Orso Mario Corbino, il liberale che ha “introdotto le pensioni” in italia

Lui è Orso Mario Corbino e probabilmente non avete mai sentito parlare di lui. O, se ne avete sentito parlare, è in merito ad uno scandalo di tangenti che coinvolge la Standard Oil nel 1924.

Orso Corbino è stato un senatore del regno d’Italia durante il regime Fascista, eletto in parlamento per la prima volta nel 1921 e rimasto in carica fino al 1937, anno della sua morte.

Oltre ad essere un Senatore, Corbino, tra il 1921 ed il 1924, fu anche Ministro, prima dell’Istruzione e poi dell’economia nazionale, tuttavia, nonostante fu ministro durante il governo Mussolini I, Corbino non era un fascista, e non lo sarebbe mai stato.

La storia delle pensioni, in italia, è ovviamente molto più ampia di così, e inizia nel 1898 con la fondazione di un istituto che oggi conosciamo con il nome di INPS e che, tra il 1895 e il 1919, consentì ai dipendenti pubblici, su base volontaria, di avere accesso ad un indennità, una somma di denaro mensile versato dallo stato, una volta raggiunta una certa età e l’impossibilità di continuare a lavorare, associabile a quella che oggi chiamiamo pensione.

Posizione politica di Orso Mario Corbino

Orso Corbino era un liberale, un liberale convinto, eletto al senato del regno d’italia nel 1921 tra le fila del Partito Liberale Italiano, il partito della Destra storica, che in quel momento rappresentava tutto ciò che rimaneva dell’eredità di Cavour.

Nel 1921 Ivanoe Bonomi invitò Corbino nella propria squadra di governo, affidandogli il ministero dell’Istruzione, carica che avrebbe ricoperto fino al Febbraio del 22. Come sappiamo, nell’ottobre del 22 ci fu la marcia su Roma, che portò alla nascita del governo Mussolini I e proprio durante questo governo, nel luglio del 1923, in seguito ad un rimpasto di governo Orso Mario Corbino venne invitato, da Mussolini, a ricoprire l’incarico di Ministro dell’Economia Nazionale, andando così a rimpiazzare Teofilo Rossi, liberale Giolittiano che dopo la marcia su roma si era schierato a favore del fascismo.

I motivi per cui Mussolini sostituì Rossi con Corbino sono diversi, tra questi, la grande popolarità di Corbino sia tra i Liberali che i Socialisti, popolarità che quindi permetteva al PNF che governava con appena il 19% dei consensi, di poter legiferare.

Appena insediato al ministero Corbino si fece immediatamente promotore di una proposta di legge, poi diventata legge effettiva con il decreto legge 3184 del 30 dicembre 1923, con cui si rendeva obbligatoria la pensione.

La famosa legge con cui, da anni, i fascisti alimentano il mito di Mussolini e le pensioni. Ecco, quella legge lì, proprio la legge con cui “mussolini” introdusse le pensioni civili. Quella legge è stata proposta da un Liberale, oltre che accademico, che, in vita sua, non avrebbe mai aderito al fascismo e anzi, sarebbe stato uno dei primi senatori ad aderire al movimento antifascista.

La legge sulle pensioni

Questa legge in realtà non fu una creazione originale di Corbino, la legge era stata infatti proposta per la prima volta nel 1919, ma, in seguito al cambio di governo e degli equilibri politici successivi alle elezioni del novembre 1919, la legge aveva subito una brusca interruzione.

Nel febbraio del 1920 Dante Ferraris aveva provato a rilanciare il disegno, e lo stesso fece, nel giugno dello stesso anno il socialista Arturo Labriola, purtroppo però, Liberali e Socialisti avevano visioni diverse e il quadro politico dell’epoca, molto instabile, soprattutto per via dei turbamenti legati al biennio rosso, misero la legge in stasi.

Con le nuove elezioni del 1921 la situazione, almeno all’inizio, non migliorò, i liberali, con Bonomi, sostenuti inizialmente dai popolari ed altri partiti minori, ottennero la guida del governo, ma l’alta instabilità non permise di realizzare granché.

Nell’ottobre del 22, con la marcia su roma e la guida del governo affidata a Mussolini, la situazione migliorò solo di facciata, de facto le commissioni parlamentari produssero pochissimi testi che divennero effettivamente leggi, e i pochi che ci riuscirono, furono realizzati grazie al grande carisma dei promotori e la mobilitazione di tutte le forze politiche.

Orso Mario Corbino, certamente non mancava di carisma, come anticipato, fu invitato al ministero dell’economia nazionale, per la sua grande capacità, dimostrata durante l’esperienza da ministro dell’istruzione, di mettere d’accordo le diverse forze politiche, e trovare un punto di incontro su un terreno comune.

Corbino accettò l’incarico dal luglio del 23 al settembre del 24 fu Ministro dell’economia nazionale.

Corbino e la legge sulle pensioni

L’invito di Mussolini a Corbino non era disinteressato, l’abilità politica del fisico ed il suo carisma erano uno strumento importante e la popolarità di Crobino iniziava a crescere molto rapidamente, anche fuori dagli ambienti politici. Mussolini pensò quindi di legare il nome di Corbino al Fascismo, facendo di lui uno degli uomini chiave della propaganda.

Questo si tradusse in una totale autonomia di Corbino, che poté quindi operare liberamente, sostenuto dal fascismo, dai liberali, dai popolari e dai socialisti.

Grazie a questa libertà Corbino propose un disegno di legge che rendeva obbligatorie le pensioni, il disegno di legge fu il frutto di un compromesso tra le posizioni liberali e quelle dei socialisti sul tema, e ricevette l’approvazione di Mussolini e del fascismo, che vedevano in quella legge una doppia opportunità.

Se la legge fosse stata accolta in modo positivo dagli elettori, sarebbe stata rivendicata, come è stato, come un grande successo del fascismo, se invece sarebbe stata un flop, la responsabilità sarebbe stata scaricata sul promotore, che, non era fascista, rendendola quindi un fallimento di liberali, popolari e socialisti.

La legge venne accolta positivamente, e, anche se promossa da Corbino, la legge non venne mai chiamata con il suo nome, venne invece legata alla propaganda fascista, mentre Corbino, cadde nel dimenticatoio e, dopo le elezioni del 24, pur venendo riconfermato come senatore, il suo nome non figurò più nel roast dei ministri di mussolini.

Corbino e la massoneria

Sull’uscita di scena di Corbino vi sono varie teorie, da un lato alcuni sostenono che l’uomo, durante il proprio mandato ministeriale, abbia intascato una tangente dalla Standard Oil insieme al ministro Gabriele Carnazza, entrambi massoni della Serenissima Gran Loggia d’Italia.

Secondo questa ipotesi, i massoni di Piazza del Gesù sarebbero dietro al delitto Matteotti, il quale sarebbe stato assassinato per coprire le tangenti riscosse dai propri adepti.

Questa ipotesi è tuttavia altamente improbabile, si fonda esclusivamente su incartamenti privati di Mussolini, scagiona Mussolini dal delitto Matteotti, ed incrimina gli unici due ministri, del primo governo Mussolini, non fascisti.

Questa storia presenta molte irregolarità, ed è fin troppo conveniente per Mussolini, autore delle uniche prove a sostegno di questa teoria, prove che sono emerse durante le indagini sul delitto Matteotti.

In ogni caso, uno dei principali sostenitori di questa teoria è il saggista statunitense, ex agente dell’OSS, Peter Tompkins, autore di libri molto popolari come “Dalle carte segrete del Duce”, 2001, la cui autorevolezza storiografica è prossima allo zero, si tratta di libri più inclini alla narrativa che non alla narrazione storica, in cui si elaborano teorie cospirative, estremamente affascinanti, ma non basate sul metodo comparativo.

Se volete leggere qualcosa sul tema della massoneria, vi consiglio il libro La Massoneria, la storia, gli uomini, le idee, a cura di Zeffiro Ciuffoletti e Sergio Moravia

Conclusioni

Orso Mario Corbino è stato un accademico e politico italiano, due volte ministro tra il 1921 ed il 1924, prima come ministro dell’Istruzione, sotto il governo Bonomi e poi ministro dell’economia nazionale sotto il governo Mussolini.

Nonostante Corbino fu ministro nel primo governo di mussolini, il fisico non aderì mai al fascismo e mai ne condivise i valori o gli ideali. Nel 1925 Corbino si unì al movimento antifascista e fu uno dei pochi politici italiani che non si iscrissero mai al Partito.

Corbino fu un uomo molto riservato ed un politico molto carismatico, capace di mettere d’accordo socialisti e liberali, una dote rara che gli permise di portare a compimento un progetto legislativo iniziato nel 1919, creando le pensioni civili.

Un merito incredibile che il fascismo riuscì a strappargli facendolo proprio.

Corbino fu anche al centro di uno scandalo che emerse durante le indagini sul delitto Matteotti, uno scandalo probabilmente costruito ad Hoc da Mussolini per allontanare le indagini dal reale mandante e liberarsi allo stesso tempo di un possibile rivale ed oppositore politico.

La legge Corbino, mai chiamata con questo nome, è stata una delle pochissime leggi, insieme alla Legge Acerbo, ad essere prodotte in italia durante il primo governo Mussolini.

In ogni caso, le pensioni in italia sono un invenzione dei Liberali, rese possibili dal compromesso tra liberali e socialisti e nell’iter legislativo che portò alla creazione della legge 3184 del 30 dicembre 1923, il ruolo di Mussolini e del Fascismo fu assolutamente marginale. La legge venne proposta da un Liberale, venne votata da tutte le forze politiche, e il solo contributo dato dal fascismo alla legge, in fase di scrittura, fu il voto favorevole alle camere, un voto obbligato dal fatto che la legge era stata proposta da un ministro del governo Mussolini I, anche se, quel ministro, non solo non era un Fascista, ma mai lo sarebbe stato.

La storia dei fratelli Del Frate e della loro “storica” officina.

Ero a corto di idee, non sapevo cosa scrivere, quindi ho deciso di riciclare un vecchio post pubblicato sulla pagina facebook parecchio tempo fa.
Per gli amanti delle auto, voglio parlarvi di Automobili Del Frate.
Si tratta di un azienda automobilistica italiana, e voi, giustamente, starete pensando, ma cosa c’entra questo con la storia? e forse avreste anche ragione, ma in passato vi ho parlato diverse volte di Microstoria, e per chi fosse nuovo da queste parti, la microstoria è la storia dei piccoli eventi che serve come punto di ancoraggio per analizzare nel dettaglio i grandi avvenimenti, e che differisce dalla macro storia, ovvero la storia dei grandi avvenimenti, solo nella fase di inquadramento generale. Uno dei padri di questo metodo, oggi molto ricorrente nella storiografia americana è Carlo Ginzburg e il suo saggio “il formaggio e i vermi” è forse uno dei più iconici e formativi.

Per i non addetti ai lavori, vi faccio un esempio pratico per inquadrare la Microstoria, parlare del boom economico in italia degli anni 50 e 60, può essere fatto in due modi, parlando direttamente del boom in maniera molto ampia ricadendo quindi nella storiografia tradizionale con un approccio macrostorico e affrontando un tema di storia economica, oppure possiamo farlo partendo dal basso e affrontare la questione del boom economico partendo dalla storia ordinaria di una piccola officina che in quegli anni inizia la propria attività e che 50 anni dopo è diventata una delle officine più grandi e importanti d’italia, e raccontando la storia di questa azienda stiamo indirettamente parlando del boom economico e di storia economica, nei fatti stiamo affrontando un tema di “micro storia”, come dicevo, qualcosa di apparentemente piccolo e irrilevante, qualcosa che sembra non essere destinato ai libri di storia, ma che, nella sua semplicità, ci racconta un pezzo fondamentale della storia in senso più ampio e generale.

E allora, proprio per questo motivo, ho voluto raccontarvi qualcosa riguardante proprio una piccola azienda italiana inserita nel contesto generale degli anni immediatamente successivi al boom economico italiano.

Oggi, vi racconto la storia dei fratelli Del Frate e della loro “storica” officina.

Quest’azienda è nata nel lontano 1967 dalla passione per le auto di due fratelli, Enzo e Roberto Del Frate, e inizialmente la loro era una piccola carrozzeria di paese e dopo qualche anno di attività, nel cuore degli anni 70, grazie ad una collaborazione con l’allora gruppo Fiat, che comprendeva i brand Fiat, Lancia, la piccola azienda ha iniziato a crescere ed espandersi.

Nel 1967 erano in 2, Enzo e Roberto, dopo qualche tempo si sarebbe unito a loro anche Aurelio Gori, primo storico dipendente dell’officina e grazie alla collaborazione con Fiat, l’azienda crebbe aumentando i propri dipendenti, con la necessità di ampliare anche i propri uffici e questa crescita fu affiancata dall’innovazione e dal coraggio, aprendo la ditta a nuovi orizzonti e nuovi settori.

Oggi Del Frate è una offre molteplici servizi ai propri clienti, e pur rimanendo fedele nello spirito alla vecchia Fiat, si occupa anche d’altro.

Tra i servizi offerti possiamo infatti trovare oltre all’originale autofficina che si occupa di carrozzeria e riparazioni meccaniche, anche servizi di vendita e riparazione pneumatici, soccorso stradale, vendita auto nuove ed usate.

Insomma, Del frate oggi è un azienda automobilistica operante a tutto tondo nel settore e la sua storia viaggia di pari passo con la storia dell’auto italiana, Del Frate nasce sull’onda e nel sogno del boom economico, nasce sul finire degli anni sessanta avviandosi su di una strada impervia come una pista da Rally, dalla quale però, ne sarebbe uscita vincitrice e ancora oggi, a distanza di oltre 50 anni dalla sua nascita, con i suoi soci fondatori ormai in pensione, l’azienda non smette di esistere e prosperare.

A Livermore c’è una lampadina accesa dal 1901

La lampadina centenaria di Livermore, è accesa (quasi) ininterrottamente dal 1901. Ma perché questa lampadina, estremamente longeva, del secolo scorso è così importante? La risposta è in una parola, anzi due, obsolescenza programmata, e questa lampadina è un residuo del mondo precedente la sua introduzione.

Non le fanno più come una volta… ed è vero, non le fanno più come una volta.
Ma, l’obsolescenza programmata è un bene o un male ?

è sicuramente un bene per le imprese e per i lavoratori, che possono continuare a produrre.
è un bene per l’economia e la finanza, che grazie ad essa più alimentarsi e produrre ricchezza.
è un forse per la società che da un lato vede aumentare i propri benefici, ma dall’altra è soggetta a spese cicliche.
è un male minore per i consumatori, che sono costretti a rinnovare i propri beni riacquistando più volte lo stesso oggetto (tipo la lampadina), ma allo stesso tempo è un bene minore, perché permette di migliorare l’efficenza con oggetti nuovi, più performanti (tipo, lampadine che consumano di meno)
è un male, decisamente un male, per il pianeta, perché alimenta la produzione di rifiuti, il fabisogno enegetico dovuto alla produzione dei beni e l’estrazione di risorse necessarie per produrre quei beni, ed è un male perché impoverisce il pianeta, svuotandolo dall’interno (passatemi la metafora).

Dunque… l’obsolescenza programmata, è un bene o un male? voi da che parte state?

“State dalla parte di chi ruba nei supermercati, o di chi li ha costruiti… rubando” ? [cit de Gregori, chi ruba nei supermercati]

Con questo articolo voglio parlarvi di Obsolescenza programmata, e voglio farlo in un modo diverso dal solito, senza polemiche, senza costrutti filosofici o dati statistici ed economici. Voglio farlo, raccotandovi una storia, ed è una storia davvero molto bella, a tratti avvincente e commovente, ed è la storia di una lampadina accesa da oltre un secolo.

Quando si parla di obsolescenza programmata, spesso lo si fa in modo critico e in termini estremamente negativi, ignorando la storia di questa pratica, dalla dubbia moralità, che determinato le sorti della nostra civiltà, al pari della prima e della seconda rivoluzione industriale, e qualcuno, azzarda, con un po’ di imprudenza, che l’obsolescenza programmata, rappresenti de facto, la terza rivoluzione industriale.

La sua storia inizia ufficialmente nel 1924, negli stati uniti d’america, quando alcune aziende produttrici di lampadine decisero di unirsi insieme e stabilirono un tempo predeterminato per la vita delle lampadine di loro produzione, costituendo, de facto, il primo caso certo (e ampiamente documentato) di obsolescenza programmata della storia.

Nel 1924 diverse società attive nella produzione di lampadine (tra le principali General Electric Company, Tungsram, Compagnie di Lampes, OSRAM, Philips), fondarono il cartello Phoebus, per la produzione e vendita delle lampadine, e le società che si adeguarono al cartello iniziarono a “programmare” il tempo di vita delle lampadine, così che dopo un certo numero di ore di utilizzo, fosse necessario sostituirle.

Ad oggi molte lampadine indicano una durata che va mediamente dalle 1000 alle 30000 ore (mediamente 15000).

Trentamila ore sono tante direte voi, beh, in realtà anche centomila ore di utilizzo probabilmente sarebbero sono poche se rapportate alla longevità di alcune delle lampadine (alogene) prodotte prima del 1924, ed ho un esempio che sono sicuro, vi lascerà letteralmente senza parole.

Negli USA, in una caserma dei pompieri di Livermore, è presente una lampadina che è accesa ininterrottamente dal 1901. In realtà non è proprio accesa dal 1901, la sua storia è divisa in due step, questa lampadina è stata accesa per la prima volta nel 1901 ed è rimasta accesa fino al 1976, quando venne spenta per circa 23 minuti, a causa di un trasferimento della caserma in un nuovo edificio, poi venne riaccesa, e attualmente è ancora lì, ancora accesa.

Secondo alcune leggende metropolitane, durante lo spostamento della lampadina la popolazione di Livermore rimase letteralmente con il fiato sospeso in quei 23 minuti, perché temevano che la lampadina, ormai divenuta simbolo intramontabile della cittadina, potesse non riaccendersi.

Il caso della vecchia Centennial Light, è ovviamente un caso estremo, non tutte le lampadine prodotte all’inizio del XX secolo erano così longeve, ma erano comunque molto longeve, abbiamo lampadine accese agli inizi del XIX secolo e sostituite per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, e questa longevità forse eccessiva è il motivo per cui i produttori di lampadine associati al cartello (ma in realtà tutti i produttori di lampadine) hanno deciso di limitare il tempo di vita delle proprie lampadine.

Senza girarci troppo attorno, se vendi lampadine e produci una lampadina che dopo oltre un secolo di illuminazione costante, continua a fare luce, beh, ne hai sicuramente un grande ritorno a livello di immagine, e questo è innegabile, ma poi, in termini di economia reale, ne ricevi un danno, perché quando tutti avranno acquistato le tue lampadine “eterne“, a quel punto non ci sarà più mercato e la tua azienda, che produce e vende lampadine, non avrà nuovi clienti per almeno un secolo, e sarà quindi destinata a fallire o comunque a limitare o sospendere la produzione.

Da questo punto di vista, il cartello Phoebus, che rimase attivo tra il 1924 ed il 1939, ideando l’obsolescenza programmata segnò un passo importantissimo nella storia economica dell’età contemporanea e non solo, giocò anche un ruolo centrale, soprattutto negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, nel definite il carattere e le abitudini della società dei consumi, di fatto diventando il punto d’origine del consumismo reale.

Oggi l’obsolescenza programmata è di diversa natura ed è praticata, più o meno direttamente, da qualsiasi produttore di qualsiasi cosa sul pianeta, dalle scarpe ai pc alle automobili. Oggi, qualsiasi cosa è soggetta, inevitabilmente all’obsolescenza programmata, un obsolescenza che spinge il consumatore, dopo qualche anno di utilizzo a sostituire un prodotto con un analogo più recente, e molto spesso non a causa di un guasto o di un malfunzionamento, ma semplicemente perché il proprio prodotto è banalmente troppo vecchio.

Oggi i consumatori sono spinti a riacquistare periodicamente un qualcosa che fondamentalmente ha la stessa funzione di qualcosa di cui già disponeva, perché sul mercato è stata rilasciata una nuova versione più potente, più efficiente, con più funzioni, più aggiornata, che consuma meno, che produce meno rifiuti, o che banalmente, ha un design più moderno.

Al giorno d’oggi l’obsolescenza programmata è tacitamente accettata dai consumatori, nonostante in alcuni casi si muova in una zona grigia ai limiti della legalità che, in alcuni casi ha portato a vere e proprie condanne ad alcune multinazionali un po’ troppo spregiudicate nel mettere in atto questa pratica dalla doppia faccia.

Da un lato l’obsolescenza programmata rappresenta il cuore pulsante dell’economia di mercato, e di fatto tiene in vita l’attuale sistema economico, e ci aiuta a consumare col tempo meno energie o inquinare meno, facendoci magari acquistare, una lampadina prodotta con materiali riciclabili invece che tossici e che consuma meno energia, ma dall’altra parte, la necessità di alimentare i mercati, produce parallelamente una quantità crescente rifiuti e la produzione costante richiede un consumo continuo di energie.

L’impatto dell’obsolescenza programmata sulle nostre vite, sulla nostra economia, e in termini più ampi, sul nostro stesso pianeta, è qualcosa di enorme, se una lampadina durasse mediamente cento e non due anni, da un lato cambieremmo lampadine in casa probabilmente una sola volta nella nostra vita, di conseguenza producendo meno rifiuti, dovendo gettare meno lampadine guaste e non avendo confezioni di nuove lampadina da smaltire e allo stesso tempo richiederemmo al pianeta un minore consumo di risorse, perché l’industria produrrebbe meno lampadine, ma, allo stesso tempo, proprio la minor produzione di lampadine impiegherebbe meno operai sia in fase di produzione che di estrazione delle materie prime che in fase di commercio, ci sarebbe di fatto meno lavoro e questo significherebbe meno denaro in circolazione, con tutte le ovvie conseguenze del caso, sia per le aziende, che per i lavoratori, che per gli stati.

L’obsolescenza programmata, al di la di tutto, ha cambiato il nostro mondo e rivoluzionato la nostra economia e la nostra società, la sua introduzione forse un giorno verrà considerata come l’alba della terza rivoluzione industriale, più silenziosa e sotterranea delle precedenti, o forse, verrà riconosciuta come la causa principale degli enormi danni ambientali provocati dall’uomo proprio a partire dalla sua introduzione, poiché l’obsolescenza programmata ha attivato un meccanismo di produzione costante che ha moltiplicato esponenzialmente il nostro fabbisogno energetico quotidiano.

Se l’obsolescenza programmata è un bene o un male, lo lascio decidere a voi, fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti.

Io sono Antonio e vi do appuntamento al prossimo episodio del podcast, L’osservatorio.

Bodo e Alcuino: contadini e intellettuali all’ombra di Carlo Magno

Vicende politiche, costituzionali, economiche. Per non parlare delle imprese (e delle rivoluzioni) di Attila, Giustiniano, Carlo Magno, Federico II, Gregorio VIII. Accanto alla tradizione alta da tempo la storiografia specialistica ha riconosciuto l’importanza delle faccende quotidiane di una massa di ignoti.

Poveri, servi, schiavi, contadini, artigiani, commercianti, esuli, mendicanti, apolidi. E non si tratta di atteggiamenti esegetici o di “preferenze”; è fin troppo ovvio ricordare che il problema concerne la documentazione di cui disponiamo. Spesso esigua e poco attendibile o, peggio, inesistente se cerchiamo di ricostruire la storia degli ignoti. 

Nonostante queste difficoltà oggettive, il rapporto tra cultura (e storia) alta e cultura (e storia) popolare non è un campo inesplorato. Oggi vorrei spendere qualche parola sul contesto sociale ed economico in cui si sviluppano, in epoca carolingia, l’immagine del contadino e l’immagine dell’intellettuale.

L’argomento che ho scelto è anche un’occasione per segnalarti due libri (molto diversi tra loro) che ho trovato ricchi di spunti per comprendere questa “fase” del Medioevo: Eileen Power, Vita nel Medioevo, Einaudi, e Alcuino di York, Giochi matematici alla corte di Carlo magno, a cura di Raffaella Franci, edito da ETS.

L’immagine del contadino. Come accennavo prima, la cultura orale delle classi subalterne dell’Europa preindustriale tende a non lasciare tracce. O, peggio, a lasciarne di deformate. Ciò posto, è fin troppo evidente che l’immagine del contadino non sia solo quella tramandataci da Andrea Cappellano (nel De amore) o dal Boccaccio. Non credi?

Il libro di Eileen Power, oltre ad essere un piacevole “romanzo”, ha il pregio di dare un nome e un volto ad uno dei tanti stereotipi medievali. Un contadino, un viaggiatore, una badessa, una donna di casa, un mercante ed un fabbricante di panno. La Power ce li presenta immersi nella loro vita quotidiana catapultandoci nelle case e nelle strade dell’Europa medievale. Al di là del discorso che si potrebbe fare sulle figure femminili, sul piano della storia sociale ed economica mi hanno appassionata le giornate di Bodo il contadino e della moglie Ermetrude, sempre di corsa in giro per il manso, tra tributi ed esazioni, fiere e incontri con i Missi Dominici.

Chi è Bodo? E tu, come lo immagini? Posso dirti che, nonostante la durezza dei tempi, è estremamente umano, non certo il contadino meschino e gretto dei racconti cortesi. Ama la sua famiglia, ha un animo vivace e giocoso – balla e canta durante le feste popolari, notoriamente odiate dai monaci – e avvia i figli, soprattutto il più grande Wido, verso la sua futura vita da contadino. Contadino, marito, padre, maestro.

Bodo è un contadino del IX secolo. La fonte principale usata dall’autrice è un libro catastale probabilmente compilato da un abate per sapere con quali terre appartenessero all’abbazia e a chi fossero date in gestione. Ti ricordo che tra il VI e il IX secolo si assiste al fenomeno dell’economia curtense che caratterizza in modo specifico la vita economica dell’Alto Medioevo. La villa o curtis era un vero e proprio centro di residenza e produzione: fattoria, azienda agraria, laboratori. I terreni appartenenti all’abbazia erano divisi in fiscs che erano dei  fondi tanto grandi da poter essere amministrati da un fattore.

Ognuno di questi era diviso in terre tributarie e terre signorili: le prime erano divise in quantità più piccole chiamate mansi ed abitate da coloni, mentre le seconde erano amministrate direttamente dai monaci tramite i fattori. L’elemento caratteristico dell’economia curtense è la presenza di una serie di prestazioni d’opera che i tenutari o mansi erano tenuti ad offrire al dominus sotto forma di corvées lavorative. Bodo è inserito in questo contesto sociale ed economico.

L’immagine dell’intellettuale. La vita di questi secoli appare conservativa, popolata da contadini, liberi o servi, che insieme alle loro famiglie coltivavano i campi. Un’economia che mirava all’autosufficienza alimentare, integrata con la caccia e la pesca, in cui lo scambio era minimo in quanto riservato solo alle (spesso misere) eccedenze produttive.

Pur non essendo tecnicamente incompatibile con i commerci, il sistema curtense appare caratterizzato da una vocazione centripeta alla sussistenza, senza alcuna visione d’insieme o di lungo periodo che, forse, avrebbe potuto favorire maggiormente gli scambi.

Rabano Mauro accompagnato da Alcuino (al centro), nell’atto di presentare un libro all’Arcivescovo di Magonza Otgar, (Vienna, Biblioteca Nazionale Austriaca, cod. 625 f. 1v.).

Questa relativa stagnazione economica sembra essere l’immagine in negativo della rinascita culturale. Tutti gli storici sono concordi nel dire che il regno di Carlo Magno coincise con un generale risveglio della cultura in tutto l’Occidente. Non credere alla storiella della cultura in balìa alle biblioteche monastiche, eh! Certo, una iniziale spinta si ha proprio grazie alla formazione delle prime scuole cristiane (si pensi al caso di Clemente Alessandrino di cui ho parlato in questo video).

Ma non va dimenticato che si stavano organizzando le prime scuole che, pur essendo gestite dal clero, erano aperte ai giovani appartenenti alle famiglie aristocratiche. Carlo Magno pensava che la cultura fosse un elemento essenziale per migliorare lo stato del pubblico servizio; pur essendo quasi analfabeta, non esitava ad intervenire in questioni di scienza, filosofia e teologia (basti ricordare il caso dei Libri Carolini). Attorno al sovrano, proprio ad Acquisgrana si riuniva la Schola Palatina, un circolo di dotti coordinato da un monaco benedettino, Alcuino di York.

Nel 781 Carlo Magno e Alcuino si incontrano a Pavia. Come rifiutare l’offerta di lavorare al suo servizio? Alcuino ha il compito di organizzare le scuole e formulare il programma da seguire, rispettando la divisione canonica tra trivio e quadrivio. Si fa inviare libri dai monasteri inglesi, istituisce scriptoria per copiare i manoscritti, contribuisce alla creazione di veri e propri manuali di insegnamento.

Nel libro Alcuino di York, Giochi matematici alla corte di Carlo magno, a cura di Raffaella Franci, trovate una serie di giochi matematici tratta dalle Propositiones, la più antica collezione di problemi matematici in latino attualmente conosciuta. Il libro è prezioso non solo sul piano della storia della matematica ma anche per rendersi conto delle analogie/differenze tra le soluzioni di Alcuino e quelle moderne. L’immagine dell’intellettuale non è dunque quella del monaco rinchiuso nello scriptorium. Allo stereotipo si sostituisce una figura attiva, dedita alla ricerca e all’insegnamento. 

Bibliografia:

Eileen Power, Vita nel Medioevo, Einaudi.

Alcuino di York, Giochi matematici alla corte di Carlo magno, a cura di Raffaella Franci, ETS.

Lo Sterco del Demonio: esiste un Capitalismo nel Medioevo?

La peculiarità del capitalismo consiste nel calcolo razionale del profitto e la sua genesi è legata al diffondersi di una nuova etica nata grazie al diffondersi del protestantesimo. Così concludeva Max Weber in uno dei suoi libri più famosi, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1905). Oggi vorrei invitarvi a riflettere proprio sulla genesi del capitalismo per problematizzare (ed eventualmente approfondire) la tesi di fondo di Weber.

Quando nasce il capitalismo? Quando assistiamo alle prime forme embrionali di questo modo di produzione che ha così profondamente segnato la nostra stessa idea di lavoro, di economia, di modi e mezzi di produzione? Per rispondere a queste domande dobbiamo ripercorrere alcuni aspetti della storia economica e sociale del medioevo poiché le prime esperienze capitalistiche si incontrano proprio tra il Trecento e il Quattrocento.

Cominciamo con due premesse. (i) Con il termine capitalismo si intende un sistema economico in cui il capitale è di proprietà privata e, in questa accezione comune, diventa sinonimo di economia di libero mercato e di iniziativa privata. L’uso del termine in senso tecnico compare per la prima volta nel XVIII secolo e si basa sullo sviluppo della grande industria, del lavoro salariato, dell’uso in larga scala delle macchine. Abbiamo dunque a che fare con un sistema che ha come obiettivo il massimo profitto da reinvestire – in parte, nei mezzi di produzione – ossia un sistema in cui sono attestate operazioni economiche destinate ad ottenere ingenti guadagni a fronte di altrettanto ingenti rischi. In questa lettura il capitalismo risulterebbe vincolato alle dinamiche di rischio/rendimento cui va incontro un’attività economica.

(ii) A differenza di capitale, che nella pratica mercantile del basso medioevo indicava una somma di denaro in grado di produrre interessi, il termine capitalismo è come abbiamo visto abbastanza recente e risulta ovvio che non si possa parlare di capitalismo medievale nello stesso modo in cui si parla di capitalismo moderno. O, almeno, che non sia così scontato farlo.

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Esistono certamente delle differenze, ma molti storici ritengono non sia così anacronistico parlare di capitalismo medievale poiché danno una definizione di capitalismo che coincide con quella che abbiamo esposto al punto (i), svincolandola naturalmente dalle riflessioni di Marx. E in questo senso è abbastanza plausibile che le origini del capitalismo vadano proprio ricercate nel Medioevo, in particolare nei cambiamenti del tessuto sociale, culturale ed economico tra il Trecento e il Quattrocento (quella che secondo le categorie storiografiche sarebbe la fioritura commerciale del XIII secolo).

Capitalismo commerciale e capitalismo industriale. Bene, abbiamo risolto il problema delle origini ma ancora non abbiamo dati sufficienti per comprendere la specificità della vita economica di quell’epoca. Dobbiamo quindi introdurre due termini o, meglio, due aggettivi che ci permettono di distinguere i tipi di capitalismo in gioco nelle diverse epoche: da un lato abbiamo un capitalismo commerciale, dall’altro un capitalismo industriale. “Il capitalismo commerciale è un sistema economico in cui i mercanti-imprenditori controllano la produzione artigianale attraverso il controllo del lavoro a domicilio, disciplinandola fino ad adeguarla alle esigenze dei mercati più lontani. Per capitalismo industriale intendiamo invece un sistema in cui gli imprenditori non si limitano più a controllare la produzione, ma si preoccupano di riorganizzarla”, (Rinaldo Comba, Storia Medievale, Raffaello Cortina Editore, p. 279).

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Questa distinzione è essenziale per rispondere alla domanda che ci siamo posti. Per quanto riguarda l’economia del medioevo (XIII-XV secolo) nella maggior parte dei casi possiamo parlare di capitalismo commerciale evitando, in questo modo, di cedere alla tentazione di assolutizzare quelle isolate attestazioni di sviluppo industriale che caratterizzano la fine dell’età medievale. Ma ciò non significa che queste esperienze pur isolate non abbiano un significato. Sono infatti le prime sporadiche attestazioni di quel meccanismo di produzione che noi conosciamo molto bene; questa tesi è corroborabile analizzando le caratteristiche del capitalismo nel XV secolo. Sono essenzialmente quattro (le riporto come compaiono negli studi di Comba):

(1) la divisione del lavoro ha specializzato la produzione di molte regioni europee e ha portato le aree più deboli a gravitare attorno al cuore dell’economia europea: Italia Settentrionale, Fiandre e Germania meridionale. (2) Gli scambi internazionali si intensificano e sono controllati da cerchie strette di mercanti-imprenditori (e finanzieri) che operano nelle città situate nell’area centrale. (3) Il capitale commerciale ha esteso il suo controllo anche sul lavoro a domicilio che era rimasto per secoli un’attività di famiglia e autonoma, al massimo un mercato locale ristretto. (4) Il rapporto del capitale con l’artigianato ne rivela un limite non trascurabile: la produzione non ne viene trasformata ma solo dominata.

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I minatori europei e il lavoro salariato. Nell’Europa centrale degli ultimi decenni del Quattrocento avviene una trasformazione che può essere considerata l’alba del capitalismo industriale: i minatori diventano a tutti gli effetti lavoratori salariati. Come mai nelle miniere i mercanti-produttori iniziano a riorganizzare la produzione? Tra il XIII e il XIV secolo l’attività mineraria era stata organizzata da collettività di minatori che sfruttavano miniere non troppo profonde; quando si cominciò a scavare in profondità la collettività di minatori non era più in grado di sostenere le spese (la proprietà di queste miniere infatti era suddivisa in un certo numero di quote tra i minatori). Per farle funzionare occorreva una gran quantità di manodopera e una vera e propria divisione tra capitale e lavoro.

E questo è innegabilmente un tratto caratteristico del capitalismo moderno. La proprietà delle miniere venne divisa in quote o azioni (kuxe) i cui proprietari vivevano in città; queste trasformazioni si associarono a un vero e proprio boom economico che tra il 1460 e il 1530 portò la produzione delle miniere d’argento in Europa centrale a una crescita del 500% e quella delle miniere di ferro del 400%.

Ecco il primo esempio di quel capitalismo industriale tanto stigmatizzato dagli ambienti del socialismo utopistico intorno alla metà del Diciannovesimo Secolo, appunto per l’evidente esclusione dei lavoratori dalla proprietà del capitale. Ma se vogliamo una definizione abbastanza esaustiva di capitalismo dobbiamo attendere le critiche dei primi pensatori socialisti e Karl Marx: il capitalismo è un sistema economico caratterizzato da un’ampia accumulazione di capitale. Ma ciò non basta; abbiamo infatti una scissione tra proprietà privata e mezzi di produzione in modo che il lavoro venga ridotto a lavoro-salariato (poi sfruttato per ricavarne il massimo profitto). Ed è su questo aspetto che Marx insiste: è nota l’espressione modo di produzione capitalistico per indicare quel particolare sistema di relazioni sociali, insieme all’organizzazione del processo produttivo, che si basano proprio sullo sfruttamento della forza-lavoro salariata.

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Ciò posto, torniamo a noi. Abbiamo un’altra testimonianza del fatto che quello medievale fu un vero e proprio capitalismo industriale, benché sperimentato solo in alcune aree geografiche. Qual è? L’analisi degli effetti che si generarono sul piano sociale. Tra Trecento e Quattrocento vediamo crescere a dismisura le distanze tra ricchi e poveri. Un intero settore di attività produttive – come il setificio e le industrie del lusso – può prosperare grazie alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi agiati. Gli esempi di questo processo di polarizzazione sono numerosi, ma uno su tutti può rendere l’idea: nel 1427 a Firenze cento famiglie corrispondenti all’1% della popolazione urbana posseggono più di un quarto delle ricchezze della città. Le loro ricchezze erano oltre l’87% di quelle della cittadinanza intera insieme alle città di Pisa, Pistoia, Arezzo, Volterra, Prato e Cortona.

Per comprendere le ricadute sociali di questo fenomeno gli storici hanno mutuato dalla stria romana il termine patriziato (che non compare mai nelle fonti e nei testi medievali). Nobiltà e borghesia finanziaria e mercantile convergono dando vita al nuovo ceto egemonico del patriziato cittadino. Nasce una nuova classe politica oltre che sociale, che vive nei palazzi, dedita al lusso e alla vita dispendiosa.

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Arme della Famiglia Crociani, patrizi fiorentini (1350-1409), crediti: Raccolta Ceramelli Papiani.

Alla luce di quanto abbiamo detto fin qui, sarebbe interessante rileggere ciò che Max Weber (che non era un marxista) diceva a proposito del capitalismo, nel senso che se è vero che una delle sue peculiarità riposa nel calcolo razionale del profitto, la sua genesi non sembra solo legata all’affermazione al diffondersi di una nuova etica nata da correnti religiose protestanti. I meccanismi economici che si innescarono in Italia Settentrionale, Fiandre e Germania Meridionale sembrano dunque confermare che il Medioevo ha vissuto, in modo diverso quanto a importanza e intensità del fenomeno, almeno due forme di capitalismo distinte.

Esiste dunque una nuova etica connessa con la nascita della nuova classe dei minatori-salariati? Che rapporto c’è tra capitalismo ed economia, visto che Karl Polanyi sostiene con convinzione che nella società occidentale l’economia non possiede una specificità autonoma fino al XVIII secolo? Sulla base della documentazione storica in nostro possesso sembra che le esperienze capitalistiche siano nate a monte, prima della domanda sullo statuto dell’economia, ben prima della domanda sul nesso etica-capitalismo industriale.

Bibliografia:

Karl Marx, Il Capitale, UTET.

Karl Marx, Lavoro salariato e capitale, Rusconi.

Jacques Le Goff, Lo sterco del Diavolo. Il denaro nel Medioevo, Laterza.

Jacques Le Goff, Il Medioevo. Alle origini dell’identità europea, Laterza.

Max Weber, L’ etica protestante e lo spirito del capitalismo, BUR.

Geoffrey Ingham, Capitalismo, Einaudi.

L’evoluzione del sistema dei pagamenti internazionale tra gli accordi di Bretton Woods e la revoca della convertibilità del dollaro USA

Nel luglio del 1944, i delegati di 44 si riunirono nella località di Bretton Woods, negli Stati uniti, orientati alla definizione di un nuovo sistema di pagamenti internazionale che potesse evitare situazioni analoghe a quelle verificatesi negli anni trenta, mirarono alla realizzazione di un sistema che promuovesse il libero scambio, stabilizzasse i cambi e assicurasse l’autonomia delle politiche economiche nazionali in un contesto di cooperazione internazionale.

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Queste linee di principio diedero vita ad un sistema basato su precise regole di comportamento per i paesi partecipanti, ed affidò la vigilanza ed il supporto di tale sistema a due nuovi organismi internazionali, sovranazionali, il Fondo monetario Internazionale (FMI) e la Banca internazionale.

Compito del FMI era quello di vigilare sul sistema di cambi fissi, stabilito durante i negoziati di Bretton Woods, che fissava le parità di cambio delle valute nei confronti del dollaro e del dollaro nei confronti dell’oro, promuovere la convertibilità delle valute e fornire finanziamenti per correggere gli squilibri delle bilance dei pagamenti, mentre la Banca Internazionale aveva il compito di assistere finanziariamente il processo di sviluppo.

_4jEZEKD_400x400Il FMI entra in funzione soltanto nel marzo del 1947, mentre la piena applicazione delle norme del sistema di Bretton Woods richiesero ancora un certo numero di anni, a causa di numerosi problemi e restrizioni legate ai pagamenti correnti e la liquidità.

La liquidità internazionale nell’immediato dopoguerra era concentrata prevalentemente negli Stati Uniti che, detenevano circa i due terzi delle riserve auree mondiali. Parallelamente i paesi europei e quelli asiatici impegnati in un processo di ricostruzione ed avevano necessità di grandi importazioni, domanda soddisfatta dalle esportazioni Statunitensi.

Gli aiuti del piano Marshall, circa 13 miliardi di dollari elargiti dagli Stati Uniti all’Europa tra il 1948 ed il 1952, equivalenti al 3% circa del reddito dei paesi beneficiari, insieme all’unione europea dei pagamenti, ebbro un ruolo fondamentale, nello smantellamento delle restrizioni che portarono alla finire degli anni cinquanta, al ristabilimento della convertibilità di parte corrente delle valute dei principali paesi europei.

Raggiunta la convertibilità, vennero a verificarsi i problemi che avrebbero successivamente portato al crollo del sistema Bretton Woods.

Questi riguardavano liquidità e fiducia nel dollaro, ed erano determinati dalla mancanza di un organismo orientato alla creazione di moneta internazionale in maniera coerente con le esigenze degli scambi e della produzione. La creazione di liquidità dipendeva prevalentemente dalle emissioni di dollari da parte degli Stati Uniti, ma l’aumento della liquidità, riduceva la copertura aurea dei dollari, e ciò minava la fiducia nella piena convertibilità in oro della valuta americana, il problema della liquidità viene risolto con l’introduzione dei DSP, un’attività di riserva la cui creazione fu affidata al FMI.

Nel 1968 fu istituito il doppio mercato dell’oro con quotazioni libere per i privati e scambi al prezzo fisso di 35 dollari l’oncia tra le autorità ufficiali, l’aumento del prezzo dell’oro sul mercato privato rese evidente la sopravvalutazione del dollaro.
Nell’agosto del 1971, temendo una massiccia conversione di dollari in oro le autorità statunitensi sospesero temporaneamente la convertibilità del dollaro, in un vano tentativo di contenimento dell’inflazione. Nel dicembre dello stesso anno i maggiori paesi industrializzati (Gruppo dei Dieci), concordarono nuove parità di cambio, procedendo con una svalutazione del dollaro nei confronti dell’oro e delle altre valute, e vennero fissati più ampi margini di fluttuazione. La nuova configurazione sopravvive fino ai primi mesi del 1973 quando i principali paesi industrializzati, in rapida successione, decisero di lasciar fluttuare le loro valute.

Bibliografia

La Nascita dell’economia Europea – Barry Eichengreen

Capitalismo Scatenato – Andrew Glyn