Taiwan : Storia di un’isola contesa tra Cina e Stati Uniti

Periodicamente l’attenzione dei media globali torna su Taiwan, il conflitto con la Cina per la sua “indipendenza” e gli interessi USA nella regione. MA perché un isola grande appena un decimo dell’Italia, con una popolazione di appena 24 milioni di abitanti e un PIL pari a 2/5 di quello italiano, è così importante per USA e Cina?

Taiwan è per la Cina quello che Fiume fu per l’Italia dopo la prima guerra mondiale. L’emblema di una “vittoria mutilata“, di una promessa tradita da parte degli alleati. O almeno questo è quello che la Cina nazionalista (come l’Italia dell’epoca) racconta a se stessa e ai propri cittadini.

Siamo nel pieno della seconda guerra mondiale, la Cina, al fianco degli alleati, combatte l’impero giapponese al fianco dell’asse. Per la Cina vincere significa riconquistare l’isola di Formosa, persa contro i giapponesi durante l’ultima guerra sino-nipponica (circa 50 anni prima) e garantirsi una maggiore influenza sul pacifico e il traffico tra pacifico e mar cinese meridionale.

La guerra finisce, l’isola è conquistata, ma neanche 5 anni più tardi, la rivoluzione di Mao cambia il volto del paese. La Nuova Repubblica Popolare Cinese controlla il continente, ma a Taiwan, dove la rivoluzione non attecchisce, si stabilisce il vecchio governo della Repubblica di Cina e per vent’anni entrambi i governi rivendicano la propria sovranità sull’intero territorio cinese, (compresa Taiwan), ed è qui , nel 1949 che iniziano i problemi.

Facciamo allora qualche passo indietro, cerchiamo di capire perché le varie versioni, molto diverse tra loro, fornite da Cina, USA e Taiwan, sono così fortemente politicizzate e polarizzate e sostanzialmente appaiono agli occhi della storia come narrazioni distorte di una realtà che in qualche modo si è perduta.

In questo articolo, senza altri giri di parole, voglio andare alla scoperta delle “origini” di Taiwan e delle ragioni che si celano dietro le pretese territoriali di Cina, USA e Taiwan.

Le origini di Taiwan

Storicamente è difficile parlare di Taiwan senza parlare del conflitto con la Cina, poiché le due realtà viaggiano parallelamente e affondano le proprie radici nella Cina moderna e sono il frutto di un articolato intreccio di guerra civile, interessi economici nazionalisti e imperialisti, forze interne e pressioni esterne, in particolare degli Stati Uniti, ma non solo. 

Secondo fonti ufficiali, l’Isola di Taiwan, originariamente chiamata Formosa, venne colonizzata dagli esploratori europei nel XVI secolo, tra 1500 e 1600 e secondo annali, registri commerciali e atti diplomatici, l’isola rimase sotto il controllo diretto delle potenze occidentali almeno fino al XIX secolo, quando venne inglobata nella neonata provincia di Fujian-Taiwan, istituita dall’impero cinese intorno al 1887 e rimase sotto il controllo cinese, fino alla guerra sino-giapponese (1894-1895) al cui termine, i giapponesi sottrassero l’Isola al controllo cinese.

Nel mezzo secolo successivo l’isola fa parte dell’impero giapponese e solo i trattati di pace alla fine della seconda guerra mondiale, videro la cessione dell’Isola alla Cina. Ed è proprio in questi anni, tra il 1945 ed il 1949, con la rivoluzione di Mao, che ebbe inizio il “conflitto” diretto tra Taiwan e la Cina continentale.

Più precisamente, mentre nella Cina continentale il partito comunista cinese guidato da Mao Zedong avanzava e trionfava nella guerra civile, ciò che rimaneva dell’altra parte, il governo del Kuomintang, si rifugiarono sull’isola di Formosa a Taiwan ed è questo il momento di rottura.

Le forze militari del Kuomintang, asserragliate sull’isola, riescono a resistere alla rivoluzione maoista, e mentre nella Cina continentale veniva costituita la Repubblica Popolare Cinese (RPC), che rivendicava la propria sovranità su tutto il territorio della Cina continentale e possedimenti extraterritoriali della Cina, dall’altra parte, il governo separatista di Taiwan riconosceva se stesso come legittimo governo della Repubblica di Cina (RPC) istituita nel 1912 e di conseguenza rivendicava la propria autorità sull’intero territorio cinese, sia continentale che extraterritoriale.

Disputa territoriale tra Cina e Taiewan

A questo punto ci sono due istituzioni, la RPC e la ROC, con due governi distinti, che rivendicano entrambe la sovranità sull’intera Cina, la prima controlla effettivamente il paese e governa da Pechino, la seconda in esilio a Taiwan senza alcun controllo diretto o indiretto sul territorio cinese.

Questa disputa viene parzialmente risolta nel 1971 con la risoluzione 2758 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, risoluzione che riconosce la Repubblica Popolare di Cina come l’unico rappresentante legittimo della Cina continentale all’interno delle Nazioni Unite, e di conseguenza riconosce il governo di Pechino come legittimo governo cinese, espellendo i rappresentanti della ROC dall’ONU.

La questione sembra risolta, tuttavia il governo di Taiwan, rivendica il proprio diritto a partecipare alle Nazioni Unite, poiché la risoluzione 2758, non la riconosce ufficialmente come parte del territorio cinese. Dall’altra parte per la Cina continentale, e la stessa ONU, tale riconoscimento non può avvenire in maniera arbitraria, ma deve esserci un istanza di indipendenza da parte di Taiwan, la cui assenza rende de facto Taiwan una regione autonoma della Cina (esattamente come Hong Kong, Macao ecc).

Dal 1971 ad oggi, Taiwan ha presentato diverse richieste all’ONU per essere riconosciuta come stato sovrano, richieste per lo più respinte in favore delle opposizioni della Cina.

Dall’altra parte, va detto che il governo di Pechino è tutt’altro che indulgente con Taiwan, ha sempre considerato Taiwan una parte irrinunciabile del territorio cinese, e de facto considera qualsiasi movimento estero a sostegno dell’indipendenza formale dell’isola come una minaccia diretta all’integrità territoriale della Repubblica Popolare Cinese.

Su questo punto è bene fare un chiarimento aggiuntivo. Le opposizioni della RPC all’indipendenza di Taiwan, sono sia interne che esterne, e si fondano prevalentemente sulla “costituzione” cinese, il diritto cinese e lo stesso statuto dell’ONU.

Si tratta delle stesse opposizioni mosse dal governo spagnolo nei confronti dell’indipendenza catalana, o delle opposizioni Italiane alle richiesta di indipendenza della padania, o degli USA alle recenti richieste di indipendenza di alcuni stati federali.

Sebbene la RPC sia contrario e si opponga fortemente all’indipendenza formale di Taiwan, non ne esclude esclude la possibilità, e in più occasioni il governo di Pechino si è detto disposto ad accettarle a condizione che questa richiesta venga formulata seguendo la prassi riconosciuta dall’ONU e il principio di autodeterminazione dei popoli. Ed è su quest’ultimo punto che sorge il vero problema dell’indipendenza di Taiwan, perché la stessa Taiwan, pur rivendicando insistentemente la propria indipendenza dalla Cina, non ha mai riconosciuto se stessa come un popolo diverso da quello cinese, rigettando de facto l’idea di un nazione diversa.

Ricordate la risoluzione 2758 del 1971 che riconosce al governo di pechino la sovranità sull’intero territorio della Cina? Ecco, Taiwan non ha mai accettato apertamente tale risoluzione e, anche se espulsa dall’ONU, ha continuato e continua tutt’oggi, sostenuta dagli USA a riconoscere se stessa come parte del territorio cinese e continua a rivendicare la propria sovranità sull’intera cina.

Prendete quanto segue molto con le pinze, ma sembra quasi che tra Cina continentale e Taiwan, la vera disputa territoriale, continui ad essere non la sovranità sull’isola di Taiwan, ma la sovranità sulla Cina continentale, o almeno così è stato fino a circa 20 anni fa.

Fino a gli anni 90 anche nei documenti ufficiali, sia Taiwan che USA e Giappone, hanno continuato a definire Taiwan come “Taiwan-Cina”, e solo di recente questo nominativo è scomparso in favore del semplice “Taiwan“.

Tutti vogliono Taiwan

Come abbiamo visto, la questione di Taiwan è molto più che una semplice disputa territoriale per il controllo di un isola, e se per la Cina rappresenta una risorsa strategica, ma soprattutto un importante obbiettivo politico in termini di unità nazionale, per fare un esempio pratico, per la Cina, Taiwan è un po’ quello che Fiume era per l’Italia dopo la prima guerra mondiale. Ma non solo, dal punto di vista geopolitico, Taiwan occupa una posizione strategica estremamente rilevante, l’isola venne colonizzata nel XVI secolo per la sua posizione chiave per il controllo delle rotte e l’accesso l’accesso marittimo tra il Mare della Cina Meridionale e l’Oceano Pacifico.

Per la Cina controllare Taiwan significherebbe permetter alla propria marina di ottenere uno sbocco diretto sul Pacifico, estendendo di conseguenza la propria influenza marittima e mettendo in discussione l’attuale supremazia navale statunitense nelle acque dell’estremo oriente. Supremazia ottenuta a seguito della vittoria sul Giappone nella seconda guerra mondiale e la nascita di Taiwan, che de facto ha “mutilato” la vittoria cinese.

Fonti

Restoration of the lawful rights of the People’s Republic of China in the United Nations.
Taiwan. L’isola nello scacchiere asiatico e mondiale

UCRAINA: Mosca convoca seduta straordinaria del Consiglio di Sicurezza

Ucraina: La russia convoca una seduta straordinaria del consiglio di sicurezza, per discutere della questione ucraina

Contro ogni previsione e in modo completamente inaspettato, l’ONU entra in gioco sulla questione Ucraina (finalmente) , su richiesta della Russia.

A quanto si legge, la Russia ha chiesto una seduta straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Perché la Russia ha convocato il cds? che, vista l’occupazione illegale della crimea e la presenza di militari russi in diverse regioni dell’ucraina, dovrebbe attivarsi contro la Russia, attivando un embargo totale (come previsto dall’articolo 41 della carta dell’ONU) contro la Russia che sta minacciando l’integrità e la sovranità nazionale dell’Ucraina?

La risposta a queste domande è nella retorica dell’isteria occidentale e la parallela fuga in massa di russofoni dall’Ucraina verso la Russia.

Il Cremlino parla di oltre 60mila rifugiati ucraini in Russia, rifugiati vessati da anni di conflitto interno al paese, che sono ora “esasperati” dalla presenza di militari occidentali nel paese.

Questo mi riporta alla mia teoria, avanzata diverse settimane fa, per cui, sarebbe arrivato il giorno in cui la Russia, avrebbe fatto un passo in avanti nella propria strategia, indicando gli USA come responsabili dei disordini in Ucraina

.La presenza in Ucraina di occidentali è, per la Russia, una minaccia, non solo ai propri confini, ma anche all’integrità della stessa Ucraina, e dunque, possiamo aspettarci che il consiglio di sicurezza delle nazioni unite, si esprimerà a favore dell’ucraina, richiedendo il ritiro delle forze NATO dal paese, o, più probabilmente, con un nulla di fatto dovuto all’attivazione di un veto degli USA che rifiuteranno di lasciare il paese.

Ecco quindi che la retorica dell’Isteria si trasforma in “legittima preoccupazione” della Russia, che sulla carta non ha ancora fatto nulla di male e anzi, ha addirittura convocato una seduta straordinaria del Consiglio di Sicurezza, dando l’idea di una “fiducia” istituzionale nel ruolo pacificatore delle nazioni unite.

Sta per iniziare, come avevo anticipato nel mio articolo del 15 febbraio, una nuova fase nella strategia russa, una fase che, molto probabilmente sarà incentrata sulla retorica dell’imperialismo americano, una retorica che ha il fine ultimo di legittimare l’ingresso nella regione del Donbass di militari Russi, perché il loro sarà un ingresso di carattere “difensivo” al fine di “pacificare” la regione e permettere ai rifugiati Ucraini in Russia, di rientrare nel proprio paese e nelle proprie case, che in questo momento non sono sicure a causa della guerra civile tra una “resistenza” da parte dei separatisti, e occupanti occidentali.

Sintetizzando al massimo quindi, il motivo per cui la Russia ha attivato l’ONU è che vuole rendere “illegittima” la presenza di militari occidentali in Ucraina, e, se dovesse fallire a causa del veto degli USA, potrò parlare di occupazione americana dell’Ucraina orientale.

Gaza, appello dell’Onu: fermare il conflitto… ma non fa nulla per fermarlo

Ieri (16 maggio 2021) si è tenuta una riunione straordinaria del consiglio di sicurezza delle nazioni unite, per discutere e prendere una posizione a livello internazionale, sulla questione palestinese e decidere se e come intervenire.
Spoiler, l’ONU ha scelto di non intervenire.

Come ipotizzavo, l’ONU sceglie di non intervenire concretamente nel conflitto tra lo stato di Israele e lo stato di Palestina.
La riunione di ieri del consiglio di sicurezza si è chiusa con un “appello”, non una risoluzione, non un ultimatum ma, un “appello”.
L’appello è “basta colpire civili”… e grazie al cazzo.

L’ONU chiede cortesemente, ma senza pretesa di disturbare, che le due parti cessino gli attacchi (da entrambe le parti), ma se non lo faranno, la riunione di ieri non ha previsto “conseguenze”.

Ci troviamo, parzialmente, nell’articolo 39 dello statuto delle nazioni unite.

“Il Consiglio di Sicurezza accerta l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazione o decide quali misure debbano essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.”

L’articolo 41 dice che.

“Il Consiglio di Sicurezza può decidere quali misure, non implicanti l’impiego della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni, e può invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure. Queste possono comprendere un’interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle
comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio ed altre, e la rottura delle relazioni diplomatiche.”

L’articolo 42 dice che se le misure previste dall’articolo 41 sono ritenute dal CdS non sufficienti, si può procedere con un intervento militare.

“Se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell’articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e
la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite. “

In altri termini, l’ONU, accertata la violazione della pace (stato bellico), oltre ad invitare alla pace, dovrebbe, in teoria, procedere con un embargo, parziale o totale, a seconda della gravità, nei confronti dell’aggressore e, se queste misure non dovessero dare esito positivo, allora, e solo allora, l’ONU può richiedere la formazione di una coalizione internazionale, per coordinare un intervento militare e pacificare la regione.

Il CdS però, non ha richiesto questo, non ha richiesto l’interruzione delle relazioni economiche tra i paesi membri dell’ONU e l’una o l’altra parte coinvolta, limitandosi a richiedere, senza troppe pretese, un cessate il fuoco.
Richiesta che assume toni molto ambigui, poiché da un lato condanna apertamente i raid palestinesi contro Israele, dall’altra fa presente che le vittime civili (192 morti, di cui 58 bambini) sono palestinesi, vittime della risposta Israeliana ai raid.
Raid che, la stessa ONU colloca in territorio palestinese poiché Gaza non fa parte dello stato di Israele, dunque c’è un accenno di rimprovero allo stato di Israele, ma si ferma lì.

La riunione ha visto i membri del CdS divisi, da un lato USA e UK condannavano Hamas, dall’altra Russia e Cina, appellandosi allo stesso statuto dell’ONU e richiamando la risoluzione 67/19 del 2012, che riconosce lo Stato di Palestina, condannava l’occupazione Israeliana.

Su Hamas va aperta la solita parentesi, gli USA considerano Hamas un organizzazione terroristica, mentre la Cina ritiene Hamas un organizzazione politica legittima. Il diritto internazionale a tal proposito, espresso attraverso la corte di giustizia dell’Unione Europea, la Corte di giustizia internazionale e la corte penale internazionale, non ritengono Hamas un organizzazione terroristica e, dal 2014 hanno richiesto di Rimuoverla dalla lista delle organizzazioni terroristiche.

Tornando alla riunione del CdS ieri, la Francia ha assunto una posizione di neutralità, non si è quindi schierata con Israele o Palestina.

Gli stessi schieramenti, a favore di Palestina e Israele sono emersi anche tra i membri non permanenti, attualmente Kenya, India, Irlanda, Messico e Norvegia, portando de facto il consiglio ad uno stallo.

Non ci sarà quindi alcun intervento reale da parte dell’ONU e l’unica proposta “concreta” è arrivata dalla Cina che si è offerta di Mediare tra i due paesi.

Sulla Cina andrebbe aperta un altra parentesi.
La Cina, vive al proprio interno diverse situazioni analoghe a quella della striscia di gaza, e a quelle situazioni, vedi Tibet ed Hong Kong, è solita rispondere esattamente come Israele, tuttavia, la Cina sembra essere in questo caso specifico dalla parte della Palestina e di Hamas, schieramento che trova ragione non tanto nella questione palestinese, quanto nello scontro politico con gli USA che invece appoggiano apertamente Israele.
Tutto ciò ricorda enormemente la Berlino degli anni della guerra fredda, con una città (Gerusalemme) capitale di due diversi stati (Israele e Palestina) che, alle proprie spalle hanno due “superpotenze”, USA e Cina.

Nel mezzo, la posizione Europea, che potrebbe rappresentare il vettore della pace e, sul modello francese, andare verso una pace tout court, senza schierarsi dall’una o dall’altra parte, la decisione sulla posizione dell’UE arriverà nei prossimi giorni, al seguito di una riunione straordinaria del Consiglio Europeo, speriamo solo che l’appartenenza alla NATO e l’alleanza con gli USA dei principali paesi dell’unione, non si traduca in un appoggio incondizionato alle rivendicazioni Israeliane che, ricordiamo ancora una volta, violano in più punti lo statuto dell’ONU.

Ricordiamo fine che, a chiedere insistentemente l’intervento dell’ONU, non è Israele, ma lo stato di Palestina.
Hamas infatti ritiene che la propria guerra sia giusta (nel senso di legale/legittima) perché si configura come una “guerra di liberazione” dall’occupazione straniera e questo, per l’ONU, in teoria, è l’unico Causus Belli legittimo. 

Trump dichiara la Luna territorio Americano?

per Donald Trump, la Luna non è un bene comune globale, e firma un ordine esecutivo che invita i privati allo sfruttamento minerario della luna

Il presidente degli Stati Uniti ha firmato un ordine esecutivo che incoraggia i soggetti privati a investire nel programma di esplorazione spaziale che punta a Marte passando dalla Luna. Trump garantisce lo sfruttamento minerario e naturale dello spazio agli americani: «gli Stati Uniti non lo considerano un bene comune globale»

Aprile 2020, non c’è limite al peggio. Con un ordine esecutivo, il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, incoraggia le società private, in particolare quelle statunitensi, allo sfruttamento minerario del suolo lunare.

L’ordine Esecutivo di Trump

Tra i poteri del presidente degli stati uniti, vi è quello di emanare ordini esecutivi, ovvero leggi speciali/straordinarie, e il 6 aprile 2020 il presidente Trump, ha emanato un ordine esecutivo che riguarda il programma spaziale degli USA che punta ad andare su Marte, passando per la Luna, nell’ottica del programma Artemis.

Il programma Artemis punta a stabilire una presenza umana sostenibile nell’orbita lunare entro il 2024 ed una base sul suolo lunare, entro il 2028. Il programma Artemis prevede anche la partecipazione di partner commerciali che possano recuperare e utilizzare le risorse dello spazio: acqua, regolite e altri minerali.

Secondo il presidente Trump la mancanza di regole che consentono a soggetti privati di recuperare risorse naturali dalla luna e dallo spazio, ha enormemente rallentato e scoraggiato la partecipazione di privati ai vari programma spaziali governativi e intergovernativi

La mancanza di certezze riguardo ai diritti di sfruttamento delle risorse spaziali da parte di soggetti privati, e in particolare il diritto di recupero e utilizzo a scopi commerciali delle risorse naturali della Luna, ha scoraggiato alcune imprese a partecipare al programma spaziale”

In effetti, la giurisprudenza che riguarda lo sfruttamento minerario e delle risorse extra atmosferiche, è abbastanza vacante, non vi sono molte regole se non qualche trattato, che lo stesso Trump non ha mancato di menzionare.

Il trattato spaziale

Nel 1966 una commissione delle Nazioni Unite, ha elaborato un trattato internazionale, noto come The Outer space Treaty, approvato dalla risoluzione 2222, successivamente firmato e ratificato dai governi di tutti i paesi membri dell’ONU entro la fine del 1966.

Firma e Ratifica sono passaggi istituzionali differenti, la firma coinvolge il presidente e il governo, mentre la ratifica, avviene in un secondo momento, e costituisce l'approvazione e acquisizione, da parte del parlamento nazionale, della norma di diritto internazionale, all'interno del corpus giuridico nazionale. Può capitare che un presidente o ministro Firmi un trattato ma che questi, successivamente, non venga ratificato, come è successo con il trattato istitutivo della Società delle Nazioni, firmato dal presidente USA Woodrow Wilson, ma non ratificato dal Congresso, cosa che de facto, ha ha permesso agli USA di non entrare a far parte della Società delle Nazioni  

Secondo questo trattato, la Luna e gli altri corpi celesti (extra atmosferici) possono essere usati esclusivamente per scopi pacifici, non si fa tuttavia menzione della possibilità (o divieto) di sfruttamento privato delle risorse naturali dei suddetti corpi.

Il trattato è stato modellato su quello che era il preesistente trattato antartico del 1959.

Un video del Canale Link 4 Universe in cui si parla proprio di Diritto “lunare” e sfruttamento delle risorse spaziali.

La questione giuridica scaturita dall’ordine esecutivo di Trump, apre le porte ad un corposo dibattito internazionale, che coinvolgerà nelle prossime settimane, mesi, forse anni, l’ufficio delle Nazioni Uniteper gli affari dello spazio esterno (UNOOSA) l’assemblea Planetaria dell’ONU ed il consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e l’ampia documentazione giuridica riguardante il trattato Antartico, giocherà quasi certamente un ruolo determinante, viste le numerose analogie tra i due trattati del 1959 e 1966.

Una questioni di diritto internazionale

Il trattato dello spazio extraplanetario, rientra in quello che è il campo del diritto internazionale, ed è volto a regolamentare i rapporti tra le nazioni.

Nella gerarchia giuridica, questo trattato rientra in un campo posto al di sopra del diritto nazionale, ciò significa che, l’ordine esecutivo di Trump, ha valore, ma il suo valore è relativo, poiché tecnicamente Trump non possiede l’autorità giuridica per decidere autonomamente, come, dove e quanto può o potrà essere sfruttato il suolo lunare e altre risorse extra atmosferiche.

Nonostante ciò, l’ordine esecutivo di Trump, non costituisce (totalmente) una violazione del diritto internazionale, poiché interviene in una zona grigia del diritto internazionale, dove non è ben chiaro cosa si possa o non si possa fare. L’ordine esecutivo, che deriva dai poteri militari del capo della Casa Bianca, non totalmente legittimo, ma non è neanche un atto di guerra e finché l’ONU non si esprimerà in merito, vivrà in quel limbo giuridico per cui è valido e illegittimo allo stesso tempo.

Va detta un ultima cosa, i provvedimenti e le decisioni da prendere, in seguito ad una violazione di questo calibro, coinvolgono direttamente il consiglio di sicurezza delle nazioni unite, consiglio di sicurezza di cui gli USA sono membro permanente con diritto di veto, che tradotto significa che molto probabilmente non ci saranno ripercussioni per gli usa, e l’ordine esecutivo di Trump verrà accolto positivamente dall’Office for Outer Space Affairs delle Nazioni Unite.

Indipendentemente da come si concluderà la vicenda giuridica, ciò che accadrà nell’immediato futuro è che l’ordine esecutivo di Trump verrà analizzati e valutato direttamente dal consiglio di sicurezza dell’ONU

Considerazioni personali

Personalmente non so come evolverà la situazione, ma possiamo provare ad intuirlo.

Lo spazio extraplanetario, così come la superficie lunare e marziana, rappresentano una grande opportunità per l’umanità nel suo complesso, oltre che un immensa fonte di profitto per chiunque vorrà mettere le mani su quell’enorme torta ricca di risorse minerarie preziose.

Dall’accesso e dal controllo dello spazio dipenderanno, nei prossimi anni, gli equilibri tra nazioni, società private e multinazionali.

Potenzialmente una nazione povera di risorse minerarie, in grado di attingere alle risorse minerarie extraplanetarie, può vivere una vera e propria rivoluzione industriale, così come una nazione ricca di risorse minerarie, ma impossibilitata a raggiungere lo spazio, potrebbe non conoscere una nuova fase espansiva, e in assenza di un sistema di regole e di una visione condivise tra le nazioni sulle modalità con cui operare, questa corsa alle risorse potrebbe tradursi in conflitti di varia natura, anche sulla terra.

Rispetto alle questioni terrestri tuttavia, lo spirito di cooperazioni tra le nazioni, quando riguarda lo spazio sembra essere condiviso, è quindi molto improbabile che assisteremo a scenari simili a quello africano, ed è più probabile che si andrà in una direzione molto simile a quella presa per l’Antartide, dove, da decenni, le nazioni collaborano con privati, per scopi scientifici e per recuperare risorse minerarie.

Chruščëv e la Scarpa all’ONU: Il Giorno che Cambiò la Storia

Nikita Chruščëv ha davvero battuto la scarpa sui banchi dell’ONU? se si, cosa lo ha spinto a tanto e se non è andata così, cosa è successo davvero il 12 ottobre 1960?

Nikita Chruščëv ha davvero battuto la scarpa sui banchi dell’ONU? Sse si, cosa lo ha spinto a tanto e se non è andata così, cosa è successo davvero il 12 ottobre 1960?

Il Contesto: L’assemblea ONU del 12 ottobre 1960 e l’intervento di Sumulong

Era un mercoledì quel 12 ottobre del 1960, quando al palazzo dell’ONU di New York, era in corso la 902a riunione planetaria dell’assemblea generale delle nazioni unite.

Durante questa storica riunione, tra i punti all’ordine del giorno, vi era un intervento del delegato filippino Lorenzo Sumulong, nel quale, si denunciava la condizione sociale e politica dei popoli dell’Europa orientale, che, stando alle dichiarazioni del delegato filippino, riportate fedelmente nei dattiloscritti ufficiali della seduta, erano stati “privati del libero esercizio dei loro diritti civili e politici e che sono stati inghiottiti, per così dire, dall’Unione Sovietica”.

Il delegato filippino non ha scelto casualmente questa riunione per denunciare questi fatti, avrebbe potuto parlarne in qualunque riunione planetaria, ma, la 902a riunione planetaria dell’ONU aveva un qualcosa di unico rispetto a qualsiasi riunione precedente, poiché in sala, quel 12 ottobre, era presente il primo segretario del partito comunista dell’unione sovietica, nonché presidente del consiglio dei ministri dell’unione sovietica, Nikita Sergeevič Chruščëv.

La replica accesa di Chruščëv: Difesa dell’URSS e scontro di visioni

L’intervento del delegato filippino attirò inevitabilmente l’attenzione della delegazione sovietica e di Chruščëv, e, al termine dell’intervento, lo stesso Chruščëv riuscì a conquistare il podio e prendere la parola.

Questo è il momento decisivo, il momento in cui il mito incontra la realtà, che segnò l’inizio dello spettacolo internazionale dai toni decisamente sopra le righe e noto al mondo come l’incidente di battitura della scarpa.

Durante il lungo intervento, il leader sovietico provò in ogni modo a lui consentito di giustificare e definire la politica “interna” dell’unione sovietica, ed è importante sottolineare il termine interna, poiché agli occhi della leadership sovietica si trattava di politica interna, mentre, agli occhi del delegato filippino, i rapporti tra Mosca e altri paesi dell’Unione, erano una questione di politica estera, de facto, Sumulong, e come lui numerosi altri delegati delle nazioni unite, non riconoscevano totalmente l’Unione Sovietica come un unico stato, ma come un insieme di stati autonomi e indipendenti, se pur legati strettamente tra loro da accordi internazionali.

Per Sumulong, l’Unione Sovietica non era diversa nella sostanza dalle Nazioni Unite, tuttavia, questo parallelismo era soltanto teorico e nella pratica, l’Unione Sovietica era un Impero guidato da Mosca, in cui la Russia era una potenza centrale che esercitava il proprio potere in maniera arbitraria su tutte le altre nazioni (non libere) dell’Unione.

Queste argomentazioni, molto forti, provocatorie e in larga parte condivise, sia da quella fetta di mondo non allineata con l’unione sovietica, che da parte delle popolazioni “sottomesse” dall’unione sovietica (e che, alcune parti, totalmente disallineate sia dagli USA che dall’URSS, vedevano come una versione più incisiva e meno subdola dell’analogo imperialismo statunitense) ebbero come effetto, l’escandescenza di Nikita Sergeevič Chruščëv che, in prima battuta osservò che non vi era alcuna limitazione nelle libertà civili e politiche dei cittadini sovietici, rimarcando l’unità dell’Unione Sovietica come nazione, e non come entità sovranazionale, osservando poi che, le diverse realtà che componevano l’unione sovietica, avevano visioni politiche non necessariamente identiche e anzi, in alcuni casi in contrasto tra loro, rimarcando più volte che, la propria corrente politica di appartenenza era in aperto contrasto con la corrente stalinista che lo aveva preceduto alla guida dell’unione.
Insomma, Chruščëv, nel proprio intervento, ricordò al mondo che l’Unione Sovietica era uno stato, con al proprio interno tante nazioni e altrettante correnti politiche, tutte libere anche se inserite all’interno del grande calderone del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, un partito che, aveva al proprio interno correnti più legate all’estrema sinistra, correnti più moderate e persino correnti liberali e di destra, del resto, egli stesso si era fatto promotore nell’URSS di una politica di destatalizzazione che potremmo interpretare come espressione di un comunismo sovietico più liberale e moderato.

Il gesto controverso: Chruščëv si sfila la scarpa

Durante l’intervento molto partecipato, Chruščëv si lasciò trasportare, forse un po’ troppo dalle emozioni, scaldandosi particolarmente e, nell’esprimere in maniera molto forte i propri concetti, le proprie posizioni, e le proprie emozioni, durante le battute finali dell’intervento, Chruščëv iniziò ad agitare violentemente il pugno per poi sfilarsi una scarpa e appoggiarla sul bancone.

In tutto l’intervento, stando a quanto asserisce William Taubman, giornalista statunitense, laureato ad Harvard e vincitore del premio Pulizer, se bene Chruščëv abbia effettivamente sfilato la scarpa e l’abbia poggiata sul bancone, non vi è alcuna prova video, non vi è alcuna immagine o testimone che possa confermare che Chruščëv abbia agitato la scarpa e che l’abbia battuta con forza sul bancone.

Secondo Taubman, la foto storica di Chruščëv che agita la scarpa è un artefatto ed è curioso come quella foto sia effettivamente l’unica foto, non ve ne sono altre, o almeno non ne sono mai state divulgate, pubblicate o distribuite altre, ed è curioso, osserva Taubman, che esiste, una foto identica, che mostra la stessa scena, lo stesso istante, dalla stessa angolazione, un immagine perfettamente sovrapponibile all’immagine della scarpa, in cui, tuttavia, non vi è alcuna scarpa, ma un semplice pugno.

Mistero e Iconicità

L’immagine di Chruščëv che batte la scarpa all’ONU è forse una delle immagini più iconiche e rappresentative del XX secolo, ed è un immagine che porta dietro di se un alone di mistero, poiché letteralmente unica.

Qualcuno ha ipotizzato che in quei pochi istanti altri fotografi erano distratti e che per qualche motivo, le telecamere non erano puntate su Chruščëv, cosa curiosa e abbastanza anomala visto che in quel momento, Chruščëv, leader dell’Unione Sovietica, che era insieme agli USA una delle due super potenze mondiali in quel momento storico, era in piedi, di fronte all’assemblea planetaria delle nazioni unite, impegnato a difendere l’immagine dell’Unione Sovietica.

Va però detto che, secondo la RAI esiste un video che mostra Chruščëv intento ad agitare la scarpa, tuttavia, quel video, dal quale si ipotizza sia stato estrapolato il celebre fotogramma non è di pubblico dominio, ma è nascosto e custodito in gran segreto negli archivi RAI, emittente radiotelevisiva italiana che per qualche motivo, sembrerebbe avere l’unica prova video dell’incidente della scarpa di Chruščëv all’ONU, mentre, in tutti gli altri filmati, Chruščëv agita e poi batte il pungo, e non la scarpa, sul bancone.

Fonti e approfondimento

Kruscev Ricorda
Atti XX convegno partito comunista URSS
Dialogo sulla distensione

La vera storia della festa della donna

Avete presente la storiella della fabbrica che andò a fuoco? sappiate che non c’entra nulla con la festa della donna. ma proprio 0, è stata inserita “di prepotenza” negli anni 70/80 per ragioni politiche.

Vi dico (per l’ennesima volta) qualche data, così da tracciare una linea cronologica.

La prima giornata della donna (negli usa) risale al 1905, evento isolato i poche cittadine americane, su iniziativa del movimento socialista e promosso da alcuni attivisti di organizzazioni per i diritti delle donne.

La giornata della donna nel primo novecento

Nel 1909, sempre negli usa, sempre per iniziativa socialista (e promossa da diversi circoli comunisti) si ha la prima giornata “nazionale” della donna (negli USA).

Nel 1911 la giornata diventa “internazionale” seguendo la vocazione internazionalistica del movimento socialista e del partito comunista, in quel momento, in aperta contrapposizione alla politica americana ancora legata alla dottrina Monroe e alla cultura americana fondata sul culto del’uomo bianco, e in cui donne e uomini di altre etnie vi erano “naturalmente” subordinati.

La prima giornata internazionale della donna viene celebrata il 19 marzo, e più che ad una giornata di festa assomigliava ad uno sciopero, in cui c’erano donne in strada con cartelli, bandiere, striscioni, che rivendicano aumenti salariali, maggiori tutele sul lavoro maggiori diritti civili e, in alcuni casi, anche il diritto al voto, tutte cose che all’epoca erano una prerogativa dell’uomo bianco.

Sei giorni dopo questa manifestazione, il 25 marzo 1911, c’è stato il famoso incendio nella fabbrica newyorkese, che costò la vita a 123 donne, diversi uomini, di cui però non è mai fregato nulla a nessuno e, forse questa è la cosa più grave, un numero imprecisato di bambini che al momento dell’incendio si trovavano nell’edificio, e che, ancora oggi, fingiamo di non sapere esattamente perché fossero in quello stabilimento industriale.

Negli anni successivi la giornata della donna viene celebrata a singhiozzo, soprattutto a causa prima guerra mondiale e negli anni della grande guerra la giornata della donna subì alcune trasformazioni, assumendo i connotati di una manifestazione delle donne contro la guerra. Queste manifestazioni si reiterarono e furono riproposte ogni anno per tutti gli anni della guerra, ma coinvolgendo un numero sempre minore di manifestanti e città, arrivando quasi a sul punto di sparire e cadere nel dimenticatoio.

La giornata della donna dopo la grande guerra

Nel 1917 ci fu un ultimo, estremo tentativo, di mettere fine alla guerra, e in Russia venne organizzata, dal partito comunista una serie di manifestazioni “coordinate” in occasione dell’8 marzo, data simbolo che aveva caratterizzato le manifestazioni contro la guerra negli ultimi anni. Queste manifestazioni videro mobilitarsi in prima linea le donne del popolo, praticamente, madri, mogli, sorelle e figlie dei soldati impegnati al fronte, e al seguito si sarebbero uniti anche numerosi operai, contadini, e altra gente che, per vari altri motivi, non era andata in guerra ma aveva cari in guerra, per manifestare contro quella guerra che stava impoverendo il paese e richiedere a gran voce il ritiro della Russia dalla grande guerra.

Questa manifestazione sarebbe successivamente evoluta nella famosa rivoluzione di febbraio e alla fine, dopo vari passaggi e altre mobilitazioni di diversa natura, la Russia si ritirò dalla grande guerra, ma dal 1918 in poi, la giornata internazionale della donna appare come un lontano ricordo, almeno fino al 1921.

Nel 1921, nel contesto generale dell’internazionale comunista, si decise di far rinascere questa giornata per celebrare contemporaneamente, sia le donne che l’8 marzo 1917 avevano fatto sentire la propria voce alla Russia, sia per celebrare, in senso più ampio la donna e riprendere anche fuori dall’unione sovietica le lotte originali per l’emancipazione femminile. E visto che era superfluo fare due giornate diverse decisero di accorpare tutto alla data più simbolica, quella dell’8 marzo.

Dal 1921 in poi la giornata internazionale della donna sarebbe stata celebrata (nel mondo sovietico) non più il 19 marzo ma l’8 marzo, nel resto del mondo invece… beh, il resto del mondo odiava i comunisti, quindi la festa della donna non si è più celebrata, se non nella forma originale di manifestazione e scioperi, di dimensioni molto contenute, sponsorizzate dai comunisti, che molto spesso portarono all’arresto dei manifestanti, ma questa è un altra storia.

La giornata della donna durante la guerra fredda

Nel 1975, l’anno internazionale della donna, le Nazioni Unite avrebbero riconosciuto ufficialmente la giornata internazionale della donna che quindi sarebbe uscita definitivamente dall’orbita socialista/comunista/sovietica e divenne la festa della donna così come la conosciamo… più o meno.

In quel periodo, ci troviamo tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80, siamo nel vivo della guerra fredda e negli USA comincia a circolare non poco malcontento nei riguardi di questa giornata, perché la sua storia nobilitava il mondo comunista, e gli USA, non potevano accettare il merito dei comunisti di aver celebrato le donne per più di mezzo secolo, mentre negli usa si era costruita l’immagine della donna quale creatura subordinata all’uomo, di fatto segregata in cucina e ai fornelli, intenta a stirare, lavare, cucinare e prendersi cura della famiglia, mentre le donne sovietiche andavano nello spazio.

La festa della donna tra occidente e mondo sovietico

Negli stati uniti il divario tra le donne “americane“, generalmente dipinte come casalinghe, e le donne “sovietiche“, che andavano nello spazio, era inaccettabile e per evitare che il movimento femminista americano, che in quegli anni acquisiva sempre maggior forza, consensi e influenza, che in quegli anni si impegnava attivamente nella lotta per l’emancipazione della donna americana quale controparte femminile dell’uomo e non come modello subordinato ad esso, come dicevo, per evitare che il movimento femminista americano potesse spostarsi troppo a “sinistra” e finire nella sfera di influenza “comunista“, proprio negli USA iniziò a circolare il falso storico della giornata della donna nata come “ricorrenza” di un incendio in fabbrica avvenuto in un ipotetico 8 marzo di non si sa bene quale anno precedente la prima guerra mondiale.

Del resto quell’incendio era ben documentato e noto, soprattutto nella grande mela, e viste le fondamenta solide e la veridicità dell’episodio, il racconto si diffuse letteralmente a macchia d’olio, sovrascrivendo per molto tempo, la storia reale che c’è dietro la giornata internazionale della donna, una giornata che già nel 1911 si rifaceva ad idee politiche di emancipazione della donna ed affondava le proprie radici da un lato nel movimento socialista e dall’altro, nel movimento delle suffragette. E anche se l’incendio è vero, e ciò che è successo è drammatico e quella storia non va assolutamente dimenticata, è importante sottolineare che quell’incendio non ha e non ha mai avuto un reale legame con la giornata internazionale della donna, la cui storia, è fortemente legata alle lotte per l’emancipazione della donna, alle manifestazioni per maggiori tutele sul lavoro e innumerevoli battaglie per i diritti civili, promosse da associazioni ed organizzazioni, di varia natura e più o meno vicine al mondo socialista/comunista.

Conclusioni

La giornata della donna, possiamo dire che nasce come una giornata, uno sciopero, una manifestazione per l’emancipazione della donna e che finisce con il legarsi in maniera indissolubile alla tradizione sovietica. Rappresenta un punto di incontro tra due mondi, tra due realtà che nel vivo della guerra fredda si consideravano incompatibili ed è proprio in quel clima di grande tensione che caratterizzò la guerra fredda che l’occidente filoamericano sentì il bisogno, quasi viscerale, di trovare una “storia alternativa“, per raccontare le origini di quella ricorrenza riconosciuta come estremamente importante e necessaria in tutto il mondo. Con la “storiella” della fabbrica il mondo occidentale prova quindi ad “appropriarsi” o meglio, a “riappropriarsi” oltre mezzo secolo più tardi, di quel concetto di emancipazione, libertà e uguaglianza, intrinsechi nella giornata, concepita nel mondo occidentale e celebrata per la prima volta nel 1905 negli USA, e slittata (per volontà politiche) nell’orbita comunista.

Fonte ONU : http://www.un.org/en/events/womensday/history.shtml

Si rafforza l’asse Pechino-Riad

Il principe Mohammed Bin Salman approva la costruzione di campi di rieducazioni per musulmani in cina

SUPPORTA L’OSSERVATORIO E MANTIENILO LIBERO DA PUBBLICITA’ AL COSTO DI UN CAFFE’ SU PATREON

Il principe saudita Mohammed Bin Salman, durante la sua visita a Beijing (Pechino), si è lasciato andare ad alcune dichiarazioni con cui ha difeso la costruzione di campi di rieducazione per musulmani in Cina.

Stando alle parole del principe, andate in onda in diretta sulla TV cinese La Cina ha il diritto di svolgere attività antiterrorismo e de-estremizzazione per la sua sicurezza nazionale“.

Parole che faranno sicuramente piacere ad alcuni leader europeei fortemente antiislamici, la cui carriera politica è stata costruita sulla lotta al terrorismo e la difesa (apparente) della sicurezza. Ma il non detto in questa dichiarazione di Mohammed Bin Salman è forse più importante delle parole dette in diretta televisiva, poiché queste parole rivelano e in un certo senso, mettono in evidenza quello che ormai, da tempo, era sotto gli occhi del mondo, la nascita ed il consolidamento di un “asse Pechino-Riad“.

Stiamo assistendo alla nascita di un “asse” Pechino-Riad, che, alimentata soprattutto dal commercio petrolifero verso la Cina (che per chi non lo sapesse, la cina è attualmente il principale acquirente di petrolio Saudita al mondo), permette alla Cina di compiere un ulteriore passo verso il consolidamento della propria posizione come potenza egemone mondiale, in quasi ogni campo.

La Cina sta consolidando il proprio potere globale, sta adunando attorno a se vecchi e nuovi alleati, sta costruendo nuove rotte commerciali, stipulando nuovi trattati e accordi internazionali con paesi un tempo insospettabili come l’Arabia Saudita e l’India.

Il rafforzamento della posizione della Cina come grande potenza mondiale, è importante sottolinearlo, si lega in maniera molto forte al destino e il ruolo che gli USA stanno giocando in questo dato momento storico. Gli USA, che per decenni si sono presentati al mondo come “lo sceriffo autoproclamato, che manteneva l’ordine globale, negli ultimi anni hanno dichiarato, in più occasioni, soprattutto sotto la presidenza di Donald Trump, il proprio interesse a ritirarsi da molti dei teatri bellici e belligeranti del pianeta, gli USA un po’ per scelta, un po’ per necessità stanno arretrando, e nel farlo, stanno lasciando alle proprie spalle un enorme vuoto nelle dinamiche e negli equilibri planetari.

Un vuoto che dovrebbe essere riempito dall’ONU, ma l’ONU, come sappiamo, a causa dei propri limiti strutturali, non è in grado di colmare e assolvere appieno alla propria missione istitutiva, garantire pace e ordine nel mondo.
Questo vuoto ha alimentato e sta alimentando, una crescente corsa al potere, corsa che sotto certi aspetti è iniziata già sul finire degli anni ottanta, con il declino dell’Unione Sovietica e la fine del vecchio sistema bipolare del mondo, e che all’epoca avrebbe dovuto vedere, nelle mire di molte, l’irruzione dell’Europa, come nuova potenza egemone del mondo, in grado di controbilanciare il potere statunitense.

Questo però, non è accaduto, l’Unione Europea ha preferito rintanarsi nel proprio paradiso perduto, costruendo un isola felice e in un certo senso isolandosi dal resto del mondo. Questo isolamento europeo ha permesso, nei successivi trent’anni circa, alla Russia di acquistare molta dell’antica potenza dell’Unione Sovietica, ma ha anche permesso la nascita di nuove potenze globali come la Cina, che oggi, è rappresenta la principale rivale del mondo “occidentale”.

L’Unione Europea negli anni novanta aveva in mano tutte le carte giuste per potersi imporre come potenza egemone nel mondo, ma ha preferito restare in disparte a guardare, ha preferito delegare ad altri (gli stati uniti) il compito di “tutelare” la “pace e l’ordine” per conto delle Nazioni Unite, e mentre l’Europa guardava, la Cina cresceva in potenza, ed oggi si trova nella condizione di poter scardinare il vecchio sistema globale, che per secoli ha visto l’europa e il mondo occidentale porsi all’apice delle civiltà umane, proponendo il proprio sistema mondo.

La Cina oggi è ad un passo dal diventare una superpotenza pari, o forse superiore, alle Superpotenze della Guerra Fredda, la Cina oggi è ad un passo da sostituirsi agli USA e al mondo occidentale.

Un nuovo sceriffo è in città e la sua presenza, desta timore e stupore, e mentre al saloon l’europa serve da bere a buoni e cattivi, i due sceriffi si preparano a scontrarsi in un duello di quelli che solo Sergio Leone sapeva raccontare. Ma chi sarà più veloce a sparare, chi colpirà per primo, chi cadrà, chi sarà il nuovo sceriffo, questo è ancora presto per dirlo, nel frattempo banditi e onesti lavoratori fanno il tifo per l’uno o l’altro sceriffo, qualcuno scappa, qualcuno gioca la sua ultima mano al tavolo mentre sorseggia un boccale di birra ghiacciata appena versato nel saloon “la vecchia europa”.

Ernesto Guevara – discorso alle Nazioni Unite 11 Dicembre 1964

Signor presidente, signori delegati,
la delegazione di Cuba a questa Assemblea ha il piacere di adempiere, in primo luogo, al grato dovere di salutare l’ingresso di tre nuove nazioni nel novero di quelle che qui discutono i problemi del mondo. Salutiamo cioè, nelle persone dei loro Presidenti e Primi Ministri, i popoli della Zambia, del Malawi e di Malta e facciamo voti perché questi paesi entrino a far parte fin dal primo momento del gruppo di nazioni non allineate che lottano contro l’imperialismo, il colonialismo e il neocolonialismo.

Leggi tutto “Ernesto Guevara – discorso alle Nazioni Unite 11 Dicembre 1964”

Exit mobile version