Le Metamorfosi: Apuleio e la favola di Amore e Psiche | CM

L’autore: Apuleio

Lucio Apuleio Madaurense, nato nel 125 d.C. a Madaura e morto tra il 170 e il 180 d.C. a Cartagine, è stato un noto scrittore, filosofo e retore latino di origini nordafricane. Deve la sua notorietà soprattutto alla sua opera di maggiore successo, Le Metamorfosi (Metamorphoseon libri XI), anche conosciuta come L’asino d’oro (Asinus aureus).

Come spesso accade per gli autori classici greci e latini, la maggior parte delle informazioni su questo autore sono ricavabili proprio da egli stesso e soprattutto dalle sue opere, caratterizzate da una spiccata vena esibizionistica ed egocentrica; tratti propri del suo narcisismo. Provenendo da una famiglia piuttosto agiata potè permettersi un buon livello d’istruzione e viaggi in vari Paesi, tra cui Cartagine dove studiò retorica e grammatica, Atene dove si dedicò alla filosofia platonica, e infine Roma, ove fu conferenziere in età più avanzata.

Il personaggio di Apuleio è inoltre connotato da una fervente nota di fascino e mistero, dovuta al suo spiccato interesse per i culti misterici tipici dell’Oriente che lo portarono a occuparsi anche di magia, pratica che gli costò l’accusa di plagio e cattiva influenza per aver sposato una donna molto più ricca e vecchia di lui, madre del suo compagno di studi Ponziano. L’accusa avrebbe anche riguardato l’omicidio del suo amico, esponendo così Apuleio al rischio della pena capitale. Tuttavia egli ricorse alle sue abili doti di retore, e grazie a una celebre orazione fu assolto.

Non abbiamo molte notizie riguardo gli ultimi anni di vita dello scrittore; si sa per certo che si stabilì definitivamente a Cartagine ottenendo un incarico sacerdotale nei confronti del dio curatore Asclepio. Non avendo ulteriori informazioni sulla sua vita dopo il 170 d.C., la morte è collocabile intorno al 180 d.C. circa.

L’opera: Le Metamorfosi

L’opera che maggiormente giovò alla fama di Apuleio fu proprio Le Metamorfosi (titolo latino Metamorphoseon libri XI), anche nota come L’asino d’oro (Asinus aureus), collocabile intorno al II secolo d.C.. Si tratta dell’unico romanzo latino a noi pervenuto, allo stesso modo del Satyricon, a differenza del quale ci è però giunto interamente.

Le Metamorfosi rappresentano un vero e proprio “giallo letterario” per la narrativa latina, tanto che sono ancora attivi numerosi studi e ricerche per operare una corretta catalogazione del’opera, motivo per cui il genere bibliografico risulta ancora incerto e non del tutto classificabile. Molti sostengono che si tratti di una rielaborazione del testo greco pseudolucianeo (opera spuria di Luciano di Samosata) Lucio o l’asino, dal quale avrebbe differenti alcuni elementi minimi come l’estensione della narrazione e l’introduzione alle novelle.

Si tratta di un’opera piuttosto corposa, suddivisa in undici libri, narrante le diverse peripezie di un certo Lucio che verrà anche trasformato in un asino durante le sue numerose prove e avventure. Tuttavia quella dell’asino è solo una delle molteplici peripezie che il giovane sarà costretto ad affrontare prima di raggiungere il tanto sperato lieto fine, per riacquisire infine le fattezze umane grazie a un culto misterico in onore della dea Iside; la presenza della magia e dei riti misterici rappresentano infatti una costante all’interno degli scritti di Apuleio.

Quella di Lucio rappresenta però solamente la novella principale, da cui prenderanno origine numerose altre avventure, fabule e personaggi secondari che andranno a costituire digressioni e deviazioni dalla trama originale, tra le quali possiamo citare la celebre favola di Amore e Psiche. Si tratta infatti di una fiaba a tutti gli effetti, nonchè diretta debitrice della rinomata fabula milesia, una raccolta di novelle perdute a sfondo erotico scritte da Aristide di Mileto, autore greco. Sono infatti evidenti anche i numerosi riferimenti letterari relativi alla cultura greco-latina, come i vasti paesaggi bucolici, e le tipiche caratteristiche orali che rimandano al genere fiabesco.

L’opera estenderà il suo successo non solo alla contemporaneità dell’autore, ma andrà a influenzare numerosi scritti medievali, come il Decameron (specialmente per l’utilizzo dello schema narrativo “a cornice”), e i romanzi barocchi, tipici del ‘700. Tale favola inoltre, per il suo successo e la sua vena amorosa, influenzerà moltissimo anche il mondo dell’arte e della scultura moderna.

Amore e Psiche (Canova) - Wikipedia

La fiaba: Amore e Psiche

Protagonista dell’intera favola, Psiche rappresenta la più giovane, nonchè più bella, delle tre figlie di un re e una regina che vivevano in una città non ben definita. La vicenda della fanciulla ruota intorno al tema della sua straordinaria bellezza, ammirata da tutti e invidiata persino da Venere in persona, la quale incarica il figlio Cupido di far infatuare la ragazza del più abietto degli uomini. L’incarico non riesce però al dio dell’amore il quale, perdutamente innamorato della bellezza della giovane, la rapisce rinchiudendola in un palazzo incantato e passando con lei solamente le notti, impedendole così di vederlo in volto.

Tuttavia la lontananza della fanciulla dalla sua casa si trasforma rapidamente in nostalgia e Cupido, mosso dall’amore per lei, acconsente a farla incontrare con le sue due sorelle che, invidiose del suo sposo misterioso e del magnifico luogo in cui vive, iniziano a tramare contro di lei convincendola persino a uccidere con un coltello il suo sposo mentre dorme. Psiche, ormai persuasa del fatto che si tratti di un orribile mostro, mette in atto il suo piano; ma quando si rende conto che si tratta proprio del dio dell’amore, sconvolta da tale vista, si punge erroneamente con una delle sue frecce, cadendo in un amore folle e disperato per lui.

A quel punto il dio, deluso dalle intenzioni della ragazza, vola via, trascinando Psiche in una incolmabile tristezza per la perdita del suo amato, che ritorna dalla madre Venere la quale, venuta a conoscenza dell’intera vicenda, s’infuria a tal punto da iniziare a cercare Psiche in ogni luogo possibile. Quando la fanciulla raggiunge infine la dimora di Venere, quest’ultima la tortura senza sosta, sottoponendola a terribili prove dalle quali non si sarebbe mai potuta salvare. Tuttavia Psiche riesce a superare ogni ostacolo grazie a un costante aiuto divino che l’accompagna in ogni prova, e a ricongiungersi infine con il suo amato Cupido, da cui nascerà una bambina chiamata Voluttà.

I personaggi: caratteristiche

PSICHE: Se da un lato la giovane fanciulla incarna l’ingenuità, il candore e l’innocenza, dall’altro Psiche dimostra anche una grande personalità e un enorme coraggio, mosso principalmente dal sentimento amoroso per Cupido; infatti attraverso il loro matrimonio, che inizialmente viene vissuto come una tremenda prigionia, Psiche impara ad amare il suo sposo misterioso, grazie a un sentimento vero e sincero, basato sulla fiducia creatasi tra i due amanti. Psiche è inoltre una duplice vittima, poichè se da una parte sarà corrotta dalle cattiverie delle sue sorelle, dall’altra dovrà sopportare le terribili crudeltà che le saranno inflitte da Venere, sua principale nemica. Tuttavia il riscatto della protagonista è assicurato, e la fanciulla riuscirà a dimostrare il suo valore e a ricongiungersi con il suo amato.

“E fu così che l’ignara Psiche, ferendosi di proposito con la freccia divina, s’innamorò di Amore.”

Le Metamorfosi (libro V, 23)

CUPIDO: Sebbene a primo impatto il giovane dio possa sembrare quasi un ragazzino dai tumultuosi desideri lussuriosi, quello che prova per Psiche è un sentimento sincero, tanto che nell’ultima delle prove affrontate dalla giovane, arriverà addirittura a salvarla, mettendo da parte la delusione che provava nei suoi confronti e riscattandosi da tutte quelle accuse mosse verso di lui da parte dell’adirata madre e delle altre divinità. Tuttavia egli (come in ogni fiaba) dovrebbe incarnare il ruolo del giovane eroe mosso dal sentimento amoroso per la fanciulla; tale ruolo viene completamente ribaltato nel momento in cui sarà la stessa Psiche a superare delle prove difficoltose per il suo amato, indossando così delle “vesti” tipicamente maschili.

“Così Psiche divenne sposa legittima di Cupido; e quando giunge il momento del parto nasce una bambina che noi chiamiamo Voluttà.”

Le Metamorfosi (libro VI, 24)

VENERE: Antagonista principale della vicenda, la dea incarna pienamente il sentimento dell’invidia, trasformatasi poi in una rabbia furente. Venere non riesce infatti ad accettare la bellezza della giovane e, non approvando in nessun modo di dover competere con una mortale, cerca con ogni mezzo possibile di eliminarla. Nonostante le divinità vengano spesso rappresentate come benigne e favorevoli verso gli uomini, altrettante volte esse vengono mosse da sentimenti bassi e riprovevoli, al pari degli esseri umani, come avviene in questo caso. Venere infatti non appare mai caratterizzata da sentimenti amabili e gentili; al contrario la sua cattiveria si evolve in un climax, un crescendo di rabbia e odio verso la protagonista.

“Ma davvero si è innamorato della mia rivale in bellezza, di quella che vorrebbe usurpare il mio nome?”

Le Metamorfosi (libro V, 28)

LE DUE SORELLE: Invidiose e meschine, nonostante occupino un ruolo decisamente marginale all’interno della vicenda, le due sorelle di Psiche (i cui nomi sono sconosciuti) intervengono nella fiaba con una notevole influenza, specialmente nei confronti della protagonista. Esse infatti sono quasi da intendersi come le “sorellastre cattive” invidiose della sorella più piccola, più bella e soprattutto più privilegiata. Saranno infatti proprio le loro malelingue a smuovere l’iniziale stato idilliaco della vicenda, influenzando le idee di Psiche, trascinandola verso il baratro e portando Cupido lontano da lei. Tuttavia il lieto fine, come in ogni favola, trionfa, e le due sorelle avranno la fine che meritano.

“L’ordine fu eseguito all’istante: ma nel viaggio di ritorno le care sorelline, rose dal fiele dell’invidia, cominciarono a parlottare fra loro e a sputare veleno sulla sorella minore.”

Le Metamorfosi (libro V, 9)

Società segrete, poteri occulti e complotti, di Roberto Paura | Guida alla lettura

Guida alla lettura del saggio Società Segrete, poteri occulti e complotti di Roberto Paura, edito da Diarkos.

Lo scorso agosto Diarkos Editore mi ha inviato il libro di Roberto Paura, Società Segrete, poteri occulti e complotti, edito da diarkos, al fine di realizzare una guida alla lettura o comunque una recensione.

Ho appena finito di leggerlo e queste sono le mie prime impressioni, seguirà la guida alla lettura e forse un intervista all’autore per il podcast L’Osservatorio.

Prima di cominciare con l’analisi e guida alla lettura, come al solito, voglio aprire una parentesi sull’Autore.

Chi è Roberto Paura?

Roberto Paura è un giovane divulgatore scientifico, laureato Relazioni e Politiche Internazionali presso l’Università di Napoli “L’Orientale” che ha collaborato e collabora con diverse realtà divulgative, tra cui le riviste i Il Tascabile, L’Indiscreto, Delos Science Fiction, e la rivista Query del CICAP.

Tra i suoi libri incontriamo titoli di diverso genere, che si occupano di storia e scienza, soffermandosi, sul piano storico, soprattutto sul periodo illuminista, in particolare il periodo che va dalla rivoluzione francese alla caduta di napoleone, attraverso i libri La strada per Waterloo. Declino e caduta dell’Impero napoleonico, Odoya, Bologna, 2014, ISBN 978-8862882415, Storia del Terrore. Robespierre e la fine della Rivoluzione francese, Odoya, Bologna, 2015, ISBN 978-8862882811 e Guida alla Rivoluzione francese, Odoya, Bologna, 2016, ISBN 978-8862883276.

Oltre a questo, Roberto Paura è fondatore e promotore dell’Italian Institute for the Future, un associazione che si pone l’obiettivo di diffondere in Italia i futures studies e la futurologia sociale, una branca di ricerca, e soprattutto di pensiero, diffusasi a partire dagli anni 50, che ha come obbiettivo “lo studio del futuro”, ovvero l’analisi dell’attualità nel tentativo di individuare la direzione che l’umanità sta prendendo.
Conosco poco questo settore disciplinare, se interessati vi rimando ad un articolo di Roberto Cobianchi, in cui racconta i futures studies. Cercando in rete è presente anche un articolo dello stesso Roberto Paura sui futures studies.

Inquadrato l’autore, cerchiamo di capire il libro, e, come in tutte le mie guide alla lettura, voglio soffermarmi soprattutto su quelli che reputo i difetti e le mancanze, in modo che, grazie a questa guida, la lettura del libro possa essere il più possibile chiara e semplice.

Osservazioni generali sul libro Società Segrete, poteri occulti e complotti.

Cominciamo con il dire che la prefazione/introduzione in cui si parla e osservano le fallace della teoria cospirativa QAnon, raccontandone la genesi, gli elementi caratterizzanti. L’introduzione è a mio avviso la parte migliore dell’intero libro perché permette al lettore di partire dall’attualità, per andare poi a studiare fenomeni analoghi nel passato, come le varie teorie cospirative che si sono susseguite nei secoli. Il tutto risulta molto interessante, così come è molto interessante il racconto e la ricostruzione delle varie teorie cospirative che viene fatto nell’intero libro attraverso i vari capitoli dedicati alle varie teorie.

Per come è strutturato il libro può essere letto in ordine sparso, nel senso che, i vari capitoli non sono propedeutici al capitolo successivo, si può quindi scegliere la teoria cospirativa o “società segreta” che si preferisce o si reputa più interessante, e leggere ciò che l’autore ha scritto, indipendentemente dal resto del libro.

Nel complesso il saggio si organizza come una serie di racconti storici, ricchi di dettagli e informazioni, anche se, da per scontate alcune informazioni e passaggi che, a mio avviso, sarebbe stato meglio includere nel libro al fine di fornire al lettore una una maggiore comprensione dei fenomeni trattati.

Senza troppi giri di parole, il libro è interessante, ma ha delle mancanze, che lo penalizzano molto. Mancano delle informazioni chiave che, se inserite, avrebbero alzato di molto il valore dell’intero volume e reso la comprensione dei fenomeni storici analizzati, molto più semplice anche per lettori inesperti. Senza queste informazioni è purtroppo molto facile cadere in un errata interpretazione del fenomeno e trarre conclusioni errate.

Il saggio di Roberto Paura presenta però anche un altro “difetto” se così lo si può chiamare, relativo alle fonti utilizzate, o meglio, relativo al modo in cui le fonti vengono utilizzate.

Nello specifico, tra le fonti citate incontriamo saggi storici e filosofici, opere analitiche e letterarie e si passa da un contesto all’altro in modo molto repentino, e senza segnalazioni di sorta.

Per fare un esempio pratico, durante la narrazione di un fenomeno come la rivoluzione francese, si raccontano alcuni aneddoti legati al romanzo Cagliostro di Alexander Dumas, intrecciando questi elementi narrativi agli avvenimenti storici e le varie teorie cospirative, con il rischio di far passare concetti errati, come ad esempio l’idea che prima della rivoluzione francese si discutesse e prevedesse una rivoluzione, perché nel libro di Dumas, successivo alla rivoluzione, ci viene raccontata questa storia.

Va però detto che è possibile sopperire a questo difetto prestando attenzione ai riferimenti bibliografici presenti nel testo cosa che, per un lettore “esperto” risulta naturale, ma che, un utente alle prime armi, che non è pratico della lettura critica di un saggio, generalmente non fa.

Il mio consiglio a tal proposito è quello di avere sempre un occhio rivolto alle fonti citate a pie pagina, così da capire esattamente se il passaggio che è stato appena letto è storico, filosofico o narrativo.

Conoscenze preliminari necessarie per una lettura efficace.

Come anticipato, nel libro ci sono delle mancanze, che rendono necessarie al lettore alcune conoscenze preliminari, a mio avviso importanti per una maggiore comprensione del testo.

Un primo elemento mancante, che mi è dispiaciuto non incontrare, soprattutto perché nei primi capitoli si affrontano le teorie del complotto di epoca illuminista, è il tema del Realismo Politico di matrice Hegeliana. Hegel è stato, insieme a Thomas Hobbes tra i primi filosofi ad ipotizzare quello che oggi definiamo “realismo politico” o “realpolitik”, anche se, un precedente a queste idee lo incontriamo già nel Principe di Machiavelli. Detto molto brevemente, il realismo politico, in chiave filosofica, è la teoria per cui la politica mente a priori. La politica, o più precisamente, il potere, di cui, secondo Weber, la politica è un espressione, mente per il mantenimento del potere, e questo attraverso diversi contesti e interessi, la politica può mentire per interessi “politici”, economici, sociali, culturali, personali, bellici, ecc, in definitiva, indipendentemente dalle motivazioni, la politica (attraverso i politici) ed il potere, mentono, in modo più o meno ampio.

In un saggio che affronta il tema del complottismo e delle teorie cospirative, per quando mi riguarda, non può mancare una parentesi sul realismo politico, o quanto meno accennare a tale teoria, perché grazie ad essa l’autore può fornire al lettore, uno strumento critico e di analisi dei fenomeni che si vanno a raccontare, inoltre, grazie a questo elemento, la comprensione delle varie teorie cospirative e della loro genesi, apparirebbe molto più chiara. Tuttavia, l’assenza di una parentesi legata al realismo politico non discrimina troppo la narrazione generale del libro che, se bene non ne parli direttamente, lascia intuire che la maggior parte delle teorie cospirative, sono per lo più fenomeni reazionari a momenti di turbamento volte al conseguimento o comunque al mantenimento del potere.

Altro elemento che mi è dispiaciuto non incontrare, è un accenno alle origini dell’ordine dei Rosa Croce. Ordine che viene citato e chiamato in causa in diverse occasioni nel corso dei vari capitoli, ma in merito al quale, non viene detto molto, e soprattutto, non ci vengono raccontate le origini dell’ordine.
Non ci viene detto che le sue origini sono ignote, sia in età moderna che contemporanea, non ci viene detto l’ordine “vero e proprio” appare solo nel XVIII secolo e che prima d’allora abbiamo solo vaghi riferimenti simbolici, disconnessi e scostanti tra loro e questa informazione mancante, determinante per analizzare le varie teorie legate all’ordine, fa si che l’ordine venga percepito dal lettore come un ordine “millenario”, strutturato e organizzato, che sopravvive attraverso i secoli, percezione che, tuttavia, non coincide con la realtà storica dell’ordine dei Rosacroce.

Apriamo quindi una parentesi sui rosacroce, così che la lettura del saggio possa essere più semplice grazie a questa guida.

Una delle ipotesi più accreditate riguardante l’origine dell’ordine dei rosacroce vedrebbe la nascita effettiva dell’ordine solo in età illuminista, più precisamente nel XVIII secolo, e vedrebbe questo ordine inizialmente fittizio, costruito artificialmente da un solo uomo che ne aveva codificato la ritualità sulla base dei riti e della simbologia massonica, attraverso l’appropriazione indebita di simboli precedenti, creando così l’apparenza di una simbologia antica e millantando un ordine millenario.

Se torniamo all’introduzione del saggio, possiamo osservare che, questo stesso fenomeno, viene messo in atto dalla teoria QAnon, che, come ci viene detto nel libro, individua simboli e gestualità, attribuendo ad essa dei significati specifici, per cui, l’individuazione di quei simboli in determinati contesti, diventa espressione di appartenenza a qualche strana società segreta e cospirazione.

Conclusioni personali

Per concludere, visto il background autoriale di Roberto Paura, mi aspettavo che il contesto filosofico e culturale in cui si sono sviluppate le varie teorie del complotto, in particolare le teorie risalenti al XVIII e XIX secolo, venisse raccontato non solo per fare da sfondo alla narrazione delle teorie cospirative che circolavano in quegli anni, ma anche, e soprattutto, per ragionare sulle origini di quelle teorie cospirative.

In definitiva, il libro di Roberto Paura è un racconto quasi cronistico delle varie società segrete e teorie cospirative ad esse collegate e che si sono succedute nei secoli, è un libro sicuramente interessante, ma poco ambizioso, al quale però manca quello slancio in più, quella componente più analitica e riflessiva, sui fenomeni storici che va a raccontare, che lo avrebbe reso un piccolo tesoro, storiografico oltre che divulgativo.

Il saggio ha un carattere prettamente divulgativo, la narrazione è avvincente, densa, divertente e mai noiosa, ed è un vero peccato che manchi quella decina di pagine, quel capitolo, quella postfazione analitica, in più che lo avrebbe reso, allo stesso tempo, più semplice per un pubblico inesperto e adatto anche ad un pubblico esperto.
Così com’è il libro si colloca in un limbo per il quale non riesco a trovare un pubblico adatto, nel senso che sono richieste, per una lettura ampia e completa, diverse conoscenze preliminari, storiche e filosofiche, senza le quali i vari saggi contenuti nel libro possono risultare incompleti, confusionari, o, nel peggiore dei casi, portare il lettore ad un errata comprensione del fenomeno storico raccontato.

Allo stesso tempo però, ad un lettore più esperto, che ha già una discreta conoscenza delle varie teorie relative a società segrete e cospirazioni, il libro non da molto in più su cui riflettere.

Detto questo, per una buona lettura del saggio, da parte di un lettore inesperto, consiglio caldamente, come già detto in precedenza, di fare molta attenzione alle note bibliografiche e alle fonti citate, in modo da avere ben chiaro ciò di cui si è letto e riuscire a mettere in ordine le informazioni, senza che elementi storici e narrativi si intreccino tra loro.

Gli eroi di Mussolini – Guida alla Lettura

Guida alla lettura del saggio Gli eroi di mussolini, Niccolò Giani e la scuola di mistica fascista, di Aldo Grandi edito da Diarkos

Niccolò Giani, padre e ispiratore della scuola di mistica fascista, fondata nel 1930 insieme ad Arnaldo Mussolini, è protagonista di un interessante saggio semi biografico di Aldo Grandi. Il saggio sviscera il tema della scuola di mistica, in modo puntuale e critico, utilizzando come fonte primaria numerose lettere e scritti dello stesso Niccolò Giani. Nel complesso, il saggio risulta appassionato e interessante, anche se, non adatto a chiunque, è infatti necessaria una discreta conoscenza storiografica del ventennio. Conoscenza storiografica che non vuol dire conoscenza di miti propagandistici sul ventennio.

Circa un mese fa, era il 26 febbraio, mi è arrivato da Diarkos Editore una copia del libro “Gli eroi di Mussolini, Niccolò Giani e la Scuola di Mistica fascista” di Aldo Grandi, e, come da tradizione, dopo averlo letto, procedo con una breve, ma spero utile, guida alla lettura.

Faccio una premessa, riprendendo ciò che avevo originariamente scritto sul profilo instagram di Historicaleye quando ho ricevuto il libro, si tratta di una nuova edizione del libro Gli Eroi di Mussolini di Aldo Grandi, pubblicato inizialmente Rizzoli BUR Editore nel 2004.

Sono passati più di quindici anni dalla prima edizione e ancora, purtroppo, il saggio di Grandi continua ad essere uno dei pochissimi studi sulla scuola di mistica fascista. Come già osservava Giulia Beltrametti nella propria recensione alla prima edizione, pubblicata sul portale del SISSCO, la società Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea, l’ultima opera monografica sul tema, prima di questo saggio di Grandi, è a firma Daniele Marchesini e risale al 1976.

Premesso quindi che Aldo Grandi è un giornalista che si è affacciato, da diverso tempo e in numerose occasioni al panorama storico e, citando ancora una volta Giulia Beltrametti nella sua recensione, in cui osserva che Grandi ci ha fornito un racconto biografico appassionato su Niccolò Giani e i membri della Scuola di mistica fascista, va fatto presente che, il tema affrontato è molto delicato e poco studiato, ciò implica un immenso, per non dire colossale, lavoro preliminare di ricerca e studio del fenomeno da parte dell’Autore.

Detto ciò, possiamo cominciare con la guida e direi di iniziare proprio inquadrando meglio l’Autore (di cui a breve dovrei pubblicare un intervista).

Chi è Aldo Grandi?

Aldo Grandi nasce a Livorno nel 1961 e si laurea in Scienze Politiche a Roma nel 1987. L’anno seguente, stando alla sua breve biografia pubblicata sul proprio portale, vince una borda di studio della “Poligrafici Editoriale Spa” che gli permette di avviarsi alla professione giornalistica. Grandi aveva già collaborato, durante gli anni dell’università, con le pagine culturali di Paese Sera e l’Avanti oltre che al periodico Lavoro e Società della UIL, all’epoca diretto da Aldo Forbice. Nell’aprile del 1990 diventa giornalista professionista nella redazione lucchese del quotidiano La Nazione e, dall’anno seguente collaboratore del Corriere della Sera.

Chi era Niccolò Giani?

Il saggio di Grandi ha come sottotitolo “Niccolò Giani e la scuola di mistica fascista”, credo sia quindi doveroso aprire un ulteriore parentesi preliminare per inquadrare al meglio Niccolò Giani, così da poter comprendere meglio l’intero saggio dal carattere semi biografico che ruota attorno a questo personaggio.

Niccolò Giani è stato il padre della corrente denominata “Mistica fascista” nonché fondatore della Scuola di Mistica fascista al centro del saggio di Grandi. Giani ha avuto un ruolo estremamente importante nella definizione del pensiero fascista, pur non essendo un fascista della prima ora, esso infatti aveva poco più di 10 anni quando Mussolini salì al potere, Giani nasce a Muggia, in Friuli, nel 1909, e la sua storia nel contesto fascista inizia nel 1930, anno in cui fondò, insieme ad Arnaldo Mussolini, fratello minore di Benito Mussolini, la sopracitata scuola di mistica fascista.

Padre e iniziatore della scuola, ma direttore solo per un breve periodo, Giani infatti lasciò la direzione della scuola, assunta nel 1931, sul finire del 1932, al seguito della XXI riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze (SIPS) che quell’anno coincise con il decennale della marcia su Roma. Durante il proprio intervento alla riunione Giani espose i principi della scuola di mistica e diede l’impulso alla produzione e pubblicazione dei Quaderni della scuola di mistica.

La storia personale di Giani si intreccia profondamente con la scuola di mistica ed è ampiamente esposta nel libro di Grandi, in questa sede ci interessava comprendere meglio chi fosse e quale fosse il suo legame con la scuola e il fascismo.

Concludiamo quindi la parentesi biografica su Giani segnalando che, nel 1940 partì volontario per il fronte Greco-Albanese, e che, proprio in quel contesto bellico, perse la vita, cadendo in combattimento nel marzo del 1941.

Le fonti dei Aldo Grandi

Come anticipato nell’introduzione, il tema della scuola di mistica fascista, tema estremamente importante per definire la cultura fascista durante il ventennio, è uno dei temi meno studiati e noti, sul quale sono stati condotti relativamente pochi studi e prodotte pochissime opere. Quando Aldo Grandi si è approcciato allo studio della scuola di mistica, ha dovuto inevitabilmente scontrarsi con il problema della scarsità di fonti e studi, dovendo quindi compiere un importante lavoro di ricerca in archivio, nell’intento di recuperare fonti di prima mano da poter scandagliare.

Se ci rechiamo tra le fonti bibliografiche consultate da Giani, indicate nel saggio, ciò che incontriamo è un enorme quantità di lettere e cartoline personali di Niccolò Giani, oltre ai suoi scritti pubblici e qualche raro saggio monografico. La scarsità di saggi ed altri studi nella bibliografia, va precisato ulteriormente, è stata una scelta obbligata dettata dalla scarsità di opere in merito e, a distanza di oltre 15 anni, la situazione non è molto cambiata, chiunque oggi voglia approcciarsi allo studio della scuola di mistica fascista, deve inevitabilmente passare per i registri della scuola e le lettere di Giani, affiancandole eventualmente alla lettura dei saggi di Grandi e Marchesini.

Il saggio Gli eroi di Mussolini di Aldo Grandi

Il saggio risulta appassionato e interessante, ma non adatto a tutti. Il tema affrontato è estremamente di nicchia, e non si rivolge ad un pubblico generalista. Per poter affrontare al meglio la lettura di questo saggio è opportuna una buona, se non ottima, conoscenza del ventennio. Il saggio ci pone di fronte alla storia di una vera e propria scuola di pensiero fascista, una scuola tra le tante, che si fa espressione di una delle numerose correnti interne al partito, partito che ricordiamo, era unico sulla carta ma non nella conformazione. Il PnF, se bene all’apice vedesse la figura di Mussolini, all’interno era molto frammentario, e, utilizzando classificazioni moderne, si configurava come una sorta di mega coalizione che, a seconda del dove e quando, andava dall’una o dall’altra parte.

Il libro solleva il velo del partito unico e mette a nudo i dibattiti interni del PnF, e, particolarmente interessante risulta il dibattito/polemica sulla chiesa cattolica che impegno per diverso tempo la scuola di mistica. Il saggio di Grandi ci racconta questa vicenda, a mio avviso molto interessante, in cui si discuteva della posizione della mistica fascista in relazione alla mistica religiosa, ci si chiedeva se poteva esserci una “mistica fascista indipendente da quella religiosa” e se quest’ultima poteva essere ignorata dalla mistica fascista. E questo avveniva agli inizi degli anni 30, all’indomani dei patti lateranensi che, a quanto si evince dai dibattiti interni, molto probabilmente erano contestati già all’epoca da una parte del PnF.

Ciò che emerge da questo libro sulla scuola di mistica è un PnF diverso da quello che siamo soliti immaginare, un PnF al cui interno, per quanto limitata, esisteva una pluralità di pensiero, pluralità che trova compimento nel 1943 quando il gran consiglio decise di rimuovere Benito Mussolini dalla guida del partito e dello stato italiano.

Conclusioni

Concludendo, il saggio è molto interessante, molto avvincente anche se non adatto a tutti. Pur non essendo l’opera di uno storico, il saggio si configura come un opera storiografica dal carattere biografico, ben definita. Come abbiamo visto vi è una buona pluralità di fonti, anche se principalmente fonti prodotte dalla stessa mano, quella di Niccolò Giani, ma, trattandosi di un opera “parzialmente biografica”, avere come fonti molte lettere di Giani, non risulta un grande problema. Alla fine, possiamo dire che il saggio racconta la scuola di mistica fascista di Giani, usando come lente lo stesso Giani. L’esperienza che ne consegue è una lettura sicuramente soggettiva (da parte di Giani) della scuola di Mistica e degli eroi del fascismo, condita con un analisi critica e raffinata, prodotta dall’autore che quindi, con abilità e intelletto, riesce a bilanciare la narrazione.

D.A.F. de Sade: Justine o le disavventure della virtù. Un innovativo fabliaux del ‘700 | CM

Chi era il Marquis de Sade

Nato nel 1740, Donatien-Alphonse-François de Sade fu probabilmente uno dei personaggi più discussi e criticati del XVIII secolo. Appartenente a una famiglia dell’antica nobiltà francese, fu signore di Saumane, di La Coste e di Mazan, oltre che conte e marchese. Era infatti il discendente di una delle più antiche dinastie della Provenza, nonchè figlio del conte Jean Baptiste François Joseph de Sade e di Marie Eléonore de Maillé de Carman, nipote di Richelieu e dama di compagnia di Carolina d’Assia-Rotenburg, principessa di Condé.

Nonostante gli svariati titoli e l’agiata condizione da cui proveniva, si guadagnò ben presto una fama tutt’altro che rispettabile, a causa di numerosi crimini commessi tra cui svariati stupri, sodomia, tentativi di avvelenamento, anticlericalismo e depravazione. Infatti, in seguito a svariati momenti di incarcerazione, arrivò persino alla reclusione nella prigione della Bastiglia, perseguitato dal regime monarchico che aveva tanto disprezzato aderendo alla Rivoluzione Francese come nobile rivoluzionario, e lì vi rimase per diversi anni, scrivendo alcune delle sue opere più celebri. Finì la sua vita in carcere dopo un lungo periodo in manicomio, probabilmente a causa dell’eccessivo sadismo, estremamente mal visto dalla società del tempo. Morì nel 1800 per gravi problemi cardiaci e polmonari, da cui era affetto da tempo.

A caratterizzare il suo stile decisamente al di fuori dai canoni del suo tempo contribuiscono un forte spirito rivoluzionario, accompagnato da una ferrea condanna verso ogni forma di potere, come schiavismo, nobiltà, monarchia e persino clericalismo. De Sade condannava inoltre con grande fermezza tutti i tipi tabù e le ferree restrizioni sessuali del suo tempo, venendo etichettato come uno dei massimi esponenti di un estremo libertinismo di fine ‘700. Proprio dal suo nome infatti deriverà la parola “sadismo”, poichè egli stesso era solito appagare i suoi sfrenati desideri sessuali attraverso pratiche estreme e spesso anche dolorose, seducendo donne o ingaggiando prostitute.

“Donatien-Alphonse-Françoia, marchese de Sade, famoso per le sue disgrazie e per il suo genio, che avrà l’onore di illustrare l’antica casata con il più nobile dei titoli, quello delle lettere e del pensiero, e che lascerà ai suoi discendenti un nome veramente insigne.”

Gilbert Lely, “Il profeta dell’erotismo. Vita del marchese de Sade
biografieonline.it/img/bio/box/m/Marchese_De_Sa...

Justine: vittima innocente o fautrice del proprio destino?

Una delle massime opere del marchese, nonché la prima di tutte le sue pubblicazioni, fu Justine o le disavventure della virtù, pubblicata nel 1791. Si tratta di un romanzo a sfondo erotico, per questo molto simile ai fabliaux medievali, ma differente nella particolare cura e attenzione rivolta alla psicologia della protagonista, e non solo al mero tema sessuale. Justine, protagonista appunto del racconto, è una nobile fanciulla divenuta orfana e cresciuta in un orfanotrofio con la sorella, la quale possiede una morale completamente opposta alla sua; è infatti scaltra, astuta e manipolatrice, disposta a tutto pur di ottenere fama e ricchezza. Il completo opposto della giovane protagonista, la quale è dotata di una profonda nobiltà d’animo e di alti valori rigidamente legati alla dottrina cattolica.

Tuttavia la sorte dividerà la strada delle due fanciulle e mentre la sorella riuscirà ad effettuare una notevole scalata sociale tra omicidi e adulteri, Justine si ritroverà sempre senza soldi e costantemente nelle mani dei peggiori depravati. L’opera è infatti incentrata, come suggerisce il titolo stesso, sulle disavventure di Justine, la quale, pur essendo sempre accompagnata da una ferrea morale, non riesce in nessun modo a sottrarsi dalle grinfie di uomini dediti alle peggiori perversioni. Le sue vicende sembrano quasi seguire un climax che va costantemente peggiorando negli incontri compiuti dalla ragazza; ogni “mostro” a cui deve sottomettersi sembra essere sempre peggio di quello precedente. Ma allora perché il personaggio di Justine può quasi non sembrare una vittima?

Spesso e volentieri la protagonista in momenti di estrema difficoltà non fa altro che appellarsi alla propria virtù, peggiorando così inevitabilmente le già drammatiche situazioni in cui si trova, senza provare effettivamente a trovare una via di fuga o un modo per ribellarsi. Altre volte invece appare sveglia e risoluta, e in alcuni casi riesce quasi a salvarsi, portando il lettore a tifare per la rivalsa di un personaggio che nella maggior parte dei casi sembra essere perduto per sempre. Ma ovviamente Justine é la protagonista destinata a soccombere e le sventure continuano a perseguitarla, non lasciandola mai del tutto in pace. Il suo è comunque un personaggio molto ben riuscito; quante ragazzine come lei riuscirebbero a perseguire rigidamente una morale così alta senza cercare di ricorrere a qualsiasi losco escamotage pur di risparmiarsi a situazioni tanto drammatiche? Ebbene Jusine ce la fa, e fino alla fine della storia, senza mai abbandonare i devoti insegnamenti cristiani e mantenendo costanti i tratti del suo personaggio. Tuttavia leggendo l’opera una domanda sorge spontanea: Justine, pur essendo una vittima innocente, non è lei la fonte principale di tutti i suoi mali, l’unica vera fautrice del proprio destino?

Lieto fine o dramma senza fine?

Al termine di una serie di sventure che sembrano non finire mai, sorge spontaneo al lettore chiedersi come andrà a finire la storia di questa povera ragazza, e sorge altrettanto spontaneo pensare, o meglio, sperare in un riscatto finale della fanciulla. Ma de Sade non riserva alcuna pietà per la povera Justine. L’opera incarna infatti un perfetto manifesto di pessimismo e corruzione senza fine, e lo stesso de Sade nell’introduzione mostra una ben manifesta irritazione verso i romanzi “classici”, dove il bene e la virtù alla fine trionfano sempre sui mali e sui vizi, regalando ai lettori un perenne, nonchè scontato, lieto fine. Tuttavia, al posto di questo schema classico, qui viene portato sulla scena un modello tutt’altro che “classico”.

“…Una sfortunata errante di disgrazia in disgrazia; giocattolo di ogni scelleratezza; bersaglio di tutti i vizi…”.

Da “Justine o le disavventure della virtù”

Tuttavia, nonostante sembri aprirsi una minuscola luce alla fine di un tunner che pareva infinito, la sorte mette nuovamente i bastoni tra le ruote alla povera Justine senza porre così una fine ai suoi drammi. Sebbene Justine rappresenti una protagonista più che virtuosa nella sua alta moralità, non fa che imbattersi nella peggior specie di individui, per la maggior parte perversi libertini, i quali utilizzano dei sofismi e complicati meccanismi per tentare di convincerla dell’inutilità della sua virtù. Il lieto fine pertanto è del tutto inesistente, così come per la ragazza è inesistente qualsiasi forma di riscatto. Tuttavia non si presenta come un’opera del tutto priva di momenti lieti o di piccole “risalite” in superficie; tali elementi ci sono, ma si tratta inevitabilmente di momentanee illusioni della ragazza, e dunque anche del lettore stesso.

L’erotismo come sfondo

Justine o le disavventure della virtù, nonostante venga etichettato come un romanzo erotico, svela più un dramma personale, che segue appunto meticolosamente tutte le continue sciagure di Justine. Sebbene ci sia una certa insistenza sul tema dell’erotismo, il quale funge da protagonista per ogni evento in cui si imbatte la ragazza, esso rappresenta in realtà solamente uno “sfondo”, una base sulla quale sviluppare le drammatiche vicende che si susseguono lungo la storia.

L’opera è in sé piuttosto cruda, e talvolta anche molto violenta. Tuttavia nonostante ciò in alcuni punti può addirittura risultare lenta e quasi “noiosa”; questo perchè lo scopo principale dell’autore non è quello di trasmettere un qualsiasi romanzo erotico “di piacere”, così come sarebbe stato per ogni fabliaux di epoca medievale, bensì quello di analizzare il più accuratamente possibile l’evoluzione e soprattutto la psicologia della protagonista attraverso una serie di peripezie dalle quali riesce sempre ad uscirne illesa, per poi ricadere nuovamente di volta in volta in una disgrazia ancora peggiore rispetto a quella precedente. Infatti la salda virtù di Justine non cede mai, fedele ai suoi principi, nonostante le disgrazie la perseguitino in un crescendo infinito, tanto che sarà proprio una fine agghiacciante ad attendere la protagonista, che non ha voluto piegarsi alla traviata morale del mondo.

Proprio per tutte queste motivazioni prevalgono lunghe riflessioni della ragazza, monologhi e lunghe narrazioni molto dettagliate rispetto alle sue condizioni psicologiche, piuttosto che fisiche; come ci si potrebbe invece aspettare. L’erotismo è dunque solamente un mezzo narrativo, tipico del “divin marchese”, per poter mostrare il più concretamente possibile qualcosa di molto più profondo, come ad esempio sottolineare quanto la bigotta devozione dell’epoca potesse anche risultare dannosa, se non letale; e Justine ne rappresenta la prova.

L’opera come condanna sociale

Non si tratta pertanto di un’opera leggera e scorrevole, e per molti punti di vista può anche risultare appunto spesso pesante o quasi “noiosa”, ma se si ha un po’ di pazienza e tanta voglia di leggere oltre le righe, si potranno scorgere, oltre ai numerosi riferimenti sessuali, delle profonde riflessioni psicologiche, se non addirittura filosofiche e sociali. De Sade infatti non scrive unicamente per puro diletto; le sue sono spesso e volentieri delle vere e proprie critiche dirette contro i numerosi tabù che rispecchiano la società della sua epoca, le quali vogliono appunto inneggiare a un aperto libertinismo che in realtà molti praticavano, seppur velatamente, ma nessuno aveva davvero il coraggio di declamare.

Egli rappresenta infatti l’altra faccia di una società bigotta e corrotta com’era quella del ‘700, e incarna la ribellione e la condanna nei confronti di questa società, la quale gli ha unicamente procurato il carcere e il manicomio. De Sade pertanto non utilizza la sessualità come mezzo letterario di piacere, bensì come vero e proprio strumento di condanna sociale verso tale comunità tanto rivolta al perbenismo, quanto alla comune pratica di “nascondere tutto il marcio sotto un semplice tappeto”. Questo emerge duramente nelle sue opere.

«Questi sono i sentimenti che dirigeranno il mio lavoro, ed è in considerazioni di questi motivi che chiedo indulgenza al lettore per i filosofemi erronei che sono messi in bocca a più di un personaggio, e per le situazioni talvolta un po’ forti che, per amore della verità, ho ritenuto di mettere sotto i suoi occhi ».

Da “Justine o le disavventure della virtù”

I Longobardi di Elena Percivaldi | Guida alla Lettura.

I longobardi un popolo alle radici della nostra storia, di Elena Percivaldi, edito da Diarkos, è un saggio storico divulgativo che racconta la storia longobarda attraverso grandi eventi e storie di vita quotidiana nell’Italia longobarda tra il 568 e il 774.

I longobardi un popolo alle radici della nostra storia, di Elena Percivaldi, edito da Diarkos, è un saggio storico divulgativo che racconta la storia longobarda attraverso grandi eventi e storie di vita quotidiana nell’Italia longobarda tra il 568 e il 774.

I Longobardi sono una delle tante civiltà che, durante l’età medievale, hanno contribuito a donare un voto ed un identità ai popoli italici, la loro presenza in italia è attestata fin dagli albori del medioevo, in una fase criptica e misteriosa della nostra storia in cui, innumerevoli civiltà barbariche si fondevano con ciò che rimaneva della civiltà romana.

In questa sorta di brodo primordiale che succede alla civiltà romana, inizia la storia dei Longobardi, e con la loro storia, inizia anche una parte significativa della storia italiana, soprattutto per l’italia settentrionale, ma non solo.

Il saggio I Longobardi, un popolo alle radici della nostra storia, di Elena Percivaldi, edito da Diarkos, si pone l’obbiettivo di raccontare, in modo ampio, completo, e con un linguaggio semplice e accessibile a chiunque, quella che è la genesi di questo popolo che mise in connessione il mediterraneo con l’europa settentrionale.

Il libro ha un taglio divulgativo ed è strutturato in tre parti, che ora andremo a vedere nel dettaglio, ma prima, voglio aprire una parentesi sull’autrice.

Chi è Elena Percivaldi?

Elena Percivaldi è una giovane storica italiana, laureata in lettere moderne, con una tesi in storia Medievale presso l’Università degli Studi con una tesi sulla cronica di S. Stefano di Vimercate alla metà del XIII secolo attraverso le pergamene dell’Archivio di stato di Milano, ed ha all’attivo, fin dal 1999, più di venti libri, saggi storici di carattere divulgativo, e non solo, sulla storia dell’Italia medievale, del medioevo e le popolazioni che all’epoca dimoravano in italia, oltre a diverse pubblicazioni su riviste di settore e di carattere divulgativo, sempre riguardanti il medioevo, tra cui History di BBC, Storica del National Geographic, e tante altre che non starò qui a citare.

Elena Percivaldi si occupa da diverso tempo di storia medievale e divulgazione, ed ha collabora attivamente con eventi e conferenze in alcuni degli eventi dedicati al medioevo, più importanti in italia, tra cui il Festival del Medioevo di Gubbio (Pg).

La sua attività di divulgatrice viaggia parallelamente a quella di professionista nel settore della ricerca storiografica, in quanto direttrice del Notiziario Storie & Archeologie, e membro del comitato scientifico della rivista Medioevo Italiano, della collana Storia e Libertà delle edizioni La Vela.

Questo suo legame con la divulgazione si traduce, all’atto pratico, in uno stile di scrittura estremamente fluido, chiaro e semplice da leggere, leggerezza e semplicità che tuttavia non tradisce mai un impeccabile e rigorosa attenzione a fonti di varia natura, caratteristiche che troviamo in toto nell’opera I Longobardi.

Percivaldi e Longobardi

Nel libro I Longobarid, Elena Percivaldi si sofferma sulla genesi e l’epopea dei longobardi in italia, ma questa non è la prima volta che l’autrice ha prestato attenzione al popolo longobardo. Essa è infatti ideatrice del format “alla scoperta dei longobardi” e coordinatrice scientifica di diverse manifestazioni dedicate ai longobardi, inoltre, nel proprio percorso da scrittrice divulgativa, ha dedicato ai longobardi diversi libri tra cui “Il Seprio nel Medioevo. Longobardi nella lombardia settentrionale” , pubblicato 2011.

a questo curriculum non credo sia un problema definire Elena Percivaldi come una storica esperta del Medioevo italiano, oltre che un eccellente e apprezzatissima divulgatrice, e con queste premesse, non possiamo che aspettarci un libro che sia puntuale e ricco di fonti, ma allo stesso tempo fluido nella scrittura e semplice da leggere.

Dopo aver letto quest’opera due volte in meno di una settimana, posso affermare con tutta tranquillità che tutte le aspettative sono state mantenute. Il libro è esattamente come lo immaginavo, ovvero preciso, accurato, e si legge con estrema semplicità.

Se volete sapere di più su Elena Percivaldi, sui suoi libri e le sue pubblicazioni, collaborazioni e conferenze, vi rimando al sito Perceval-Archeostoria, si tratta del sito personale di Elena Percivaldi, in cui potrete trovare tutte le sue pubblicazioni, eventi e contatti social.

Detto questo, passiamo ora al libro vero e proprio, e cerchiamo di capire come approcciare alla lettura e come leggerlo.

Guida alla lettura del saggio sui Longobardi di Elena Percivaldi

Cominciamo con il dire che il saggio I Longobardi, un popolo alle radici della nostra Storia, è un saggio di carattere divulgativo, e, per quanto accurato e preciso nelle informazioni che ci fornisce, non è un manuale di storia medievale o storia longobarda, non troveremo quindi una cronaca punto per punto di tutta la storia longobarda, ma, al contrario, troveremo un racconto generale, di ampio respiro, sulla storia longobarda, che si sviluppa su tre livelli, ben espressi dalle tre sezioni principali del libro. Le tre parti del libro ci raccontano la storia longobarda sul piano storico evenemenziale, microstorico culturale e storiografico.

Vediamo le tre sezioni nel dettaglio.

I longobardi, parte prima

La prima parte del libro è dedicata alle vicende storiche, e in questa sezione si ha quasi l’impressione di trovarsi tra le mani un manuale di storia longobarda, tanto preciso quanto chiaro.

La prima parte si sviluppa in sei capitoli che raccontano la storia longobarda, fin dalla prima discesa in italia nel 568, e spingendosi fino al declino della civiltà longobarda in italia nell’ottavo secolo, quando i franchi di Carlo Magno sconfissero i Longobardi di Desiderio, ultimo re longobardo.

Il saggio nei suoi capitoli iniziali sviscera la storia longobarda, soffermandosi in modo particolare sulle ragioni della discesa in italia, ragioni che poi verranno spiegate, in modo più ampio attraverso l’analisi di fonti e testimonianze.

I longobardi, parte seconda

La seconda parte del saggio è dedicata all’analisi storiografica, portando l’attenzione del lettore sulle varie fonti utilizzate, dalle fonti documentarie prodotte dai longobardi e non, oltre che dalle fonti successive, vengono inoltre prese in esame le croniche contemporanee e postume, e non manca un accurato e ampio spiegone sulle fonti materiali e la loro importanza nella ricostruzione della storia della civiltà longobada.

Questa parte è la meno incisiva, oltre che la più compatta, e si rivolge principalmente a lettoni non addetti ai lavori, i quali potrebbero non aver totalmente chiare le meccaniche della ricostruzione storiografica.

Se non siete storici questa sezione è molto interessante perché fornisce una panoramica completa, con tanti esempi, di come funziona il lavoro di ricerca e ricostruzione di uno storico, e si configura come una piccola guida alla metodologia storiografica.

Con questa sezione, l’autrice ci ricorda che prima di essere una divulgatrice è una storica, e il suo intento è quello di fornire una storia completa della civiltà longobarda nell’Italia del sesto, settimo e ottavo secolo, una storia puntuale e priva di pregiudizi, basata esclusivamente sull’analisi delle fonti. Come è giusto che sia.

I longobardi, parte terza

La terza parte, a mio avviso, è quella più interessante, perché se da storico, ho già una certa conoscenza delle principali vicende storiche che hanno caratterizzato la civiltà longobarda, ed ho un ampia familiarità degli strumenti e della metodologia storiografica, non essendo un medievalista, e avendo solo una conoscenza generale di quella che è la storia longobarda, ho trovato in questa parte del libro tantissime informazioni che mi hanno proiettato nel mondo dei longobardi.

In questa sezione l’autrice si sofferma sulla società e la quotidianità della civiltà longobarda, ne evidenzia gli aspetti peculiari, ne evidenza le tradizioni e ci racconta storie di longobardi.

La terza parte si apre con una panoramica sull’organizzazione dello stato longobardo, cui fa seguito una panoramica sul mondo religioso e spirituale, attraverso il racconto del culto dei morti, per poi raccontarci l’organizzazione sociale del popolo longobardo, questo iconico popolo guerriero, raccontato come un popolo in armi, ma nel quale, come è facile intuire, non tutti erano armati e preparati alla battaglia.

Fanno poi seguito alcuni capitoli estremamente interessanti sulla quotidianità dei longobardi, in particolare i capitoli intitolati “cose da donna”, “vestire alla longobarda” e “longobardi al desco (dal medico)” ci mostrano realmente come vivevano i longobardi, e lo fanno raccontandoci non le grandi imprese, non le grandi battaglie, ma eventi e momenti ordinari della vita quotidiana di questo popolo e questa civiltà.

Conclusioni

Il saggio di Elena Percivaldi, I longobardi, un popolo alle radici della nostra storia, edito da Diarkos è un saggio storico di carattere divulgativo, che si rivolge ad un pubblico molto ampio, che può andare bene sia per appassionati alle prime armi, sia per storici e studenti di storia che vogliono sapere di più sulla storia del popolo longobardo.

Nel complesso il saggio risulta estremamente piacevole da leggere, i contenuti sono validi, la struttura è definita magistralmente, le fonti consultate e citate dall’autrice sono tante, e si vede, e il testo è ben scritto.

Se c’è una parte che mi ha colpito e interessato più delle altre, forse questa è la terza parte, questa sezione mi ha colpito non solo per la chiarezza incredibile con cui sono raccontate determinate vicende, ma soprattutto per la ricchezza di fonti utilizzate per descrivere e raccontare un mondo in cui le fonti, se pur abbondanti, non sono particolarmente numerose e varie. E la maggior parte delle vicende, si sofferma su aspetti generali della storia longobarda, prestando relativamente poca attenzione agli aspetti “minori”. Aspetti minori che invece non vengono assolutamente tralasciati dalla Percivaldi, e anzi, diventano in questo libro, il cardine per definire la società longobarda.

La quantità enorme di fonti documentarie citate e riportate da Elena Percivaldi ci svela l’enorme e complicato lavoro di ricerca che si nasconde dietro questo libro.

Ciò che emerge da questo libro è che la storia longobarda, la storia di questo popolo guerriero, si compone, anche, e non soltanto, di battaglie e di conquiste conquiste, in piena ottemperanza agli insegnamenti della scuola degli Annales di Marc Bloch e della Microstoria.

Nel caso specifico dei longobardi, è solo grazie ad una lettura a 360 gradi della loro civiltà che possiamo averne un immagine nitida e precisa della loro storia, ed è esattamente quello che fa questo libro. Intrecciando la storia dei grandi eventi alla storia di eventi minori e condendo il tutto con una minuziosa anali si delle fonti, Elena Percivaldi è restituisce al lettore un immagine nitida del mondo longobardo, una vera e propria fotografia dinamica di quel popolo, che come l’autrice non manca di ricordare, è alle radici della nostra storia, in quanto, la sua arte, la sua cultura e le sue tradizioni, sono state determinanti per quella che sarebbe poi stata la storia, la cultura e la tradizione dei popoli italiani, in età medievale, moderna e fino ai nostri giorni..

Se volete leggere I Longobardi, un popolo alle radici della nostra storia, di Elena Percivaldi, edito da Diarkos, non vi resta altro che acquistare il libro, personalmente ne consiglio la lettura, soprattutto a chi è interessato alla storia longobarda e dell’italia settentrionale tra il sesto e l’ottavo secolo. In ogni caso vi lascio il link per acquistare il libro su Amazon, e vi auguro buona lettura.

La vita quotidiana delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento di Paul Larivaille

Se quello che cerchi è un libro che stravolga completamente tutto ciò che sapevi o credevi di sapere sulla quotidianità delle cortigiane nel rinascimento italiano e ti aspetti un saggio in cui si parla di sesso e sessualità nelle signorie dell’italia del XV secolo, questo libro, non fa al caso tuo. La vita quotidiana delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento di Paul Larivaille è un saggio storico di carattere divulgativo che, come ogni buon saggio storico, si basa prevalentemente sull’analisi e la comparazione delle fonti, in questo caso soprattutto fonti letterarie e documentarie classiche, dipinge un quadro ampio e dettagliato, degli aspetti sociali nelle corti italiane del XV secolo, alternando l’analisi e il racconto della società, ad aspetti della vita di una cortigiana dell’epoca.

L’Italia rinascimentale

Tra il XIV e il XVI secolo l’Europa attraversa il proprio rinascimento, andando alla riscoperta delle proprie origini e del proprio passato e in questo contesto storico di rinascita e di rielaborazione della società, l’Italia non è da meno, anzi, la penisola italica è in questo momento storico, in un certo senso, il centro del mondo, l’Italia rappresenta l’apice della civiltà europea, occidentale, che di li a poco si sarebbe diffusa a macchia d’olio in tutto il mondo. Del rinascimento italiano, della vita e le gesta dei grandi protagonisti di quest’epoca conosciamo tantissimo, è uno di quei momenti, rari, nella storia, su cui si ha una quantità di informazioni enorme, ma il rinascimento italiano vive di luci ed ombre, posto in un limbo tra il vecchio e il nuovo mondo, tra il medioevo e l’età moderna.

I grandi protagonisti di quest’epoca sono uomini e donne ancora legati e vincolati alle dinamiche della società medievale, ma, sono uomini moderni, che vivono ben oltre i confini del proprio tempo ed hanno la capacità di guardare avanti.

La vita di questi uomini e donne si consuma soprattutto in lussuosi palazzi, tra ricevimenti e incontri d’affari, ma anche e soprattutto nelle camere da letto.

Le camere da letto in quest’epoca, sono le vere stanze dei bottoni, ciò che accade in quelle stanze, tra quelle lenzuola, definisce la sagoma della società europea, e di conseguenza, il mondo che ne sarebbe seguito.

Nel libro la vita quotidiana delle cortigiane nell’Italia del rinascimento, di Paul Larivaille, si affronta proprio questo tema, e si da ampio spazio a personaggi apparentemente secondari, quella della cortigiana è una figura antica ma che in quest’epoca assume tratti nuovi e particolari e, facendosi spazio tra i salotti delle grandi famiglie, riesce a giungere nel cuore delle corti europee, nelle stanze dei bottoni, le camere da letto di re, principi, banchieri e signori della guerra.

Non è raro quindi imbattersi in documenti che ci parlano degli amanti e delle amanti di re e regine, di principi e principesse. Ci troviamo in un epoca in cui il matrimonio è, all’atto pratico, un contratto d’affari, siglato per ottenere favori e amicizia dell’una o l’altra famiglia, siamo in un epoca in cui l’amor cortese è ormai un mero retaggio artistico, e spesso, molto spesso, nei matrimoni, la passione e l’attrazione tra i consorti è totalmente assente, e per porvi rimedio uomini e donne, si concedono in un tacito accordo segreto, ai piaceri della carne e protagonisti del saggio dello storico francese Paul Larivaille, sono proprio le cortigiane di quest’epoca e di questo mondo, sono le cortigiane dell’italia del rinascimento.

Chi è Paul Larivaille?

Prima di cominciare con la guida voglio aprire una parentesi sull’autore del saggio edito in Italia da Bur editore. Larivaille è uno storico della letteratura italiana, che ha insegnato in Francia, per oltre trent’anni, dal 1955 al 1988 presso l’università di Paris-Nanterres, ed è membro dell’accademémie francaise, per poi diventare, nel 1988 Preside dell’Università di Paris-Nanterres.

Si tratta di un autore di altissimo livello, legato per vie traverse alla scuola delle annales, fondata da Marc Bloch e Lucien Febvre.

Da storico della letteratura italiana, in particolare della letteratura rinascimentale italiana, Larivaille è un grande conoscitore del rinascimento e dei suoi protagonisti, e negli anni ha lavorato a diverse opere biografiche dei protagonisti di quell’epoca, come ad esempio Pietro Aretino, di cui ha pubblicato una biografia nel 1997 e che ad oggi rappresenta una delle opere più ampie e complete sulla vita del poeta aretino del XV secolo. Nel 1995 Larivaille pubblica anche un saggio di carattere generale, sulla vita quotidiana tra XV e XVI secolo, intitolando l’opera “la vita quotidiana in Italia ai tempo di Machiavelli” e, in tempi più recenti, nel 2017, pubblica un saggio dedicato alla letteratura Machiavelliana.

Larivaille si conferma con le sue opere e studi, un esperto, di altissimo livello, di quella che era la vita nell’italia Rinascimentale, conosce quel mondo alla perfezione, ne conosce ogni aspetto, ogni emozione, ogni dinamica sociale, conosce le abitudini dei suoi protagonisti, e conosce la vita nelle corti di questi uomini, corti in cui le cortigiane giocavano, come anticipavo, un ruolo importantissimo, e di conseguenza, rappresenta un aspetto che certamente Larivaille ha avuto modo di studiare e approfondire negli anni.

La vita quotidiana delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento

Il saggio “La vita quotidiana delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento” in realtà precede tutti i saggi citati durante la parentesi biografica, viene pubblicato per la prima volta nel 1983, e molto probabilmente si tratta di un opera collaterale, nato dall’ampliamento di uno o più paragrafi di altri contenuti a cui stava lavorando.

Il saggio è ricco di riferimenti letterari, fonti, documenti e testimonianze di vario genere, come lettere e pagine di diario. Il saggio mostra fin da subito l’attenzione dell’autore per le fonti letterarie, suo campo di studio privilegiato, e nel racconto generale della quotidianità delle cortigiane dell’Italia rinascimentale, si sofferma sulla vita di una cortigiana in particolare.

La narrazione che ci viene proposta potrebbe ricordare a qualcuno la narrazione proposta da Carlo Ginzburg nell’opera Il formaggio e i Vermi, pubblicato per la prima volta nel 1980, appena tre anni prima dell’uscita della vita quotidiana delle cortigiane, e non è da escludere una certa influenza dell’autore italiano, già docente di storia ad Harvard, sul lavoro di Larivaille.

Il saggio di Ginzburg, di cui ho parlato in più occasioni e a cui ho dedicato una guida alla lettura, è stato all’epoca un modello vincente, che ha contribuito a rilanciare anche in europa il filone della microstoria, filone cui appartiene l’opera di Larivaille.

Il contenuto del saggio di Larivaille

Protagonista indiscussa delle vicende narrate nella vita quotidiana delle cortigiane, è Nanna, una giovane donna, la cui storia personale viene utilizzata da Larivaille per raccontare il mondo in cui la donna viveva, e trarre conclusioni sul carattere generale della vita delle cortigiane dell’epoca.

Nel saggio ci viene raccontata, attraverso diverse fonti, la scalata al successo della giovane donna, una cortigiana di umili origini, che grazie alle proprie doti, riesce ad ottenere in breve tempo, una casa propria, del mobilio, abiti eleganti e denaro.

Per ottenere ciò Nanna, e come lei, le cortigiane dell’epoca devono apprendere i trucchi e segreti, per essere accettate in un mondo che non gli appartiene, così da irrompere in una cerchia sociale diversa dalla propria. Larivaille ci espone quindi, attraverso la vita di Nanna, i trucchi di base delle cortigiane, per essere accettate nell’alta società, trucchi in alcuni casi banali e alla portata di tutti, come lo schiarire i capelli e renderli morbidi, profumati e lucenti, sfruttando olio e vino, o la cura del sorriso, sbiancando i denti con un tovagliolo, in un epoca in cui l’igiene dentale non era alla portata, ne negli interessi, di tutti.

La cura dell’aspetto è solo uno dei rituali quotidiani cui si sottopongono le cortigiane del rinascimento italiano, e rappresenta forse il primo e più semplice passo da compiere, Larivaille ci mostra in quest’opera la complessità di quel mondo, in cui l’estetica da sola, non era sufficiente.

Le cortigiane, osserva Larivaille, non dovevano solo attrarre, ma dovevano sedurre e stregare uomini di alto rango, e per farlo avevano necessità di apprendere altre e più complesse strategie, vediamo quindi come Nanna si ritrova quasi costretta ad imparare intere opere a memoria, così da poter affrontare conversazioni e impara a suonare il liuto, abilità molto apprezzata dagli uomini benestanti dell’epoca.

Quello della cortigiana ci viene mostrato come un mestiere, molto complicato e non alla portata di tutti, un mestiere costruito attorno alla sottile arte della seduzione e ben diverso dal mestiere della prostituta, in cui la sessualità giocava un ruolo centrale.

La vita quotidiana delle cortigiane ci mostra come queste donne non fossero delle comuni prostitute, ma rappresentavano qualcosa di più, e giocavano un ruolo determinante nella vita e nella società dell’epoca.

Lo status di cortigiana, a differenza dello status di prostituta, garantiva dei diritti e dei privilegi, e permetteva alle donne di essere viste e guardate con dignità e rispetto, soprattutto dagli uomini con cui si intrattenevano e sui quali avevano un influenza tale da essere considerate da Larivalle, il motore reale della società.

Il capriccio di una cortigiana, in quell’epoca, poteva mettere fine ad un alleanza o addirittura far muovere una guerra.

Conclusione

Il saggio sulla vita quotidiana delle cortigiane del rinascimento italiano è a mio avviso un opera straordinaria, che ho apprezzato quasi quanto il saggio di Ghinzburg, il Formaggio e i Vermi, uno dei miei saggi storici preferiti.

La semplicità della narrazione lo rende adatto a chiunque, e, nonostante sia un libro di qualche anno fa, parliamo comunque di un libro che ha quasi quarant’anni, non sembra essere invecchiato. Probabilmente perché racconta un mondo poco studiato negli anni successivi.

Il saggio si sviluppa seguendo la narrazione di una storia in particolare, la storia di Nanna, ma arricchisce il racconto con una ricca e accurata analisi della società, e, almeno nell’edizione che ho letto io, prima dell’introduzione, è presentata una ricca cronologia del rinascimento italiano, utile a collocare nel tempo e fornire il giusto contesto alla narrazione, anche per chi non è addetto ai lavori.

Se devo trovare un difetto in questo saggio, non è facile, personalmente ne ho trovati pochissimi, ma, volendo fare uno sforzo e ostinarmi ad indicare un difetto, forse, indicherei l’elevata presenza di fonti letterarie, rispetto ad altro tipo di fonti documentarie, vengono citati e analizzati molti poemi e relativamente poche lettere. Non si tratta di un vero difetto, anzi, si tratta in questo caso di una scelta quasi obbligata, poiché la vita delle cortigiane non è oggetto di interesse per gli storici e i cronisti dell’epoca, ma trova, tuttavia, ampio spazio, nel mondo artistico che guarda alla vita amorosa e sentimentale.

Non troveremo quindi un estratto di Machiavelli in cui si parla di cortigiane, ma troveremo componimenti poetici in cui si esalta la figura della cortigiana sposata dal signore e diventata una nobil donna, madre degli eredi della signoria.

Se devo trovare un pregio in questo saggio, probabilmente è ancora più difficile del trovare un difetto, non perché non ve ne siano, ma perché ce ne sono tantissimi. Dalla semplicità con cui è scritto e l’immediatezza con cui i concetti vengono esposti, all’ampiezza del tema trattato e la profondità con cui viene analizzata l’intera società, partendo dalla vita delle cortigiane.

Dovendo scegliere un unico pregio, probabilmente mi soffermerei sull’attenzione posta dall’autore sul ruolo delle cortigiane nella società dell’Italia rinascimentale, un ruolo apparentemente marginale, e pure, un ruolo determinante.

Il saggio incarna il concetto di microstoria e della scuola delle annales, raccontando la storia delle classi subalterne, in questo caso delle cortigiane, che vivono e dimorano all’ombra delle signorie, apparentemente invisibili, ma all’atto pratico, come emerge da questo saggio, detengono un potere enorme, ed è il potere di poter influenzare le decisioni di quei pochi personaggi nella storia che hanno il potere di imprimere una direzione al mondo.

Non c’è quindi molto da aggiungere, vi consiglio la lettura di questo libro, personalmente l’ho trovato meraviglioso, ben fatto ed estremamente interessante, e spero di avervi dato abbastanza materiale in questa guida, da potervi aiutare nella lettura del saggio.

La vita quotidiana alla fine del mondo antico di G.Ravegnani

La vita quotidiana alla fine del mondo antico di Giorgio Ravegnani è un saggio storico che racconta in modo semplice, chiaro e appassionante, la vita quotidiana in quell’epoca turbolenta compresa tra il IV e il VI secolo dopo cristo

Se quello che cerchi è un libro che stravolga completamente tutto ciò che sapevi o credevi di sapere sulla quotidianità negli ultimi secoli dell’impero romano, questo libro, non fa al caso tuo. La vita quotidiana alla fine del mondo antico di Giorgio Ravegnani è un saggio storico di carattere divulgativo che, come ogni buon saggio storico, si basa prevalentemente sull’analisi e la comparazione delle fonti classiche, e dipinge un quadro ampio e dettagliato, degli aspetti sociali alla fine del mondo antico, alternando classici della letteratura latina a documenti e atti giuridici.

Il libro

La vita quotidiana alla fine del mondo antico racconta la società e i suoi cambiamenti tra il IV e il VI, cambiamenti che sono legati in parte all’affermazione del cristianesimo nei territori dell’impero romano o ex impero romano, in parte alla divisione definitiva dell’impero tra orientale e occidentale, e la conseguente nascita di una nuova Roma orientale sul Bosforo, Costantinopoli, capitale dell’impero orientale che per la prima volta nella storia romana è pari di Roma, e in parte per la caduta dell’impero romano d’Occidente, che sarebbe stato travolto nei secoli a venire da numerosi invasioni barbariche.

Tutte queste trasformazioni, tutti questi cambiamenti turbolenti, a tratti improvvisi e brutali, hanno impattato sulla società e sulla vita quotidiana dell’epoca, e il libro cerca proprio di capire come e quanto questi avvenimenti hanno contribuito a trasformare la vita quotidiana alla fine del mondo antico.

Questione storiografica

Sapere come vivevano gli antichi è sempre interessante, la storia, ci dice Marc Bloch e la scuola degli annales è anche (e soprattutto) storia di vite quotidiane, e contrariamente a quello che si è pensato per lunghissimo tempo, “le masse popolari” non hanno fatto irruzione nella storia soltanto negli ultimi secoli, ma sono sempre stati parte integrante della storia, per alcuni autori esse rappresentano addirittura il reale motore invisibile della storia, motivo, quest’ultimo che ha portato numerosi storici a rivalutare e dare più spazio e attenzione alla storia delle classi subalterne, preferendo questi aspetti ed equilibri, alla storia dei grandi avvenimenti. Carlo Ginzburg con il suo Il Formaggio e i vermi è un esempio eccellente di questo modo di vedere la storia, così come lo sono gli innumerevoli studi di genere o studi su popoli subalterni o uomini e donne in condizioni subalterne, come ad esempio gli schiavi, le donne, gli omosessuali, gli stranieri in una determinata civiltà, ecc ecc ecc.

In questo immenso ed estremamente affascinante filone storiografico si colloca il saggio di Giorgio Ravegnani, il quale, decide di puntare la propria lente su un determinato momento storico, la fine del mondo antico, gli ultimi anni dell’impero romano e i primi anni dei regni romano barbarici.

Il contesto storico

La vita quotidiana alla fine del mondo antico racconta una forbice temporale estremamente ristretta, ovvero i secoli compresi tra il IV ed il VI secolo dopo cristo, sono gli anni che accompagnano il declino di roma, e che attraverso la crisi politica, militare e sociale che sussegue alla caduta dell’impero romano d’occidente, innescano una serie di trasformazioni radicali nella società.

Il mondo cambia di continuo, la storia è storia di continuo mutamento, ma, in alcuni momenti il cambiamento è più veloce e imprevedibile, ed il periodo individuato da Ravegnani è uno dei periodi di maggiore trasformazione del mondo e della società.

Cambiano i rapporti di forza, gli equilibri sociali, cambiano le dinamiche sociali e la stessa società nel mediterraneo occidentale. Nel mediterraneo orientale la presenza dell’impero romano d’oriente o impero bizantino, garantisce una certa stabilità, le trasformazioni sono relativamente poche o comunque, più contenute rispetto alle trasformazioni che avvengono in Italia e nell’intera Europa occidentale.

La grande frammentazione dell’ormai ex impero romano, porta alla nascita dei regni romano barbarici, realtà politiche in cui le dinamiche della società romana, si intrecciano con le dinamiche politiche e sociali dei nuovi dominatori barbarici, e le diverse culture che, in varie zone d’europa, prenderanno il potere, contribuiranno a gettare le basi per la nascita di quelli che in seguito sarebbero diventati gli stati di Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Italia, ecc ecc ecc.

Quello che è il mondo oggi, le differenze e le rivalità tra i vari popoli e le varie culture europee, hanno origine in quel momento, e pure, sul piano politico, le differenze, osserva Ravegnani, sembrano essere minime. Dai regni romano barbarici nasce la società feudale, sistema sociale che avrebbe governato l’europa per oltre mille anni, ed è un sistema comune a popoli franchi, ispanici, germanici e italici.

Osservando però, più nel dettaglio le singole società, puntando la lente sulla quotidianità degli uomini comuni, si possono notare le prime differenze, differenze che vanno dalla lingua parlata, sempre più lontana dal latino, all’alimentazione, che per ovvie ragioni, è in quel momento subordinata alle possibilità offerte dalla terra.

Geografia e lingua influenzano e definiscono le abitudini alimentari e culturali e queste tracciano il profilo delle diverse società.

La vita quotidiana

La vita quotidiana molto spesso la immaginiamo in tanti modi differenti. In realtà la quotidianità nei secoli non è mutata poi troppo, ci sono state ovviamente delle trasformazioni più o meno significative, ed è evidente che la vita quotidiana nel I secolo a.c, durante le guerre civili di Roma, era profondamente diversa dalla vita quotidiana alla fine del mondo antico, così come la vita quotidiana alla fine del mondo antico era profondamente diversa dalla vita rinascimentale o dell’età moderna.

Con questo libro, Giorgio Ravegnani ci mostra che ogni epoca ha la propria storia quotidiana, ogni luogo, ogni tempo, hanno la propria realtà ordinaria, ma allo stesso tempo, nonostante le differenze, molti elementi sono ricorrenti. E se osserviamo la quotidianità alla fine del mondo antico, riducendola ai minimi termini, epurandola quindi delle condizioni economiche e tecnologiche della società dell’epoca, possiamo osservare che il mondo non era poi così diverso da come è oggi.

Le fonti

Raccontare la vita quotidiana non è semplice, principalmente per una certa carenza di fonti dirette. Non ci sono molti autori classici che hanno raccontato e descritto nel dettaglio come funzionava, ad esempio un mercato, ma qualcosa lo abbiamo. Plinio il Vecchio ad esempio, nella sua Naturalis historia ha raccontato nel dettaglio il funzionamento della villa romana e di tutti i suoi equilibri interni, compresi i rapporti familiari e tra padrone, schiavi e dipendenti. Ma il racconto di Plinio sulla domus romana non è sufficiente, da solo, a tracciare un quadro completo e generale, della vita quotidiana nel mondo antico, e di certo, non ci da molte informazioni sul periodo compreso tra IV e VI secolo.

Queste informazioni fondamentali per l’opera, Ravegnani è riuscito a recuperarle grazie ad uno scrupoloso e meticoloso lavoro di ricerca di fonti giuridiche, fiscali e atti notarili, ma anche lettere, registri mercantili e diari. Grazie alle fonti giuridiche che costituiscono il costituiscono il corpo centrale dell’apparato monumentale delle fonti alla base della sua opera, Ravegnani è riuscito a ricostruire in modo abbastanza ampio e completo le dinamiche ed i rapporti economici e sociali, delle varie classi sociali alla fine del mondo antico tra IV e VI secolo. Conoscendo questi rapporti, e grazie anche ai racconti di anonimi e cronisti che nei loro aneddoti hanno descritto eventi alti, e intrecciando il tutto, è stato possibile per lo storico milanese, ricostruire in modo sorprendentemente accurato la vita quotidiana nel mondo antico.

Chi è Giorgio Ravegnani

Per capire a fondo l’opera di Ravegnani e la complessità del sui lavoro, credo sia opportuno aprire una breve parentesi sullo storico.

Giorgio Ravegnani è uno storico italiano, nato a milano nel 1948 , laureato in lettere classiche nel 1972. La sua carriera da docente è iniziata nel 1979, in concomitanza con l’apertura del corso di laurea in storia all‘Università Ca’ Foscari, di cui è diventato docente di Storia Bizantina. Prima della docenza Ravegnani ha svolto attività di ricerca presso l’università di bologna.

Oltre alla cattedra di Storia Bizantina, Ravegnani ha insegnato anche Storia medievale, Storia dell’Italia bizantina e Storia militare del Medioevo.

Vi lascio di seguito un elenco delle sue pubblicazioni fin dal 1976.

Il saggio la vita quotidiana alla fine del mondo antico è stato elaborato tra 2014 e 2015 e pubblicato nel 2015, ed è interessante notare come questo testo sia preceduto da testi come, Gli esarchi d’Italia, Aracne editrice, Roma 2011, un saggio che analizza nel dettaglio e in ogni suo aspetto l’esarcato bizantino in italia, ovvero i territori italici controllati direttamente dall’impero bizantino in quell’epoca a metà tra età antica e medievale, e La caduta dell’impero romano, Il Mulino, Bologna, 2012, un saggio osserva la società italica al tramonto di Roma, inoltre, il primo saggio successivo alla vita quotidiana è l’opera biografica Teodora. La cortigiana che regnò sul trono di Bisanzio, Salerno, Roma, 2016, che racconta ed intreccia, la vita quotidiana di una cortigiana e le dinamiche politiche al vertice della società bizantina.

Quasi certamente il saggio sulla vita quotidiana alla fine del mondo antico ha enormemente beneficiato delle ricerche e degli studi effettuati precedentemente, e allo stesso tempo, ha gettato le basi per la più dettagliata e specifica opera su Teodora.

Possiamo inoltre osservare, leggendo l’intera bibliografia di Ravegnani, che, fatta eccezione per pochissime opere, tra cui anche La vita quotidiana alla fine del mondo antico, la quasi totalità dei suoi scritti ruota attorno a due elementi chiave, ovvero Bisanzio e Venezia. In realtà anche il saggio sulla vita quotidiana è fortemente legato al tema di Bisanzio, tema sul quale Ravegnani è indubbiamente un esperto, in quanto ha dedicato allo studio della storia bizantina, gran parte della propria vita.

Le opere di Giorgio Ravegnani

  • Le biblioteche del Monastero di San Giorgio Maggiore, L. S. Olschki, Firenze 1976
  • Castelli e città fortificate nel VI secolo, Edizioni del girasole, Ravenna 1983
  • La corte di Bisanzio, Essegi, Ravenna 1984; Jouvence, Roma 1989
  • Soldati di Bisanzio in età giustinianea, Jouvence, Roma 1988
  • La corte di Giustiniano, Roma, Jouvence, 1989.
  • Giustiniano, Giunti & Lisciani, Teramo 1993
  • I trattati con Bisanzio 992-1285, (2 voll. con Marco Pozza), Il cardo, Venezia 1993-1996
  • I bizantini e la guerra. L’età di Giustiniano, Jouvence, Roma 2004, 2015
  • La storia di Bisanzio, Jouvence, Roma 2004
  • I Bizantini in Italia, Il Mulino, Bologna 2004, 2019
  • Bisanzio e Venezia, Il Mulino, Bologna 2006 ISBN 978-88-15-10926-2
  • Introduzione alla storia bizantina, Il Mulino, Bologna 2006 (nuova ed. 2008)
  • Imperatori di Bisanzio, Il Mulino, Bologna 2008
  • Soldati e guerre a Bisanzio. Il secolo di Giustiniano, Il Mulino, Bologna 2009
  • Bisanzio e le crociate, Il Mulino, Bologna 2011
  • Gli esarchi d’Italia, Aracne editrice, Roma 2011
  • La caduta dell’impero romano, Il Mulino, Bologna, 2012
  • Il doge di Venezia, Il Mulino, Bologna, 2013
  • La vita quotidiana alla fine del mondo antico, Il Mulino, Bologna, 2015
  • Teodora. La cortigiana che regnò sul trono di Bisanzio, Salerno, Roma, 2016
  • Andare per l’Italia bizantina, Il Mulino, Bologna, 2016
  • G. Ravegnani-Dedo di Francesco, Eleonora d’Aquitania e il suo tempo, Robin, 2017.
  • Il traditore di Venezia. Vita di Marino Falier doge, Laterza, Roma-Bari, 2017
  • Galla Placidia, Il Mulino, Bologna, 2017
  • Medioevo (quasi) inconsueto, Robin, 2017.
  • Donne d’arte, d’intrighi e di guerre. Storie di donne che hanno segnato al storia, Robin, 2018.
  • Ezio. L’ultimo dei Romani, il generale che sconfisse Attila prima della caduta dell’Impero, Roma, Salerno, 2019
  • Bisanzio e l’Occidente medievale, Bologna, Il Mulino, 2019
  • L’età di Giustiniano, Roma, Carocci, 2019

Conclusioni

Veniamo quindi alle conclusioni finali su questo libro. Personalmente l’ho apprezzato molto la vita quotidiana alla fine del mondo antico di Giorgio Ravegnani. Uno dei motivi del mio apprezzamento è il linguaggio, molto scorrevole e leggero, a differenza di Ravegnani non sono un esperto di storia bizantina, anzi, probabilmente il periodo dei regni romano barbarici e la storia bizantina sono ciò che conosco meno in assoluto, si tratta di un mondo che mi ha sempre comunicato e appassionato poco, e pure, questo libro sono riuscito a leggerlo in modo estremamente scorrevole, e non ho avuto alcun tipo di difficoltà durante la lettura. Tutti i concetti sono esposti in modo chiaro, puntuale e completo, nulla è lasciato al caso, nulla è dato per scontato. Questo è certamente dovuto alla natura dell’opera, concepita non per un pubblico di soli addetti ai lavori, ma anzi, costruito per catturare l’interesse e l’attenzione, anche, e soprattutto, di lettori occasionali, curiosi e appassionati di storia.

La vita quotidiana alla fine del mondo antico si rivolge ad un pubblico molto ampio, e variegato, e di conseguenza il testo risulta estremamente coinvolgente, e avvincente, permettendo quasi al lettore di mettersi nei panni di un uomo o una donna del tardo antico, grazie anche e soprattutto alla presenza di numerosi aneddoti e storie di vita quotidiana, di cui l’opera è ricca.

Il libro la vita quotidiana alla fine del mondo antico va preso per ciò che è un saggio storico di carattere divulgativo e va letto per ciò che è, non è un saggio di approfondimento, non è un saggio di ricerca, non promette rivoluzionarie scoperte, al contrario, promette al lettore un viaggio nella vita quotidiana tra il IV e il VI secolo, un epoca certamente turbolenta e movimentata, e la turbolenza di quel mondo emerge in ogni immagine, in ogni storia, in ogni dinamica sociale, in ogni tratto della vita quotidiana degli uomini e delle donne di quel tempo. Si tratta di un saggio divulgativo e a mio avviso Ravegnani riesce perfettamente nell’impresa di fare una buona narrazione storica, senza mai annoiare, ma anzi, mantenendo viva l’attenzione del lettore attraverso storie e scene di vita quotidiana sul finire del mondo antico. Il titolo di quest’opera ci dice già tutto ciò che bisogna sapere sull’opera in se, ci dice di cosa parlerà, ci dice qual è l’intento dell’autore, ci prende per mano e ci accompagna in quel viaggio di poco più di 200 pagine.

Ogni epoca ha la sua storia quotidiana, ogni luogo, ogni tempo, hanno la propria realtà ordinaria, e dei tanti libri sul tema, La vita quotidiana alla fine del mondo antico di Giorgio Ravegnani è forse uno dei pochi che abbia letto con piacere, oltre che con interesse, ed è il piacere che mi ha donato questa lettura il motivo per cui non ho dubbi sul consigliare questo libro.

La Battaglia, storia di Waterloo di Alessandro Barbero | Recensione

Recensione del saggio La Battaglia, storia di Waterloo di Alessandro Barbero

Molte volte ho parlato di Napoleone e di Waterloo, di quella battaglia che in un certo senso ha rotto l’incanto e consegnato Napoleone alla Storia.

La battaglia di Waterloo è stata raccontata da innumerevoli autori, a partire da Carl Von Clausewitz che su quel campo di battaglia era effettivamente presente, e non è mia intenzione aggiungermi, con questo post, alla lunga lista di nomi che hanno raccontato la battaglia.

Il mio intento è quello di fornire la mia personalissima ed estremamente soggettiva opinione sul saggio La Battaglia, Storia di Waterloo di Alessandro Barbero, storico e divulgatore italiano, docente di storia all’università di Torino che non ha certo bisogno di presentazioni, il suo lavoro come consulente e divulgatore su Rai Storia e membro del comitato scientifico di programmi come Quark e Ulisse, i suoi saggi e le sue innumerevoli conferenze tenute in tutta italia sono una garanzia di qualità e affidabilità, e questo saggio sulla battaglia di Waterloo non fa eccezione, è un un saggio a mio avviso meraviglioso, che vi consiglio di recuperare se non avete già letto.

Non serve che quindi mi dilunghi oltre sul curriculum e la biografia del professor Barbero e forse non serve neanche che vi dica cosa troverete nel libro qualora decideste di leggerlo, ma lo farò lo stesso.

Napoleone, per anni era stato forse qualcosa in più di un semplice uomo, di un semplice generale, di un semplice imperatore. Per milioni di uomini e donne in tutta europa Napoleone era stato quasi l’incarnazione di un sogno, aveva rappresentato l’avanguardia di una nuova epoca che si faceva strada nel vecchio mondo, era stato quasi una visione del mondo futuro che si affacciava sulla vecchia e logora europa.

Allo stesso tempo però, per altri versi, Napoleone era stato anche uno spietato signore della guerra, un demone sanguinario feroce, un folle che aveva spalancato i cancelli degli inferi, lasciando che la morte si riversasse sull’Europa come un fiume in piena e da questo punto di vista, la battaglia di Waterloo si presentava come l’ultimo grido disperato del morente gigante Golia che cadeva sotto i colpi di fionda del piccolo Davide.

Napoleone era stato il sogno e l’incubo dell’Europa tutta e dei suoi popoli, era stato amato ed odiato, prima di essere consegnato definitivamente alla storia, nell’atto finale di quel monumentale spettacolo che era stato l’impero francese, e che ora conosceva nella battaglia finale di Waterloo.

La battaglia di Waterloo è sicuramente più di una semplice battaglia, ebbe senz’altro un valore simbolico sia sul piano militare che sul piano politico, fu certamente una battaglia epocale, il cui esito avrebbe definito il futuro e le sorti dell’europa, che all’epoca, era ancora il cuore pulsante del mondo, e di conseguenza la battaglia di Waterloo segnò il futuro del mondo da quel momento in avanti.

Ma al di la di questo banale esercizio di retorica, alla fine, a Waterloo si combatté una vera battaglia, e soldati ed uomini provenienti da ogni angolo del vecchio continente, si scontrarono, si affrontarono, furono posti gli uni contro gli altri, fucile contro fucile, spada contro spada, cadavere sopra cadavere, per definire le sorti del mondo.

La Battaglia, Storia di Waterloo, ha per cardine una battaglia, forse la battaglia più importante dell’europa del XIX secolo, la grande battaglia di Waterloo, che qualcuno potrebbe definire come la grande battaglia per il destino del mondo, ma il fatto che sia un libro che parla della battaglia di Waterloo, non significa che parli solo della battaglia di Waterloo.

Ovviamente la battaglia vera e propria, gli schemi utilizzati, gli schieramenti, le unità sul campo, l’equipaggiamento dei soldati, l’artiglieria, ecc, ecc sono una componente centrale, fondamentale, per questo libro, ma raccontare la battaglia di Waterloo significa anche e soprattutto raccontare la storia di quella battaglia, significa racconta il mondo in cui venne vissuta e combattuta questa battaglia. Barbero tra le pagine di questo libro ci dice cosa c’era in gioco su quel campo di battaglia, chi erano i giocatori, qual’era lo stato d’animo delle pedine, disseminate sul campo di battaglia da entrambe le fazioni, ci racconta le paure e le angosce degli uomini che si affrontarono sul campo ed i timori e le speranze dei generali asserragliati nelle retrovie.

Da quella battaglia, dalla battaglia di Waterloo dipendevano, come già detto, le sorti del mondo, da quella battaglia dipendeva il futuro dell’europa e di tutti i suoi abitanti, e tutti, in quel momento, ne erano consapevoli.

La Battaglia, Storia di Waterloo di Alessandro Barbero è questo, un libro che racconta uno scontro di civiltà interno all’Europa, uno scontro che iniziò sul finire del XVIII secolo e continuò per gran parte del XIX secolo, il libro racconta la battaglia centrale di quello scontro epocale vissuto al cavallo tra quei due mondi che oggi indichiamo come età Moderna ed età Contemporanea, racconta un tempo troppo veloce che ha rischiato di lasciarsi la storia alle spalle, ma anche un tempo che si è impantanato e per questo è stato raggiunto e senza che se ne accorgesse, è stato superato dalla storia. Racconta l’alba di un epoca dalla doppia morale e dalla doppia faccia, che con una mano dispensava prosperità e progresso e dall’altra raccoglieva morte e distruzione.

Racconta di quel momento indelebile della storia che ha visto spalancare i cancelli degli inferi e la morte ha iniziato a cavalcare sull’Europa, da Waterloo in avanti, nel bene o nel male, l’europa non sarebbe più stata la stessa europa. A Waterloo, in quella storica battaglia, non ci furono vincitori ne vinti, ci fu solo, un deroga del tempo concesso al vecchio mondo che si sarebbe trascinato in avanti, con qualche affanno, ancora per qualche decennio.

Per quanto riguarda il libro in se, il mio giudizio è più che positivo, scritto nel solito stile di Alessandro Barbero, con la solita non banale semplicità, con la solita ironia ed accuratezza, un libro che dice tutto quello che c’era da dire e forse anche qualcosa di più, ma senza che questo risuoni come un eccesso, è un libro che racconta una storia militare, ma non la storia di una battaglia qualsiasi, bensì la storia della più grande ed importante battaglia del XIX secolo.

Questo libro ci porta, attraverso la sua narrazione, nel ventre della balena, ci conduce nel vivo della battaglia di Waterloo, e al fianco dei soldati bonapartisti, ci mostra i colori, i suoni, i profumi, ma anche il dolore, il fetore di sangue che si mischia con l’odore acre della polvere da sparo ed il fumo dei cannoni, mentre le grida dei soldati che cadono uno dopo l’altro come mosche, si mischiano tra loro e si perdono tra l’affannoso respiro dei cavalli ed il boato assordante di colpi di fucile, cannone ed esplosioni di mortai.

Non ho altro da aggiungere, queste erano le mie considerazioni sul libro La Battaglia, Storia di Waterloo, di Alessandro Barbero e più in generale le mie considerazioni personali sulla battaglia di Waterloo.

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Wonderland, la cultura di massa da Walt Disney ai Pink floyd – Recensione

Recensione di “Wonderland, la cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd”, di Alberto Mario Banti, docente di storia contemporanea e storia culturale all’Università di Pisa.

Ho appena finito di leggere “Wonderland, la cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd“, un vero e proprio capolavoro (non posso definirlo un semplice libro) di Alberto Mario Banti, docente di storia contemporanea e storia culturale all‘Università di Pisa.

Quasi sicuramente nelle prossime settimane pubblicherò una guida alla lettura, ma per ora mi limito a fare alcune considerazioni personali, che possiamo considerare una sorta di recensione, nella quale dirò, a grandi linee, cosa penso di questo libro.

Anche se forse è un discorso superfluo visto che l’ho definito un vero e proprio capolavoro. Ad ogni modo, Cosa ne penso ?

Penso che sia un libro assolutamente stupendo, da un certo punto di vista un vero e proprio capolavoro, che forse sarà un azzardo, ma possiamo considerarlo come un testo rivoluzionario ed estremamente innovativo per il suo genere.

Una delle critiche che da sempre si muovono alla storia culturale è che questa attinga sempre alle poche e solite fonti, e questa critica, non piò essere mossa nei confronti di Wonderland perché il testo del Banti non attinge alle solite fonti, e anzi, potremmo quasi dire che non attinge affatto alle tradizionali fonti, certo, il testo utilizza fonti classiche, analisi sociologiche, studi storici ecc, ma attinge anche ad una moltitudine di elementi propri della pop culture, che difficilmente incontriamo in un saggio storico, a meno che non sia un saggio dedicato esclusivamente ad un determinato elemento pop.

Ed è qui che il saggio è rivoluzionario, perché a differenza di altri, che in passato hanno sottolineato ed evidenziato l’impatto della pop culture nella società, nella cultura di massa, ancorandosi ad un singolo elemento, un singolo aspetto di quella cultura, dal quale partire per sviluppare un discorso storico analitico di stampo tradizionale, questo saggio rompe gli schemi, e racconta la civiltà contemporanea, racconta la società di massa, attraverso i gusti delle masse, attraverso i molteplici elementi, in un certo senso ludici e di intrattenimento, usa film, fumetti, sport, musica, ecc ecc ecc.

Vi sono molti altri saggi che fanno qualcosa di simile, saggi che raccontano un epoca e la società attraverso un filone musicale, attraverso una saga cinematografica, vi sono persino saggi che, ponendo un festival musicale come specchio della società, partono da quel festival per tracciare gli aspetti e gli elementi propri della società e della cultura di quel paese.

Wonderland in questo diverge, non limitandosi ad un singolo elemento della pop culture, ma attingendo a piene mani, ad una moltitudine di elementi. Attraverso questo saggio, che di fatto allarga lo sguardo dandoci una prospettiva più ampia sulla cultura di massa, scopriamo che la società contemporanea è plasmata da alcuni elementi della pop culture che quella stessa società produce, ma, allo stesso tempo, altri elementi di questa pop culture riflettono le inclinazioni della società, andando in contro ai gusti e alle tendenze, configurandosi come un vero e proprio specchio della società. Possiamo quindi dire che, mentre alcuni elementi raccontano la società, altri la influenzano.

Vi assicuro che leggere questo libro cambierà la vostra prospettiva, se vi interessa leggerlo, e vi consiglio di leggerlo, potete acquistarlo su Amazon cliccando qui di seguito.

Wonderland. La cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd

Se proprio vogliamo trovare un qualche difetto, una qualche mancanza a questo libro, e vi assicuro che non è stata affatto facile trovarne, anche perché in realtà non è affatto un difetto, non è una mancanza, è il suo limite temporale, questo saggio infatti prende in esame un determinato arco temporaneo e questo limite esclude necessariamente alcuni elementi in un certo senso “successivi” ai Pink Floyd. Dico in un certo senso perché alcuni di quegli elementi che oggi sono importanti indicatori dei gusti della società di massa, nascevano al tempo dei Pink Floyd, ma all’epoca erano ancora in una fase embrionale che di fatto non rifletteva realmente la cultura di massa.

Va inoltre precisato che, se si considera la vastità di fonti utilizzate nel limitato arco temporale preso in esame, è facile comprendere perché il Banti si sia dato un limite temporale, ed abbia deciso di escludere quegli elementi come la prima internet ed i primi videogiochi, dall’analisi, trent’anni fa Internet non era così come siamo abituati a conoscerlo oggi, era molto più difficile da utilizzare e soprattutto non era alla portata di tutti, era uno strumento si esistente ma che di fatto non trova un riscontro nella cultura popolare, lo stesso discorso vale per le prime generazioni videoludiche, trent’anni fa erano si uno strumento di intrattenimento, certamente innovativo e tecnologicamente molto avanzato, ma che, nella cultura di massa, si rivolgeva ad un utenza molto giovane, un utenza appartenente ad alcune generazioni che, per ragioni fisiologiche in quel momento vengono escluse dal discorso sulla cultura di massa, ma che sarebbero rientrate nel discorso soltanto qualche anno più tardi.

Di casi analoghi se ne potrebbero citare anche altri, ma per il momento rimaniamo solo su questi due, su internet ed i videogiochi. Questi elementi con il tempo avrebbero ampliato il proprio bacino di utenza, includendo nuove generazioni fino a diventare elementi centrali nella cultura di massa, degli anni novanta e al ridosso degli anni duemila, per poi esplodere negli anni successivi, ma questo significa che Internet ed i Videogiochi diventano un elemento di cultura di massa molto al di la del paletto temporale fissato dall’opera.

La loro esclusione quindi non può essere considerata una mancanza, quanto un preludio ad un secondo volume e personalmente spero, con tutto il cuore, che prima o poi verrà pubblicato un secondo volume, una Wonderland due punto zero, che vada dai Pink Floyd a Fortnite.

Questo mio desiderio è alimentato dalla conoscenza e dall’ammirazione personale che nutro nei confronti del professor Banti, che ho avuto il piacere di conoscere all’Università e con il quale ho dato alcuni esami durante il mio percorso accademico, conosco il valore dei suoi studi, dei suoi saggi, conosco il valore del suo lavoro, so quanto influente sia diventato il suo nome e so che forse è uno dei pochi, se non addirittura l’unico storico italiano che potrebbe finalmente trovare una collocazione storica e storiografica ad elementi come internet, e tutte le sue componenti interne, fatte di blog, forum, social media, servizi di stremaing audio e video ecc, o ancora, di elementi come i videogiochi, e le app per smartphone, spesso osannati dalla critica e ingiustamente ritenuto la causa principale di ogni male della nostra società.

Guardare ad internet e al videogioco con prospettiva storica, mi rendo conto che non è qualcosa di facile, e probabilmente dovremmo aspettare ancora qualche anno affinché questo accada, tuttavia, non posso nasconderlo, sarei felicissimo se questi elementi entrassero nel discorso storico grazie ad uomini come Alberto Mario Banti, del resto, con Wanderland ha introdotto Topolino in un discorso storico, non vedo perché lo stesso destino non possa toccare, un giorno, anche a personaggi come Kratos, Ezio Auditore, o il ragazzo del Volt 101.

La fine della Cultura di Eric Hobsbawm | Recensione

La fine della cultura di Eric Hobsbawm, guida alla lettura

Eric Hobsbawm lo sapete, è il mio storico preferito, amo le sue opere in maniera quasi morbosa e tra i tanti libri che ha scritto, il secolo breve è sicuramente il più iconico e famoso, ma probabilmente è anche il meno importante.

Hobsbawm è stato uno storico sociale, di formazione marxista, significa che nel suo lavoro ha sempre tenuto gli occhi puntati sull’elemento sociale, sulla società, in particolar modo sulla società ottocentesca che poi è stato l’oggetto privilegiato di gran parte della letteratura prodotta dallo stesso Hobsbawm e solo negli ultimi anni di attività, diciamo negli ultimi 2 decenni, Hobsbawm ha in qualche modo dipanato le ali e dato uno sguardo dall’alto anche al Novecento.
Il secolo breve rappresenta in qualche modo un punto di rottura con il passato, il 1991 rappresenta la fine di un epoca ma anche di un modo di scrivere. Senza girarci troppo intorno, dopo il Secolo Breve Hobsbawm ha iniziato a rivolgere lo sguardo su temi più ampi, producendo opere più intime e personali, in un certo senso più riflessive che analitiche.

Nell’età degli Imperi che cronologicamente copre il periodo immediatamente precedente l’inizio del secolo breve, Hobsbawm propone una ricostruzione storica delle dinamiche sociali, economiche e politiche del mondo in quegli anni, propone un analisi storica e critica di quel mondo, mentre, in opere come il secolo breve e ancora di più in “la fine della cultura” Hobsbawm si lascia andare molto di più alle proprie osservazioni e considerazioni personali, il tutto sempre condito da un profondo rispetto per l’argomento studiato e con la maestria di cui solo uno dei più grandi storici del secolo scorso potrebbe fare, e questo ci porta al soggetto di questo post.

Il libro “La fine della cultura. Saggio su un secolo in crisi d’identità” pubblicato nel febbraio 2012, pochi mesi prima della sua scomparsa nell’ottobre di quello stesso anno.

Si tratta de facto dell’ultimo libro di Eric Hobsbawm, della sua ultima fatica, del suo ultimo capolavoro, e in quanto tale ha per me, che amo Hobsbawm, un enorme valore affettivo e significativo, al di la del suo contenuto sul quale sono state spesso mosse critiche di varia natura, dal fatto che il libro sia “troppo personale” molto più giornalistico che storico, per intenderci, al fatto che sembra quasi un opera incompiuta e data in stampa prematuramente.

E se per quanto riguarda la prima osservazione posso essere in parte d’accordo, considerando però, questa soggettività che ci viene dichiarata esplicitamente dall’autore nella prefazione del libro, come un valore aggiunto e non un elemento discriminatorio, poiché si tratta del punto di vista di un icona della storiografia del novecento, non condivido invece la seconda critica, il libro a mio avviso è completo e preciso, puntuale, pungente e ironico, tratto distintivo della penna di Hobsbawm che è forse uno dei motivi principali per cui ho iniziato ad amare questo grandissimo storico.

Per quanto riguarda il libro in se comunque, non è un libro semplice da leggere, non è un libro per tutti gli utenti e di sicuro non per lettori inesperti, per comprenderlo a pieno è necessario conoscere Hobsbawm, conoscerlo bene e conoscere il suo pensiero, un pensiero espresso più o meno velatamente nelle varie prefazioni ai suoi libri e in maniera dichiarata nella sua autobiografia “Anni interessanti” pubblicata nel 2002, autobiografia che almeno nella sua cronologia editoriale si colloca esattamente a metà strada tra “il secolo breve” (1992) e “La fine della cultura” (2012), e che nella sua cronologia interna condivide gran parte della strada percorsa con il secolo breve, nella cui prefazione lo stesso Hobsbawm ci dice che quel periodo (1914-1991) coincide quasi completamente con la sua vita.

Uno dei motivi per cui “la fine della cultura” non è un libro semplice è perché fondamentalmente non è un vero e proprio libro, si tratta più di una raccolta di saggi, circa venti saggi elaborati dall’autore nel corso della sua vita, e che condividono un tema comune, i ragionamenti, le osservazioni, le osservazioni e le critiche espresse da Hobsbawm sul suo tempo, sul tempo in cui viveva e la società in cui viveva, e alla luce di ciò appare evidente perché conoscere la chiave di lettura del mondo adottata da Hobsbawm.

Leggere la fine della cultura consapevoli del fatto che Hobsbawm sia uno storico sociale, inglese e di formazione marxista, ci permette di comprendere quei saggi fin nel profondo del loro essere e se ci soffermiamo a riflettere sul fatto questo libro è il frutto di quasi mezzo secolo di riflessioni storiche dell’autore, può viene quasi naturale commettere l’errore di ricercare un qualche un parallelismo con “l’apologia della storia” di March Bloch, che ricordiamo essere un opera postuma data alle stampe per volontà di Lucien Febvre, in cui sono raccolte le riflessioni e le osservazioni che hanno accompagnato la vita di Bloch sul mestiere di storico e non è su questo che riflette il testo di Hobsbawm.

In questa raccolta, a differenza dell’Apologia della Storia, si pone l’attenzione sulla società, sul mondo e sulla cultura, osservando da una parte sulle nuove forme di espressione artistica nell’era della globalizzazione, sull’esiguo spazio che oggi resta alla cultura del passato e dall’altra parte riflette su moltissimi altri aspetti dell’arte e della cultura contemporanea, dal ruolo degli intellettuali a quello della scienza, dai rapporti tra arte e politica alla pop art, all’emancipazione femminile al ruolo delle religioni nel mondo contemporaneo, sul fallimento delle avanguardie e su quella che definisce come la “tradizione inventata” del cowboy americano, tema a cui è dedicato un intero saggio, posizionato in chiusura del libro, quasi come se questo saggio volesse essere la sua ultima sfida dello storico inglese, la sua ultima grande provocazione, l’ennesimo scossone dato alla storiografia dall’uomo che aveva inventato il secolo breve.

L’autore non a caso osserva che la rivoluzione scientifica e tecnologica del ventesimo secolo ha totalmente mutato le tradizionali modalità con cui si scandiva il ritmo delle giornate e gli uomini comuni si guadagnavano da vivere e se in questo nuovo mondo dalle infinite potenzialità le masse popolari, dopo aver fatto la propria irruzione nella storia nel secolo precedente ora, nel novecento, fanno la propria irruzione sulla scena politica. Per Hobsbawm questa irruzione ha abbattuto «il muro tra cultura e vita, tra venerazione e consumo, tra lavoro e tempo libero, tra corpo e spirito», ed ha portato ad un progressivo svuotamento del ruolo privilegiato riservato alle arti nel passato, in quella che definisce come la vecchia società borghese.
Nel mondo contemporaneo per Hobsbawm è venuta a mancare l’estetica tradizionale, l’estetica borghese e di conseguenza, la cultura dell’accezione borghese deve «lasciare il posto alla cultura nel significato antropologico puramente descrittivo» spingendo verso un progressivo imbarbarimento della cultura, della politica e della società, anticipando, con estrema lucidità quello che sarebbe successo su scala globale negli anni successivi, con l’avvento e l’affermazione dei vari e numerosi partiti populisti, spesso di estrema destra, in Europa e nelle Americhe.

La fine della cultura è un libro che inizia la sua storia editoriale nel 1964 e che vede la sua stampa soltanto nel 2012, raccogliendo al proprio interno le considerazioni e le osservazioni di uno dei più fini e attenti osservatori del novecento nonché uno dei più grandi storico del ventesimo e della prima decade del ventunesimo secolo.

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Il libro nero dell’Impero britannico di John Newsinger | Recensione

Questa è la prima volta che mi ritrovo a scrivere seriamente una sorta di recensione di un libro storico, di un saggio storico, e mi scuso preventivamente se quella che verrà fuori avrà poco la forma di una recensione, di fatto quello che troverete in questa rubrica mensile assomiglierà molto di più ad una sorta di racconto della mia personale esperienza di lettura di questo libro e a dei consigli su come approcciarsi alla lettura di questo libro, piuttosto che ad una recensione nel senso classico del termine, e vi dico fin da subito che in questo ciclo di “recensioni” che curerò tra queste pagine di historicaleye, verranno affrontati prevalentemente libri che in qualche modo hanno contribuito alla mia formazione di storico o di testi che per un motivo o per un altro mi hanno colpito ed affascinato, insomma, e questo significa che difficilmente troverete recensioni “negative”, ma, nel peggiore dei casi, potrete trovare delle osservazioni critiche, e prima di iniziare con la recensione vera e propria, volevo chiudere questa breve premessa ringraziando 21 Editore per avermi dato la possibilità di recensire quest’opera di John Newsinger.

Chi è John Newsinger?

Newsinger è uno storico inglese di orientamento Marxista e docente alla Bath Spa University (da non confondersi con la Bath University), ed è diventato particolarmente celebre al grande pubblico britannico per aver collaborato in diverse occasioni con la BBC e in particolare per aver ricoperto il ruolo di consulente storico della televisiva Scozia & Impero prodotta dalla BBC. Per quanto riguarda invece il suo “mestiere di storico”, le sue opere hanno rappresentato un importante contributo alla critica, di sinistra, alla storia moderna britannica e americana, soprattutto alla luce degli avvenimenti politici e militari degli ultimi anni.

La sua attività di ricerca è iniziata con lo studio del movimento repubblicano irlandese tra XIX e XX secolo che lo avrebbero portato alla pubblicazione di Orwell Politics, edito nel 1999, un saggio che va ad indagare sulla visione politica di George Orwell, contestualizzando storicamente le opere di Orwell nello sfondo dell’imperialismo britannico, della disoccupazione degli anni Trenta, della Guerra civile spagnola e della Seconda guerra mondiale.

Si tratta di una chiave di lettura al limite del revisionismo storico, un revisionismo che sarebbe stato accentuato nel saggio British counterinsurgency: from Palestine to Northern Ireland, un’opera caratterizzata da un approccio estremamente critico e revisionista nei confronti della politica dell’impero britannico, soprattutto per quanto riguarda le questioni legate alla gestione stessa dell’impero delle colonie, ed è proprio da qui che parte Blood Never Dried: A People’s History of the British Empire edito in italia con il titolo il libro nero dell’impero britannico.

Il libro nero dell’impero Britannico

Il libro nero dell’impero Britannico eredita dalle precedenti opere di Newsinger un approccio critico alla politica britannica e tra le sue circa 343 pagine racconta una storia alternativa e parallela alla storia del grande impero britannico, ne racconta i panni sporchi, ne racconta la decadenza, il degrado e l’insoddisfazione coloniale, e racconta gli abusi imperiali e le contraddizioni che si celavano dietro il velo di glorioso splendore di una delle ultime corone imperiali del vecchio continente.

Come ha scritto Jacopo Bassi nella sua recensione a quest’opera pubblicata tra le pagine di Diacronie,

“Il libro nero dell’impero britannico è, anzitutto, una replica polemica all’apologia dell’impero britannico portata avanti da alcuni tra i più famosi storici che si sono occupati dell’argomento: Niall Ferguson, Max Boot e Robert Kaplan. Newsinger adotta un approccio che si concentra sul tema della resistenza all’impero britannico, denunciando la politica di violenza perpetrata nel mondo sotto le insegne imperiali. Il libro può dunque essere considerato come una storia della repressione britannica o, più precisamente, una storia della resistenza al colonialismo britannico.”

E c’è veramente poco da aggiungere a queste parole di Bassi, il libro nero dell’impero britannico è semplicemente questo, uno sguardo sugli aspetti “dimenticati” o ignorati dell’impero britannico, uno sguardo su quei tratti cupi e contraddittoria a cui una larga schiera di autori britannici ha dedicato uno spazio marginale nelle proprie opere, preferendo soffermarsi sui tratti più splendenti e gloriosi, e in questo senso le critiche di Newsinger si rivolgono soprattutto ad autori come Niall Ferguson, Max Boot e Robert Kaplan portatori di una (re)visione acritica della grandezza dell’impero britannico, in particolare a Ferguson che nel 2003 aveva pubblicato un opera dal titolo “Empire: How Britain Made the Modern World”, edito in italia da Mondadori con il titolo “Impero: Come la Gran Bretagna ha fatto il Mondo Moderno“.

Questo libro mette in risalto le contraddizioni dell’impero britannico, un impero che la storiografia tradizionale britannica esaltava per il proprio impegno nella lotta al commercio di schiavi e alla schiavitù, ignorando le numerose rivolte di schiavi, avvenute nei Caraibi britannici prima che la corona si impegnasse nella lotta alla schiavitù, e trascurando il fatto che il commercio atlantico degli schiavi fu alimentato per diversi secoli anche dai traffici marittimi britannici.

Il secondo capitolo prende di mira l’amministrazione politica dell’impero, prendendo in esame soprattutto la devastante carestia irlandese degli anni quaranta, sottolineando come, da una parte la popolazione irlandese morisse per la fame, e vivesse di erba raccolta in strada impossibilitata ad acquistare pane e patate, perché troppo rare e costose, ma nello stesso periodo, 1846, 47 e 48 l’Irlanda abbia comunque esportato patate per un valore di circa 15 milioni di sterline.

Nel terzo capitolo la lente di Newsinger viene puntata sul traffico illecito dell’oppio che affluiva a fiumi nelle strade dell’impero e in tutta europa. La storiografia tradizionale ci ha abituati ad immagine edulcorata delle fumerie d’oppio tanto care ai grandi uomini del XIX secolo e descritte in maniera quasi poetica e romantica nelle loro opere e Newsinger sottolinea come quella realtà appartenesse soltanto alle grandi città europee e vivesse di una clientela molto elitaria, ma nella maggior parte dei casi, le fumerie d’oppio erano luoghi di decadenza frequentati da personalità poco raccomandabili e generalmente gestite in maniera rozza e brutale ed erano dei ricettacoli di malattie veneree, e situazioni di degrado e sfruttamento.

Il quarto capitolo ci racconta la grande rivolta irlandese del 1857-1858, spesso liquidata nei manuali in poche righe o al massimo in qualche paragrafo, senza dare troppo spazio e spessore alla repressione a tratti cruenta e quella che sarebbe più opportuno definire, secondo Newsinger come una guerra civile o una fallimentare guerra di indipendenza.

Sulla stessa linea si muovono i capitoli successivi, il quinto rivolge il proprio sguardo all’occupazione dell’Egitto di fine ottocento, e introduce appena il lettore all’analisi critica della brutale colonizzazione dell’Africa. Guardando alla colonizzazione dell’Africa Newsinger ci fa notare che i crimini compiuti da Leopoldo del Belgio hanno canalizzato la critica alla “spartizione dell’Africa” lasciando ben poco spazio ai “crimini” compiuti da francesi, olandesi e britannici e in questo capitolo Newsinger cerca di riempire il vuoto, soffermandosi sull’Egitto perché trattare nella loro interezza le politiche coloniali britanniche avrebbe richiesto forse un intero libro e non escluderei che questo possa essere proprio l’oggetto di studio del prossimo lavoro di Newsinger.

Il testo continua affrontando in maniera critica il ruolo britannico nelle guerre mondiali e quasi tutta la seconda parte del libro è dedicata alla gestione e l’amministrazione britannica dei territori coloniali durante la decolonizzazione e in particolare, durante le guerre di indipendenza che esplosero nell’intero impero britannico, dando particolare attenzione alla questione dell’India, alla crisi di Suez, del Kenya, della Malesia e dell’estremo oriente.

Negli ultimi due capitoli infine, viene introdotto il rapporto d’amicizia tra Inghilterra e “impero americano”, e gli effetti di questa “amicizia” nella politica internazionale e in particolare nella gestione dei conflitti moderni, fondamentalmente dal Vietnam all’Afganistan.

Consigli per il lettore

Per una buona lettura e comprensione de Il libro nero dell’Impero Britannico è raccomandabile una conoscenza, anche basilare, dell’età contemporanea e dei principali eventi storici, legati all’impero britannico. La sua natura di opera critica e revisionistica che un po’ sfida il canone classico della storiografia britannica, proponendo una storia in qualche modo parallela a quella ufficiale, rende il libro potenzialmente fuorviante, soprattutto se approcciato in maniera troppo superficiale.

Parafrasando Andrea Galeazzi, nelle sue recensioni di smartphone cinesi, il libro nero dell’impero britannico è un libro per utenti consapevoli, ma consapevoli di cosa?
Consapevoli del fatto che l’opera di Newsinger è un opera critica che va a riempire gli spazi vuoti lasciati dalla storiografia tradizionale e nel fare questo l’autore tende a dare per scontate alcune informazioni basilari, che un lettore generico non è tenuto a conoscere, un esempio di questo tipo possiamo incontrarlo nel primo capitolo, quando Newsinger critica la “propaganda imperiale” e antischiavista puntando la propria lente sulle rivolte di schiavi nelle colonie britanniche. Nel fare questo l’autore ci da uno sguardo “alternativo” e dietro le quinte, dando però per scontato che il lettore sia a conoscenza del successivo impegno britannico nella lotta al commercio degli schiavi ed il ruolo centrale avuto dall’impero britannico, agli inizi del secolo XIX nella messa al bando del commercio degli schiavi e della schiavitù in gran parte del mondo.

Consiglio di affiancare il testo di Newsinger alla lettura o rilettura di un manuale di storia contemporanea, meglio ancora se un manuale di storia dell’Impero britannico in età contemporanea. Questo perché il testo di Newsinger non è un manuale e non vuole essere un manuale. Il libro nero dell’impero britannico è una raccolta di saggi riguardanti l’impero britannico in età contemporanea e questi saggi sono accomunati dal sottile filo rosso delle politiche di “repressione” del suddetto impero britannico.

Conclusione

Il Libro nero dell’Impero Britannico di John Newsinger fornisce sicuramente uno sguardo nuovo ed interessante alla storia dell’impero britannico, racconta la storia oscura di questo impero, racconta le sue malefatte e quei momenti, quegli atteggiamenti di cui forse gli inglesi si vergognano e che forse vorrebbero cancellare dal proprio passato, ci racconta una storia che non è la storia dei vincitori e ci ricorda che la storia non è scritta dai vincitori. E’ scritta dagli storici e agli storici interessa capire più che tifare.

Badlands, un viaggio on the road tra storia e cultura Americana

Se amate la musica di Springsteen vi consiglio la lettura di Badlands. Springsteen e l’America: il lavoro e i sogni di Alessandro Portelli.
Ho avuto modo di assistere alla presentazione del libro e scambiare qualche parola con l’autore, uno storico appassionato, attualmente docente di letteratura anglo americana presso l’università degli studi di roma La Sapienza.

Alessandro Portelli, storico e critico musicale, autore del libro Badlands edito Donzelli
Alessandro Portelli, storico e critico musicale, autore del libro Badlands edito Donzelli

Il rock prima di Springsteen per quanto trasgressivo e audace era ancora impregnato di un certo tipo di poetica, che disegnava un mondo incantato e fiabesco, ma con Springsteen quel mondo va in frantumi e nuovi temi, decisamente più “maturi” e disincantati, più vicini alla quotidianità del ceto medio americano, irrompono nelle radio e sul palco donando un nuovo volto a quel genere musicale trasgressivo che fino a quel momento si era connotato di fasti ed eccessi fin troppo lontani dalla realtà.
Nella musica del Boss per la prima volta i sogni sono chiamati a fare i conti con la realtà rompendo la magia e l’incanto di quel mondo onirico descritto da mille canzoni, quel mondo che tutti sognavano ma che in pochi, per non dire nessuno, potevano avere.

Parafrasando le parole di Alessandro Portelli, prima di Springsteen tutti scopavano senza conseguenza, nessuna ragazza rimaneva incinta, nessuno si ammalava, nessuno aveva bisogno di lavorare, erano tutti felici e spensierati, come dei piccoli Gianni Morandi mentre andavano a comprare il latte, poi però quei ragazzi iniziano a crescere, e non c’è più la mamma a dar loro i soldi per andare a prendere il latte, e quel momento è il momento in cui arriva Springsteen che con le sue canzoni fa quel passo in più, si rompe la magia e si piomba nella cruda realtà. Il sesso non è più privo di conseguenze.

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Nonostante ciò Badlands non è un libro che parla di musica, non solo almeno, ma usa la musica e nello specifico la musica e le canzoni del Boss per tracciare un ritratto della storia sociale e della cultura americana a partire dagli anni settanta fino ad oggi, mostrando la realtà che si cela oltre il velo dell’illusione, mostrandoci la vera america, quella vissuta e sudata tra campi e fabbriche, da contadini e operai, insomma, l’america del ceto medio che non possiede auto di lusso ma auto di seconda mano e vive in mastodontici condomini con così tanti appartamenti da rendere impossibile conoscere persino il nome dei propri vicini.

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