Il revisionismo storico di Kurz, un insulto alla storiografia.

Il revisionismo austriaco riscrive la storia del risorgimento italiano ed europeo, distorcendo la storia per fini politici.

Se c’è una cosa che ho sempre odiato è chi utilizza la storia distorcendola per fare propaganda politica. Ed è proprio questo che sta facendo Sebastian Kurz con il sostegno dato al revisionismo storico che punta a riscrivere il risorgimento seguendo una nuova chiave interpretativa filo germanica e decisamente antistorica.

Ma andiamo con ordine perché il revisionismo interpretativo del
risorgimento , qualcosa di sensato l’ha anche detta, il problema è questo revisionismo è estremamente politicizzato e utilizza parametri diversi per definire ed etichettare situazioni politiche estremamente simili tra loro, ovvero l’Unificazione Italiana e l’Unificazione Tedesca, e a scanso di equivoci va precisato che i due processi unitari, per quanto simili, sono anche molto diversi tra loro, l’unificazione tedesca è un unificazione prima economica e poi politica mentre quella italiana affonda le proprie radici nel sangue delle guerre di indipendenza, ma come dicevo, andiamo con ordine.

Iniziamo col dire che è vero che le guerre di indipendenza italiane furono guerre di aggressione e di conquista, l’italia, o meglio il piemonte entra in guerra contro l’Austria per ragioni espansionistiche prima di qualsiasi altra ragione e al di la di tutte le nobili giustificazioni date dai Savoia e da Cavour, è innegabile che il fine ultimo di quelle guerre fosse un ampliamento territoriale dello stato sabaudo. Dall’altra arte dire che Cavour voleva dividere l’Austria, è assolutamente falso e privo di ogni logica, detto molto semplicemente, a Cavour non fregava un cazzo dell’Austria e della sua unità o della sua dissoluzione, aveva in testa un progetto espansionistico che affondava le proprie radici in una visione nazionalistica che oggi potremmo identificare con una qualche nazionalismo di destra, va però precisata l’inutile e superfluo dettaglio che, questo progetto di espansione, non aveva il fine ultimo di disgregare l’impero Austro Ungarico, anche perché a quello ci stavano già pensando gli austriaci, e a tal proposito, in questo contesto bisogna stare estremamente attenti a non invertire causa ed effetto, confondendo l’una con l’altro, poiché in questo caso, le preesistenti crisi interne all’impero Austoro-Ungarico, impegnato in un lungo e lento processo di disgregazione dell’impero non è dovuto all’attivismo di Cavour e attribuire alla politica di Cavour la responsabilità della disgregazione dell’impero asburgico, significa attribuire a Cavour un ruolo nella storia enormemente più grande di quello che ha realmente giocato.
Cavur, non fu l’artefice dell’inizio della disgregazione austriaca, ma approfittò della disgregazione in corso d’opera per dare all’Italia la possibilità di espandersi strappando terreno all’Austria. Dire che Cavour voleva distruggere l’Austria significa invertire la causa (la disgregazione dell’impero) con l’effetto (l’espansione del Piemonte) mentendo spudoratamente e creando un terribile equivoco storiografico.

Quanto a Mazzini e Garibaldi, che, secondo il revisionismo austriaco promosso da Kurz, sono indicati come nazionalisti di estrema destra… parliamone, perché qui la questione si fa interessante.

Faccio l’ennesima premessa, ribadendo ancora una volta un concetto storiografico elementare, è folle e terribilmente sbagliato (per non dire assolutamente antistorico) utilizzare categorie moderne per definire la corrente politica di uomini del passato, in questo caso uomini del XIX secolo, tuttavia il revisionismo lo fa e quindi lo facciamo anche noi e se proprio vogliamo utilizzare le etichette moderne, cerchiamo perlomeno di essere accurati e di utilizzare l’etichetta giusta.

Come dicevo, secondo il revisionismo austriaco, Mazzini e Garibaldi sarebbero stati dei nazionalisti di estrema destra. Questa cosa in realtà non è del tutto sbagliata, ma cerchiamo di capire perché.

E’ infatti vero che Mazzini e Garibaldi erano nazionalisti, e in realtà in questo non vi è alcuna revisione, sono tra i padri della nazione italia, gli ideatori e gli esecutori materiali dell’unificazione italiana, se non erano nazionalisti loro non riesco ad immaginare chi possa essere definito nazionalista, tuttavia il loro era un nazionalismo estremamente diverso da quello moderno, da quello che oggi concepiamo come nazionalismo, il loro, in particolare quello di Mazzini era un nazionalismo libertario, in cui il popolo italiano si riconosceva come un popolo senza stato e vittima di nazioni straniere che lo opprimevano, ritrovandosi ad essere de facto una minoranza in casa propria.

A questo punto vi chiedo la cortesia di non fare inadeguati parallelismi con l’italia contemporanea oppressa dall’europa, perché no, non è la stessa cosa, siamo completamente su un altro livello.


L’italia pre-unitaria, soprattutto nei territori controllati dall’Impero Asburgico era praticamente terreno coloniale dell’impero, era una periferia dell’impero priva di autonomia, priva di libertà e soprattutto priva di una reale rappresentanza politica ai vertici dell’impero. Erano popoli che risiedevano in territori totalmente immersi in dinamiche feudali e che rispondevano ad un imperatore che neanche parlava la loro stessa lingua. Erano fondamentalmente degli esclusi, degli emarginati che rivendicavano una propria identità nazionale e questa ricerca di identità fu la base su cui uomini come Mazzini e Cavour costruirono il proprio nazionalismo e, nel caso di Cavour, la propria politica espansionistica.
Per quanto riguarda quindi il nazionalismo di Mazzini e Garibaldi, possiamo dire che il loro era un nazionalismo che puntava alla nascita di una nazione libera e indipendente, formata dall’unione di popoli con una lingua comune, una tradizione culturale comune ed una storia comune.

Per quanto concerne invece le loro idee, anche qui, in realtà non c’è alcun revisionismo, nessuno ha mai messo in discussione l’idea che, soprattutto Mazzini, fossero identificabile con un ideologia “di destra” , il problema è capire di che destra stiamo parlando. Parliamo di una destra estrema e conservatrice o di una destra più moderata, progressista e liberale?

Questa è una cosa che va assolutamente chiarita perché il fatto che siano entrambe Destra, non significa assolutamente che siano la stessa cosa, sono in realtà due mondi totalmente diversi e se proprio vogliamo indicare Mazzini e Garibaldi con le moderne etichette politiche, quella più adatta è certamente quella della destra moderata, progressista e liberale, del resto basta fare un leggero sforzo di memoria per ricordare che la destra storica italiana nasce proprio dalla corrente politica Mazziniana ed evolve nel partito liberale costituzionale, attraversa la fase del trasformismo che vedrà il confluire tra le proprie fila di uomini provenienti anche dalla sinistra storica, per poi diventare il Partito Liberale Italiano. Un partito di cui si può dire di tutto, tranne che fosse un partito di estrema Destra.

Concludo con una breve parentesi sul Kaiser Guglielmo I di Prussia, che grazie ad Otto Von Bismark fu protagonista dell’unificazione tedesca e anch’esso vittima del revisionismo austriaco promosso da Kurz.
Secondo le nuove chiavi interpretative Guglielmo I era un re “Buono e globalista”.
Personalmente non so cosa significhi quel “buono”, in termini storici questa parola non ha senso, in storia non esistono buoni o cattivi, ma esistono uomini, idee, dinamiche, ed eventi, ma non buoni o cattivi, non siamo alle elementari, non siamo in un film dei Marvel Studios, non c’è l’eroe e il cattivo di turno, esistono al più vincitori e vinti e nel caso di Guglielmo possiamo dire senza timore che fu un vincitore, fu un vincitore perché, soprattutto grazie a Bismark, riuscì a ricostruire il sacro romano impero, dissolto con il congresso di Vienna, dando vita al secondo reich, riuscendo a costruire le basi per una nazione prospera, ricca e forte, che in pochissimi anni avrebbe raggiunto e superato i livelli britannici e americani. Quanto al “globalista” invece, beh, lì ho qualche riserva.

Ho qualche riserva sul fatto che Gugliemo I fosse un globalista, al più fu un nazionalista liberale, esattamente come lo furono anche Cavour e Mazzini, e forse fu anche più moderato di loro, ma comunque non fu un globalista e sinceramente non riesco a capire come questi uomini che avevano visioni estremamente simili tra loro vengano identificati in correnti politiche così diverse tra loro.
In ogni caso, per quanto riguarda il Kaiser Guglielmo, ricordiamo che durante il suo regno, oltre al congresso di Berlino (voluto dall’Austria) che ipotizzo sia la ragione per cui è stato definito un globalista, ci fu anche la famosa conferenza di Berlino, non so se avete presente la conferenza in questione, nel caso scusatemi se mi dilungo sulla questione ma prometto che sarò breve, fu la conferenza in cui le potenze europee ripartirono tra loro il controllo dei territori dell’Africa occidentale partendo da una disputa commerciale sul fiume Congo. Insomma, la conferenza di Berlino è la conferenza della ripartizione dell’Africa che segna l’inizio del colonialismo europeo in Africa.

Non so voi ma io da parte di Guglielmo non vedo questa grande spinta propulsiva verso il globalismo, vero l’integrazione di tutti i popoli del mondo sotto un unica nazione e aventi tutti gli stessi diritti, e dovendo dare un giudizio morale sull’uomo, non ci vedo neanche tutta questa bontà soprattutto se si guarda al modo in cui amministrò le sue colonie. Certo, qualcuno potrebbe opinare dicendo che comunque è stato promotore di relazioni internazionali e di importanti vertici diplomatici internazionali volti a scongiurare imminenti guerre tra nazioni europee, e questo è assolutamente vero, ma non significa essere globalisti, significa semplicemente cercare di evitare nuove guerre in un secolo in cui tra le campagne napoleoniche e le innumerevoli rivoluzioni e guerre successive al congresso di Vienna, era stato versato già abbastanza sangue europeo, e parlo di sangue europeo perché il sangue africano beh, a giudicare dal trattamento che subirono le popolazioni indigene del Congo e degli altri territori che finirono sotto il controllo europeo, in particolare sotto il controllo Belga e Tedesco, ma questa è un altra storia, quello continuò ad essere versato senza troppi problemi morali da parte di Guglielmo.

 

Chi attacca la Magistratura è con le Mafie!

Il Maxiprocesso contro Cosa Nostra (spesso identificato solo con il processo di primo grado) fu un operazione epocale per la giustizia italiana, sia per il numero di imputati (inizialmente 475 poi ridotti a 460 durante il processo) ed avvocati presenti (furono schierati circa 200 avvocati difensori, oltre ai numerosi magistrati), sia per le tempistiche, il processo infatti durò 8 anni, ebbe inizio il 10 febbraio 1986 (giorno di inizio del processo di primo grado) per terminare soltanto il 30 gennaio 1992 (giorno della sentenza finale, il terzo grado di giudizio, della Corte di Cassazione) il cui epilogo fu l’emissione in termini di condanne portò a 19 ergastoli e pene detentive per un totale di circa 2665 anni di reclusione.

Il duro colpo inflitto a Cosa Nostra portò ad una vera e propria guerra tra lo Stato e la “mafia” che, fino a quel momento, secondo le dichiarazioni di Tommaso Buscetta (noto come il Boss dei due mondi, per i suoi legami oltreoceano, in particolare con i Narcos di Messico e Colombia e con la criminalità organizzata negli USA), avevano “collaborato“, fin dalla seconda guerra mondiale (ricordando il ruolo di Lucky Luciano nell’organizzazione dello sbarco in Sicilia) in diverse occasioni.

Le dichiarazioni/confessioni di Buscetta non avvennero immediatamente dopo il processo, ma arrivarono circa 10 anni più tardi (Buscetta confessò nei primi anni 2000), nel frattempo però, la guerra tra stato e mafia portò ad una serie di violenti attacchi da parte di Cosa Nostra alle istituzioni e alla magistratura, attentati che costarono la vita a gran parte del pool antimafia che aveva combattuto cosa nostra, portando alla morte, tra gli altri, uomini come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e contribuirono a segnare la “fine” dell’esperienza politica della Democrazia Cristiana, la cui leadership fu ritenuta responsabile da un lato dei passati accordi tra stato e mafia e dall’altro del “tradimento” dello Stato Italiano ai danni di Cosa Nostra che aveva permesso l’attuazione del Maxiprocesso.

Tra i motivi che permisero a Cosa Nostra di iniziare una vera e propria guerra allo stato fu il precedente storico degli anni di piombo, una parentesi oscura della nostra storia in cui le Brigate Rosse avevano messo in evidenza l’incapacità dello stato Italiano di proteggere i propri cittadini e soprattutto di poter combattere efficacemente contro le organizzazioni terroristiche, inoltre, stando alle dichiarazioni di Buscetta, proprio durante gli anni di piombo, in diverse occasioni lo stato ricorse alla collaborazione con la criminalità organizzata nel tentativo di arginare il terrorismo e fu proprio questa “presunta” collaborazione a fornire alle Mafie la capacità, le informazioni e la consapevolezza di poter iniziare in tutta sicurezza una guerra contro lo stato.  Molti sostengono addirittura un coinvolgimento della criminalità organizzata romana durante le prima fasi di ricerca dopo il sequestro di Aldo Moro nel 1978.

In risposta ai violenti attacchi delle Mafie ai danni della Magistratura, e in seguito alla grande popolarità ottenuta da alcuni magistrati in seguito alla vicenda Tangentopoli, molti magistrati, sentendosi “abbandonati” dallo stato e dalla nuova politica degli anni 90, decisero di scendere nelle piazze, abbandonando la toga e iniziando a fare politica guadagnandosi l’appellativo (negativo) di “toghe rosse”, con cui un’importante fetta politica e dell’imprenditoria italiana ha iniziato ad attaccare la magistratura e gli ex magistrati passati alla politica.

Flussi Migratori, un fenomeno globale che non è facile arrestare.

Viviamo in un momento storico al limite del paradosso, in cui, chi cerca di assecondare il cambiamento è visto/percepito come “conservatore” che vuole mantenere lo status quo, e chi invece vuole porre fine al cambiamento globale, è percepito come promotore di un cambiamento che non è altro che un ritorno ad equilibri “arcaici” per non dire obsoleti.

Leggi tutto “Flussi Migratori, un fenomeno globale che non è facile arrestare.”

Occupazione Italiana dell’Istria nel primo dopoguerra e gli effetti nel secondo dopoguerra

Inizialmente questo articolo si intitolava “Foibe: la responsabilità degli italiani nelle stragi”, era un titolo altamente provocatorio e come spiegato nelle premesse, è ovvio che le vittime non hanno alcuna responsabilità nella strage. Le vittime delle foibe hanno pagato per i crimini dei propri padri e nonni, e questo, per il mio codice di giustizia è forse anche più grave.

Il mio intento con questo articolo non è quello di esprimere un giudizio morale sull’accaduto ne di piegarlo alla mera propaganda politica, il mio intento è puramente storico e l’oggetto dell’articolo, se bene chiami in causa le stragi delle Foibe non sono le foibe, ma l’occupazione Italiana dell’Istria negli anni 20 e 30.

Si tratta di un tema a mio avviso fondamentale per comprendere quanto successo nel secondo dopoguerra, soprattutto perché sulla questione delle Foibe spesso sentiamo pronunciare frasi di questo tipo “Gli Italiani sono stati massacrati senza pietà dai Comunisti di Tito, per la sola colpa di essere Italiani.”

Segue quindi un post probabilmente “molto impopolare“, ma purtroppo la realtà storica è un po più complicata della semplice propaganda politica e alcune vicende non sempre sono totalmente bianche o nere. In alcuni casi, e le stragi delle foibe sono uno di questi casi, può capitare che entrambe le parti coinvolte abbiano la propria dose (più o meno ampia) di responsabilità.

Faccio un ultima premessa, ho già spiegato ampiamente in un altro articolo perché nel 1948 alla fine il governo italiano decise di non perseguire i criminali Jugoslavi, in questo articolo mi limito a dire che i crimini dell’Italia e degli Italiani erano di gran lunga più numerosi e diluiti in un tempo maggiore rispetto a quelli commessi dai partigiani Jugoslavi e di conseguenza, insistere sulla punizione dei crimini Jugoslavi da parte del governo italiano, sarebbe costato all’Italia e al suo nuovo ruolo nella comunità internazionale, un prezzo che non poteva permettersi di pagare. Detto questo.

È vero, in Jugoslavia è stato commesso un terribile crimine ai danni degli italiani che si trovavano lì, questo è innegabile e anche se in questo post andrò a spiegare chi erano effettivamente quegli italiani, perché si trovavano lì e perché sono stati massacrati, non voglio in alcun modo legittimare l’accaduto, ciò che è successo è un crimine e rimane un crimine, non ci sono attenuanti, ma le responsabilità comuni non possono essere ignorate. In questo caso specifico abbiamo a che fare con un crimine compiuto come risposta a decenni di crimini ed abusi, ma il fatto che le stragi delle foibe siano una risposta ad altri crimini non le rende un crimine meno grave, ma andiamo con ordine.

Cominciamo col dire che la regione dell’Istria non è una regione storica italiana, storicamente, e per storicamente intendo nelle ultime migliaia di anni, è sempre stata abitata da popolazioni di origine slava. Per molti secoli questi territori sono stati sotto il controllo del sacro romano impero prima, dell’impero Austriaco e poi dell’impero Austro Ungarico, quando nel XIX secolo l’impero egli Asburgo ha cambiato nome.
Nella seconda metà del XIX secolo, quando in Italia si proclamava l’unità nazionale e si combattevano le guerre di indipendenza, gli allora abitanti dell’Istria, così come anche quelli della Dalmazia, non se ne preoccuparono più di tanto, non insorsero contro gli Asburgo per unirsi alla nuova nazione guidata dai Savoia e questo perché non si sentivano parte della tradizione e della cultura italica, un discorso a parte va fatto per la città di Trieste la cui popolazione era per lo più di origini “venete”, per non dire veneziani, ma un unica città in un’intera regione non è sufficiente a definire l’identità regionale.

è come se dicessimo che la luna è stata colonizzata perché un paio di volte, alcuni astronauti terrestri sono usciti a fare una “passeggiata” sulla superficie lunare.

Finito il periodo delle guerre di indipendenza e ufficialmente completata l’unità d’Italia nel 1871 (quando venne annesso anche lo stato pontificio) o se preferite 1861, in Istria non ci furono insurrezioni anti-asburgiche o rivendicazioni di appartenenza all’Italia, perché appunto gli abitanti di quelle regioni non si reputavano italiani, come detto sopra un discorso a parte va fatto per la città di Trieste dove effettivamente qualche “italiano” c’era, e scese in piazza, ma erano comunque 4 gatti, troppo pochi per mobilitare un intera città, figuriamoci un intera regione.

Passano gli anni, passa più di mezzo secolo, inizia la prima guerra mondiale, gli imperi centrali stanno collassando e i capi politici europei se ne rendono conto, sono consapevoli che l’imminente disfacimento degli imperi centrali provocherà un vuoto di potere in vaste aree dell’europa e del nord Africa e non a caso cercano di approfittarne del vuoto per rivendicare il controllo su nuovi territori, fondamentalmente per espandere e aumentare i propri imperi e l’Italia non è da meno. ricordiamo che l’Italia, tra le tante ragioni per cui entra in guerra, dichiara un per nulla velato desiderio di espandere i propri territori e in questo è incoraggiata dai discorsi di Cesare Battisti (da non confondere con il Cesare Battisti terrorista degli anni di piombo), deputato socialista di Trieste al parlamento di Vienna.

L’italia vuole entrare in guerra ed espandere i propri possedimenti e l’unico possibile avversario abbastanza vicino e debole contro cui scontrarsi è l’impero austro-ungarico e come sappiamo si l’Italia riesce ad accordarsi con Francia e Regno Unito per poter conquistare territori Austriaci, de facto la guerra degli italiani è una guerra, fallimentare, di conquista, che ha come fine ultimo la conquista di nuovi territori, tra cui appunto, Istria e Dalmazia.

La scelta dell’Italia cade su Istria e Dalmazia (ed eventualmente altri territori della costa adriatica dei Balcani) per ragioni politiche e strategiche, principalmente perché “sono a portata di bagnarola”, nel senso che la flotta italiana non era proprio una delle migliori del mediterraneo, ma l’Adriatico non era un mare impegnativo e la flotta asburgica non costituiva una reale minaccia.
La guerra termina con una sconfitta militare dell’Italia perché essendo una guerra di conquista, se ti ritrovi ad avere meno territori di quanti ne avessi quando hai iniziato la guerra, è una sconfitta, ma gli alleati gli concedono comunque qualche territorio all’Italia, principalmente per premiare lo sforzo bellico, questo però all’Italia non basta e pretende molto di più di quanto gli è stato concesso (e ci tengo a precisare che, a mio avviso gli è stato concesso anche troppo).

Non stiamo a girarci intorno, nel dopoguerra Istria e Dalmazia vengono occupate “illegalmente” da numerosi migranti italiani, tacitamente appoggiati dal governo, per lo più sono persone che conoscono quelle terre, fatta eccezione per qualche caso isolato (come D”Annunzio) la maggior parte erano migranti stagionali che già prima dell’unificazione si recavano periodicamente nei territori austro ungarici per lavorare soprattutto come operai, in miniere e nelle cave. Insomma, gli Italiani erano frequentatori/lavoratori abituali della regione da più di un secolo e tra la prima e la seconda guerra mondiale, molti migranti stagionali decisero di stabilirsi lì regolarmente, insomma, andarono lì e non tornarono più in Italia. Molti rimasero lì per varie ragioni, un po perché convinti che quelle terre fossero loro di diritto, un po perché quelle terre un tempo appartenevano alla corona asburgica, ma dopo la guerra la corona era caduta e fondamentalmente per il controllo delle terre vigeva la legge del più forte, “la terra è di chi se la piglia” e gli italiani se la presero senza troppi complimenti.

In questa fase gli scontri tra locali e italiani sono molto limitati, perché i piccoli proprietari terrieri locali (che bene o male avevano fatto la stessa cosa degli italiani) conoscevano da generazioni gli italiani e da generazioni avevano lavorato insieme e in breve, ognuno si prese il pezzo di terra in cui lavorava prima della guerra o in cui lavoravano i propri antenati.

I problemi iniziano verso la metà degli anni venti, con la svolta fascista in Italia, e ancora di più con l’ascesa del Nazismo in Germania, negli anni trenta.

L’avvento delle ideologie di razza si tradusse in una rivendicazione totale di quei territori, ormai l’occupazione delle terre è totale ma gli italiani continuano ad arrivare in Istria e il governo fascista assegna loro terre che fino a quel momento erano state occupate dai locali, insomma, in una terra di nessuno il governo fascista decide che determinati terreni debbano appartenere agli italiani e quindi, i non italiani che vivevano lì, vengono cacciati dalle proprie case e terre fondamentalmente con la forza, e questo è il primo di una serie di passi che per oltre vent’anni avrebbe alimentato il rancore nei confronti degli italiani e sarebbe esploso nel secondo dopoguerra con le stragi delle Foibe.

Durante la guerra l’Italia come è noto conduce una campagna di espansione nell’area balcanica, incorrendo in numerose figuracce e ricorrendo spesso al supporto tedesco, e ad un certo punto i popoli slavi, approfittando del poco controllo degli italiani sul territorio, riescono ad organizzarsi in gruppi partigiani e riescono a prendere il controllo di molti territori, va detto, a scanso di equivoci che, dopo l’armistizio del 43 molti soldati italiani si uniranno ai partigiani jugoslavi nella guerra contro i tedeschi.

Finita la guerra, finita l’occupazione nazifascista, c’è un problema politico legato all’ amministrazione di alcuni territori, tra cui la stessa città di Trieste, che da una parte sono stati “liberati” dall’ occupazione nazista dalle milizie jugoslave, dall’ altra, sono abitati soprattutto da italiani che nel corso del ventennio precedente hanno occupato quei territori e dunque sorge una domanda, quei territori devono essere considerati come italiani o jugoslavi?

Per le milizie di partigiani jugoslavi che esercitavano un controllo diretto del territorio, la risposta è semplice, quei territori sono stati liberati dai partigiani e rientrano ora sotto il controllo e l’autorità dei liberatori che sarebbero poi confluiti nel governo di Tito, chi abita in quelle regioni può scegliere se rimanere lì e “giurare fedeltà” al nuovo stato o tornare nella terra dei propri padri, liberamente o con la forza. Gli italiani, discendenti di quegli stessi italiani che qualche decennio prima avevano occupato quelle terre, ritenevano quella terra la propria terra, non vogliono lasciare la propria casa (così come non volevano lasciarla gli istriani quando gli italiani li hanno cacciati), non vogliono andarsene e allo stesso tempo vogliono continuare a vivere in Italia, insomma, vogliono che quei territori rimangano (o comunque diventino) italiani perché da qualche generazione lì vivono degli italiani.

Per intenderci, è un po come il governo Cinese rivendicasse la città di Prato come parte della Cina perché da qualche generazione a Prato vivono soprattutto cinesi…

La situazione è molto delicata oltre che problematica e viene mal gestita dal nascente governo jugoslavo che ricordiamo, non si è ancora consolidato, di fatto molte regioni sono ancora controllate dalle milizie che le hanno liberate e queste milizie non vogliono rinunciare a quelle terre che hanno liberato lottando duramente contro un nemico più forte e meglio organizzato, decidono così di “passare al lato oscuro” ed usare la forza per scacciare gli invasori stranieri, non uso queste parole a caso, commettendo stragi e crimini che sono tristemente noti a noi tutti.

La risposta internazionale alla crisi istriana e in particolare per la gestione della questione Triestina è una sorta di commissariamento internazionale, chiamiamolo così, della città di trieste, l’unica città “italiana” della regione. Trieste di fatto viene posta sotto il controllo internazionale, analogamente a quanto era successo alla Germania e alla Korea, e sarebbe tornata definitivamente sotto il controllo del governo italiano soltanto nel 1971, quasi 20 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando il governo italiano si impegnò formalmente di fronte alle Nazioni Unite a rinunciare definitivamente e permanentemente ad ogni rivendicazione territoriale sull’Istria, la Dalmazia e altri territori della costa adriatica dei Balcani.

In conclusione, ripeto, con il racconto di queste vicende non vogliono assolutamente depenalizzare i crimini commessi dai comandanti partigiani Jugoslavi, molti dei quali, successivamente avrebbero assunto posizioni chiave nel governo di Tito, ho già parlato ampiamente, in un altro articolo e in un video delle ragioni politiche e storiche per cui nel 1948 si decise di chiudere la questione dei crimini di guerra compiuti dagli italiani e ai danni degli italiani in quella che sarebbe diventata la Repubblica Federale Jugoslava. Il mio intento, con questo articolo, e spero di esserci riuscito, è quello di mostrare che gli italiani massacrati nelle stragi delle Foibe non erano solo “colpevoli di essere italiani”, la loro storia in Istria era breve e connotata di una profonda rivalità con i popoli locali, rivalità che per decenni avevano coperto violenti abusi perpetuati da parte italiana ai danni delle popolazioni slave e il ricordo di questi abusi fu il punto di partenza dei crimini commessi in Jugoslavia da entrambe le parti.

In Istria migliaia di italiani furono massacrati per i crimini commessi dai loro padri o da altri italiani, la loro unica colpa non è quella di essere italiani, ma di non aver preso coscienza della realtà in cui vivevano e di aver preteso, forse troppo presto e con troppa forza, di assumere il controllo di un territorio che non gli apparteneva e nel quale erano una minoranza non bene accetta e forse mai desiderata.

Bibliografia

Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono INCOMPATIBILI con la costituzione

In molti mi avete chiesto di parlare di quello che è successo a Torino tra il leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e il direttore del museo Egittologico di Torino Chrustian Greco. E delle recenti dichiarazioni del leader della Lega Matteo Salvini secondo cui l’Islam sarebbe incompatibile con la nostra costituzione.
Volevo realizzare un video per dire la mia a riguardo, ma non sapevo esattamente come impostare il discorso e non avevo voglia di mettere su luci, microfono e telecamera, così alla fine ho optato per un ennesimo post di opinione personale.

Cominciamo col dire che da circa 70 anni, ovvero dal primo gennaio del 1948, l’Italia è uno stato laico. Forse Matteo Salvini e Giorgia Meloni erano troppo impegnati a non portare a termine gli studi e si sono persi quel passaggio storico in cui il vecchio statuto Albertino veniva sostituito dalla nostra attuale carta costituzionale o forse, più semplicemente non hanno mai avuto modo di leggere tutta la costituzione, in fondo hanno iniziato la loro attività politica da giovanissimi e l’articolo 3 della costituzione non è proprio il primo articolo, ed è preceduto da almeno mezza pagina piena di parole complicate, quindi è perfettamente comprensibile che dei leader politici, appartenenti ad una delle principali coalizioni politiche del paese, non sappiano dell’esistenza di un articolo della costituzione che definisce l’Italia uno stato laico in cui ogni culto religioso e confessione religiosa, possono essere professati liberamente, ovviamente nei limiti concessi dalla legge.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8, 19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Articolo 3 della costituzione Italiana.

Ma forse la loro ignoranza non è così genuina, personalmente non credo che Matteo Salvini ne tantomeno Giorgia Meloni siano realmente così stupidi e ignoranti, e questo forse è ancora più grave, perché posso capire chi non conosce qualcosa, io per primo sono assolutamente ignorante in tantissimi campi, ma non accetto che si finge ignoranza, poiché fingendo di non conoscere e di non comprendere la differenza abissale che esiste tra una lingua, una nazione, una cultura e una religione, questi individui alimentano ignoranza e intolleranza, e come saprete se mi seguite da un po di tempo, reputo questi elementi il piatto preferito del terrorismo, quello vero, non quello sognato e forse desiderato da questi abominevoli personaggi politici.

La lotta all’ignoranza, la promozione della cultura e della storia sono ovviamente qualcosa che mi coinvolge e mi riguarda da vicino, non dedicherei così tanto tempo ed energie a fare divulgazione storica e culturale in maniera totalmente gratuita e questo desiderio di diffondere la cultura è qualcosa che ho in comune con il direttore del Museo Egittologico di Torini, questo desiderio è una delle ragioni principali che hanno spinto il direttore Chrustian Greco a promuovere un iniziativa che a mio avviso è assolutamente lodevole, promuovendo una mostra gratuita per chiunque fosse di lingua madre arabo. Io faccio video e scrivo articoli gratuiti per chiunque abbia accesso ad internet, e questo, ci tengo a precisarlo, non significa discriminare chi non ha accesso ad internet.

L’iniziativa di Greco si propone almeno tre obbiettivi.

  1. Avvicinare al museo e dunque alla cultura egizia, un pubblico che normalmente non entrerebbe al museo, abbiamo quindi una promozione della cultura e della storia, sul piano sociale questa iniziativa ha lo scopo di nobilitare un passato ed una storia che il terrorismo internazionale e ancora di più dal terrorismo politico, tendono ad oscurare e discriminare.
  2. Avvicinare alla storia e alla cultura egizia chi viene da una cultura affine a quella egizia e che, per questa sua appartenenza culturale viene quotidianamente discriminato e messo all’angolo, perché non prendiamoci in giro, al giorno d’oggi essere di cultura “araba” significa essere discriminati e questa discriminazione di massa è dovuta alle azioni sconsiderate di pochi individui privi di scrupoli e che ambiscono al potere personale.
  3. Mostrare agli italiani che gli “arabi” non sono tutti terroristi e criminali e che hanno una lunga e ricca storia alle spalle che nulla ha da invidiare alla storia europea, anzi.

Tutto questo è stato preso dalla Meloni, stuprato, calpestato, ricoperto di merda e distorto per fini politici che a mio avviso hanno del vergognoso, perché fanno apparire questa iniziativa che ha il fine ultimo di Includere, come un iniziativa che vuole Escludere qualcuno, e questo asserendo la folle e delirante teoria che agevolare qualcuno significhi discriminare qualcun altro, in questo caso secondo Giorgia Meloni, si discriminerebbero gli italiani.

A questo punto mi rivolgo direttamente a alla signora Meloni.

“Cara Giorgia, nessuno ti vieta di entrare al museo egittologico di torino (anche se, a questo punto, se fossi io il direttore, affiggerei un bel un cartello all’ingresso del museo con la tua faccia e la scritta “io qui non posso entrare” , almeno così potresti dire con ragione di causa di essere discriminata) e nessuno vieta agli italiani di fare visita regolarmente al museo, chiunque può entrare liberamente e normalmente, ma forse tu volevi solo risparmiare i soldi del biglietto e se ti fossi informata un minimo, sapresti che ci sono almeno 12 giornate all’anno in cui chiunque può entrare gratis al museo Egittologico di Torino, inoltre, in tutto l’anno ci sono numerose giornate speciali che permettono a varie categorie di entrare gratis, senza poi considerare tutti i giorni in cui il costo del biglietto è ridotto o puramente puramente simbolico e tutte le categorie, come gli studenti ad esempio, che godono di numerose agevolazioni.
Se dare l’ingresso gratuito, per un periodo limitato di 3 mesi, a chi parla arabo significa discriminare chiunque non parli arabo, allora anche dare l’ingresso gratuito ad i genitori alla festa del papà o alla festa della mamma, significa discriminare chi non ha figli,dare l’accesso gratuito alle coppie il giorno di san Valentino significa discriminano i single (in realtà chiunque vada lì da solo, perché per coppia si intendono letteralmente due persone) ecc, ecc, ecc, o ancora, il biglietto ridotto per gli studenti o per i minori di una certa età e sopra una certa età significa discriminare chi non è studente e chi ha un età nel mezzo tra i 18 ed i 65 anni circa, e ovviamente non è proprio così.
Cara Giorgia, probabilmente avrai notato che non ho scritto “gli italiani” ma ho elencato alcune categorie di persone, e l’ho fatto per una ragione, forse tu non lo sai, ma parlare arabo non significa avere una determinata nazionalità, praticare una determinata religione o appartenere ad una specifica etnia, la lingua non definisce nulla di tutto ciò, la lingua è solo uno dei tantissimi tratti culturali di cui disponiamo e ridurre tutta questa varietà culturale ad un mero aspetto linguistico, per quanto mi riguarda è terribilmente imbarazzante e profondamente ingiusto.

L’accesso al museo Egittologico, nell’iniziativa di Greco è gratuito per chiunque parli Arabo, ma cosa significa questo e dov’è l’errore o forse è meglio dire la malafede di Giorgia Meloni in tutto questo ?
Bisogna fare una premessa per me scontata ma a quanto pare, non lo è per tutti, se da una parte infatti parlare la lingua araba sia una conditio sine qua non per poter la fese islamica, poiché il vero Corano è scritto solo in arabo e questo perché tradurlo significherebbe modificare l’essenza del messaggio, non a caso molti dei problemi legati all’interpretazione del Corano sono derivati proprio dalla sua traduzione, comunque, un islamico deve necessariamente saper leggere, scrivere e parlare la lingua araba per poter prendere parte alla vita religiosa, tuttavia, parlare arabo non rende automaticamente islamici, vi sono de facto, nei paesi islamici o a maggioranza islamica come l’Egitto, numerose minoranze religiose non islamiche che però parlano arabo, in Egitto abbiamo una delle più grandi comunità copte del pianeta ed i copti sono cristiani se bene non di fede romana, sono comunque cristiani e quindi non serve che lo dica, non sono islamici, e pure la loro lingua è l’arabo, e il fatto che parlino arabo, nel caso specifico del museo Egittologico di Torino in questo momento, da loro diritto all’accesso agevolato al museo.

Agevolare qualcuno in qualcosa, per un periodo più o meno limitato di tempo, non significa e non può significare discriminare qualcun altro, perché se così fosse, l’esistenza delle categorie protette sarebbe una discriminazione per chi non appartiene a quelle categorie e non vi sarebbe più alcun dubbio sul fatto che le famose “quote rosa” di cui la signora Meloni è stata ed è una grande sostenitrice e promotrice, siano una terribile discriminazione nei confronti degli italiani di sesso maschile. E in effetti, grazie alle quote rosa una persona dalla dubbia competenza quale la signora Giorgia Meloni, ha potuto costruire gran parte della sua carriera politica, cosa che in un sistema meritocratico probabilmente non sarebbe mai stata possibile.

A questo punto mi sembra evidente che tra Chrustian Greco e Giorgia Meloni e le rispettive ragioni, esista un abisso culturale insormontabile, da una parte abbiamo un direttore museale che ha costruito la propria carriera sui propri studi e le proprie capacità ed ha come obbiettivo unico quello di promuovere la cultura. Dall’altra parte abbiamo un politico dalle dubbie competenze e capacità che ha costruito la propria carriera sfruttando le agevolazioni di cui godeva in quanto donna, ed ha come obbiettivo ultimo, creare una devastante e distruttiva spaccatura culturale, un obbiettivo che a quanto pare condivide con Matteo Salvini, probabilmente il peggior terrorista che abbiamo in Italia.
Personalmente credo che questi due esseri condividano un genuino desiderio di caos istituzionale e politico, credo che uomini e donne come loro nutrano un odio profondo nei confronti dell’italia e del suo popolo, della sua storia e della sua cultura millenaria, una storia fatta di incontri e scontri di civiltà che per millenni hanno plasmato la morfologia di uno dei popoli più variegati culturalmente dell’intero globo. Ma tutto questo a loro sfugge o peggio, fingono di non vederlo, rifugiandosi in un mitico passato che forse non è mai realmente esistito e rievocando gli spettri di anni oscuri, tra i più cupi che questo paese, questo continente e anzi, questo pianeta, abbiano mai vissuto.

Personalmente, da italiano, spero di non dover pagare per l’ignoranza, l’arroganza e l’incompetenza di uomini e donne come Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

 

Cos’è una Crisi? Le filosofie di Nietzsche e Spengler

Come si definisce una crisi dal punto di vista storico e filosofico? Non basta un semplice elenco: un arretramento economico, un conflitto armato, un dissesto agricolo, una rivoluzione. Se così fosse, con crisi dovremmo intendere qualcosa di molto simile alla maggior parte degli accadimenti della storia moderna e contemporanea. Crisi non indica nemmeno un mutamento repentino, una trasvalutazione dei valori fino ad allora accettati (più o meno acriticamente).

Cambiamenti politici, economici, tecnologici, culturali; è innegabile che dal 1945 ad oggi abbiamo vissuto tutto ciò a un ritmo accelerato, senza avere la percezione che il mondo fosse in perenne crisi. Solo nell’ultimo decennio abbiamo cominciato ad assistere – e a percepire – un progressivo sgretolamento dell’ordine geopolitico (e mondiale) post-bellico, il che ha innegabilmente fatto sprofondare le coscienze nella caducità, nella disillusione, nella crisi.

Il punto interessante sembra essere questo: fino a che punto un mutamento che sfocia nel sovvertimento dei valori e/o uno sconvolgimento politico ed economico che innesca il progresso, anche a fasi alterne di crescita e decrescita, può qualificarsi e definirsi come una crisi? Quando gli storici ricorrono a questo termine di solito lo fanno a posteriori, mettendo insieme un pacchetto di dati e di fatti che, solo con “il senno di poi”, acquistano una coerenza e un significato che era impossibile cogliere per i contemporanei.

Ora del rancio. Soldati tedeschi dediti al trasporto del cibo verso le prime linee. Il cibo, o meglio la sua scarsità, fu una delle cause più importanti di morte (Copyright Archivio Top Foto).

La grande crisi seicentesca, il periodo delle guerre della Rivoluzione Francese, gli sconvolgimenti della fase napoleonica. Tutti esempi di crisi; ma ciò che non va dimenticato è la peculiarità di alcune tra queste crisi. Ad esempio, la crisi tra le due guerre mondiali si rivelò diversa dalle precedenti. Le popolazioni erano coscienti di attraversarla. Prima non accadeva. Come mai? Una risposta plausibile riposa nell’eccezionalità del primo conflitto mondiale e nelle aspettative che la sua fine generò nei popoli. La sensazione della fine di un’epoca pavimentò la strada alla filosofia di Nietzsche.

Friedrich Nietzsche è vissuto nella seconda metà dell’Ottocento (1844-1900), un periodo in cui si impose facilmente l’idea che la civiltà occidentale stesse procedendo in modo inarrestabile verso il progresso: la conquista dei mercati mondiali grazie al colonialismo, crescente sicurezza e benessere grazie alla scienza e alle tecniche. E poi l’estensione del diritto di voto (anche alle donne) l’istruzione pubblica, la difesa dei ceti più deboli, tutte misure che destarono sospetti: come sarebbe stato possibile conservare le aristocrazie con una sempre più diffusa uguaglianza? Tutto ciò è davvero una conquista o rappresenta il momento terminale di una malattia che ha colpito l’Occidente? Nietzsche è il pensatore che si pose in modo più radicale questa domanda.

L’attacco alla cultura cristiana e borghese si inserisce infatti nel più ampio quadro di sfiducia nei confronti della civiltà e del progresso. Lo scetticismo di Nietzsche per tutte le manifestazioni della modernità, valori e morale inclusi, il disprezzo sprezzante verso le masse, chiamate i superflui, rappresentarono per molti giovani un motivo di fuga dalla realtà. “Libertà significa che gli istinti virili, gli istinti che gioiscono della guerra e della vittoria, hanno la signoria su altri istinti, per esempio quelli della felicità. L’uomo divenuto libero, e tanto più lo spirito divenuto libero, calpesta la spregevole sorta di benessere di cui sognano i mercantucoli, i cristiani, le mucche, le femmine, gli Inglesi e altri democratici. L’uomo libero è guerriero, (F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, trad. it. Adelphi, 1983, par. 38, pp.113-114).

A proposito di questo passo, Richard Overy rileva come i giovani dell’epoca trovassero proprio in Nietzsche un profeta del declino e, al tempo stesso, un punto di riferimento per una rigenerazione spirituale: “tanti giovani se ne andarono al fronte nel 1914 con Nietzsche nello zaino (l’esercito tedesco si era anzi premurato di ordinare migliaia di copie di Così parlò Zarathustra da distribuire agli ufficiali di leva). La guerra, per chi ebbe la ventura di viverla sino in fondo, si rivelò qualcosa di macabro, sporco, abbruttente, un deserto morale. Ma fu una conferma della premonizione nietzschiana del declino, dell’evoluzione in negativo. molti intellettuali accolsero la crisi come una purificazione, prima della rigenerazione morale e sociale”, (R. Overy, Crisi tra le due guerre mondiali (1919-1939), Il Mulino, 2007, p.10).

Il più famoso esponente della crisi e declino del continente fu però Oswald Spengler, il cui Tramonto dell’Occidente vide la luce nel 1918 e poi nel 1922. Le civiltà secondo Spengler, attraversano una storia ciclica in cui esiste un momento di declino: il Novecento si apre al tramonto. L’Europa sarebbe caduta in balìa di politiche selvagge, nell’individualismo più becero e in un annientamento generale se non fosse riuscita a purificarsi. Chiaramente Spengler non pensava solo alla guerra ma a tutti gli eventi storici precedenti che ne avevano disegnato l’ambiente, l’humus. Ho richiamato sommariamente questi due autori per riflettere su due questioni.

(1) Una definizione completa di un concetto come quello preso in esame si può ottenere, per quanto non sia qualcosa di assoluto, su un piano intermedio tra storia e filosofia. Lo sguardo dello storico, e con molte più difficoltà per i contemporaneisti soprattutto per il problema delle fonti, è costitutivamente uno sguardo a posteriori. E su questa base definisce, a seconda del periodo, i caratteri peculiari a una determinata crisi. Per il filosofo spesso questo non vale; Nietzsche e Spengler sono stati, per certi versi, profetici in quanto scrivevano della crisi e nella crisi: già Auguste Comte nel Discorso sullo spirito positivo del 1844 caratterizzava la modernità come un’età di crisi, un’instabilità che si sarebbe fatta sentire soprattutto in ambito scientifico (e come dargli torto oggi, nell’epoca dei terrapiattisti ed antivax). Il filosofo, a volte, ha la sventura di non sopravvivere alla verità delle sue parole.

(2) Infine, riflettere sul concetto di crisi  è a mio avviso molto interessante perché ci permette di capire meglio il presente, un presente che molti vivono consapevolmente come periodo di crisi (una consapevolezza che chiaramente dipende anche dal tasso di scolarizzazione). Come definiamo la nostra crisi? Quali sono le sue peculiarità? E perché non troviamo un Nietzsche che la interpreta ma solo un Edmund Husserl, una voce del passato, che nel suo testo La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale del 1934 (pubblicata postuma solo nel 1954) ha sottolineato il problema che si era posto Comte, approfondendo il lato epistemologico della questione. Possiamo dire, partendo da Husserl, che la crisi oggettivistica delle scienze (in virtù della quale i suoi principi risultano svincolati dalla operatività del senso soggettivo) è un “pericolo” per le masse, per i pregiudizi che possono avere nei confronti della scienza, visto che una diffusa ignoranza oggi porta a credere a chiunque mettendo gli esperti sullo stesso piano dei santoni. Siete d’accordo?

Sono portata a pensare che la crisi che viviamo non sia solo una crisi di valori, di idee, economica e politica, ma sia anche una crisi umanistica scientifica, una crisi nella scienza e della scienza che si trova a dover faticare, forse più che in passato, contro l’oscurantismo e la credulità delle masse ignoranti. E voi, cosa ne pensate?

Ecco perché la Repubblica vinse al referendum del 2 giugno 1946

Ogni anno, il 2 giugno, quest’immagine viene condivisa a più riprese, e la maggior parte degli utenti si è soffermata sul dato “finale” del referendum, ovvero, la vittoria dei repubblicani rispetto ai monarchici, ma, se osserviamo più a fondo i dati, noteremo due cose, la prima e che la vittoria dei repubblicani rispetto ai monarchici è di “esattamente” 2 milioni di voti (12,718,019 contro 10,709,423), una vittoria minima ma comunque una vittoria. L’altro dato che emerge, ed è quello a mio avviso più interessante, è nella disposizione dei voti, possiamo infatti osservare come i repubblicani abbiano vinto prevalentemente nell’Italia settentrionale, e nelle regioni che hanno vissuto tra il 1943 ed il 1945 la guerra civile e l’occupazione nazista, la maggioranza dei repubblicani è stata particolarmente significativa.

Regioni come Toscana ed Emilia romagna , in cui la guerra civile è stata più aspra, e le rappresaglie naziste più numerose, questo dato è particolarmente evidente, quasi un milione e mezzo di repubblicani contro appena mezzo milione di monarchici, e sulla stessa linea, osserviamo un trionfo repubblicano anche le regioni di “frontiera” ad oriente, governate negli anni della guerra civile dal rifondato Movimento Fascista costituitosi nella Repubblica Sociale Italiana (la repubblica di Salò), quindi il lombardo veneto.
Diversamente, al sud della linea gotica, le regioni autogovernate e indipendenti, sotto il controllo del comitato di liberazione nazionale (CLN) quindi Umbria, Marche, in parte l’Abruzzo, e soprattutto il Lazio, la distanza tra repubblicani e monarchici è ridotta al minimo, soprattutto nel lazio dove la differenza è di appena 20 mila voti.
A Sud di Roma però, da Volturno (tra Caserta e Napoli) e Pescara, esisteva un altra linea di demarcazione, la “linea Gustav” che segnava il confine settentrionale della zona di occupazione Alleata.
Le regioni a sud della Linea Gustav, vivono gli anni della guerra civile sotto la guida del Re e del “governo legittimo” appoggiato dagli Alleati, e in queste regioni, lontano dagli eccidi e dalle rappresaglie naziste, in cui si soffriva prevalentemente il peso dei bombardamenti, (prima alleati e poi nazifascisti), al momento del referendum, si assisterà al nostalgico trionfo dei Monarchici, specialmente nelle regioni in cui la presenza alleata era stata più forte, come la Campania e la Sicilia.
Parzialmente fuori dagli schemi della penisola è il ruolo giocato dalla Sardegna, che, lontana dal continente, e in una posizione strategicamente poco significativa nello scacchiere bellico, soffrì pesantemente i bombardamenti(anche qui, prima alleati e poi nazifascisti) restando relativamente lontana dalla guerra civile.

In definitiva, osservando questi numeri, possiamo dedurre che, i due anni di guerra civile (tra il 1943 ed il 1945) abbiano fatto la differenza tra monarchia e repubblica.
Le stragi naziste, le rappresaglie e le immani sofferenze patite dall’Italia centro settentrionale e nord orientale, durante la guerra civile ha prodotto, nella maggior parte della popolazione, un sentimento di rancore nei confronti del re, e della casa reale, identificati come i principali responsabili dell’ascesa e dell’affermazione del fascismo, e in seguito, di quella spaccatura interna che avrebbe provocato la morte di migliaia di uomini, donne, anziani e bambini, durante la guerra civile.

Questa lunga premessa analitica è essenziale per affrontare il discorso “brogli” che spesso ritorna se si parla del referendum del 2 Giugno 1946 in cui gli italiani furono chiamati a votare per scegliere tra Monarchia e Repubblica.

Detto ciò,  è opportuno dire che i brogli in quel referendum vi furono, e in larga misura poiché furono rilasciate schede elettorali sulla base conformazione demografica dell’italia nel 1936/37 ovvero prima che iniziasse la guerra, e di conseguenza non si tenne (volutamente o incautamente) conto delle innumerevoli vittime, civili e militari, dei rifugiati politici fuggiti all’estero e dei deportati. Insomma, furono chiamati a votare piu’ italiani di quanti non ce ne fossero in italia (o all’estero). Questo squilibrio tra possivili votanti e votanti effettivi altera (piu’ o meno gravemente) il dato sull’affluenza, de facto ci fu un affluenza maggiore di quella effettivamente registrata, che però viene bilanciata dai voti fantasma, ovvero da quei voti registrati a nome di persone disperse o morte.

Detto questo, se si guarda alla conformazione dei voti e si analizzano storicamente le regioni in cui ha vinto la monarchia rispetto a quelle in cui ha vinto la repubblica, emerge un primo dato interessante -vi rimando al mio post linkato in alto per maggiori approfondimenti, ovvero che, nell’Italia meridionale, occupata dagli Alleati, in cui aveva ricominciato dal 43 a governare il re, vinse la monarchia, mentre nel resto d’italia, quell’Italia che dal 43 al 45 era stata vittima dell’occupazione nazista, in cui vi erano stati eccidi e stragi frutto della guerra civile, e il governo era rimasto quello “legittimo” del partito fascista guidato da Mussolini, lì vinse la repubblica. E in questo senso, le regioni in cui la guerra civile o la guerra di resistenza che dir si voglia, fu particolarmente intensa, come nel caso dell’Emilia Romagna o della Toscana, la vittoria repubblicana fu, per ovvie ragioni, schiacciante.

La distribuzione demografica dell’italia nell’immediato dopoguerra, ovvero dell’italia tra il 1945 ed il 1948, vedeva una “densità” di popolazione maggiore a nord di Roma, questo per numerosi motivi, va detto anche che il numero di nascite nell’Italia meridionale sarebbe cresciuto esponenzialmente nel ventennio successivo alla guerra, quindi tra il 1945 ed il 1965 circa, questo per innumerevoli ragioni che non è il caso di spiegare o analizzare (ma basta fare qualche rapida ricerca su google per constatare questi dati). Un Italia “repubblicana” maggiormente popolata di un italia “monarchica“, si traduce inevitabilmente nell’esito a noi noto, tuttavia, un eventuale passaggio alla repubblica implicava la perdita di numerosi privilegi sociali ed economici da parte della nobiltà, e dall’altra parte, in caso di conferma della monarchia, la vanificazione degli sforzi dei sostenitori della libertà e democrazia.

Queste “personalità” per ragioni in parte storiche (erano da sempre gli amministratori di un dato territorio), in parte politiche (erano eroi di guerra che avevano combattuto per la liberazione di quel territorio) erano distribuite un po ovunque, vi erano di fatto Repubblicani nel mezzogiorno e Monarchici nelle famose “regioni rosse“.
Ed è in quei luoghi specifici, e nelle loro immediate vicinanze che avvennero i brogli, sia da una parte che dall’altra, brogli che avvennero con il tacito consenso delle autorità locali, che ricordiamo essere un ufficiali dello stato ma che in quel momento non servirono lo stato, non compiendo il loro dovere, ma parteggiando apertamente per una delle parti, contribuendo a falsare l’esito del referendum. E di questi episodi avvennero sia nelle regioni “repubblicane” che in quelle “monarchiche”.

Scusate per lo sproloquio, ma odio quando si sfrutta e si distorce la storia per fare propaganda politica. Chi scrive articoli come quello citato forse non si rende conto del danno enorme che provoca, e delle immense difficoltà che produce, andando ad alimentare un flusso di informazioni falsate che rendono estremamente piu’ difficile la ricerca e la ricostruzione storica.
Come già ampiamente detto in passato, il compito dello storico è quello di epurare i fatti dalla propaganda, cercando di riprodurre il piu’ fedelmente e possibile determinati momenti e dinamiche.
Ho scritto questo post perché quell’articolo, per quella che è la mia idea di storia, è totalmente “antistorico”.

N.B. Ho realizzato questo articolo unendo due lunghi post pubblicati nel 2016 sulla pagina facebook di historicaleye in seguito alla pubblicazione su “il giornale” di un articolo in cui si denunciavano alcuni episodi di brogli avvenuti durante il referendum.

Hitler fuggito in argentina , la bufala che a volte ritorna.

La teoria della fuga di Hitler in Argentina è una bufala persistente. Prove storiche e scientifiche, incluse analisi dentali e ossee, confermano il suo suicidio nel bunker di Berlino.

Uno degli argomenti storici più fortunati, più abusati e discussi su internet, molto probabilmente riguarda il destino di Adolf Hitler dopo la seconda guerra mondiale ed il crollo del Reich, e secondo varie teorie del complotto, il dittatore tedesco sul finire della guerra simulò la propria morte e fuggì in Argentina.

Dietro la teoria di Hitler in Argentina

Riguardo alla fuga di Hitler in Argentina, circolano diverse teorie, per lo più alimentate dalla “segretezza” relativa al luogo di sepoltura della salma di Hitler, alcune indagini condotte negli USA, soprattutto negli anni 50 e 60, per rintracciare diversi Nazisti fuggiti proprio in argentina e alcune testimonianze.

Nel 2016, come ogni anno, l’FBI ha declassificato numerosi documenti e fascicoli e tra questi alcuni rapporti e documenti relativi alle indagini compiute negli anni 50 e 60 per rintracciare fuggiaschi nazisti in Argentina, articoli di giornali dei primi anni 50 e testimonianze misteriose.

Sulla base di queste informazioni, il 5 maggio 2016, il portale di controinformazione cospirazionista AnonHQ ha rilanciato una versione della storia, per cui Hitler sarebbe fuggito in Argentina dove sarebbe morto serenamente di vecchiaia molti anni dopo.

Di seguito uno dei “documenti” che dimostrerebbero la teoria della fuga in Argentina di Hitler.

Nell’articolo di AnonHQ appare anche una foto di un anziano uomo affiancato ad una foto di Hitler, asserendo che si tratti della stessa persona.

Stando alla ricostruzione di AnonHQ, il suicidio di Hotler ed Eva Braun non solo sarebbe stato simulato, ma la successiva fuga in argentina, sarebbe stata favorita dagli USA, nella persona di Allen Dulles, all’epoca direttore dell’OSS ( Office of Strategic Services) agenzia smantellata nel 1945 e sostituita nel 1947 dalla CIA.

Secondo questa ricostruzione, finché Hitler è stato in vita, FBI e CIA avrebbero cercato di insabbiare la verità, nascondendo il dittatore tedesco e offrendogli protezione e l’Italia in questa particolare diramazione, giocherebbe un ruolo importante grazie a personalità come Licio Gelli, maestro venerabile della loggia P2, che sappiamo aver avuto forti legami, sia con alti funzionari USA che con Juan Domingo Perón, Gelli fu uno dei pochissimi italiani ad essere stato invitato al giuramento di Regan nel 1981, ma questa è un altra storia.

Tornando alla teoria di Hitler in Argentina, secondo la ricostruzione di AnonHQ gli USA avrebbero simulato la morte di Hitler, aiutato il dittatore a fuggire a bordo dell’u-boat tedesco U-530 fino in argentina. In seguito avrebbero mostrato al mondo un sosia di Hitler, morto con un colpo alla testa e nascosto il cadavere affinché non potesse essere identificato.

Fotni sulla morte di Hitler

Sebbene la teoria di AnonHQ sia molto affascinante, la storiografia ufficiale, soprattutto alla luce di recenti scoperte, non ha dubbi a riguardo, quando Berlino cadde in mano agli alleati, poco prima che questi penetrassero nel Bunker in cui si erano rifugiati Hitler, Eva Braun e altri collaboratori del führe, il dittatore nazista, con l’acqua alla gola, probabilmente più spaventato dalle torture che avrebbe ricevuto se fosse caduto in mano sovietica che non della morte, si tolsero la vita, e come lui molti altri ospiti del bunker.

Questa versione, va detto, che per molti anni ha sofferto di un enorme problema di verificabilità, si è basata infatti principalmente sui rapporti e le dichiarazioni ufficiali degli alleati che entrarono nel Bunker, documenti che tuttavia erano parziali, incompleti e spesso in larga parte censurati per via del contenuto delicato e strategico delle informazioni che contenevano, soprattutto in un momento di crescente tensione tra USA ed URSS, inoltre, non è mai stato possibile verificare effettivamente che la salma attribuita ad Hitler fosse effettivamente del dittatore tedesco, poiché, per ragioni di sicurezza, si preferì tenere segreta la collocazione del corpo.

Il motivo per cui non è mai stato rivelato dove sarebbe stato tumulato Hitler è dovuto ufficialmente alla preoccupazione che tale luogo, se noto, potesse diventare un luogo di culto, ipotesi non infondata se consideriamo cosa è successo a Predappio con la tomba di Mussolini.

Oltre ai documenti ufficiali, la storiografia contemporanea ha utilizzato anche altre fonti documentarie, in particolare documenti privati, lettere, diari e testimonianze dirette e in alcuni casi indiretta (ovvero di seconda mano) dei militari, dei loro commilitoni e dei civili, che all’epoca, per ragioni diverse e che sarebbe inutile elencare, avevano avuto accesso al bunker di Berlino. In fine, ci sono articoli di giornali e tantissimi altri documenti che per semplicità faremo rientrare nelle testimonianze dirette o di seconda mano.

Se i documenti militari si portano dietro il difetto della parzialità dovuta a censure e classificazioni, le testimonianze si portano dietro un altro difetto, quello dell’errore, della parzialità legata alla memoria distorta, oltre alla natura sostanzialmente tendenziosa delle informazioni permeate di giudizi ed osservazioni personali, pertanto poco utili, per non dire dannose, ad una corretta ricostruzione.

Ma del resto il lavoro della ricerca storiografica consiste proprio in questo, nel navigare in un mare di informazioni contrastanti e parziali, in cerca di una verità verificabile.

Partendo da queste fonti, e facendo riferimento alla versione ufficiale comunicata dalle potenze vincitrici della guerra, prima la stampa e poi gli storici, sono riusciti a ricostruire gli avvenimenti, che, nell’aprile del 45 portarono alla morte di Hitler.

Cosa dice la versione ufficiale?

La storiografia ufficiale generalmente concorda con la versione ufficiale fornita dagli alleati, ovvero con la versione che vedrebbe Hitler e la sua compagna togliersi la vita nel bunker, successivamente i loro corpi furono dati alle fiamme, e quando l’armata rossa irruppe nel bunker, si ritrovò a dover fare i conti con i corpi carbonizzati di un uomo ed una donna.

Oggi siamo abbastanza sicuri che uno dei corpi carbonizzati ritrovati nel bunker appartenesse ad Hitler, e che la teoria della fuga in Argentina, è fondamentalmente infondata, o meglio, sappiamo che negli ultimi mesi della guerra numerosi gerarchi nazisti fuggirono in Argentina, e questo lo sappiamo fin dagli anni 50, inoltre, durante il processo di Gerusalemme ad Adolf Heichmann, venne fornita una precisa e puntuale ricostruzione della modalità con cui i fuggiaschi nazisti riuscirono a lasciare la Germania.

Per quanto riguarda i resti carbonizzati, siamo quasi certi appartenere ad Hitler, per diverse ragioni, già tra il 1945 ed il 1948, vennero pubblicati, o comunque messi a disposizione della storiografia, innumerevoli documenti personali di Hitler, tra questi, la sua cartella clinica, estremamente preziosa e ricca di informazioni, soprattutto radiografie, per via dei suoi numerosi problemi di salute. In sostanza quindi, abbiamo un abbondanza di radiografie di Hitler, tra cui quelle della sua bocca e dei suoi denti.

L’identificazione tramite impronta dentale è nota fin dal XIX secolo, ed è utilizzata come tecnica forense fin dal 1897 circa, tuttavia, la falsificazione dell’impronta dentale, è tutt’altra cosa, ancora oggi, nel 2025, è qualcosa di estremamente complesso, e 80 anni fa, nel 1945, non esisteva la tecnologia per poter “clonare” un impronta dentale, e anche se fosse esistita, di sicuro tale tecnologia non era presente nel bunker di Berlino.

È inverosimile che Hitler e gli USA, abbiano modificato l’impronta dentale di un sosia di Hitler, per permettere di identificare il suo cadavere carbonizzato usando l’impronta dentale. E anche se lo avessero fatto, oggi saremmo in grado di rivelare l’alterazione.

UPDATE: A tale proposito nel 2018 infatti è stato pubblicato uno studio in cui sono stati ricontrollati alcuni frammenti ossei rinvenuti nel bunker di Berlino e questi sono stati attribuiti ad Hitler, con un margine d’errore dello 0,001%, grazie ad un analisi biomedica che ha permesso di comparazione tra la mascella e le radiografie dentali di Hitler del 36.

Errori di interpretazione nell’identificazione di Hitler nel 45

Nel 1945 l’identificazione di Hitler avvenne tramite impronta dentale, ma, la tecnologia dell’epoca non permise un’identificazione al 100% (cosa normale per l’epoca in realtà, soprattutto se in presenza di resti carbonizzati e danneggiati).

La coincidenza parziale dell’impronta dentale, unita a non pochi errori di traduzione, o per meglio dire, di interpretazione della traduzione, ha generato non pochi miti sulla “presunta morte di Hitler“.

Traduzione e interpretazione del testo sono passaggi cruciali nella ricostruzione storiografica, motivo per cui, nella maggior parte dei casi, gli storici si occupano in fase di ricerca, di un epoca e di un area geografica, di cui conoscono la lingua. Senza troppi giri di parole, difficilmente troveremo uno storico che si occupa della Germania Nazista, che non conosce Tedesco e Francese.

Cerco di spiegarmi meglio con un esempio, la frase tedesca “In dem Bunker, in dem sich Hitler vermutlich das Leben nahm, wurden auch die Überreste einer Frau gefunden.” Nel passaggio da Tedesco a Russo, o Inglese, o francese, e poi ad altre lingue, può variare, non poco, soprattutto se la traduzione avviene per la stampa.

Questa frase, che letteralmente significa “Nel bunker dove si presume che Hitler si tolse la vita, furono ritrovati anche i resti di una donna”, può facilmente diventare, “Nel bunker dove si presume che Hitler si tolse la vita, furono ritrovati i resti di una donna” .

Le due traduzioni differiscono tra loro solo in una parola, quella parola tuttavia è determinante per comprendere l’intera frase. Nel primo caso, la presenza di “anche”  lascia poco spazio all’immaginazione, tra i resti del bunker furono ritrovati anche i resti di una donna, in perfetto accordo con la versione ufficiale che vorrebbe Eva Broun togliersi la vita nel bunker insieme ad Hitler, e la conseguenza logica di questo è che nel bunker, oltre ai resti di Hitler, ci fossero anche i resti di una donna.

Nel secondo caso la cosa si complica, in quanto l’assenza di “anche” apre due possibili scenari, il primo in cui nel bunker furono trovati “i resti di una donna” e il secondo in cui nel bunker non vengono ritrovati resti di un uomo.

Prendiamo un altro esempio, “nel bunker furono ritrovati i resti solo di una donna carbonizzata” , questa frase pur essendo “corretta” perché l’unico corpo femminile carbonizzato ad essere stato rinvenuto nel bunker fu quello di Eva Braun, mentre l’altro corpo carbonizzato, quello di Hitler, era di un uomo, di conseguenza la donna carbonizzata effettivamente era solo una. Ma questa frase può essere interpretata anche in un modo diverso, e suggerire che oltre al corpo di Eva Braun, nel Bunker non furono trovati altri corpi carbonizzati.

Questi esempio rappresentano dei casi limite, presentano errori di interpretazione evidenti e facilmente riconoscibili, ed in casi reali le differenze sono sostanzialmente più sfumate e ruotano principalmente attorno ai diversi significati che può avere una singola parola.

Per quanto riguarda il caso Hitler, l’esempio che abbiamo fatto in realtà è molto veritiero, perché il mito della fuga di Hitler parte proprio da questi passaggi. Si passa dal raccontare del ritrovamento del corpo “anche di una donna” sulla stampa dell’epoca, a fonti più recenti che parlano del ritrovamento del “corpo di una donna”, fino ad arrivare ad articoli cospirazionisti in cui si parla del “solo corpo di una donna”.

Quell’anche dimenticato, che si perde nei meandri del tempo e delle innumerevoli traduzioni, forse un banale errore forse qualcosa di più intenzionale, ha fatto più danni di quanto si possa immaginare, perché de facto è alla base di buona parte dei miti sulla fuga di Hitler in Argentina sul finire della guerra.

Molti continuano a pensare che Hitler non sia morto suicida insieme ad Eva Bown nel Bunker di Berlino, ma sia riuscito a fuggire dalla Germania, aiutato dalla CIA e trovando asilo in Argentina e “la prova cruciale” della riuscita fuga risiede nel fatto che, nel bunker tra i resti e le macerie, trovarono i resti di una donna carbonizzata.

Ora, non serve certamente l’acume di Sherlock Holmes per dedurre che, se in un bunker ci sono un uomo (Hitler) ed una donna (Eva Broun) e questi si tolgono la vita, nel bunker ci saranno i resti di una donna.

Mettiamo in discussione la teoria della fuga

Come abbiamo visto, abbiamo sufficienti prove scientifiche per collocare il corpo senza vita di Hitler e nel bunker di Berlino quando gli alleati fecero irruzione e confutare definitivamente la teoria della fuga.

La teoria si fonda su informazioni parziali e domande senza risposta suscitate dalla versione ufficiale, tuttavia, quella stessa teoria, presenta molte più domande senza risposta della versione ufficiale.

Secondo la teoria Hitler trovò un sosia, cosa non difficile, lo uccise e diede fuoco al corpo per rendere difficile l’identificazione. Un piano brillante, se non fosse che l’identificazione tramite impronta dentale è stata effettuata comunque, poiché le fiamme hanno sì danneggiato, ma non compromesso la possibilità di identificare il corpo.

In effetti dando fuoco al corpo, ha reso impossibile recuperare il DNA di Hitler, ma nel 1945 non si utilizzava il DNA per identificare un corpo senza vita, anche perché quella tecnica si sarebbe diffusa quasi 40 anni più tardi, a partire dagli anni 80. Non c’era alcun motivo per Hitler di bruciare il corpo del suo sosia per distruggere il DNA (come molti sostengono). Al più, se avesse voluto simulare la propria morte, avrebbe dovuto compromettere l’identificazione tramite impronta dentale, all’epoca unico elemento in grado identificazione di un corpo non riconoscibile ad occhio nudo.

Per simulare la propria morte, sarebbe stato molto più funzionale ed efficace, minare il bunker e non lasciare alcuna traccia. Ciò che invece la teoria della fuga in argentina propone è un complesso sistema di specchi e leve, estremamente articolato e fragile, che cerca di rendere impossibile l’identificazione attraverso tecniche che sarebbero state introdotte mezzo secolo più tardi, ed utilizza tecnologie avanzate e sofisticate, che 80 anni più tardi non sarebbero state comunque disponibili, per manipolare un corpo in modo che potesse essere scambiato per il suo.

Conclusioni

Senza girarci troppo attorno, nei documenti dell’armata rossa pubblicati (parzialmente) nel 45 e in forma integrale negli anni 90 (anche se con alcuni passaggi cancellati) si evince chiaramente che nel bunker furono ritrovati i resti carbonizzati di due persone, un uomo ed una donna, l’uomo è stato identificato con Hitler attraverso l’impronta dentale, e in studi più recenti, una comparazione tra frammenti ossei e radiografie degli anni 30 hanno confermato tale ipotesi, la donna invece, se bene non è stato possibile identificarla al 100% a causa delle peggiori condizioni dei resti, è molto probabile che fosse Eva Broun.

In ultima istanza, nel bunker furono ritrovati anche i resti di un cane e anche se la Germania nazista faceva largo uso delle unità cinofile, questi non erano in alcun modo utili alla sopravvivenza e funzionamento di un bunker, tuttavia, nel bunker di Berlino era presente un singolo cane, non militare ma civile, che dai resti è stato identificato come il cane personale di Hitler.

Per quanto riguarda l’ipotesi di camuffamento e alterazione del corpo nel bunker, per prendere per buona la teoria della fuga, dovremmo assumere che Hitler fece uso di tecnologie più avanzate di quelle disponibili nel XXI secolo, per modificare l’impronta dentale di un sosia, e prese precauzioni per impedire l’identificazione tramite DNA (introdotta quasi mezzo secolo più tardi), insomma, per prendere per buona la teoria della fuga, dobbiamo assumere che Hitler venisse dal futuro.

Quando inizia l’età contemporanea?

Quando si parla di epoche e periodi storici, si va in contro ad un discorso molto complicato e complesso perché ovviamente le epoche non sono delle etichette fisse, non è possibile dire “il giorno x all’ora y è finita l’età moderna, o medievale o quel che sia“, ma si tende ad utilizzare e raggruppare situazioni ed eventi per definire dei periodi più “contenuti” rispetto a tutta la storia dell’umanità, e meno “precisi” rispetto ad un singolo secolo, tuttavia tra un “epoca” e una data organizzazione del mondo e quella successiva, generalmente esiste una fase di passaggio, caratterizzata da un periodo di “decadenza” e crisi.

Nel passaggio tra l’europa “universale” dell’impero romano, e la successiva europa degli stati nazionali, il passaggio e le trasformazioni hanno richiesto anni, per non dire secoli, di evoluzione e cambiamento, il periodo è talmente ampio che è stato etichettato come “epoca” con un inizio indicativo che coincide con la fine di Roma (quindi la deposizione dell’ultimo imperatore) e il raggiungimento dell’unità nazionale dell’ultimo stato nazionale europeo, (in questo caso la Spagna, con la fine della reconquista).

Può sembrare fatta ma in realtà e pure i primi “secoli” del medioevo e gli ultimi dell’età romana, sono terreno comune a metà tra la storia romana e quella medievale, e stiamo parlando di un periodo che probabilmente è quello meglio definito.

La premessa sul medioevo è importante per comprendere e capire quando inizia l’età contemporanea.

Proprio come avvenuto per il medioevo, la prima parte dell’età contemporanea è terreno comune della storia sia contemporanea che moderna, e anzi, secondo alcuni il periodo che va dalla gloriosa rivoluzione britannica e la guerra di secessione americana, andrebbe ridefinito come “secondo medioevo” perché si tratta di un nuovo periodo di passaggio e trasformazione in cui l’europa delle monarchie assolute si trasforma in qualcosa di nuovo, tuttavia il periodo è troppo “breve” per essere identificativo di un epoca, si tratta di un secolo o poco più.

Tornando al discorso sull’età contemporanea, generalmente l’età moderna viene identificata con l’età degli stati nazionali e delle monarchie tipiche dell’antico regime, e alcuni storici adottano come “evento conclusiva dell’antico regime” il congresso di Vienna, che di fatto, ridisegnando l’europa pre-napoleonica introduce comunque molte novità a livello amministrativo, secondo altri però il congresso di Vienna non è un punto fisso, ma un singolo tassello di un più ampio quadro di mobilitazione che si sarebbe conclusa tra il 1848/71 (circa) con la fine dell’impero austriaco, ed il raggiungimento dell’unità nazionale in Italia e Germania, questo periodo di transizione che ha inizio con la rivoluzione francese e comprende il ventennio napoleonico, viene visto come una fase di fermento e mobilitazione che avrebbe messo in crisi l’antico regime.

Ma allora quando inizia realmente l’età contemporanea ?

Dare una risposta precisa è probabilmente impossibile, alcuni storici indicano il primo movimento e segno di cedimento dell’antico regime , ovvero la rivoluzione americana, come momento di inizio dell’età contemporanea, ma a livello e sul piano internazionale questi eventi non ebbero molta influenza e peso sulle dinamiche europee, semplicemente alcune colonie si dichiarano indipendenti per poi isolarsi dal resto del mondo, al contrario la rivoluzione francese invece ha molto più impatto, ed è la causa scatenante del congresso di Vienna, se si parla del congresso non puoi non parlare di Napoleone e di come Napoleone sia arrivato al potere.

Altri storici invece indicano il periodo di trasformazione post congresso di Vienna, e tutta l’età dei moti rivoluzionari del 20/21, 30/31 e 48 interamente nella sfera di influenza dell età moderna, facendo quindi iniziare l’età contemporanea solo dopo il 48/71 quando l’europa è veramente cambiata, ed è tutti gli effetti un vero e proprio mondo nuovo (e non nuovo mondo) con dinamiche economiche, sociali e strutture politiche completamente nuove e diverse rispetto al periodo precedente, i sovrani ormai regnano ma non governano ed i rappresentanti del popolo hanno un potere senza precedenti.

Exit mobile version