Le Metamorfosi: Apuleio e la favola di Amore e Psiche | CM

L’autore: Apuleio

Lucio Apuleio Madaurense, nato nel 125 d.C. a Madaura e morto tra il 170 e il 180 d.C. a Cartagine, è stato un noto scrittore, filosofo e retore latino di origini nordafricane. Deve la sua notorietà soprattutto alla sua opera di maggiore successo, Le Metamorfosi (Metamorphoseon libri XI), anche conosciuta come L’asino d’oro (Asinus aureus).

Come spesso accade per gli autori classici greci e latini, la maggior parte delle informazioni su questo autore sono ricavabili proprio da egli stesso e soprattutto dalle sue opere, caratterizzate da una spiccata vena esibizionistica ed egocentrica; tratti propri del suo narcisismo. Provenendo da una famiglia piuttosto agiata potè permettersi un buon livello d’istruzione e viaggi in vari Paesi, tra cui Cartagine dove studiò retorica e grammatica, Atene dove si dedicò alla filosofia platonica, e infine Roma, ove fu conferenziere in età più avanzata.

Il personaggio di Apuleio è inoltre connotato da una fervente nota di fascino e mistero, dovuta al suo spiccato interesse per i culti misterici tipici dell’Oriente che lo portarono a occuparsi anche di magia, pratica che gli costò l’accusa di plagio e cattiva influenza per aver sposato una donna molto più ricca e vecchia di lui, madre del suo compagno di studi Ponziano. L’accusa avrebbe anche riguardato l’omicidio del suo amico, esponendo così Apuleio al rischio della pena capitale. Tuttavia egli ricorse alle sue abili doti di retore, e grazie a una celebre orazione fu assolto.

Non abbiamo molte notizie riguardo gli ultimi anni di vita dello scrittore; si sa per certo che si stabilì definitivamente a Cartagine ottenendo un incarico sacerdotale nei confronti del dio curatore Asclepio. Non avendo ulteriori informazioni sulla sua vita dopo il 170 d.C., la morte è collocabile intorno al 180 d.C. circa.

L’opera: Le Metamorfosi

L’opera che maggiormente giovò alla fama di Apuleio fu proprio Le Metamorfosi (titolo latino Metamorphoseon libri XI), anche nota come L’asino d’oro (Asinus aureus), collocabile intorno al II secolo d.C.. Si tratta dell’unico romanzo latino a noi pervenuto, allo stesso modo del Satyricon, a differenza del quale ci è però giunto interamente.

Le Metamorfosi rappresentano un vero e proprio “giallo letterario” per la narrativa latina, tanto che sono ancora attivi numerosi studi e ricerche per operare una corretta catalogazione del’opera, motivo per cui il genere bibliografico risulta ancora incerto e non del tutto classificabile. Molti sostengono che si tratti di una rielaborazione del testo greco pseudolucianeo (opera spuria di Luciano di Samosata) Lucio o l’asino, dal quale avrebbe differenti alcuni elementi minimi come l’estensione della narrazione e l’introduzione alle novelle.

Si tratta di un’opera piuttosto corposa, suddivisa in undici libri, narrante le diverse peripezie di un certo Lucio che verrà anche trasformato in un asino durante le sue numerose prove e avventure. Tuttavia quella dell’asino è solo una delle molteplici peripezie che il giovane sarà costretto ad affrontare prima di raggiungere il tanto sperato lieto fine, per riacquisire infine le fattezze umane grazie a un culto misterico in onore della dea Iside; la presenza della magia e dei riti misterici rappresentano infatti una costante all’interno degli scritti di Apuleio.

Quella di Lucio rappresenta però solamente la novella principale, da cui prenderanno origine numerose altre avventure, fabule e personaggi secondari che andranno a costituire digressioni e deviazioni dalla trama originale, tra le quali possiamo citare la celebre favola di Amore e Psiche. Si tratta infatti di una fiaba a tutti gli effetti, nonchè diretta debitrice della rinomata fabula milesia, una raccolta di novelle perdute a sfondo erotico scritte da Aristide di Mileto, autore greco. Sono infatti evidenti anche i numerosi riferimenti letterari relativi alla cultura greco-latina, come i vasti paesaggi bucolici, e le tipiche caratteristiche orali che rimandano al genere fiabesco.

L’opera estenderà il suo successo non solo alla contemporaneità dell’autore, ma andrà a influenzare numerosi scritti medievali, come il Decameron (specialmente per l’utilizzo dello schema narrativo “a cornice”), e i romanzi barocchi, tipici del ‘700. Tale favola inoltre, per il suo successo e la sua vena amorosa, influenzerà moltissimo anche il mondo dell’arte e della scultura moderna.

La fiaba: Amore e Psiche

Protagonista dell’intera favola, Psiche rappresenta la più giovane, nonchè più bella, delle tre figlie di un re e una regina che vivevano in una città non ben definita. La vicenda della fanciulla ruota intorno al tema della sua straordinaria bellezza, ammirata da tutti e invidiata persino da Venere in persona, la quale incarica il figlio Cupido di far infatuare la ragazza del più abietto degli uomini. L’incarico non riesce però al dio dell’amore il quale, perdutamente innamorato della bellezza della giovane, la rapisce rinchiudendola in un palazzo incantato e passando con lei solamente le notti, impedendole così di vederlo in volto.

Tuttavia la lontananza della fanciulla dalla sua casa si trasforma rapidamente in nostalgia e Cupido, mosso dall’amore per lei, acconsente a farla incontrare con le sue due sorelle che, invidiose del suo sposo misterioso e del magnifico luogo in cui vive, iniziano a tramare contro di lei convincendola persino a uccidere con un coltello il suo sposo mentre dorme. Psiche, ormai persuasa del fatto che si tratti di un orribile mostro, mette in atto il suo piano; ma quando si rende conto che si tratta proprio del dio dell’amore, sconvolta da tale vista, si punge erroneamente con una delle sue frecce, cadendo in un amore folle e disperato per lui.

A quel punto il dio, deluso dalle intenzioni della ragazza, vola via, trascinando Psiche in una incolmabile tristezza per la perdita del suo amato, che ritorna dalla madre Venere la quale, venuta a conoscenza dell’intera vicenda, s’infuria a tal punto da iniziare a cercare Psiche in ogni luogo possibile. Quando la fanciulla raggiunge infine la dimora di Venere, quest’ultima la tortura senza sosta, sottoponendola a terribili prove dalle quali non si sarebbe mai potuta salvare. Tuttavia Psiche riesce a superare ogni ostacolo grazie a un costante aiuto divino che l’accompagna in ogni prova, e a ricongiungersi infine con il suo amato Cupido, da cui nascerà una bambina chiamata Voluttà.

I personaggi: caratteristiche

PSICHE: Se da un lato la giovane fanciulla incarna l’ingenuità, il candore e l’innocenza, dall’altro Psiche dimostra anche una grande personalità e un enorme coraggio, mosso principalmente dal sentimento amoroso per Cupido; infatti attraverso il loro matrimonio, che inizialmente viene vissuto come una tremenda prigionia, Psiche impara ad amare il suo sposo misterioso, grazie a un sentimento vero e sincero, basato sulla fiducia creatasi tra i due amanti. Psiche è inoltre una duplice vittima, poichè se da una parte sarà corrotta dalle cattiverie delle sue sorelle, dall’altra dovrà sopportare le terribili crudeltà che le saranno inflitte da Venere, sua principale nemica. Tuttavia il riscatto della protagonista è assicurato, e la fanciulla riuscirà a dimostrare il suo valore e a ricongiungersi con il suo amato.

“E fu così che l’ignara Psiche, ferendosi di proposito con la freccia divina, s’innamorò di Amore.”

Le Metamorfosi (libro V, 23)

CUPIDO: Sebbene a primo impatto il giovane dio possa sembrare quasi un ragazzino dai tumultuosi desideri lussuriosi, quello che prova per Psiche è un sentimento sincero, tanto che nell’ultima delle prove affrontate dalla giovane, arriverà addirittura a salvarla, mettendo da parte la delusione che provava nei suoi confronti e riscattandosi da tutte quelle accuse mosse verso di lui da parte dell’adirata madre e delle altre divinità. Tuttavia egli (come in ogni fiaba) dovrebbe incarnare il ruolo del giovane eroe mosso dal sentimento amoroso per la fanciulla; tale ruolo viene completamente ribaltato nel momento in cui sarà la stessa Psiche a superare delle prove difficoltose per il suo amato, indossando così delle “vesti” tipicamente maschili.

“Così Psiche divenne sposa legittima di Cupido; e quando giunge il momento del parto nasce una bambina che noi chiamiamo Voluttà.”

Le Metamorfosi (libro VI, 24)

VENERE: Antagonista principale della vicenda, la dea incarna pienamente il sentimento dell’invidia, trasformatasi poi in una rabbia furente. Venere non riesce infatti ad accettare la bellezza della giovane e, non approvando in nessun modo di dover competere con una mortale, cerca con ogni mezzo possibile di eliminarla. Nonostante le divinità vengano spesso rappresentate come benigne e favorevoli verso gli uomini, altrettante volte esse vengono mosse da sentimenti bassi e riprovevoli, al pari degli esseri umani, come avviene in questo caso. Venere infatti non appare mai caratterizzata da sentimenti amabili e gentili; al contrario la sua cattiveria si evolve in un climax, un crescendo di rabbia e odio verso la protagonista.

“Ma davvero si è innamorato della mia rivale in bellezza, di quella che vorrebbe usurpare il mio nome?”

Le Metamorfosi (libro V, 28)

LE DUE SORELLE: Invidiose e meschine, nonostante occupino un ruolo decisamente marginale all’interno della vicenda, le due sorelle di Psiche (i cui nomi sono sconosciuti) intervengono nella fiaba con una notevole influenza, specialmente nei confronti della protagonista. Esse infatti sono quasi da intendersi come le “sorellastre cattive” invidiose della sorella più piccola, più bella e soprattutto più privilegiata. Saranno infatti proprio le loro malelingue a smuovere l’iniziale stato idilliaco della vicenda, influenzando le idee di Psiche, trascinandola verso il baratro e portando Cupido lontano da lei. Tuttavia il lieto fine, come in ogni favola, trionfa, e le due sorelle avranno la fine che meritano.

“L’ordine fu eseguito all’istante: ma nel viaggio di ritorno le care sorelline, rose dal fiele dell’invidia, cominciarono a parlottare fra loro e a sputare veleno sulla sorella minore.”

Le Metamorfosi (libro V, 9)

D.A.F. de Sade: Justine o le disavventure della virtù. Un innovativo fabliaux del ‘700 | CM

Chi era il Marquis de Sade

Nato nel 1740, Donatien-Alphonse-François de Sade fu probabilmente uno dei personaggi più discussi e criticati del XVIII secolo. Appartenente a una famiglia dell’antica nobiltà francese, fu signore di Saumane, di La Coste e di Mazan, oltre che conte e marchese. Era infatti il discendente di una delle più antiche dinastie della Provenza, nonchè figlio del conte Jean Baptiste François Joseph de Sade e di Marie Eléonore de Maillé de Carman, nipote di Richelieu e dama di compagnia di Carolina d’Assia-Rotenburg, principessa di Condé.

Nonostante gli svariati titoli e l’agiata condizione da cui proveniva, si guadagnò ben presto una fama tutt’altro che rispettabile, a causa di numerosi crimini commessi tra cui svariati stupri, sodomia, tentativi di avvelenamento, anticlericalismo e depravazione. Infatti, in seguito a svariati momenti di incarcerazione, arrivò persino alla reclusione nella prigione della Bastiglia, perseguitato dal regime monarchico che aveva tanto disprezzato aderendo alla Rivoluzione Francese come nobile rivoluzionario, e lì vi rimase per diversi anni, scrivendo alcune delle sue opere più celebri. Finì la sua vita in carcere dopo un lungo periodo in manicomio, probabilmente a causa dell’eccessivo sadismo, estremamente mal visto dalla società del tempo. Morì nel 1800 per gravi problemi cardiaci e polmonari, da cui era affetto da tempo.

A caratterizzare il suo stile decisamente al di fuori dai canoni del suo tempo contribuiscono un forte spirito rivoluzionario, accompagnato da una ferrea condanna verso ogni forma di potere, come schiavismo, nobiltà, monarchia e persino clericalismo. De Sade condannava inoltre con grande fermezza tutti i tipi tabù e le ferree restrizioni sessuali del suo tempo, venendo etichettato come uno dei massimi esponenti di un estremo libertinismo di fine ‘700. Proprio dal suo nome infatti deriverà la parola “sadismo”, poichè egli stesso era solito appagare i suoi sfrenati desideri sessuali attraverso pratiche estreme e spesso anche dolorose, seducendo donne o ingaggiando prostitute.

“Donatien-Alphonse-Françoia, marchese de Sade, famoso per le sue disgrazie e per il suo genio, che avrà l’onore di illustrare l’antica casata con il più nobile dei titoli, quello delle lettere e del pensiero, e che lascerà ai suoi discendenti un nome veramente insigne.”

Gilbert Lely, “Il profeta dell’erotismo. Vita del marchese de Sade

Justine: vittima innocente o fautrice del proprio destino?

Una delle massime opere del marchese, nonché la prima di tutte le sue pubblicazioni, fu Justine o le disavventure della virtù, pubblicata nel 1791. Si tratta di un romanzo a sfondo erotico, per questo molto simile ai fabliaux medievali, ma differente nella particolare cura e attenzione rivolta alla psicologia della protagonista, e non solo al mero tema sessuale. Justine, protagonista appunto del racconto, è una nobile fanciulla divenuta orfana e cresciuta in un orfanotrofio con la sorella, la quale possiede una morale completamente opposta alla sua; è infatti scaltra, astuta e manipolatrice, disposta a tutto pur di ottenere fama e ricchezza. Il completo opposto della giovane protagonista, la quale è dotata di una profonda nobiltà d’animo e di alti valori rigidamente legati alla dottrina cattolica.

Tuttavia la sorte dividerà la strada delle due fanciulle e mentre la sorella riuscirà ad effettuare una notevole scalata sociale tra omicidi e adulteri, Justine si ritroverà sempre senza soldi e costantemente nelle mani dei peggiori depravati. L’opera è infatti incentrata, come suggerisce il titolo stesso, sulle disavventure di Justine, la quale, pur essendo sempre accompagnata da una ferrea morale, non riesce in nessun modo a sottrarsi dalle grinfie di uomini dediti alle peggiori perversioni. Le sue vicende sembrano quasi seguire un climax che va costantemente peggiorando negli incontri compiuti dalla ragazza; ogni “mostro” a cui deve sottomettersi sembra essere sempre peggio di quello precedente. Ma allora perché il personaggio di Justine può quasi non sembrare una vittima?

Spesso e volentieri la protagonista in momenti di estrema difficoltà non fa altro che appellarsi alla propria virtù, peggiorando così inevitabilmente le già drammatiche situazioni in cui si trova, senza provare effettivamente a trovare una via di fuga o un modo per ribellarsi. Altre volte invece appare sveglia e risoluta, e in alcuni casi riesce quasi a salvarsi, portando il lettore a tifare per la rivalsa di un personaggio che nella maggior parte dei casi sembra essere perduto per sempre. Ma ovviamente Justine é la protagonista destinata a soccombere e le sventure continuano a perseguitarla, non lasciandola mai del tutto in pace. Il suo è comunque un personaggio molto ben riuscito; quante ragazzine come lei riuscirebbero a perseguire rigidamente una morale così alta senza cercare di ricorrere a qualsiasi losco escamotage pur di risparmiarsi a situazioni tanto drammatiche? Ebbene Jusine ce la fa, e fino alla fine della storia, senza mai abbandonare i devoti insegnamenti cristiani e mantenendo costanti i tratti del suo personaggio. Tuttavia leggendo l’opera una domanda sorge spontanea: Justine, pur essendo una vittima innocente, non è lei la fonte principale di tutti i suoi mali, l’unica vera fautrice del proprio destino?

Lieto fine o dramma senza fine?

Al termine di una serie di sventure che sembrano non finire mai, sorge spontaneo al lettore chiedersi come andrà a finire la storia di questa povera ragazza, e sorge altrettanto spontaneo pensare, o meglio, sperare in un riscatto finale della fanciulla. Ma de Sade non riserva alcuna pietà per la povera Justine. L’opera incarna infatti un perfetto manifesto di pessimismo e corruzione senza fine, e lo stesso de Sade nell’introduzione mostra una ben manifesta irritazione verso i romanzi “classici”, dove il bene e la virtù alla fine trionfano sempre sui mali e sui vizi, regalando ai lettori un perenne, nonchè scontato, lieto fine. Tuttavia, al posto di questo schema classico, qui viene portato sulla scena un modello tutt’altro che “classico”.

“…Una sfortunata errante di disgrazia in disgrazia; giocattolo di ogni scelleratezza; bersaglio di tutti i vizi…”.

Da “Justine o le disavventure della virtù”

Tuttavia, nonostante sembri aprirsi una minuscola luce alla fine di un tunner che pareva infinito, la sorte mette nuovamente i bastoni tra le ruote alla povera Justine senza porre così una fine ai suoi drammi. Sebbene Justine rappresenti una protagonista più che virtuosa nella sua alta moralità, non fa che imbattersi nella peggior specie di individui, per la maggior parte perversi libertini, i quali utilizzano dei sofismi e complicati meccanismi per tentare di convincerla dell’inutilità della sua virtù. Il lieto fine pertanto è del tutto inesistente, così come per la ragazza è inesistente qualsiasi forma di riscatto. Tuttavia non si presenta come un’opera del tutto priva di momenti lieti o di piccole “risalite” in superficie; tali elementi ci sono, ma si tratta inevitabilmente di momentanee illusioni della ragazza, e dunque anche del lettore stesso.

L’erotismo come sfondo

Justine o le disavventure della virtù, nonostante venga etichettato come un romanzo erotico, svela più un dramma personale, che segue appunto meticolosamente tutte le continue sciagure di Justine. Sebbene ci sia una certa insistenza sul tema dell’erotismo, il quale funge da protagonista per ogni evento in cui si imbatte la ragazza, esso rappresenta in realtà solamente uno “sfondo”, una base sulla quale sviluppare le drammatiche vicende che si susseguono lungo la storia.

L’opera è in sé piuttosto cruda, e talvolta anche molto violenta. Tuttavia nonostante ciò in alcuni punti può addirittura risultare lenta e quasi “noiosa”; questo perchè lo scopo principale dell’autore non è quello di trasmettere un qualsiasi romanzo erotico “di piacere”, così come sarebbe stato per ogni fabliaux di epoca medievale, bensì quello di analizzare il più accuratamente possibile l’evoluzione e soprattutto la psicologia della protagonista attraverso una serie di peripezie dalle quali riesce sempre ad uscirne illesa, per poi ricadere nuovamente di volta in volta in una disgrazia ancora peggiore rispetto a quella precedente. Infatti la salda virtù di Justine non cede mai, fedele ai suoi principi, nonostante le disgrazie la perseguitino in un crescendo infinito, tanto che sarà proprio una fine agghiacciante ad attendere la protagonista, che non ha voluto piegarsi alla traviata morale del mondo.

Proprio per tutte queste motivazioni prevalgono lunghe riflessioni della ragazza, monologhi e lunghe narrazioni molto dettagliate rispetto alle sue condizioni psicologiche, piuttosto che fisiche; come ci si potrebbe invece aspettare. L’erotismo è dunque solamente un mezzo narrativo, tipico del “divin marchese”, per poter mostrare il più concretamente possibile qualcosa di molto più profondo, come ad esempio sottolineare quanto la bigotta devozione dell’epoca potesse anche risultare dannosa, se non letale; e Justine ne rappresenta la prova.

L’opera come condanna sociale

Non si tratta pertanto di un’opera leggera e scorrevole, e per molti punti di vista può anche risultare appunto spesso pesante o quasi “noiosa”, ma se si ha un po’ di pazienza e tanta voglia di leggere oltre le righe, si potranno scorgere, oltre ai numerosi riferimenti sessuali, delle profonde riflessioni psicologiche, se non addirittura filosofiche e sociali. De Sade infatti non scrive unicamente per puro diletto; le sue sono spesso e volentieri delle vere e proprie critiche dirette contro i numerosi tabù che rispecchiano la società della sua epoca, le quali vogliono appunto inneggiare a un aperto libertinismo che in realtà molti praticavano, seppur velatamente, ma nessuno aveva davvero il coraggio di declamare.

Egli rappresenta infatti l’altra faccia di una società bigotta e corrotta com’era quella del ‘700, e incarna la ribellione e la condanna nei confronti di questa società, la quale gli ha unicamente procurato il carcere e il manicomio. De Sade pertanto non utilizza la sessualità come mezzo letterario di piacere, bensì come vero e proprio strumento di condanna sociale verso tale comunità tanto rivolta al perbenismo, quanto alla comune pratica di “nascondere tutto il marcio sotto un semplice tappeto”. Questo emerge duramente nelle sue opere.

«Questi sono i sentimenti che dirigeranno il mio lavoro, ed è in considerazioni di questi motivi che chiedo indulgenza al lettore per i filosofemi erronei che sono messi in bocca a più di un personaggio, e per le situazioni talvolta un po’ forti che, per amore della verità, ho ritenuto di mettere sotto i suoi occhi ».

Da “Justine o le disavventure della virtù”

La repubblica Weimar, lotta di uomini e ideali, Guida alla lettura

Guida alla lettura del saggio storico “La repubblica di Weimar, lotta di uomini e ideali” di Davide Bernardini, edito da Diarkos.

La Repubblica di Weimar è uno di quei capitoli particolari della storia del mondo, radicato all’interno di un ben preciso e delineato contesto storico e politico, quello della Germania post grande guerra, i cui effetti però, si riversarono sull’intera umanità e, a distanza di oltre un secolo dalla sua “fondazione” la repubblica di Weimar continua a far parlare di se, ed è sempre più presente nel mondo moderno.

Nell’immaginario comune Weimar rappresenta l’anticamera del totalitarismo tedesco ed è utilizzata da anni ormai, come esempio di una civiltà in decadenza che, con le ultime forze, prova a resistere alla barbarie che si sviluppa al proprio interno.

Nel 1993, in un Italia al che si ritrovava ad affrontare parallelamente la fine della prima repubblica e della guerra fredda, immersa in un clima globale di grande incertezza, un clima fatto di tensioni, scontri e incontri. In quel panorama politico e geopolitico dal sapore internazionale, furono in molti a parlare di “fine della storia” e in Italia qualcuno osservò con audacia, di intravedere in quel clima, orizzonti già visti altrove e in altre epoche, raccontando l’Italia all’alba della seconda repubblica come una novella Weimar.

In quel contesto Francesco Guccini, nell’album Parnassius Guccini, pubblica la canzone “Nostra signora dell’ipocrisia“, in cui racconta il dramma politico dell’epoca, citando proprio Weimar nelle primissime strofe della canzone.

Un artigiano di scoop forzati scrisse che Weimar già si scorgeva e fra biscotti sponsorizzati videro un anchorman che piangeva e poi la nebbia discese a banchi ed il barometro segnò tempesta, ci risvegliammo più vecchi e stanchi, amaro in bocca, cerchio alla testa…

F.Guccini, Nostra signora dell’Ipocrisia, Parnassius Guccini, 1993

L’anticamera del totalitarismo

La Repubblica di Weimar fu, per la storia tedesca, e non solo, una complicata e controversa esperienza politica, oltre che storica, fu una parentesi dal profumo democratico che si colloca tra la fine del secondo impero e l’istituzione del terzo reich hitleriano. Weimar fu il luogo storico e politico, in cui vennero gettate le basi del futuro regime nazista, e per certi versi fu l’anticamera di quell’oscuro e devastante regime totalitario fondato su rancore, odio, rabbia, intolleranza e finto patriottismo elitario.

La repubblica di Weimar segna il punto d’arrivo della democrazia tedesca, segna il fallimento della democrazia difronte a certe istanze e definisce il trionfo delle correnti più estreme e radicali sulle correnti più moderate, configurandosi per molti come la concretizzazione di quelle profetiche parole messe per iscritto da Platone nel libro quarto della repubblica, e noto come il brano sulla “sete di Libertà“.

Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.

Platone, La Republica, Libro IV

Il grande laboratorio di Weimar

Weimar non fu solo il luogo in cui germogliarono i semi del nazional socialismo, ma fu anche un grande laboratorio politico, collocato nel cuore dell’Europa, in cui si sperimentò un alternativa alla rivoluzione sovietica.

In questo immenso laboratorio, rimasto in funzione, con non poche difficoltà, per circa 15 anni, dal 1918 al 1933, tanti furono gli esperimenti frutto dell’incontro, scontro, intreccio e rielaborazione delle principali idee e correnti politiche del primo novecento, e tanti furono i fallimenti.

E fu proprio per effetto di quegli esperimenti non riusciti che si consolidò l’idea di una politica più radicale fondata su idee combattenti, su idee che dovevano essere difese non solo con il dialogo, ma anche e soprattutto con la forza e le armi.

Weimar, lotta di uomini e ideali

Il saggio storico di David Bernardini intitolato La Repubblica di Weimar, Lotta di uomini e ideali, edito da Diarkos si pone l’obbiettivo di ripensare, a distanza di un secolo dalla propria nascita, la Repubblica di Weimar. Ripensare non significa revisionare, il saggio va precisato, non ha un carattere revisionista e il suo obbiettivo è quello di scavare a fondo nella storia di Weimar, nel tentativo di comprendere quali sono stati gli errori che hanno portato al tracollo quell’esperienza democratica, permettendo la nascita e l’affermazione del regime nazista.

Il saggio si struttura in due grandi parti, e racconta la storia e le idee che fecero la Repubblica di Weimar, in maniera non lineare, ma seguendo temi e tematiche.

Weimar, lotta di uomini e ideali si sviluppa in un articolata e non troppo semplice rete di punti e concetti, che, nel complesso, forniscono un panorama ampio e completo su tutta l’esperienza di Weimar.

Parte prima

La prima parte del libro ha un carattere fortemente divulgativo, e permette di inquadrare a pieno tutti gli aspetti e gli elementi che andarono a comporre la struttura di Weimar, chi furono i suoi protagonisti, quali furono le idee che definirono l’esperienza politica di Weimar e quali furono i momenti salienti dell’intera esperienza politica iniziata nel 1918 e terminata nel 1933.

I vari capitoli del libro, sia della prima che della seconda parte, come anticipato, sono sviluppati su temi e concetti consequenziali, e, se bene scollegati tra loro, sono strutturati su un percorso cronologico che rende non troppo semplice ed efficace una lettura asincrona, almeno non alla prima lettura.

Nella prima parte infatti ogni capitolo e propedeutico, per ragioni cronologiche, ai capitoli successivi. Inoltre, l’intera prima parte costituisce la base concettuale ed evenemenziale, su cui è costruita la seconda parte.

Questo discorso ovviamente decade per eventuali letture successive alla prima.

Parte seconda

Se i temi ed argomenti trattati che compongono la prima parte del saggio sono trattati in modo netto e puntuale, volti a ricostruire la storia della Repubblica di Weimar, i temi trattati nella seconda parte, hanno un carattere più trasversale ed hanno il fine di favorire l’immersione del lettore in quell’esperienza storica.

Diversamente dai capitoli della prima parte, quelli della seconda parte possono essere letti in maniera asincrona, poiché non consequenziali, di conseguenza le informazioni contenute in un capitolo, non sono propedeutiche per la lettura e comprensione dei capitoli successivi.

Conclusioni

Anche se di carattere generalmente divulgativo, i vari temi trattati, per essere compresi a pieno, soprattutto nella seconda parte, richiedono alcune conoscenze preliminari, senza le quali, purtroppo, non è possibile cogliere completamente tutte le sfumature del saggio.

La divisione del saggio in due parti permette in parte di ovviare ad una preliminare carenza di informazioni di base, la prima parte infatti, ha una struttura più manualistica con cui, l’autore, oltre a fornire una narrazione ampia e completa dell’esperienza storica della repubblica di Weimar, getta le basi per la seconda parte, di carattere più avanzato.

In definitiva, La repubblica di Weimar, Lotta di uomini e ideali, non è un libro adatto a chiunque. Il saggio si rivolge prevalentemente a chi vuole conoscere e approfondire meglio la storia della Germania degli anni venti. Il lettore ideale ha già una conoscenza basilare degli avvenimenti di quel periodo oltre che del contesto e delle idee politiche dell’epoca.

Chi è Davide Bernardini?

Davide Bernardini è un giovane storico italiano, classe 1988, laureato presso l’università di Teramo e attualmente docente a contratto presso l’Università degli studi di Milano, è inoltre socio del SISSCO può vantare numerose recensioni in collaborazione con la Rivista storica del socialismo ed Giornale di storia contemporanea, oltre a diversi articoli di ricerca e alcuni saggi, tra cui Nazionalbolscevismo. Piccola storia del rossobrunismo in Europa edito da ShaKe.

I Medici di Claudia Tripodi, Guida alla lettura

Dopo tanto tempo, finalmente, ritorno a pubblicare, e lo faccio con una guida alla lettura, in particolare la guida alla lettura del saggio I Medici di Claudia tripodi.

Questa guida sarebbe dovuta uscire ad ottobre, ma, una serie di sfortunati eventi, mi hanno impedito di lavorarci per molto tempo, ho quindi rimandato la scrittura e pubblicazione a dopo le feste, forte di una seconda rilettura del saggio di Claudia Tripodi.

Prima di cominciare con la guida, voglio ringraziare l’editore Diarkos per avermi fornito una copia del libro finalizzata alla produzione di questa guida.

I medici, ascesa e potere di una grande dinastia

Il saggio I medici, ascesa e potere di una grande dinastia, di Claudia Tripodi si presenta come una raccolta di saggi di carattere biografico, riguardanti le principali personalità che hanno fatto la storia della famiglia de Medici, partendo dal capostipite Giovanni di Bicci de Medici, vissuto tra XIV e XV secolo, fino ad arrivare alla principessa palatina Anna Maria Luisa de Medici, vissuta tra XVII e XVIII secolo.

L’arco temporale coperto dal saggio è dunque molto ampio, e coincide con l’ultimo medioevo e gran parte dell’età moderna, epoche di cui è consigliato avere un infarinatura generale al fine di affrontare la lettura del saggio in modo armonioso. Il saggio è comunque di carattere divulgativo, e fornisce, tra le proprie pagine, tutti gli strumenti necessari per poter ricostruire e comprendere a pieno, la dimensione politica e sociale in cui si collocano le vite presentate nell’opera.

In poco più di 300 pagine, il saggio condensa una narrazione enciclopedica delle vite e delle vicende che hanno reso grande la dinastia de Medici, protagonista, non di secondo piano, di gran parte della storia italica ed europea.

La raccolta di saggi può essere letta sia come una “storia familiare” che come una storia europea che parte dalla toscana, giunge Roma, presso la corte papale di Leone X, al secolo Giovanni Lorenzo de Medici, si trasferisce poi a Parigi, presso la corte del re di Francia Enrico II, di cui Caterina de Medici era consorte, per poi tornare in Italia, presso la corte medicea del Granducato di Toscana.

I Medici

La storia della famiglia de Medici è una storia immensa ed estremamente complicata, e non basterebbe una vita intera per studiarla completamente, poiché tante, forse troppe, sono le personalità di alto rilievo appartenute a quella che è stata una delle più importanti dinastia dell’intera storia d’Italia.

Nonostante il saggio si muova in un campo a dir poco sterminato, l’autrice riesce a mantenere ben saldo il timone ed impostare una rotta precisa e puntuale, organizzata in modo schematico attraverso la ricostruzione dei momenti più importanti delle vite degli uomini e delle donne della famiglia de Medici.

Uno degli aspetti che ho apprezzato particolarmente di questo libro è la sua struttura verticale, ogni saggio biografico infatti, può essere letto indipendentemente dagli altri, e può essere visto come punto di partenza per uno studio più approfondito, sulla vita dei singoli protagonisti dell’opera. Fermo restando che, per alcuni membri della famiglia de Medici è più facile reperire informazioni rispetto ad altri.

Uomini e donne come Cosimo il Vecchio, Lorenzo il Magnifico e Caterina de Medici, hanno nomi estremamente celebri e la letteratura storiografica attorno a queste personalità, è a dir poco infinita, altri membri della famiglia invece, come ad esempio Giovanni di Bicci, Cosimo III e Anna Maria Luisa, sono decisamente meno noti, e la letteratura che li riguarda è circoscritta ad un numero estremamente esiguo di opere molto puntuali e, sotto un certo punto di vista, complicate da leggere.

Il saggio I Medici, di Claudia Tripodi, permette, in modo semplice e immediato, di accedere ad informazioni significative, sulla vita di queste personalità, e se per personaggi più noti, può sembrare un qualcosa di non particolarmente significativo, se si sposta la lente sui personaggi minori della dinastia, il saggio diventa estremamente interessante ed utile.

I saggi verticali sui medici

Nell’immaginario collettivo, la dinastia de Medici inizia la propria ascesa al potere, tra Arezzo e Firenze, grazie al genio e l’acume politico di Cosimo de Medici, noto alla storia come Cosimo il Vecchio, tuttavia, Cosimo non è un uomo comune che costruisce un impero dal nulla, Cosimo è in vero figlio di Giovanni di Bicci de Medici, piccolo e ambizioso banchiere fiorentino, la cui eredità avrebbe permesso a Cosimo di gettare le basi dell’Impero della famiglia medicea.

La storia di Giovanni di Bicci è una storia molto sottotono rispetto a quella dell’erede Cosimo, ma non meno significativa o importante, e, nell’ottica di un lavoro ampio e completo sulla famiglia de Medici, è necessario partire da Giovanni per poter comprendere meglio la figura di Cosimo.

Come anticipato nel paragrafo precedente, ho trovato particolarmente utili i saggi sui “medici minori”, di cui, il più delle volte, al di fuori di campi di studio estremamente specifici sulla toscana in età moderna, si conosce forse il nome ed il titolo, ma nulla di più. Questo saggio, grazie allo spazio dedicato a queste personalità, mi ha permesso di conoscere meglio un mondo che mi era lontano, donandomi la chiave di accesso a storie e vite, fino a quel momento collocate in strade quasi completamente sconoscute.

Uno dei miei saggi preferiti del libro è il sesto, intitolato I medici fuori da Firenze, saggio in cui, in modo molto rapido, si raccontano le storie dei pontefici Leone X e Clemente VII oltre che del duca d’Urbino, Lorenzo de Medici, da non confondere con Lorenzo il Magnifico.

Altro saggio che ho apprezzato in modo particolare è il nono, intitolato Caterina dei Medici, la regina Nera, saggio in cui, senza troppi giri di parole, si parla della regina di Francia Caterina de Medici, consorte del re di Francia Enrico II di Valois.

Questi due saggi sono quelli che meglio racchiudono e definiscono il potere temporale della famiglia de Medici, una famiglia così potente da riuscire a partecipare al gioco del trono papale, insediando per ben due volte un membro della propria famiglia al soglio pontificio, e ancora, una famiglia così ricca e potente, da riuscire ad insediarsi, al fianco, e secondo alcuni, riuscendo a controllare, il re di Francia. Caterina non è però stata solo la regina di Francia, ma anche la regina reggente di Francia, per ben due volte, la prima, alla morte di Enrico II, tra il 1560 ed il 1563, per conto del figlio primogenito Carlo IX di Francia e la seconda, nel 1574, alla morte del figlio Carlo, per conto del secondogenito Francesco II di Francia.

Durante la propria presenza alla corte di Francia, Caterina de Medici, fu una donna estremamente presente nella vita politica, sia in veste di regina, che di regina madre, oltre che ovviamente di regina reggente. Ben note sono infatti le rivalità tra Caterina de Medici e Maria Stuart, regina di Scozia e regina consorte di Francia in quanto moglie di Francesco II di Francia.

Il saggio su Caterina de Medici, ci mostra quel mondo controverso e complicato delle relazioni politiche e internazionali del XVI secolo, attraverso la vita di una donna decisamente fuori dal comune che, per un lungo periodo della propria vita, si ritrovo al centro dell’universo politico europeo.

Il saggio sui Medici

Il saggio I medici, di Claudia Tripodi, è nell’insieme, un libro di ampio respiro, in grado di fornire al lettore un infarinatura generale sulla storia politica ed economica dell’Europa moderna, attraverso il racconto delle vite di uomini e donne che, chi più, chi meno, sono stati determinanti nella costruzione di un concetto europeo.

Come già detto altre volte, il saggio ha una struttura verticale, che lo rende particolarmente adatto ad una lettura occasionale o non necessariamente consequenziale. I saggi che compongono l’opera possono essere letti in modo isolato o in ordine sparso, ed è proprio in quest’ultimo medo che ho affrontato la seconda lettura del testo, preferendo soffermarmi su quei saggi che reputavo più interessanti, per quello che era il mio gusto personale e i miei interessi. In soldoni, durante la seconda lettura, ho preferito dare maggiore spazio a saggi che mi incuriosivano e interessavano maggiormente, ovvero saggi su quei personaggi di cui avevo letto e sapevo poco o nulla, e sui quali avevo difficoltà a reperire informazioni.

I Medici, una lettura utile e consapevole

Sfogliando le pagine del libro si noterà immediatamente un enorme varietà di fonti consultate dall’autrice per la realizzazione di quest’opera, i cui contenuti sono tanti quanti i protagonisti della dinastia de medici, e per chi vuole addentrarsi nello studio della famiglia de Medici, o più semplicemente vuole conoscere meglio uno dei suoi protagonisti, questo libro si presenta come uno strumento estremamente utile per due motivi.

Il primo motivo è che questo libro fornisce una porta d’accesso a quelle biografie, attraverso dei saggi monografici, brevi, semplici e di ampio respiro, il saggio su Caterina de Medici, per citarne uno, è un ottimo strumento per acquisire informazioni di base sulla regina di Francia, da cui partire per un lavoro di analisi e ricerca, magari più ampio, inoltre, qualora si fosse intenzionati ad approfondire la figura di Caterina, il saggio, come ogni buon saggio, permette di accedere ad un ampia bibliografia, che, nel caso del saggio su Caterina, si configura come un indice di testi, articoli e documenti, riguardanti questa donna, letture che chiunque può prendere in mano al fine di conoscere meglio e più da vicino la figura di Caterina de Medici.

Qualche parola sull’autrice de I Medici, Claudia Tripodi

Archivista e storica di professione, Claudia Tripodi ha studiato presso l’accademia Paleografica e Università di Firenze, dove ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia Medievale nel 2009, per poi spostare la propria attività di ricerca sulla storia delle famiglie e la mobilità sociale tra Medioevo e Rinascimento, ed è proprio in questo campo che si colloca, perfettamente, il saggio I Medici, un saggio che, come detto più volte in questa guida, è una storia di famiglia, la famiglia de Medici, ma anche una storia politica ed economica europea a cavallo tra medioevo ed età moderna.

Claudia tripodi è attualmente collaboratrice archivista presso l’Archivio di Stato di Firenze, per conto dell’Università Neubauer di Chicago, oltre che redattrice per la rivista “Archivio storico Italiano”.

La maggior parte delle pubblicazioni della dottoressa Tripodi sono di carattere tecnico, in particolare review realizzate per conto di alcune riviste di settore.

Nonostante ciò, è anche autrice di diversi saggi, ultimo dei quali, I Medici, ascesa e potere di una grande dinastia, un saggio che segue lo stile narrativo e strutturale dei precedenti saggi, su Vespucci, edito da Viella Editore e pubblicato nel 2018 con il titolo Prima di Amerigo. I Vespucci da Peretola a Firenze e, prima ancora, del saggio sulla famiglia Spini del 2013, intitolato Gli Spini tra XIV e XV secolo. Il declino di un antico casato fiorentino ed edito da Olschki nella collana Biblioteca storica toscana.

I saggi di Claudia Tripodi sono accomunati, oltre che da un forte carattere divulgativo, che vuole raccontare, in modo chiaro, semplice e diretto, un ampio e complesso percorso di ricerca molto puntuale e specifico. Il saggio sui Medici sintetizza, tra le proprie pagine, anni di studio e ricerca compiuti dall’autrice, sulla nobiltà fiorentina e la società europea tra medioevo e rinascimento.

Conclusioni

Il libro I Medici, ascesa e potere di una grande famiglia di Claudia Tripodi è una raccolta di brevi saggi biografici, realizzati dall’autrice ed aventi come protagonisti, la famiglia de Medici, di cui ci vengono raccontate storie, vite, intrighi, ma anche ambizioni, ostacoli, difficoltà e successi. Il tutto è scritto in modo semplice e chiaro, con uno stile molto lineare e conciso, senza troppi fronzoli e senza dare troppo spazio a concetti e informazioni irrilevanti.

questo libro di Claudia Tripodi si concentra su quelli che sono i momenti più importanti delle vite raccontate, e, se c’è un difetto che è possibile incontrare in questo saggio, forse è proprio la puntualità con cui sono narrate le vicende.

Il saggio ha un carattere divulgativo molto spinto ed acceso, tuttavia, senza una preliminare conoscenza (molto superficiale) delle dinamiche sociali degli ultimi anni del basso medioevo e del rinascimento, alcuni passaggi potrebbero risultare complicati da comprendere e potrebbero richiedere una seconda lettura. Nonostante ciò, il libro non presenta ostacoli insuperabili, le conoscenze e competenze preliminari richieste per poter leggere il libro in modo completo, sono davvero pochissime, e, chiunque sia interessato a leggere un saggio biografico sulla famiglia de Medici, quasi per definizione, dispone già delle conoscenze preliminari richieste.

La struttura verticale del libro, diviso in capitoli monografici riservati ai singoli protagonisti della dinastia medicea, rende il saggio estremamente dinamico, e può essere letto, in vari modi e dimensioni, io stesso, la prima volta che ho letto il libro l’ho letto in un modo “classico” ovvero seguendo l’ordine naturale dei capitoli, mentre, la seconda volta che l’ho letto, mi sono mosso tra i capitoli in ordine sparso, leggendo ad esempio il saggio su Caterina de Medici parallelamente al saggio su Cosimo il Vecchio, ho voluto leggere parallelamente quei due saggi perché da un certo punto di vista, parallele sono le figure di Caterina e Cosimo, entrambi infatti portano la famiglia de Medici su un più alto piano sociale, il primo, Cosimo, introducendo la famiglia all’aristocrazia Italica, la seconda, portando l’aristocratica famiglia italica sul piano delle teste coronate che in quel momento governavano l’Europa, insediandosi sul trono di Francia e dando i natali all’erede di casa Valois.

In definitiva, il libro I Medici di Claudia Tripodi un libro che consiglio a chiunque, sia a chi è incuriosito dalla storia della famiglia de Medici e vuole iniziare un percorso di studio e letture, sia a chi è già addentrato nel mondo della letteratura storiografica e vuole andare ad approfondire determinati aspetti della società europea, in particolare la mobilità sociale tra medioevo e rinascimento, che, in questo libro, la fa da padrona.

Altre guide alla Lettura

Se questa guida alla lettura ti è stata utile e vuoi leggerne altre, ti consiglio la lettura di:

I Lobgobardi, di Elena Percivaldi.
Il Formaggio e i Vermi, di Carlo Ginzburg.
La Fine della cultura di Erich Hobsbaem
Wonderland, di Alberto Mario Banti.

Wonderland, la cultura di massa da Walt Disney ai Pink floyd – Recensione

Recensione di “Wonderland, la cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd”, di Alberto Mario Banti, docente di storia contemporanea e storia culturale all’Università di Pisa.

Ho appena finito di leggere “Wonderland, la cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd“, un vero e proprio capolavoro (non posso definirlo un semplice libro) di Alberto Mario Banti, docente di storia contemporanea e storia culturale all‘Università di Pisa.

Quasi sicuramente nelle prossime settimane pubblicherò una guida alla lettura, ma per ora mi limito a fare alcune considerazioni personali, che possiamo considerare una sorta di recensione, nella quale dirò, a grandi linee, cosa penso di questo libro.

Anche se forse è un discorso superfluo visto che l’ho definito un vero e proprio capolavoro. Ad ogni modo, Cosa ne penso ?

Penso che sia un libro assolutamente stupendo, da un certo punto di vista un vero e proprio capolavoro, che forse sarà un azzardo, ma possiamo considerarlo come un testo rivoluzionario ed estremamente innovativo per il suo genere.

Una delle critiche che da sempre si muovono alla storia culturale è che questa attinga sempre alle poche e solite fonti, e questa critica, non piò essere mossa nei confronti di Wonderland perché il testo del Banti non attinge alle solite fonti, e anzi, potremmo quasi dire che non attinge affatto alle tradizionali fonti, certo, il testo utilizza fonti classiche, analisi sociologiche, studi storici ecc, ma attinge anche ad una moltitudine di elementi propri della pop culture, che difficilmente incontriamo in un saggio storico, a meno che non sia un saggio dedicato esclusivamente ad un determinato elemento pop.

Ed è qui che il saggio è rivoluzionario, perché a differenza di altri, che in passato hanno sottolineato ed evidenziato l’impatto della pop culture nella società, nella cultura di massa, ancorandosi ad un singolo elemento, un singolo aspetto di quella cultura, dal quale partire per sviluppare un discorso storico analitico di stampo tradizionale, questo saggio rompe gli schemi, e racconta la civiltà contemporanea, racconta la società di massa, attraverso i gusti delle masse, attraverso i molteplici elementi, in un certo senso ludici e di intrattenimento, usa film, fumetti, sport, musica, ecc ecc ecc.

Vi sono molti altri saggi che fanno qualcosa di simile, saggi che raccontano un epoca e la società attraverso un filone musicale, attraverso una saga cinematografica, vi sono persino saggi che, ponendo un festival musicale come specchio della società, partono da quel festival per tracciare gli aspetti e gli elementi propri della società e della cultura di quel paese.

Wonderland in questo diverge, non limitandosi ad un singolo elemento della pop culture, ma attingendo a piene mani, ad una moltitudine di elementi. Attraverso questo saggio, che di fatto allarga lo sguardo dandoci una prospettiva più ampia sulla cultura di massa, scopriamo che la società contemporanea è plasmata da alcuni elementi della pop culture che quella stessa società produce, ma, allo stesso tempo, altri elementi di questa pop culture riflettono le inclinazioni della società, andando in contro ai gusti e alle tendenze, configurandosi come un vero e proprio specchio della società. Possiamo quindi dire che, mentre alcuni elementi raccontano la società, altri la influenzano.

Vi assicuro che leggere questo libro cambierà la vostra prospettiva, se vi interessa leggerlo, e vi consiglio di leggerlo, potete acquistarlo su Amazon cliccando qui di seguito.

Wonderland. La cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd

Se proprio vogliamo trovare un qualche difetto, una qualche mancanza a questo libro, e vi assicuro che non è stata affatto facile trovarne, anche perché in realtà non è affatto un difetto, non è una mancanza, è il suo limite temporale, questo saggio infatti prende in esame un determinato arco temporaneo e questo limite esclude necessariamente alcuni elementi in un certo senso “successivi” ai Pink Floyd. Dico in un certo senso perché alcuni di quegli elementi che oggi sono importanti indicatori dei gusti della società di massa, nascevano al tempo dei Pink Floyd, ma all’epoca erano ancora in una fase embrionale che di fatto non rifletteva realmente la cultura di massa.

Va inoltre precisato che, se si considera la vastità di fonti utilizzate nel limitato arco temporale preso in esame, è facile comprendere perché il Banti si sia dato un limite temporale, ed abbia deciso di escludere quegli elementi come la prima internet ed i primi videogiochi, dall’analisi, trent’anni fa Internet non era così come siamo abituati a conoscerlo oggi, era molto più difficile da utilizzare e soprattutto non era alla portata di tutti, era uno strumento si esistente ma che di fatto non trova un riscontro nella cultura popolare, lo stesso discorso vale per le prime generazioni videoludiche, trent’anni fa erano si uno strumento di intrattenimento, certamente innovativo e tecnologicamente molto avanzato, ma che, nella cultura di massa, si rivolgeva ad un utenza molto giovane, un utenza appartenente ad alcune generazioni che, per ragioni fisiologiche in quel momento vengono escluse dal discorso sulla cultura di massa, ma che sarebbero rientrate nel discorso soltanto qualche anno più tardi.

Di casi analoghi se ne potrebbero citare anche altri, ma per il momento rimaniamo solo su questi due, su internet ed i videogiochi. Questi elementi con il tempo avrebbero ampliato il proprio bacino di utenza, includendo nuove generazioni fino a diventare elementi centrali nella cultura di massa, degli anni novanta e al ridosso degli anni duemila, per poi esplodere negli anni successivi, ma questo significa che Internet ed i Videogiochi diventano un elemento di cultura di massa molto al di la del paletto temporale fissato dall’opera.

La loro esclusione quindi non può essere considerata una mancanza, quanto un preludio ad un secondo volume e personalmente spero, con tutto il cuore, che prima o poi verrà pubblicato un secondo volume, una Wonderland due punto zero, che vada dai Pink Floyd a Fortnite.

Questo mio desiderio è alimentato dalla conoscenza e dall’ammirazione personale che nutro nei confronti del professor Banti, che ho avuto il piacere di conoscere all’Università e con il quale ho dato alcuni esami durante il mio percorso accademico, conosco il valore dei suoi studi, dei suoi saggi, conosco il valore del suo lavoro, so quanto influente sia diventato il suo nome e so che forse è uno dei pochi, se non addirittura l’unico storico italiano che potrebbe finalmente trovare una collocazione storica e storiografica ad elementi come internet, e tutte le sue componenti interne, fatte di blog, forum, social media, servizi di stremaing audio e video ecc, o ancora, di elementi come i videogiochi, e le app per smartphone, spesso osannati dalla critica e ingiustamente ritenuto la causa principale di ogni male della nostra società.

Guardare ad internet e al videogioco con prospettiva storica, mi rendo conto che non è qualcosa di facile, e probabilmente dovremmo aspettare ancora qualche anno affinché questo accada, tuttavia, non posso nasconderlo, sarei felicissimo se questi elementi entrassero nel discorso storico grazie ad uomini come Alberto Mario Banti, del resto, con Wanderland ha introdotto Topolino in un discorso storico, non vedo perché lo stesso destino non possa toccare, un giorno, anche a personaggi come Kratos, Ezio Auditore, o il ragazzo del Volt 101.

La fine dell’impero Romano fu causata dei pochi nati e troppi stranieri ?

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un articolo di Rino Camilleri, pubblicato su Il Giornale intitolato “L’Impero romano ? cadde per le poche nascite e i troppi stranieri” l’articolo si basa sul libro “Gli ultimi giorni dell’impero romano”, un romanzo spacciato per saggio storico, scritto da Michel De Jaeghere, un giornalista francese, che sta facendo discutere la Francia per il presunto legame con l’attualità.
Non ho avuto modo di leggere il libro e se le premesse sono quelle esposte nell’articolo di Camilleri non sono molto interessato a leggerlo.
In questa sede mi limiterò a dare una risposta critica all’articolo e indirettamente al libro.

Per chi conosca un minimo la storia romana, saprà che la scala sociale sia in età imperiale che repubblicana, e addirittura in età monarchica, era molto dinamica, diciamo pure che il famoso “sogno americano” dove il figlio di un contadino può ambire a diventare presidente degli stati uniti d’america, all’epoca era il sogno romano, poiché anche l’ultimo degli schiavi, poteva ambire a migliorare la sua condizione e ascendere alle più alte cariche dello stato, non dimentichiamo che sotto Tiberio, i suoi liberti (ex schiavi dell’imperatore liberati) controllavano la burocrazia imperiale.

Certo, non era “facile” ma neanche impossibile.

Allo stesso modo gli stranieri, saranno un elemento fondamentale per l’ascesa e la crescita di Roma che già in età monarchica, vedrà tra i suoi re, un certo Tarquinio Prisco, e se detto così può non avere nulla di strano, le sue origini danno molto a cui pensare. Tarquinio Prisco, a differenza dei suoi predecessori non aveva origini Sabine ma Etrusche, di fatto era un forestiero che giunto a Roma si era arricchito fino a diventare talmente influente da ascendere alla monarchia.

Aggiungo un ultimo esempio, questa volta non politico, ma semplicemente economico, e che tocca da vicino il mondo religioso e il personaggio biblico di San Paolo, nato Saulo di Tarso. Stando al racconto Biblico, San Paolo una volta arrestato fu condotto a Roma per essere giustiziato, e fu giustiziato a roma perché cittadino romano. Paolo/Saulo non era nato a Roma, e come lui nessuno della sua famiglia probabilmente neanche erano mai stati nella capitale imperiale, e pure la sua famiglia era una famiglia romana.

L’esempio di Paolo è importante per ricordare che anche un forestiero poteva ottenere, conquistare o comprare la cittadinanza romana, e non solo negli ultimi anni dell’impero, ma già nella prima età imperiale e anche in età repubblicana.
L’immigrazione e la grande mobilità della società romana non sono la causa della sua fine, ma bensì la causa della sua ascesa. E trovo inammissibile che in un articolo (e spero nel libro non sia così, ma purtroppo non avrò mai modo di scoprirlo) di questo tipo, non si faccia alcun riferimento alla più grande e insostenibile delle spese che l’impero era chiamato a sostenere, ovvero il mantenimento dell’esercito permanente, una risorsa che per lungo tempo si era auto alimentata durante l’età delle espansioni, ma che da un certo momento in poi, divenne troppo costosa, rendendo necessarie diverse manovre di svalutazione della moneta, aumento della tassazione, e svendita della cittadinanza romana.

La causa del crollo di Roma, secondo questo articolo/libro, ha a sua volta una causa scatenante, ben precisa, e nota da tempo, che tuttavia non viene citata nell’articolo, creando confusione e caos.

Continuando a ragionare su questa linea, se davvero fosse vera l’ipotesi della fine dell’impero a causa della forte immigrazione, causata dai costi eccessivi dello stato romano, e soprattutto dell’esercito, allora, la riforma dell’ordinamento militare, realizzata da Gaio Mario tra il secondo ed il primo secolo avanti cristo, rappresenterebbe l’inizio della fine dell’impero romano, una fine iniziata prima ancora che Roma potesse raggiungere la sua massima espansione territoriale.

Questa situazione alquanto paradossale, solleva inevitabilmente molti dubbi sulla tesi di Michel De Jaeghere e del suo collega italiano Rino Camilleri, che probabilmente colpiti dall’enfasi del momento, hanno dato una lettura frettolosa e anti storica dei fatti.

Personalmente reputo la tesi poco mal concepita e soprattutto mal esposta, epurata di numerosi elementi fondamentali per la comprensione di una problematica estremamente ampia, e infinitamente più complessa di come viene proposta (nell’articolo) quale la fine dell’impero romano, una problematica talmente ampia che è impossibile ridurla ad uno ed un solo ed unico elemento.
Temo che, nella frettolosa euforia del momento, dettata dalla possibilità di dare una “motivazione storica” all’intolleranza e alle attuali crisi umanitarie, sempre più diffuse ai confini dell’europa, unita al desiderio di proporre un articolo provocante e soprattutto acchiappa click, il giornalisti non abbia effettivamente letto le oltre seicento pagine del testo di De Jaeghere, ne sfogliato un qualsiasi altro libro sulla storia di Roma, arrivando a proporre un articolo fuorviate, basato su un libro, temo dettato dalle medesime motivazioni.

Come dicevo, non ho avuto modo di leggere “Gli ultimi giorni dell’impero romano” e non credo di voler spendere più di 35 euro per acquistare un saggio storico, che propone una tesi anti storica.

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