma che non ha un proprio organico o una propria sede ufficiale e in particolare, negli USA, già dal 2017, ANTIFA è sotto l’attenzione di diverse agenzie federali.

ANTIFA negli USA

Negli USA il movimento ANTIFA ha tratti molto radicali, e vede tra i propri militanti numerosi simpatizzanti dell’estrema sinistra ed anarchici, uomini e donne mossi da precise idee politiche antifasciste, anticapitaliste e anticlassiste che, non trovano spazio nella politica ufficiale fortemente centrista incarnata dai due grandi partiti Democratico e Repubblicano.

Negli ultimi anni, in particolare dall’elezione di Donald Trump, il movimento ANTIFA negli USA ha denunciato uno slittamento della politica nazionale, soprattutto negli ambienti repubblicani, verso l’estrema destra, slittamento incarnato dal trionfo del sovranismo di Trump e una politica federale ed estera sempre più protezionista e aggressiva. Questo spostamento ha fatto si che il movimento di ispirazione antifascista aumentasse la propria attività e il proprio attivismo, organizzando numerose manifestazioni, e in alcuni casi ricorrendo ad azioni violente, che hanno attirato l’attenzione delle agenzie federali per la sicurezza interna, in particolare l’FBI.

All’apice dei disordini partiti da Minneapolis dopo la morte dell’afroamericano George Floyd, causata da un agente di polizia, il movimento ANTIFA di Minneapolis, già noto ai federali per il proprio temperamento, si è reso protagonista delle manifestazioni, e degli scontri con le forze dell’ordine, provocando, tra le altre cose, atti vandalici e criminali, il tutto elevando una dialettica per cui la violenza della polizia contro le rappresaglie succedute all’omicidio di George Floyd, venivano associate al fascismo.

My 2 Cent

Ho voluto riassumere eventi e concetti così da gettare le basi per quelle che saranno le mie personali conclusioni.

Appena ho letto la notizia ho subito pensato “ok, Trump ha reso illegale l’antifascismo negli USA” in realtà non è proprio così, ANTIFA e Antifascismo, come specificato, sono cose diverse, anche se, spesso associate impropriamente, per intenderci, ANTIFA sta all’Antifascismo come Al Qaeda sta all’Islam e in teoria, condannare ANTIFA non significa condannare l’Antifascismo.

In teoria, all’atto pratico ANTIFA è percepito come l’incarnazione stessa dell’antifascismo e dunque, dichiarare ANTIFA un organizzazione terroristica, significa puntare il dito contro l’antifascismo in generale. Questo non significherà che chiunque si dichiarerà antifascista negli USA verrà arrestato e portato in prigioni come Guantanamo, o che si ricorrerà al Patrioct ACT per arrestare antifascisti e organizzazioni antifasciste nel paese, del resto, negli USA non si viene arrestati perché islamici, ma, e c’è un enorme ma, se a livello giuridico ANTIFA e Antifascismo sono cose separate, per l’opinione pubblica non è così, per l’opinione pubblica ANTIFA è l’Antifascismo, e questo è un grosso problema.

Apro una parentesi sul patrioct act, per chi non sapesse di cosa si tratta, è una legge speciale varata dopo l'11 settembre 2001 che attribuisce alle forze dell'ordine poteri speciali in caso di terrorismo o minacce alla sicurezza nazionale, e per poteri speciali si intende che i sospettati possono essere interrogati senza un avvocato, possono essere arrestati senza mandato, possono essere trattenuti in cella per più di 24 ore, inoltre, le forze dell'ordine non hanno limiti nell'uso della forza. 

Parlando di problemi, forse per i Democratici statunitensi è una fortuna che Bernie Sanders abbia scelto di ritirarsi dalla corsa alle presidenziali, poiché da giovane e ha lo ha ribadito di recente, Sanders si è dichiarato Antifascista, e vista l’impropria associazione tra ANTIFA e antifascismo… ma questa è un altra storia.

Parlando dell’impatto di queste dichiarazioni sull’opinione pubblica, in un momento di grande tensione come questo, in cui ANTIFA si è reso protagonista degli scontri con la polizia a Minneapolis, e numerosi movimenti antifascisti stanno guidando manifestazioni, pacifiche e non, il rischio che queste manifestazioni d’ora in avanti assumano tratti più violenti, non è da escludersi.

Cito i fatti di Minneapolis perché c’è una connessione diretta tra le cose, qualcuno potrebbe pensare che è curioso che, questa dichiarazione di Trump, cada proprio in questo momento, ma la verità è che non è un caso, guardiamo allora al quadro generale.

Mentre il popolo USA protesta contro gli abusi delle forze dell’ordine e della polizia e i manifestanti definiscono Fascisti i poliziotti USA e la polizia reprime le manifestazioni in USA quasi peggio di quanto la non stia facendo la polizia Cinese ad Hong Kong, il presidente Trump, amico dei Sovranisti dichiari di voler trattare ANTIFA come un organizzazione terroristica.

La realtà è che questa dichiarazione, all’atto pratico, non significa nulla, ci sono collettivi ANTIFA negli USA che già ora sono monitorati dall’FBI sospettati di essere terroristi e sovversivi, così come ci sono associazioni di supremachisti bianchi sotto la lente dell’FBI, ma ci sono anche collettivi ANTIFA in cui militano poliziotti, figli di poliziotti, nipoti di militari veterani della seconda guerra mondiale che il fascismo, quello vero, lo hanno combattuto.

Ciò che credo accadrà in seguito a queste dichiarazioni, ha un carattere soprattutto politico, non necessariamente negativo, ma certamente non positivo. Molto probabilmente seguiranno distorte dichiarazioni da parte di politici statunitensi e stranieri, che fingendo di non capire la differenza tra ANTIFA e Antifascismo, punteranno il dito contro l’antifascismo, e questo lo vedo molto probabile soprattutto in paesi come l’Italia. Credo ci sarà maggiore disordine sociale e credo che le manifestazioni negli USA si inaspriranno, soprattutto da parte della polizia.

Per quanto riguarda ANITFA in generale, se i suoi militanti piazzano bombe carta, distruggono e saccheggiano negozi e assaltano centrali della polizia, non serve che il presidente li dichiari pubblicamente terroristici, perché neanche negli USA il presidente è il giudice supremo dello stato, chi commette dei crimini deve essere arrestato e giudicato di fronte alla legge, e nel rispetto della legge. Non dovrebbero esistere eccezioni, o distinzioni, come le eccezioni per i terroristi o presunti tali, ne dovrebbero essere fatti dei distinguo tra le varie organizzazioni criminali di estremisti religiosi o politici.

Con questo cosa voglio dire?

Voglio dire che se un uomo, bianco, entra in una moschea e urla “make america great again” prima di aprire il fuoco e fare una strage, non può essere trattato diversamente da un uomo, di colore, che entra in una chiesa e urla “allah akbar” prima di aprire il fuoco e fare una strage, purtroppo però, queste differenze, soprattutto negli USA ci sono, il colore della pelle o l’orientamento politico, fanno la differenza tra un attentato terroristico e il gesto di un folle.

Conclusioni

In conclusione Trump non ha reso illegale l’antifascismo, ne ha dichiarato di voler rendere illegale l’antifascismo, il dito di Trump è puntato contro un organizzazione, che già ora, e da diversi anni, è sotto l’occhio delle agenzie federali, e che ha compiuto diversi attentati terroristici. ANTIFA non è un organizzazione terroristica, e Trump non ha il potere di trasformare arbitrariamente un movimento politico in un organizzazione terroristica.

Tra l’altro, la propaganda statunitense durante la seconda guerra mondiale, era di matrice antifascista, la missione degli USA era quella di liberare l’europa dal fascismo e dal nazismo, dichiarare illegale l’Antifascismo, significherebbe screditare gli eroi americani che hanno combattuto e sono caduti durante la seconda guerra mondiale e legittimare il nome di Hitler e Mussolini.

Persino Trump, nella sua follia, sa perfettamente che una cosa del genere, probabilmente gli costerebbe una condanna per tradimento.

Storia e funzione del Carnevale

Il carnevale è la festa della satira e dello scherzo, il giorno in cui cadono le convenzioni sociali e si ribalta l’ordine precostituito della società, ma anche il giorno in cui ci si abbuffa di carne prima di una lunga dieta spirituale.

Il carnevale è una delle mie feste preferite, fin da quando ero bambino, e crescendo ho iniziato ad apprezzarlo sempre di più, non solo per il modo in cui era vissuto, ma anche per la sua storia e per il suo significato più profondo.

Al di la della ricorrenza prettamente religiosa, che segna l’inizio della quaresima, praticamente la versione cristiana del Ramadan islamico, in cui, in teoria, per circa 40 giorni si rinuncia al consumo di carne e di alcolici, ma che nei fatti si riduce a non mangiare carne per meno di un giorno alla settimana, questa festività, in qualche modo legata al martedì grasso sul piano etimologico (carnevale deriva da una locuzione latina che significa eliminare la carne), è in realtà molto più antica del carnevale stesso e dello stesso cristianesimo.

Il carnevale venne riscoperto in italia intorno al XV secolo, o almeno, è in quel periodo che incontriamo i primi riferimenti al carnevale, più o meno così come lo conosciamo oggi, è nel 1400 che questa parola, carnevale, inizia ad essere utilizzata in concomitanza con il martedì grasso e l’inizio della quaresima, e da lì in avanti si sarebbe diffusa in tutta europa e successivamente nel mondo, ma è in italia che per molto tempo, sarà maggiormente radicata.

In realtà, nel XV secolo, il termine carnevale era già in uso in italia da qualche secolo, per indicare alcune festività mascherate, in particolare a Venezia, il termine carnevale, era usato fin dall’XI secolo, per indicare un importante festa cittadina mascherata, festa che sarebbe poi evoluta nel carnevale veneziano, che oggi è una delle celebrazioni del carnevale più iconiche, rappresentative e apprezzate al mondo, ma che, a differenza di altri carnevali, guarda al carnevale in un modo, potremmo dire unico, ed è forse proprio questa unicità che rende il carnevale di venezia così particolare ed apprezzato.

Che cos’è quindi il carnevale vi starete chiedendo? se è non l’ultima grande abbuffata di carne prima della quaresima, cosa rappresenta questa festa? e perché il carnevale di Venezia è così diverso da quello di New Orleans?

Partiamo dal principio, il carnevale, così come molte delle festività e delle ricorrenze del mondo cristiano (e non solo), ha origine nel mondo antico, in epoca greco/romana, e si plasma su di alcune festività e celebrazioni pagana precedenti. Lo stesso è avvenuto anche per il natale e la pasqua e il carnevale, non fa eccezione.

Il motivo di questa sovrapposizione dell’iconografia cristiana al precedente mondo pagano è legato ad una fase transitoria della civiltà, delle tradizioni e della cultura e serviva principalmente a facilitare il passaggio alla nuova cultura, richiamando, nella nuova cultura cristiana, alcuni dei principali modelli tradizionali e quindi, delle principali festività, questa sovrapposizione ha portato, soprattutto in italia ad alcuni fenomeni particolari, come il culto dei santi, di fatto una rielaborazione in chiave cristiana degli antichi pantheon politeistici.

La festività anzi, le festività su cui si basa il carnevale sono numerose e varie, ma tra le tante, le feste dionisiache per il mondo greco ed il loro analogo romano, i saturnali , sono quelle certamente più significative.

Durante le dionisiache e le saturnali, nel mondo antico, si realizzava un totale ribaltamento dell’ordinamento sociale, le convenzioni sociali in quelle giornate venivano sospese e in nome dello scherzo e della dissolutezza, ognuno era libero di dire ciò che voleva e lasciarsi andare ad azioni fuori dal comune.

In queste giornate anche l’ultimo degli ultimi poteva sentirsi un re, mentre i ricchi e potenti, potevano scendere dai loro piedistalli e lasciarsi andare, ai loro più arcani desideri, senza vergogna e senza la necessità di nascondersi.
Per fare un esempio concreto, a Roma, durante i saturnali, gli schiavi erano elevati a padroni ed i padroni servivano gli schiavi, e questo molto spesso si traduceva in feste particolari e piccanti.

Festività di questo tipo, in cui l’ordine sociale viene ribaltato per uno o più giorni, non sono una peculiarità del mondo romano, ne incontriamo infatti in quasi ogni civiltà antica, le incontriamo a Babilonia, in occasione dell’equinozio di primavera, ma anche in India, in Cina, in Giappone, nel mondo germanico e in quello celtico, insomma, ne incontriamo realmente dappertutto, in momenti diversi dell’anno, in epoche diverse e con celebrazioni diverse dal significato diverso.

Il motivo per cui il ribaltamento temporaneo dell’ordinamento sociale e la sospensione di ogni convenzione sociale in alcune giornate di festa, è così presente nel mondo antico, ha ragioni sociologiche e politiche.

Queste feste erano uno strumento di controllo della popolazione, delle masse, e il controllo avveniva fornendo alle masse popolari una sorta di valvola di sfogo che esorcizzasse la realtà permettendogli, per un giorno, di sentirsi liberi e sereni, letteralmente nei panni di qualcun’altro, non è quindi un casa se oltreoceano nel XIX secolo, negli stati uniti e in Brasile, al tramonto della schiavitù, il carnevale sia riuscito a radicarsi ed affermarsi così tanto, da rendere città come New Orleans, sul delta del Mississippi, e Rio, alcune delle capitali mondiali del carnevale.

Rio e New Orleans, hanno in comune un passato travagliato e doloroso e sono realtà urbane molto povere, soprattutto negli anni delle prime celebrazioni del carnevale, ed è in quella grande povertà di città popolate principalmente da contadini, da reietti ed ex schiavi, che questa festa esplode in maniera fragorosa, rumorosa ed estremamente colorata.

Diversamente, realtà storiche come Venezia, molto ricche, potenti e influenti, vedono l’evolversi di un carnevale diametralmente opposto.

Quello veneziano è un carnevale molto più antico, di quello di Rio, di New Orleans o di Viareggio per restare in italia, ed è forse il primo vero carnevale ad introdurre la maschera.

La maschera che copre il volto e rende irriconoscibile chi la indossa, come per i dionisiaci ed i saturnali, ribalta l’ordine sociale, non lo ribalta totalmente però, nel carnevale di Venezia infatti le convenzioni sociali ed il costume rimane invariati, ciò che decade a Venezia è “solo” lo status sociale. Venezia è una città, una repubblica, di mercanti e mercenari, vi sono ricchi e poveri ma vi sono relativamente pochi nobili, e in questa realtà in cui di fatto tutti sono potenzialmente uguali, ma nei fatti non lo sono, eliminare la gerarchia sociale per un giorno, significa rafforzare quella prospettiva di successo che anima gli strati più poveri della società. Indossare una maschera a Venezia significa dimenticarsi per un giorno quanto si è ricchi o poveri e vivere in mezzo agli altri, con la possibilità di interagire con persone altrimenti irraggiungibili. E questo, come per i saturnali romani, molto spesso sfociava in eventi “privati” particolari e piccanti.

Diciamo però che il festino di eyes wide shut anche se non è totalmente rappresentativo della realtà, sotto certi aspetti, ci dice molto su queste feste private.

Il carnevale quindi si dirama storicamente in due filoni e quello che è giunto a noi è soprattutto la sua componente popolare, il carnevale povero, se infatti per le classi agiate il carnevale era sinonimo di feste ad alto contenuto erotico, per la maggior parte della popolazione il carnevale era soprattutto una festa della satira e dello scherzo, la festa che frantumava l’ordine sociale ed è proprio questa la componente che sarebbe sopravvissuta (anche se a Rio e New Orleans la componente erotica è ancora molto presente)

Oggi il carnevale è soprattutto questo, una festa giocosa, allegorica, con un alta, altissima, concentrazione satirica, potremmo quasi dire che il carnevale è la festa della satira per eccellenza e non è così solo oggi, è così da prima che esistesse il carnevale.

La scorsa settimana sono stato al carnevale di Viareggio, ci vado ormai ogni anno da almeno da qualche tempo, e questo carnevale è, dal punto di vista della satira, quello più iconico e significativo, è impossibile non incontrare a Viareggio carri o maschere che fanno il verso agli attuali protagonisti della politica italiana e non.

Di solito c’è molta attenzione all’attualità, soprattutto alla politica interna, quest’anno però ho avuto come l’impressione che questa componente fosse molto depotenziata, praticamente non c’erano carri raffiguranti il volto di Conte, Di Maio e Salvini, e pure per anni membri del governo più noti, opportunamente inseriti in contesti satirici e caricaturali, sono stati i veri protagonisti del carnevale di Viareggio, e il carro, il gioco, lo scherzo, la satira, era un modo per esprimere una critica politica forte, ma con leggerezza, quest’anno però la satira è stata rivolta soprattutto all’estero, e vedeva protagonista Donald Trump, ma di riferimenti alla nostra politica non c’era quasi l’ombra e i pochi che c’erano hanno suscitato una reazione nel pubblico presente, non particolarmente piacevole.

Mi ha colpito particolarmente un episodio di cui sono stato testimone diretto, stava sfilando una maschera raffigurante Mussolini che cavalcava in sella ad un T-Rex, mentre in mano teneva una maschera raffigurante il volto di Matteo Salvini e il titolo della maschera era “sono tornato”.
Questa maschera era satira pura e lanciava un messaggio politico molto forte, soprattutto se si considera che Viareggio si trova in una regione che ha vissuto in modo molto duro la guerra civile ed allo stesso tempo è potuta in qualche modo fiorire a livello urbano durante gli anni del fascismo. Viareggio si trova in una zona d’italia in cui il ricordo il ricordo del fascismo e della guerra civile è molto doloroso, da entrambe le parti, e pure, mai mi sarei aspettato di vedere qualcuno che durante la sfilata di carnevale, urlasse ad una maschera parole poco lusinghiere sulla madre dell’autore e commentasse la maschera dicendo “basta con la politica, siamo qui per divertirci”.

Se siete arrivati fino a questo punto avrete già letto la ricostruzione della storia del carnevale, avrete familiarizzato con il suo ruolo ed il suo senso, la sua missione di ribaltare l’ordine sociale e l’elevazione della satira e sentire gridare ad una maschera satirica, “basta satira”, basta con la politica, a carnevale è stato abbastanza sconcertante. Criticare la satira in una festa che è la massima espressione della satira ed è nata per ragioni politiche, è un po’ come criticare il formaggio in un cheesburgher.

Il carnevale di Viareggio, come manifestazione, ha inizio sul finire del XIX secolo ma è diventato così come lo conosciamo oggi, con grandi carri, sfilate e tanta satira, soltanto nel 1925, e questa data è importantissima, perché ci troviamo nel 1925, all’alba del venennio fascista, pochi mesi dopo il carnevale del 1925 sarebbe stato pubblicato il manifesto degli intellettuali fascisti, ma, nonostante il regime, nonostante il clima autoritario del regime fascista, il carnevale è stato festeggiato e celebrato per tutto il ventennio o almeno fino al 1939, e solo negli anni della guerra e poi della guerra civile non hanno sfilato maschere, ma perché l’italia era in guerra, non per altro.

Persino negli anni più duri del ventennio e della repressione fascista, a carnevale, la satira ha trionfato e tra i carri che sfilavano, in tutta italia, era facile riconoscere le sembianze caricaturali di giganti in carta pesta raffiguranti Benito Mussolini e Vittorio Emanuele.
E qui arriva il dramma, perché se negli anni del regime la satira era tollerata, anche se nel solo giorno di carnevale, per via del ribaltamento dell’ordine sociale concesso in quella giornata, se nel vivo del ventennio fascista, nella parentesi più cupa della storia italiana, a carnevale era comunque possibile prendere in giro Mussolini, le cose oggi sembrano stiano preparandosi ad andare in una direzione totalmente diversamente, la satira è demonizzata sempre più spesso e si viene perseguitati e condannati mediaticamente se si fa satira, e se è drammatico che questo avvenga in giornate ordinarie, il fatto che stia iniziando ad avvenire anche a carnevale è allarmante.

E’ già grave che non si possa quasi scherzare sulla politica, ma se non lo si può fare neanche a carnevale, allora abbiamo un problema, ed è un problema enorme. Se questa è la strada che stiamo intraprendendo allora mi chiedo, in che cosa siamo diversi dalla Russia, dalla Turchia, dalla Korea, o Cina, dove si rischia il carcere se si associa il presidente a Winnie the Pooh, per via della palese somiglianza estetica tra i due?

We the People rivendichiamo il diritto a ricercare la nostra felicità

La dichiarazione di indipendenza americana non fu solo l’atto fondativo di una nuova nazione, ma segna anche la rivendicazione di una nuova scala di valori e di nuovi diritti universali tra cui il diritto a ricercare la propria felicità

Noi (il popolo) riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità;

Queste parole dal valore universale, provengono da uno dei documenti più importanti del XVIII secolo, la dichiarazione di indipendenza delle tredici colonie britanniche dell’America settentrionale.

Questo documento venne elaborato in seno al secondo congresso continentale, che ebbe luogo a Filadelfia nel 1776, in quella che oggi è nota al mondo come la Indipendece Hall e fu in fine firmato e successivamente ratificato dai cinquantacinque delegati del congresso, tra il 2 ed il 4 luglio del 1776.

Ma la firma di questo documento epocale la firma della dichiarazione di indipendenza, non rappresenta soltanto l’atto fondativo di una nazione nuova e borghese, totalmente aliena alle tradizionali gerarchie sociali, la firma di questo documento non si limitò ad indicare la rottura definitiva tra la nascente nazione americana e l’antico impero britannico, no, sarebbe troppo semplice se fosse solo così.

La dichiarazione di indipendenza, con la sua stessa esistenza e con i propri principi, mise in luce l’ineluttabile ed inevitabile cambiamento imminente che da lì a poco avrebbe stravolto il mondo intero, e questo forse è l’elemento più importante, più incisivo, più significativo della dichiarazione, poiché con questa dichiarazione il popolo americano prima, e successivamente il mondo intero, rivendicava l’esistenza di alcuni diritti universali e ritenuti inalienabili e tra questi vi erano il diritto alla Vita alla Libertà e al perseguimento della Felicità.

Ed è proprio su quest’ultimo punto che vorrei sviluppare la mia riflessione, il perseguimento della felicità, già, perché la dichiarazione non parla di Diritto alla felicità, ma parla invece, di diritto al perseguimento della felicità, parla di diritto alla ricerca della felicità, e questo significa che la ricerca è un diritto, ma trovarla è tutta un altra storia.

Personalmente credo che la ricerca della felicità, e in termini più ampi, la ricerca dell’amore, sia qualcosa di implicito negli esseri umani.

Ricerchiamo la felicità non perché ne sentiamo il bisogno, ma perché il solo atto di cercarla, di inseguirla, ci da speranza e questa speranza ci pone in uno stato di benessere che rende tutti un po’ più felici.

Personalmente sono un po’ come un bambino al parco, ad una fiera, che vede il venditore di palloncini, vede tutti quei palloncini colorati che volano, e ne desidera uno, anche se non ne ha bisogno, anche non gli serve assolutamente a nulla e sa, sa perfettamente che se lo avesse, non potrebbe farci praticamente nulla se non tenerlo legato al polso, guardarlo e contemplarlo.

Ma è proprio lì, in quell’atto genuino e disinteressato, totalmente fine a se stesso che è guardare il palloncino, contemplarlo, che il bambino sorride, il bambino è felice ed è felice grazie ad un qualcosa che è assolutamente inutile e di cui in realtà non ha alcun bisogno.

E allora, io forse non sarò felice, perché non ho un palloncino che mi rende felice, ma non ho motivo di nascondermi dietro un falso e freddo grado di necessità, non ho bisogno di dire, ripetere a me stesso che non ho bisogno di quel palloncino, se bene ne sia consapevole, se bene sappia perfettamente di non averne alcun bisogno, ma non per questo non lo desidero, o mi nascondo dietro un illusoria maschera di utilitarismo e funzionalismo, per cui, se qualcosa è inutile, se qualcosa è fine a se stessa, allora non serve.

Perché vedete, per me non è così che funziona, non è così che vanno le cose, non voglio accontentarmi di avere solo ciò di cui ho bisogno, io voglio anche, e soprattutto, ciò di cui non ho bisogno, ma che mi rende felice, io voglio il mio palloncino e credo che tutti dovrebbero cercare il proprio palloncino, perché ne abbiamo il diritto, perché inseguire e ricercare la propria felicità non è uno spreco di tempo, ma forse è l’unica vera ragione della nostra esistenza.

Per rendere più semplice questa riflessione, voglio provare a fare un esperimento e fare un analogia con il cibo, con l’alimentazione (i nutrizionisti mi perdonino se nel mio esempio sarò impreciso, la mia è solo una generalizzazione).

Se dovessi mangiare e bere solo ciò di cui ho bisogno, solo ciò che mi serve per sopravvivere, per non morire di fame e di sete, se mi limitassi ad assumere soltanto i nutrienti basilari di cui il mio l’organismo ha bisogno, nelle precise dosi di cui il mio corpo ha bisogno, se mi limitassi ad assumere proteine, vitamine, carboidrati, grassi e i nutrizionisti non me ne vogliano se non sono preciso in questo elenco, se dovessi assumere queste sostanze nutrienti in maniera misurata e calcolata al milligrammo, il mio corpo certo, starebbe bene, probabilmente starebbe d’incanto perché avrebbe esattamente ciò di cui ha bisogno nella misura esatta di cui ha bisogno, ma a quel punto, nutrirmi sarebbe solo un atto dovuto, qualcosa di necessario, un azione meccanica finalizzata alla mera sopravvivenza.

E allora, allora mi chiedo, perché affannarsi tanto per stare al mondo e in cosa noi uomini siamo diversi da un automa, da una macchina, da una bestia che non sa apprezzare il sapore di un buon cibo e la fragranza di un buon vino, che non sa riconoscere la bellezza quando la incontra, che non sa distinguere il profumo di un fiore dal tanfo immondo di un tombino scoperto.

Di fatto noi, non abbiamo bisogno di sapori, di bellezza, di profumi, non abbiamo bisogno dell’amore, e pure li cerchiamo, e cercarli, trovarli, gustarli, con gli occhi e, anche un po’ con la mente, ci riempie il cuore di gioia, ci rende felici e nel renderci felici ci eleva.

E un esempio di questa elevazione ci è dato dal racconto di fantascienza L’uomo bicentenario, di Isaac Asimov, pubblicato nel 1977 nella raccolta Antologie del Bicentenario e da cui, nel 1999 sarebbe stato tratto anche il film omonimo, l’uomo bicentenario, con protagonista Robin Wiliams.

L’uomo bicentenario del racconto è in origine una macchina, una macchina con un malfunzionamento, un guasto, un imperfezione che la rende paradossalmente umana, perché grazie a questo malfunzionamento la macchina è in grado di provare emozioni, è in grado di comprendere la bellezza, è una macchina che impara che cos’è l’amore, e pur di vivere a pieno tutte le esperienze sensoriali proprie dell’uomo, apporta a se stesse una serie di modifiche che l’avrebbero resa sempre più umana, e qui sorge il problema, perché la crescente umanità della macchina le costerà la propria immortalità meccanica.

La macchina immortale si fa uomo e da uomo conoscerà la gioia, la felicità e la morte.

Ora, l’uomo bicentenario sceglie la vita e con essa accetta la morte, ma l’uomo non ha questa possibilità di scelta, l’uomo è condannato alla vita, e nel suo vivere limitato ha compreso una verità importantissima, ha imparato che cercare la felicità non significa necessariamente trovarla, ma in questa prospettiva, l’uomo ha inventato il paradiso.

E cos’è il paradiso, se non la promessa estrema, eterna e inconfutabile, di una futura conquista della felicità che supera e sconfigge la morte.

E allora cerchiamo ostinatamente la felicità anche se sappiamo che l’atto di cercare non implica necessariamente la possibilità di trovarla, perché magari la nostra felicità, il nostro palloncino, è così grande, così inafferrabile e irraggiungibile che un intera vita non è sufficiente a raggiungerla, e allora abbiamo due alternative.

Possiamo arrenderci, smettere di cercare e sprofondare nell’oblio più oscuro e profondo, oppure possiamo continuare a lottare, provando a raggiungerla nonostante gli ostacoli e le difficoltà, nonostante l’apparente impossibilità di successo, e anche se quel palloncino non diventerà mai nostro, il solo atto di cercare di afferrarlo ci dona già, un primordiale senso di benessere che ci aiuta a stare meglio, la promessa di un futuro migliore di cui forse non abbiamo bisogno, ma di cui non possiamo fare a meno, di cui non abbiamo necessità, ma che è fondamentale per sentirsi vivi.

Magari qualcuno, in vita, non riuscirà a raggiungere il proprio palloncino, un po’ come Achille cje non avrebbe mai raggiunto la tartaruga, e pure, anche senza riuscirci, senza mai raggiungerlo, qualcuno proverà ad avvicinarsi fino al limite estremo, fin quasi al punto di sfiorarlo e questo qualcuno sarà pronto a tutto, anche a sacrificare se stesso, anche ad iniziare una vera e propria guerra contro il mondo, se il mondo proverà ad impedirgli, non di afferrare, ma di inseguire il proprio palloncino.

Avete scelto di essere audaci. Difenderò le speranze d’Europa

Grande fiducia nelle istituzioni internazionali e nella comunità europea, sembrano trasparire dalle parole del neoeletto presidente della repubblica francese Emmanuel Macron, che esordisce parlando di Audacia, si Speranza e di Europa.

“Avete scelto di essere audaci. Difenderò le speranze d’Europa”

Viviamo in un epoca in cui la fiducia nell’Unione Europea vacilla, e l’imminente uscita dall’unione della Gran Bretagna porta con se due soli possibili scenari, da una parte un effetto domino che nel giro di qualche anno potrebbe allontanare dalla comunità i paesi con un economia piu’ forte, uno su tutti la Francia, che, negli ultimi anni è stata una delle vittime privilegiate del terrorismo internazionale, e dall’altra parte, potrebbe verificarsi un consolidamento delle istituzioni europee, che avrebbero l’effetto di accelerare, o meglio, riportare a velocità ottimale, l’evoluzione comunitaria che, negli ultimi anni, ha subito un forte rallentamento, causato soprattutto dalla massiccia crisi economica, finanziaria e sociale, che, nell’ultimo decennio ha messo a dura prova anche i piu’ accesi sostenitori dell’Europa.

Già in passato, e in diverse occasioni, il “nazionalismo francese” incarnato soprattutto nella figura di Charles de Gaulle, ha rallentato la comunità europea, in alcuni casi, bloccando alcuni importanti progetti, di cui la rancia stessa era stata promotrice (come ad esempio la CED, la Comunità Europea per la Difesa) e in altre occasioni ha rallentato ed ostacolato il piu’ possibile, l’integrazione in alcuni settori commerciali che per Parigi erano considerati di vitale importanza per l’economia francese.

Marie Le Pen, sembrava incarnare quel Nazionalismo ed il suo partito sembrava rappresentare un ritorno a quel triste passato fatto di concorrenza e rivalità tra le nazioni europee, un passato in cui la Francia si scagliava “da sola” contro il mondo, temendo un rafforzamento dell’asse Londra-New York che avrebbe potuto creare un ineguagliabile polo economico/commerciale. Tuttavia, le recenti elezioni presidenziali si sono concluse positivamente per il candidato di centro sinistra Emmanuel Macron, sottolineando, almeno apparentemente, una rinnovata fiducia francese per nei confronti della comunità europea. Una fiducia francese che probabilmente deve un enorme tributo alla “sfiducia” britannica nei confronti della UE, manifestatasi lo scorso giugno con un referedum consultivo in cui è emersa un apparente volontà britannica di lasciare l’Europa, ma il Regno Unito, nonostante i suoi annunci, nonostante le sue decisioni, è ancora impantanata in una fitta rete burocratica, di cui sembra non volersi liberare, e che continua a tenere il paese legato all’UE.

La vittoria di Macron, che in campagna elettorale si è detto vicino alla comunità europea, ed ha dichiarato di voler mantenere gli impegni presi dalla Francia con la comunità europea, e continuare sulla strada dell’integrazione, nonostante l’elevatissimo livello di astensione, che ha raggiunto il picco piu’ alto dal 1969, negli anni quindi delle proteste e delle manifestazioni che seguirono la scia dei movimenti operai e studenteschi del sessantotto, con una Francia totalmente immersa in un anacronistico tentativo di mantenere vivo l’impero coloniale, che di fatto costava alla Francia piu’ di quanto non desse alla francia.

Il parallelismo tra l’ostinazione francese nel voler mantenere vivo l’impero coloniale negli anni sessanta, e quello odierno nel voler mantenere viva la comunità europea tuttavia è solo apparente, e se si guarda al 1969 è da tenere a mente che quelle elezioni furono vinte da Georges Pompidou, che subentrò alla presidenza di Charles de Gaulle.

Pompidou all’epoca rappresentò il cambiamento di rotta l’abbandono del nazionalismo francese e del gollismo, la rinuncia all’impero coloniale per puntare su qualcosa di nuovo e innovativo, Pompidou sarebbe stato un acceso sostenitore della nascente comunità europea, all’epoca costituita da diverse organizzazioni comunitarie quali la CECA, CEE, ecc. Ed è in questa fiducia di Pompidou per l’europa che vi è il reale parallelismo tra le elezioni del 1969 e quelle del 2017, ma il fatto piu’ interessante e allo stesso tempo “attuale” della presidenza di Pompidou avvenne nel 1972 quando il presidente francese propose un referendum che avrebbe permesso alla Gran Bretagna di entrare a far parte della comunità europea.

Fino a quel momento il Regno Unito si era mantenuto fuori dalle istanze comunitarie preferendo un legame piu’ solido con l’EFTA, organizzazione internazionale concorrenziale alla comunità europea, ma i risultati positivi che la comunità europea aveva ottenuto in pochissimi anni, nei vari settori in cui era impegnata, rappresentavano una ghiotta occasione per la monarchia britannica, e nel 1972 in seguito ad un referendum, fu concesso al Regno Unito di entrare a far parte della comunità europea, questo ingresso fu accolto a londra dalla promessa di una maggiore “autonomia” rispetto ad altri paesi che facevano parte della comunità, ma questa autonomia era suggellata da precise condizioni per un ipotetica uscita, uno scambio di condizioni tra Londra e Parigi che in quel momento parvero impopolari (in europa) e a tutto vantaggio di Londra, ma che, quarantacinque anni piu’ tardi, avrebbe permesso all’Unione Europea di mantenere una “linea dura” nei confronti della vicenda Brexit.

Il trionfo di Macron, unito all’attuale situazione geopolitica, unita alla necessità dell’europa di munirsi di una propria forza militare continentale, potrebbe rappresentare la scintilla in grado di riaccendere la miccia della sopracitata CED. Gli equilibri internazionali sono turbati dal dilagare di importanti minacce alla sicurezza globale, minacce che le istituzioni faticano per mancanza di risorse e volontà, a contrastare in maniera efficace, e la politica isolazionistica di Donald Trump oltreoceano, rischia di mettere in crisi l’alleanza atlantica, unica alleanza militare, esterna alle nazioni unite, sopravvissuta alla guerra fredda.

La NATO tuttavia ha un futuro incerto, e già da qualche anno (per non dire decennio), il suo ruolo nel mondo è imprecisato, al punto che, qualche tempo fa, il neoeletto presidente Trump l’ha definita “un organizzazione obsoleta”. In quell’occasione scrissi un post su facebook in cui evidenziavo le opportunità che l’Unione Europea avrebbe avuto, se, mostrandosi coesa, avesse approfittato dell’intento statunitense di ritirarsi “fuori dal mondo”. Recentemente tuttavia, il presidente Trump a rivisto la propria posizione nei confronti della NATO, probabilmente perché si è reso conto che allo stato attuale, essa rappresenta allo stesso tempo, uno scudo per l’europa ma anche, lo strumento con cui gli USA possono esercitare su scala globale la propria politica di potenza. Senza la NATO, la comunità europea non avrebbe piu’ il proprio “scudo” e si troverebbe nella condizione di dover provvedere “da sola” alla propria sicurezza, di fatto creando le premesse per la creazione di una Comunità Europea di Difesa, che, fino a questo momento è stata considerata come una “inutile doppio della Nato, ma senza l’America al suo interno“.

La comunità europea odierna rappresenta una “superpotenza” economica, finanziaria e commerciale,  ma non militare, e di fatto il monopolio della forza è nelle mani degli USA, ma se la comunità europea avesse una propria forza militare, come auspicato dagli stessi USA durante la Guerra Fredda, questi diventerebbe una superpotenza a tutti gli effetti, creando così un vero e proprio polo planetario, alternativo agli USA e all’allora URSS e oggi alla Cina. E se all’epoca, in un clima di tensione internazionale e di pace armata, questa possibilità (la nascita della CED) rappresentava un’opportunità positiva per gli USA, oggi è vista con maggiore diffidenza, poiché un Unione Europea militarmente autonoma, sarebbe sì, un alleato degli USA, ma anche, un suo potenziale rivale.

Fonti : 

Si tratta di un analisi storica di un fatto di cronaca, vi prego pertanto di non chiedetemi “le fonti” perché questa volta “non ce ne sono” o meglio, tutto quello che ho letto nella mia vita fino ad oggi, mi ha permesso di “trarre queste osservazioni”, di conseguenza, tutto quello che ho letto nella mia vita fino ad oggi sono le “fonti” di questo articolo, ma, non avendo “letto” nulla di specifico appositamente per scrivere questo articolo, vere e proprie fonti non ce ne sono.
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