Nostra signora dell’ipocrisia di Francesco Guccini è una canzone che pesa come un macigno, soprattutto in questo periodo, è una canzone vecchia di un quarto di secolo ma sembra scritta l’altro ieri, non so se per via dell’ambientazione pasquale o per il fortissimo parallelismo tra la politica italiana odierna e quella dei primi anni novanta e diventa un brano agghiacciante, quasi un campanello d’allarme se si considera il preesistente parallelismo tra la politica italiana dei primi anni novanta e la politica tedesca della repubblica di Weimar.
Forse pubblicare il primo articolo di una nuova rubrica il lunedì di pasquetta non è stata la mia idea migliore, ma alle conseguenze di questa sconsiderata scelta penserò in un altro momento, per ora, voglio approfittare della particolarità di questa giornata, dell’atmosfera pasquale che permea l’aria, per iniziare col botto, per iniziare con una canzone che è un colpo di cannone sparato nello, sparato nell’addome quasi come se fossimo degli artisti circensi, ma l’addome che questa palla di cannone va a colpire non è un addome forte è tonico, quasi scultoreo, è invece un addome rigonfio dalla quantità abnorme di cibo consumato nel pranzo di pasqua e che indomito non teme i fiumi di vino e le montagne di carne che come in un rito di passaggio si appresta a consumare in questa giornata di festa, preludio al quasi religioso digiuno serale, un digiuno che quasi come da tradizione è avvolto da uno strano silenzio occasionalmente interrotto dal lento e inesorabile grugnito di qualcuno che forse ha mangiato e bevuto troppo.
Le immagini proposte da nostra signora dell’ipocrisie, queste immagini pittoresche e al limite del grottesco, fortemente contrastanti tra loro, ad un primo sguardo possono far sorridere o impallidire, soprattutto se non si va a rompere l’illusoria bolla che le avvolge e nasconde ogni cosa. Ma se la bolla esplode, se la maschera di un ormai lontano carnevale viene sollevata, allora possiamo riuscire ad intravedere la realtà, possiamo dare uno sguardo al vero volto di questa canzone, del mondo e del tempo che va a raccontare. Ciò che vediamo sollevando la maschera è una matassa caotica e indistricabile, metafora del temibile caos politico che nei primi anni novanta, come un boa constrictor stava schiacciando l’Italia tra le sue spire letali e riportava nell’aria lo spettro di un altro mondo e di un altro tempo, riportando nell’aria i pensieri, le angosce, le ansie e le paure di un passato oscuro e dimenticato forse troppo in fretta. Tra le spire del serpente lo spettro di Weimar cavalcava sull’Italia.
All’inizio degli anni novanta, l’Italia e più in generale l’intera umanità, stava entrando in una nuova epoca globale che succedeva ad un lungo conflitto psicologico, una guerra combattuta indirettamente e che per oltre quarant’anni aveva contrapposto due mondi, due modi di vivere e di pensare, delineando un preciso ordine internazionale in cui i confini tra l’uno e l’altro mondo erano netti e ben visibili, in alcuni casi, come a Berlino erano materiali, tangibili, erano veri e propri muri invalicabili. Ma la fine della guerra fredda aveva cambiato ogni cosa, aveva abbattuto quei muri e il mondo intero doveva affrettarsi a riorganizzarsi per trovare e definire un nuovo ordine internazionale che potesse sostituire il precedente. Per queste ed innumerevoli altre ragioni, tantissimi altri storici dell’epoca indicato il 1991 come un punto di rottura tra due diverse epoche storiche, Eric Hobsbawm in particolare contribuì forse più di tutti a creare l’immagine di un secolo breve che iniziava con la prima guerra mondiale e terminava con la dissoluzione dell’unione sovietica, e ciò che c’era dopo, era soltanto un futuro misterioso e incerto. Un futuro che ad un primo e superficiale sguardo mostrava la fine della guerra fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica come il punto di partenza di un mondo libero da guerre e conflitti, qualcuno addirittura osava ipotizzare la fine della storia e della geografia mentre sognava la nascita di un governo mondiale, qualcun altro, forse più realista, forse con i piedi troppo saldi in una storia umana fatta di incontri e scontri di civiltà, prestava più attenzione ai nuovi e più delicati equilibri internazionali che si stavano formando, osservando che quel positivismo epocale sarebbe presto sfumato lasciandosi alle spalle molti delusi a causa della natura precaria ed incerta di quegli stessi equilibri.
L’Italia di quegli anni, l’Italia dei primi anni novanta, non è ovviamente estranea a questi cambiamenti epocali, soprattutto perché per ragioni geografiche e politiche aveva giocato un ruolo quasi centrale nelle dinamiche della guerra fredda e tra i tanti, era forse il paese che più di chiunque altro era riuscito a trarre un vantaggio reale e dalla rivalità che contrapponeva USA ed URSS. L’economia italiana per oltre 40 anni era si aveva approfittato, in larghissima misura, delle dinamiche dalla guerra fredda e la sua fine comportava la perdita di enormi introiti economici e finanziari per il paese. Introiti e finanziamenti non sempre totalmente cristallini o leciti, ma la cui presenza aveva giocato un ruolo certamente importante nel definire l’assetto economico del paese.
Va da se che la situazione del bel paese all’indomani dello scioglimento dell’Unione Sovietica è molto cupa ed incerta inoltre i forti scossoni che la politica interna aveva subito negli ultimi anni, tra stragi di mafia e scandali legati al finanziamento illecito dei partiti, si erano abbattuti sulla vecchia politica italiana come una tempesta e la vecchia classe dirigente del paese si era ritrovava in una posizione non ottimale, l’atmosfera politica dell’Italia era confusa, era cupa e le folle chiedevano un rinnovamento della stessa classe, così, giorno dopo giorno, domenica dopo domenica, tra le elezioni del 1992 e quelle del 1994 l’Italia visse una lunga quaresima, fatta di digiuni, confessioni, esili volontari, stelle cadenti e nuove stelle nascenti che in quegli anni costruirono la propria carriera politica in maniera minacciosa, puntando il dito ed attribuendo alla vecchia politica la responsabilità di qualsiasi cosa, guerra puniche comprese. Così, quando furono chiamati a scegliere tra Gesù e Barabba, chi per un motivo, chi per un altro, gli italiani scelsero Barabba.
In questo biblico caos istituzionale qualche artigiano di notizie riusciva ad intravedere i tasselli di un drammatico passato che non apparteneva al nostro paese, ma che presentava numerose assonanze alla realtà politica che si stava vivendo in quegli anni. Il caos e l’instabilità politica dell’Italia nei primi anni novanta ricordava forse troppo sfacciatamente il caos e l’instabilità politica vissute dalla Germania all’indomani della prima guerra mondiale, nel periodo compreso tra il 1919 ed il 1933 e col senno di poi, qualcuno sbarrava gli occhi scorgendo, temendo e ricordando il drammatico epilogo della repubblica di Weimar.
Tra il 1992 ed il 1994, nasceva una versione tutta italiana della repubblica di Weimar e questa esperienza avrebbe traghettato il paese per un quarto di secolo, verso una nuova e analoga situazione di caos istituzionale e politico, in cui la “nuova classe dirigente” del 1994 era diventata l’immagine della vecchia politica, i vecchi nuovi astri nascenti erano le nuove stelle cadenti e nuove stelle nascenti iniziavano a costruire la propria carriera politica, in maniera minacciosa e puntando il dito attribuendo alla vecchia politica la responsabilità di qualsiasi cosa, guerra puniche comprese, facendo proprio il vecchio slogan per cui il responsabile era sempre e soltanto di qualcun’altro.
Il futuro di questa nuova ondata di caos e instabilità politica, tutt’ora in evoluzione non è stato ancora dipanato, speriamo soltanto che nostra signora dell’ipocrisia non ci conduca ad una nuova “domenica delle salme”.