Chi era Girolamo Savonarola ?

Il 7 aprile del 1498, il popolo fiorentino si rivolta contro il predicatore Girolamo Maria Francesco Matteo Savonarola, rivolta che avrebbe portato alla sua morte per impiccagione e successivamente fu messo al rogo, il 23 Maggio di quello stesso anno. Ma chi era Savonarola e perché i fiorentini arrivarono ad odiarlo così tanto ?

Per rispondere a questa domanda occorre fare un asso in dietro di oltre un decennio e tornare al 1487, anno in cui lasciò, all’età di 35 anni, il convento di San Marco che lo aveva accolto fin dal suo arrivo nella firenze medicea nel 1482. Prima di giungere a Firenze Savonarola aveva vissuto in un altra illustri città, roccaforte di una delle grandi famiglie mecenate dell’epoca, la natale Ferrara, dove la sua famiglia si era trasferita fin dal 1440, ma non fu l’unica, e prima di stabilirsi definitivamente a Firenze nel 1490, Savonarola viaggiò in molte città dell’italia centrosettentrionale.

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Suo nonno Giovanni Michele Savonarola, uno dei più illustri luminari della medicina quattrocentesca, docente nell’università dell’originaria Padova e successivamente all’università di Ferrara, incarico che gli avrebbe permesso di legarsi alla famiglia d’Este, diventando Archiatra (una sorta di protomedico) personale di Niccolò III d’Este.
Alla scomparsa di suo nonno avvenuta nel 1468, Girolamo Savonarola fu introdotto allo studio delle arti liberali da suo padre Niccolò Savonarola. Tra le sue letture più appassionate vi furono i dialoghi di Platone, a cui dedico un appassionato commento purtroppo distrutto dallo stesso Savonarola, probabilmente perché non reputava se stesso nella posizione di poter commentare un classico del calibro di Platone. Col progredire dei suoi studi il giovane studente ferrarese si avvicinò ai testi aristotelici e al tomismo.

Nell’aprile del 1475 Girolamo Savonarola lascia la casa paterna e la natale Ferrara per entrare nel convento di San Domenico Bologna. Qui viene introdotto al noviziato dall’abate Giorgio da Vercelli e l’anno successivo sarà ordinato Suddiacono e per volontà dei suoi superiori indirizzato allo studio della teologia per diventare predicatore domenicano, nel 1482 sarebbe tornato a Ferrara giusto il tempo di ricevere la nomina che avrebbe segnato la sua vita, il 28 aprile 1482 fu nominato lettore del convento fiorentino di San Marco.
Qui, nella Firenze Medicea del 1482 inizia la storia nota di Girolamo Savonarola, il predicatore domenicano che si scagliò contro la decadenza e la corruzione della chiesa, i cui “cattivi pastori” si erano macchiati di crimini e peccati imperdonabili, omicidi, lussuria, sodomia, idolatria, credenze astrologiche, simonia, eccetera eccetera eccetera.

Ma procediamo con ordine, come dicevamo, Girolamo Savonarola giunge a Firenze con l’incarico di lettore del convento di San Marco, la cui parte monumentale fu progettata e realizzata dall’architetto Michelozzo, l’edificio sarebbe stato modello e della biblioteca laurenziana di firenze, mentre oggi è sede del museo nazionale di San Marco. Tornando a Savonarola, il suo accento romagnolo appariva barbaro alle forbite orecchie dei ricchi mecenati fiorentini, tra cui Lorenzo di Piero de’ Medici, meglio noto come Lorenzo il Magnifico, e come avrebbe scritto lo stesso Savonarola :

“io non aveva né voce, né petto, né modo di predicare, anzi era in fastidio a ogni uomo il mio predicare” aggiungendo poi che “ad ascoltare venivano solo certi uomini semplici e qualche donnicciola”.

Nonostante ciò, seguono anni di predicazioni itineranti, tra Firenze e San Gimignano in terra senese, poi, nel 1487 un importante evoluzione nella sua carriera “ecclesiastica”, Girolamo Savonarola viene nominato maestro nello Studium generale presso il convento di Domenico a Bologna, luogo in cui aveva conseguito i propri studi, nel quale sarebbe rimasto soltanto per un anno, poi, nel 1488 una nuovo incarico, questa volta nella natia Ferrara, dove fu assegnato al monastero di Santa Maria degli Angeli.
Il lavoro in monastero permise al Savonarola di muoversi e spostarsi più frequentemente che mai, non a caso, tra il 1488 ed il 1490 anno del suo ritorno a firenze, su richiesta esplicita di Lorenzo, Girolamo Savonarola predicò in numerose città tra cui Brescia, Modena, Piacenza e Mantova.

Come preannunciato, nel 1490 Lorenzo de Medici richiede esplicitamente al generale della compagnia dei frati predicatori l’assegnazione di “Hieronymo da Ferrara“.
Questa nuova esperienza in terra fiorentina sarà, almeno inizialmente, molto più fortunata e longeva, rimarrà infatti nella città medicea fino al momento della sua morte, condannato da quella stessa città che aveva invocato il suo ritorno, ma a questo arriveremo più avanti.

Fin dal suo ritorno Savonarola ottenne molto successo con le sue prediche, ascoltato e apprezzato soprattutto da poveri, scontenti, e soprattutto dagli oppositori della famiglia de Medici. Questo perché nelle sue prediche Savonarola non temette di denunciare la decadenza e la corruzione della chiesa, e non mancò di chiamare in causa, lanciando numerose accuse a governanti e prelati.

Il Magnifico più volte ammonì il frate domenicano affinché non continuasse su quella linea, ma il rinnovato spirito del predicatore era infiammato dai suoi più fedeli ascoltatori e seguaci, e ciò lo spinse a continuare imperterrito su quella strada che lo avrebbe condotto al priorato nel convento di San Marco nel 1492, quello stesso anno, il 5 aprile, un fulmine colpì la lanterna del duomo, l’avvenimento fu letto come un cattivo presagio dal superstizioso popolo fiorentino, presagio sembrò confermato dalla morte del signore della città Lorenzo de Medici avvenuta appena tre giorni più tardi. Qualche mese dopo, il 25 luglio morì anche Papa Innocenzio VIII, succeduto da Rodrigo Borgia che assunse il nome di Alessandro VI.

Rodrigo Borgia sembrava incarnare tutto ciò contro cui Girolamo Savonarola aveva sempre predicato, eppure quest’uomo dalla dubbia moralità era il nuovo pontefice, vicario di Dio in terra, capo e alla guida della chiesa cattolica romana.
Quasi contemporaneamente, a partire dal 1494, il re di Francia, Carlo VIII di Valois inaugurò una serie di campagne militari in Italia, campagne che Niccolò Machiavelli avrebbe definito, le “horrende guerre d’italia“. In questa sede non indagheremo ulteriormente le campagne d’Italia e la discesa dello stesso Carlo di Valois in Italia, ci basti sapere che nel 1495 Savonarola incontrò Carlo VIII di ritorno in Francia, questo incontro, avvenuto su iniziativa di Savonarola e destinato a ricevere parole di rassicurazione per il destino di Firenze, pare abbia suggerito a Ludovico Sforza detto Il Moro, signore di Bari, un’elaborata congiura per mettere fine ai legami tra Firenze e la Francia e strumento inconsapevole della congiura fu proprio Girolamo Savonarola.

La congiura ordita da Ludovico avrebbe al crescente rancore della popolazione fiorentina nei confronti del frate domenicano, e secondo alcuni, sarebbe alle origini della sua caduta. Senza disperderci troppo, cerchiamo di capire cosa accadde.

Ludovico il Moro denunciò di aver intercettato due lettere di Savonarola, probabilmente per screditarlo, una delle quali era indirizzata a Carlo VIII. La congiura pare abbia avuto successo e Girolamo Savonarola fu scomunicato nel 1497.
Per quanto riguarda la scomunica alcune teorie ipotizzano un intromissione nella vicenda di Cesare Borgia, figlio del papa Alessandro VI che, grazie all’aiuto di alcuni alti prelati a lui molto vicini, riuscì a produrre una falsa Scomunica, tuttavia questa teoria non è stata ancora dimostrata e di fatto si tratta di solo di una teoria, molto discussa e certamente molto affascinante, ma per il momento priva di basi documentarie, la cito in questo articolo soltanto perché considerata da molti come una nuova verità, e rappresenta sicuramente un interessante campo di indagine che coinvolge numerosi studi, filologici oltre che storici.

Tornando a Girolamo Savonarola, una volta perso l’appoggio francese e ufficialmente scomunicato, le antiche accuse politiche lanciate contro la famiglia de Medici, gli si rivoltarono contro. Al termine delle guerre d’Italia il partito dei Medici erano tornato al potere, mentre i Medici erano ancora in esilio e e non avrebbero messo piede a firenze prima del 1512. Savonarola, ormai in rovina sul piano politico, godeva soltanto dell’appoggio di qualche frate e dei “disperati” di Firenze, e una volta scomunicato, fu processato e condannato per eresia.

Stando alle cronache del tempo Savonarola ed alcuni frati si barricarono nel convento di San Marco, tentando in vano di resistere all’arresto avvenuto il 7 aprile del 1498 e meno di due mesi più tardi, il 23 maggio 1498, fu condannato a morte per impiccagione e successivamente messo al rogo.

Fonte :

 

Michele Serveto

Nell’avvio della sua celebre biografia su Michele Serveto, Roland Bainton ci racconta come lo spagnolo ebbe il pregio assai singolare di essere stato bruciato in effige dai cattolici e nella realtà dai protestanti. Ma la figura di Michele Serveto non è solo quella di un eretico. Serveto è un personaggio eclettico capace di confrontarsi su materie diversissime quali teologia, filologia, geografia, medicina, astrologia. Si tratta insomma di un uomo universale del Rinascimento, ma la sua esistenza e i suoi studi sono caratterizzati soprattutto da una costante ricerca spirituale che condizionò tutta la sua vita. Lo dimostra il fatto che il suo successo più importante in campo medico, la scoperta della circolazione polmonare, fosse motivata anche da stimoli religiosi e descritta per la prima volta in un opera teologica come Christianismi Restitutio.
Per Bainton, Serveto riunì “lo spirito del Rinascimento e l’ala sinistra della Riforma”. Le sue posizione eterodosse avrebbero, però, finito per porlo in conflitto sia con il mondo cattolico che con quello protestante.
Messo al rogo nella Ginevra di Calvino, la sua morte avrebbe avviato il dibattito sulla tolleranza religiosa in Europa, nel quale sarebbero intervenuti il savoiardo Castellione e molti “eretici” italiani.
Ben presto anche la Svizzera avrebbe chiuso ogni spazio di dialogo, costringendo gli ultimi dissenzienti a trovare rifugio nell’est Europa. Ma il seme per la pacifica convivenza delle diverse religioni era stato gettato.

La formazione

Michele Serveto, figlio del notaio Antonio, nacque a Villanueva de Sigena, piccolo villaggio non molto lontano da Saragozza, nel 1511. Poco sappiamo sui primi anni della sua vita. L’ambiente spagnolo, nel quale a lungo avevano convissuto cristianesimo, ebraismo e islam, influì certamente nella sua formazione e nella scelta antitrinitaria, la sola che potesse adattarsi al suo progetto irenista di riunificare le grandi religioni monoteiste. In Spagna, Serveto venne in contatto anche con il pensiero erasmiano, portato dall’entourage di Carlo, re di Spagna e Imperatore, quando il sovrano si trasferì in Castiglia nel 1522. Il seguito dell’Imperatore era infatti composto da molti dignitari olandesi ammiratori di Erasmo; grazie a loro, le opere del grande umanista e teologo nato a Rotterdam, giunsero in terra iberica e per circa un decennio, dal 1522 al 1532, Erasmo godette di notevole popolarità in Spagna.
La prima svolta nella vita di Serveto avvenne quando, ancora quattordicenne, entrò a servizio di Juan de Quintana, francescano minorita ed eminente membro delle Cortes d’Aragona. Quintana era un uomo dall’indole pacifica vicino allo spirito erasmiano e la sua influenza fu certamente da stimolo alla precoce curiosità del giovane Serveto.
Tra il 1528 e il 1530, Serveto fu mandato a studiare legge presso l’università di Toledo. Qui, tuttavia, più che al diritto il giovane si appassionò agli studi biblici, in particolare alla lettura del Nuovo Testamento.
Il Quintana nel frattempo era stato nominato confessore di Carlo V e dovette recarsi in Italia per l’incoronazione dell’imperatore da parte del papa. Si trattava di un evento importante perché segnava il ritorno alla concordia dei due grandi poteri universali. Per l’occasione, Quintana aveva richiamato a sé Serveto e insieme assistettero alla solenne cerimonia svoltasi a Bologna il 24 febbraio 1530. Ma il giovane spagnolo restò profondamente disgustato dalla corte papale e scelse di abbandonare il servizio presso Quintana per sviluppare una visione del cristianesimo eterodossa che gli avrebbe assicurato, ben presto, un’accusa di eresia unanimemente sostenuta sia dai cattolici sia dalle chiese riformate.
Basilea e il De Trinitatis erroribus

Lasciato il Quintana, Serveto andò a Basilea, probabilmente nella speranza di incontrare Erasmo. In realtà, l’umanista olandese aveva già abbandonato la città in seguito alla rivolta del 1529, guidata dal riformatore Ecolampadio e sfociata nell’abolizione della messa e nella distruzione delle immagini sacre.
A Basilea, Serveto fu ospite di Ecolampadio, tuttavia i rapporti con il riformatore svizzero evolsero verso una crescente diffidenza e ostilità man mano che il giovane spagnolo illustrava le sue tesi che ad Ecolampadio apparvero ben presto come una riproposizione dell’antica eresia ariana. Il giovane spagnolo stava infatti già iniziando a pensare alla sua prima e sconvolgente opera De Trinitaris erroribus, ovvero sugli errori della Trinità.
Serveto aveva già acquisito una vasta cultura tale da padroneggiare i testi biblici in greco e in ebraico e citare con autorità molti filosofi e teologi medievali. A Basilea, il giovane spagnolo poté approfondire lo studio dei due Padri della chiesa preniceana che più influenzarono il suo pensiero: Ireneo e Tertulliano.
Serveto rielaborò queste letture per trovare una soluzione al problema della Trinità. Come abbiamo accennato, in Spagna aveva notato come, per ebrei e musulmani, la Trinità costituisse un aspetto della religione cristiana di difficile comprensione e una concessione al politeismo . Di conseguenza, per Serveto, rimuovere questo dogma, che a suo avviso non aveva base scritturale, significava riaprire la possibilità di una diffusione universale del cristianesimo. La spinta del giovane spagnolo verso l’antitrinitarismo aveva origine anche da una profonda riflessione spirituale, poiché, come scrisse Bainton egli lottava con le immensità e cercava di capire la relazione dell’uomo con l’eterno.
Per Serveto la soluzione al problema della Trinità era valorizzare l’umanità di Cristo, il quale se fosse Dio, potrebbe esserlo solo nel senso in cui un uomo è capace di essere Dio. Cristo aveva infatti dimostrato come l’uomo potesse essere elevato a Dio e in tal modo condividere con Dio la vita eterna. L’idea di Serveto era generata da una enorme fiducia nell’uomo che il giovane spagnolo mutuava dal pensiero umanista e rinascimentale. Per Serveto, inoltre, lo Spirito Santo non era una Persona della Trinità, ma l’emanazione dello spirito di Dio; scriverà infatti:
Il Santo Spirito non è un essere distinto. […] Come Dio è chiamato la sorgente dell’essere universale, così Egli è chiamato la sorgente di luce. Viene chiamato il Padre delle luci. Io non vedo questa luce come affermazione di una qualità. Egli manda la Sua luce a noi e questa è Dio stesso. Egli manda il suo spirito a noi e questo è Dio stesso […] A parte quindi lo spirito di Dio in noi non c’è nessun Santo Spirito.
Il pensiero di Serveto non poteva che suscitare la preoccupazione di Ecolampadio, che scrisse al suo ospite spagnolo per manifestargli le sue critiche:
Vi lamentate che sono troppo rigido. Ho buone ragioni. Voi sostenete che Chiesa di Cristo da lungo tempo si è staccata dalle fondamenta della fede. Voi accordate più merito a Tertulliano che all’intera Chiesa. Negate una persona in due nature e negando che il Figlio sia eterno negate anche la necessità che il Padre sia eterno. Avete sottoposto una confessione di fede che solo i semplici e gli ignari potrebbero approvare, mai ho in abominio i vostri sotterfugi […]. Sarò paziente in altre cose ma quando Cristo è bestemmiato, no!
I rapporti con il riformatore di Basilea erano ormai compromessi e Serveto capì che era il momento di abbandonare la città. Si mise in cerca di un luogo tollerante dove potesse sviluppare le proprie idee: scelse Strasburgo.

 

Alla ricerca di un luogo dove poter professare le proprie idee

Giunto a Strasburgo, Serveto riuscì a stampare il suo De Trinitaris erroribus presso lo stampatore Johannes Setzer. Ovviamente nella stampa non apparivano né il luogo né il nome dello stampatore.
Quando pubblico il testo Serveto aveva solo vent’anni, ma come abbiamo visto il De Trinitatis erroribus era frutto di lunghi studi e riflessioni da parte del giovane spagnolo, una ricerca che Serveto continuerà per tutta la vita.
A Strasburgo il testo ebbe inizialmente una discreta accoglienza e non mancarono dei sostenitori. Il riformatore della città, Bucero, ebbe inizialmente un atteggiamento tollerante verso Serveto, ma successivamente, stimolato dalle lettere di Ecolampadio, si decise a fare una confutazione pubblica dell’opera. Da quel momento, la disapprovazione fu generale e i magistrati civili decisero di bloccare la vendita del testo a Strasburgo.
Su consiglio di Bucero, Serveto dovette abbandonare anche la città imperiale e tornare a Basilea. Anche nella città svizzera, tuttavia, il giovane spagnolo non poteva aspettarsi un’accoglienza favorevole dal momento che Ecolampadio aveva già provveduto a convincere il Consiglio Cittadino a vietare l’opera. Serveto chiese il permesso di restare in città e inviò ad Ecolampadio un appello per la libertà religiosa:
Se mi trovate in errore in un punto, non dovreste a causa di ciò condannarmi su tutto, perché in base a questo non c’è mortale che non debba esser bruciato mille volte, poiché noi conosciamo in parte. Anche i più grandi tra gli apostoli qualche volta sbagliavano. Anche se vedete Lutero fare errori madornali in qualche punto non lo condannate per il resto […]. Tale è l’umana fragilità che noi condanniamo gli spiriti degli altri come impostori e irriverenti e facciamo eccezione per il nostro, poiché nessuno riconosce i propri errori […]. Vi supplico, per amor di Dio, risparmiate il mio nome e il mio onore […]. Voi dite che considero tutti ladroni e che non tollero che nessuno sia punito o ucciso. Dio Onnipotente mi è testimone che questa non è la mia opinione e la detesto ma, se ho mai detto qualcosa, è che ritengo cosa grave uccidere gli uomini perché sono in errore su qualche punto d’interpretazione scritturale, quando sappiamo che anche gli eletti possono essere sviati.
Serveto cercò quindi di alleggerire le posizioni espresse nel De Trinitatis erroribus considerandole non erronee, ma immature; a tal fine pubblicò, sempre presso Setzer, i Dialogorum de Trinitate libri duo. In pratica però, Serveto ritratta ben poco del precedente lavoro, limitandosi per lo più ad aggiustamenti terminologici. La novità del nuovo testo sta soprattutto nel tentativo di mediare le posizioni tra diverse chiese riformate, in particolare sul tema più dibattuto, quello della Santa Cena. Serveto scelse una posizione intermedia tra svizzeri e luterani, sostenendo che il corpo di Cristo viene mangiato in modo mistico e che si parla del pane come del corpo di Cristo solo in modo figurato.
Il tentativo di mediazione si concluse in maniera opposta a quanto auspicato: l’unica cosa su cui tutti concordarono fu nel condannare le opere dello spagnolo.
Lutero attaccò la posizione antitrinitaria “convinto che non ci debba opporre alla parola di Dio e alle sacre scritture” ed era preoccupato che simili opinioni pericolose si diffondessero in Italia provocando “terribili abomini”.
Da parte cattolica fu l’avversario di Lutero alla dieta di Worms, Girolamo Aleandro, a sostenere di non aver “mai visto o letto nulla di più nauseante” del De Trinitatis erroribus. Aleandro auspicava, inoltre, che Luterani o zwingliani provvedessero a punire lo spagnolo poiché “egli si oppone tanto alla loro professione quanto a quella cattolica”.
Insieme agli attacchi verbali contro Serveto si mosse anche l’inquisizione spagnola che mandò in Germania il fratello Juan con il compito di intrappolarlo.
Condannato da riformatori e cattolici, l’eretico spagnolo non aveva più posto dove fuggire tanto che pensò di scappare in America. La decisione fu infine quella di cambiare nome: Michele Serveto divenne Michel De Villeneuve, chiara allusione al suo villaggio natale Villanueva.

 

Michel de Villeneuve

Serveto, divenuto Michel de Villeneuve, si recò a Parigi. Qui, come in quasi tutta Europa, la libertà religiosa andava diminuendo e la lotta all’eresia impegnava oltre al clero locale anche i tribunali secolari, in particolare proprio il parlamento parigino.
Negli stessi anni era presente nella capitale francese anche Giovanni Calvino e fra i due pare ci fu un appuntamento a cui Serveto scelse, forse per prudenza, di non presentarsi.
Verso la fine del 1534, il clima di crescente intolleranza convinse lo spagnolo a lasciare Parigi per recarsi a Lione, centro commerciale ed editoriale più aperto alle idee riformate. Qui Serveto trovò impiego come correttore di bozze e redattore presso la casa editrice Trechsel, tra le opere curate dallo spagnolo spicca la Bibbia di Sante Pagnini nel 1542 e due edizioni della Geografia di Tolomeo, la prima nel 1535 la seconda sei anni più tardi. Serveto affrontò il compito di curare l’edizione del testo tolemaico con grande diligenza, inserendo nel testo corposi commenti che descrivevano i vari popoli nei loro usi e costumi.
Tra le due edizioni della Geografia, Michel De Villeneuve era nel frattempo divenuto medico. La decisione di studiare medicina era dovuta all’incontro con Symphorien Champier. Illustre medico, umanista e divulgatore del neoplatonismo, Champier fu tra le più esuberanti figure del Rinascimento. Serveto, che lo conobbe mentre lavorava presso la casa editrice dei Trechsel, prese le parti di Champier nella disputa che aveva con il collega tedesco Leonhart Fuchs scrivendo l’opuscolo Brevissima apologia pro Campeggio in Leonardum Fuchsum. Nell’opera l’eretico di Villanueva non esitava ad attaccare Fuchs per la sua fede luterana, sottolineando che la salvezza non avviene esclusivamente per fede senza le opere.
Su consiglio di Champier Serveto andò a Parigi a studiare medicina. Nella capitale francese Michel De Villeneuve si rilevò un ottimo studente tanto da far dire al suo maestro Johann Guenther “ Egli è portato per ogni branca della letteratura e riguardo a Galeno non è secondo a nessuno”.
Mentre studiava medicina, Serveto si manteneva con lezioni e pubblicazioni. Tra le materie che padroneggiava vi era l’astrologia e questo gli costò le critiche del decano della facoltà di Medicina. Lo spagnolo non esitò a pubblicare a sua difesa l’Apologetica disceptatio pro astrologia e a farla stampare. L’opera gli valse una denuncia al parlamento parigino e De Villeneuve decise di presentarsi spontaneamente in quell’assise per difendere le sue tesi e dichiararsi buon cristiano, nonostante sapesse che, se fosse stata scoperta la sua vera identità, sarebbe finito certamente al rogo. Alla fine il Parlamento parigino ritirò e confiscò la Apologetica disceptatio, ma non vi furono ulteriori conseguenze per De Villeneuve.
Il frutto più importante degli studi parigini fu la scoperta della circolazione polmonare del sangue, che Serveto intuì per primo in occidente. Lo spagnolo si rese conto che l’arteria polmonare era troppo grande per alimentare i polmoni come sostenevano i greci e capì che servisse in realtà ad ossigenare il sangue. Vediamo come lo spagnolo descrive la sua scoperta:
Lo spirito vitale è generato da una miscela che si forma nei polmoni, fatta di aria inspirata e sangue purificato che viene trasmesso dal ventricolo destro a quello sinistro. La trasmissione, comunque, non avviene come si pensa attraverso la parete mediana del cuore ma, tramite un elaborato sistema, il sangue purificato viene spinto dal ventricolo destro del cuore all’interno dei polmoni attraverso un lungo percorso. Viene trattato dai polmoni e reso brillante. Dall’arteria polmonare viene trasferito alla vena polmonare. Poi nella vena polmonare si mescola con l’aria inspirata ed è purgato dai suoi vapori con l’espirazione […] oltretutto non è semplicemente aria ma aria mescolata al sangue che viene spinta dai polmoni al cuore attraverso la vena polmonare, cosicché la miscela avviene nei polmoni e il colore brillante viene conferito al sangue spiritoso (arterioso) dai polmoni, non dal cuore.
E’ da sottolineare che Serveto fece la descrizione della scoperta in un opera teologica, la Christianismi Restitutio. Per lo spagnolo, infatti, la fisiologia umana non era che un aspetto del disegno divino e coglierlo non era altro che una tappa della sua tormentata ricerca spirituale.
Se l’anima era stata soffiata da Dio all’uomo come narra il testo biblico, la respirazione trasferiva il soffio divino nel sangue. La respirazione era un tutt’uno con la rigenerazione spirituale e Serveto sosteneva che “proprio come Dio fa arrossire il sangue per mezzo dell’aria, così Cristo fa brillare il Santo Spirito”. Nella visione dello spagnolo tutto era interconnesso e scoprire i segreti della respirazione significava percepire il respiro di Dio.

 

La restaurazione del cristianesimo

Completati gli studi a Parigi, Serveto iniziò ad esercitare la professione medica e nel 1540 si trasferì a Vienne, un sobborgo di Lione. La decisione di stabilirsi a Vienne fu propiziata dell’arcivescovo Pierre Palmier, che a Parigi aveva frequentato lezioni di geografia di Serveto e che decise di sostenere lo spagnolo ed ospitarlo nel palazzo vescovile. Inoltre, qui Serveto poté continuare a collaborare con gli editori Trechsel, che proprio a Vienne avevano aperto una seconda stamperia. Nel sobborgo lionese, Serveto rimase dodici anni e visse il periodo più tranquillo della sua vita. Grazie alla sua professione di medico e alla sua vasta cultura, si guadagnò il rispetto dei notabili della cittadina, che mai avrebbero immaginato che Michel De Villeneuve fosse in realtà il pericoloso eretico Michele Serveto e che, mentre viveva nel palazzo del vescovo, stesse componendo un’opera radicalmente eterodossa come Christianismi Restitutio. Infatti, pur mascherandole con un atteggiamento prudente e nicodemitico, lo spagnolo non aveva certo abbandonato le proprie idee e le riproponeva con forza proprio in questa nuova opera. Oltre che ribadire la scelta antitrinitaria, Christianismi Restitutio abbracciava nuove influenze, in particolare, il neoplatonismo che aveva appreso da Symphorien Champier e l’anabattismo, con il quale era venuto in contatto durante il soggiorno a Strasburgo.
Christianismi Restitutio, ovvero il ritorno o la restaurazione del cristianesimo, richiamava già dal titolo un tema caro ad Erasmo e agli umanisti, ma anche al mondo anabattista, ossia quello del ritorno all’originario messaggio evangelico.
L’apporto delle idee neoplatoniche, suggerì a Serveto l’idea di un Dio, immagine dell’Uno assoluto, che si esprimeva mediante una perenne emanazione di intermediari, quali la ragione, la sapienza e la parola, comparabili a raggi di luce. Dio inoltre è presente in tutte le forme ed entità:
Poiché Egli contiene in Se stesso l’essenza di tutte le cose, Egli Si mostra a noi come fuoco, pietra, elettro, verga, fiore e così via. Non è Lui che è mutato, è la pietra che è vista in Dio. E’ una vera pietra? Sì, Dio nel legno è legno, in una pietra Egli è pietra, avendo in Se stesso l’essenza della pietra, la forma della pietra, la sostanza della pietra. Io, dunque, considero questa una vera pietra avendo essa l’essenza della forma, benché manchi della materia della pietra.
Per questi passaggi Serveto fu considerato panteista. Bainton, invece, preferì definirlo un emanazionista, sostenendo che per Serveto Dio conferisce esistenza, essenza, peculiarità a tutto ciò che è ed è così che Dio sostiene tutte le cose.
Oltre al neoplatonismo, l’altra novità presente in Christianismi Restitutio è l’anabattismo che, come abbiamo visto, si palesa fin dal titolo dell’opera. La chiesa anabattista infatti può essere definita quella della Restaurazione e questo termine servì da titolo a numerosi opuscoli.
Il battesimo ha per Serveto un ruolo fondamentale nel redimere l’uomo ed aprirgli la strada della resurrezione. Per l’importanza cruciale che riveste il battesimo, lo spagnolo pensa che debba essere impartito agli adulti, anche perché, per Serveto, i bambini nascono innocenti e solo intorno ai vent’anni mangiano il frutto dell’albero del bene e del male e diventano suscettibili alle tentazioni diaboliche. Per lo spagnolo il battesimo doveva essere quindi impartito solo verso i trent’anni, secondo l’esempio di Cristo.
L’avversione al pedo-battesimo non poteva che accrescere l’ostilità non solo del mondo cattolico, ma di tutte le chiese riformate. Serveto non poté però rassegnarsi a quest’evidenza e volle provare a partecipare con le proprie idee al dibattito intorno alla religione cristiana. Incredibilmente scelse di stabilire una corrispondenza con un riformatore che aveva delle idee radicalmente opposte alle sue.
Fu per la stima personale che aveva verso Giovanni Calvino che gli fece credere di poter convincere con le proprie teorie il padre della Riforma ginevrina.
Ma colui che nel 1536 aveva pubblicano Istituzione della religione cristiana era freddo e logico, mentre l’autore del Christianismi Restitutio era ardente e appassionato; il riformatore di Ginevra credeva alla predestinazione, lo spagnolo era un convinto assertore del libero arbitrio; Calvino aveva una concezione di Dio e dell’uomo teocentrica ove vi era un Dio immenso ed inarrivabile contrapposto ad uomo totalmente indegno, Serveto aveva concezione antropocentrica e cristocentrica, poiché credeva che l’uomo potesse innalzarsi a Dio tramite l’esempio di Cristo.
Tutto insomma divideva questi uomini e ben presto si sarebbe giunti a quello che Bainton definì il confronto tra la Riforma e il Rinascimento e fra l’ala destra della Riforma e quella sinistra.
Uno scontro che si sarebbe rilevato fatale per l’eretico di Villanueva.
La corrispondenza tra Serveto e Calvino ebbe inizio nel 1546. Lo spagnolo rilevò fin da subito
la sua vera identità, ma continuò ad usare lo pseudonimo Michel De Villeneuve.
Serveto tentò di convincere Calvino su cristologia e battesimo infantile, ma le posizioni dei due parvero fin da subito inconciliabili. La corrispondenza continuò con lo scambio delle opere più significative: Calvino mandò l’Istituzione della religione cristiana e Serveto la Christianismi Restitutio. Fu allora che avvenne la rottura finale tra i due, poiché lo spagnolo restituì l’Istituzione al mittente con note e commenti offensivi, mentre Calvino si rifiutò di rispedire a Serveto la Christianismi Restitutio. Serveto allora inviò circa trenta lettere per chiedere la restituzione del manoscritto, finché Calvino non si convisse che lo spagnolo fosse un satana mandato a fargli perdere tempo. Il riformatore di Ginevra parlò dello spagnolo anche in una missiva indirizzata a Farel:
Serveto, assieme alle sue lettere, mi ha appena inviato un lungo volume con i suoi vaneggiamenti. Se acconsento verrà qui ma non farò alcuna promessa poiché, se mai dovesse venire e se la mia autorità vale qualcosa, non gli consentirò di ripartire vivo.
Calvino dimostrava di aver emesso il suo giudizio definitivo su Serveto. Per lo spagnolo l’ultima possibilità di aprire un dialogo con il mondo protestante era definitivamente tramontata.

Una duplice condanna

Perso il manoscritto inviato a Calvino, Serveto aveva conservato un’altra bozza o almeno delle annotazioni del Christianismi Restitutio e decise di provare a pubblicare l’opera.
In primis provò a contattare Martin Borrhaus di Basile, ma al rifiuto dello svizzero riuscì a trovare proprio a Vienne una stamperia disposta a correre il rischio di stampare l’opera. Si trattava di quella dei cognati Balthazar Arnoullet e Guillaume Guéroult di Lione, che avevano a Vienne una succursale.
L’opera venne stampata a spese dell’autore nella massima segretezza e man mano che si procedeva con la stampa veniva bruciato il manoscritto. La stampa fu completata il 3 gennaio del 1553 con una tiratura di mille copie, di cui, alcune furono inviate a Francoforte, altre a Ginevra. Tra queste, una finì nelle mani di un amico di Calvino, un certo Guillaume Trie, che era in corrispondenza con suo cugino cattolico di Lione, Antoine Arneys. Trie scrisse allora al cugino per denunciare la presenza di Serveto a Vienne:
Voi tollerate un eretico che ben meriterebbe di essere bruciato ovunque egli si trovi. Ho in mente un uomo che verrà condannato tanto dai papisti quanto da noi, o almeno così dovrebbe essere. Perché sebbene siamo diversi in molte cose, abbiamo questo in comune, che nell’unica essenza di Dio ci sono tre persone e che il Padre ha generato suo figlio che è eterna Sapienza da ogni eternità e che ha ricevuto la sua eterna potenza che è lo Spirito Santo. […] L’uomo di cui parlo è stato condannato da tutte le chiese che tu ammonisci, tuttavia voi lo tollerate e anzi gli consentite di stampare i suoi libri che sono così pieni di bestemmie che non devo dire altro. E’ uno spagnolo portoghese, di nome Michele Serveto. Questo è il suo vero nome, ma oggi si fa passare per Villenuefve e fa il medico. Ha risieduto a Lione per qualche tempo. Ora è a Vienne, dove è stato stampato il suo libro presso un certo Balthazar Arnoullet, e perché tu non pensi che parlo senza prove, ti mando il primo foglio.
Alla missiva erano allegati i primi quattro fogli della Christianismi Restitutio. Il cugino calvinista dimostrava di conoscere bene la doppia identità di Serveto, forse svelata dallo stesso Giovanni Calvino.
Arneys, il cugino cattolico, denunciò subito Serveto e lo stampatore all’inquisitore del tribunale vescovile Mathieu Ory, che valutò le carte giunte da Ginevra e iniziò a cercare ulteriori prove.
De Villeneuve fu interrogato e la sua casa perquisita, ma l’inquisitore non riuscì a dimostrare la colpevolezza dello spagnolo.
Venne consultato l’arcivescovo di Vienne, Pierre Palmier, un tempo benefattore di Serveto, che sottolineò l’insufficienza delle prove contro De Villeneuve. Alla fine il cugino cattolico Arneys decise di chiedere al cugino calvinista Trie ulteriori prove. Il ginevrino spedì allora il manoscritto originale della Christianismi Restitutio consegnatogli da Calvino in persona. Ma Mathieu Ory non era ancora del tutto convinto e fu così, che da Ginevra arrivò l’intera corrispondenza tra Serveto e Calvino, nella quale lo spagnolo rilevava apertamente la sua doppia identità. I protestanti ginevrini avevano fornito al tribunale cattolico prove schiaccianti e il 4 aprile 1553 venne ordinato l’arresto di Serveto e dello stampatore Arnoullet.
Il giorno seguente iniziarono gli interrogatori. All’inizio Serveto riuscì a difendersi molto bene, ma man mano che l’inquisitore gli mostrava i documenti arrivati da Ginevra, per Serveto appariva sempre più complicato discolparsi. Quando ormai la condanna appariva sicura, Serveto riuscì incredibilmente a salvarsi ancora una volta. Il 7 aprile saltò dal terrazzo della prigione e riuscì a fuggire illeso. I tentativi di riacciuffarlo furono vani, ma il processo andò avanti. Il 17 giugno, Villeneuve alias Serveto, venne dichiarato colpevole per eresia, sedizione, ribellione ed evasione e condannato al rogo . In mancanza del condannato, la sentenza venne eseguita in effige.
Sfuggito da una morte certa a Vienne, Serveto venne riconosciuto e arrestato a Ginevra il 13 agosto 1553. Gli storici si sono chiesti a lungo perché Serveto andò proprio nella città di Giovanni Calvino, suo principale accusatore. E’ probabile che lo spagnolo fosse solo di passaggio e meditasse di recarsi in Italia. Alcuni storici calvinisti, per giustificare la successiva condanna, hanno ipotizzato che Serveto fosse in combutta con gli oppositori libertini di Calvino e preparasse addirittura un colpo di stato. La tesi appare però totalmente priva di reali prove e poco realistica, come spiega bene Bainton nella biografia di Serveto.
In ogni caso, la decisione di recarsi a Ginevra si rilevò fatale per lo spagnolo, perché le idee di Calvino sulla lotta all’eresia non erano troppo diverse da quelle dei cattolici. Infatti il riformatore scriveva:
Poiché i papisti perseguitano la verità, dovremmo noi a causa di ciò trattenerci dal reprimere l’errore? Come disse sant’Agostino, non è la pena che fa il martire, ma la causa. Senza dubbio nei primi tempi non si usava la spada in nome della Chiesa perché a quel tempo si operavano miracoli. Certamente Cristo non usò la spada ma Pietro agì nello spirito di Cristo quando fece morire Anania, e il suggerimento di Gamaliele che invitò ad attendere i fatti prima di esercitare la repressione era il parere di un cieco. Il consiglio di lasciare la zizzania fino al tempo del raccolto era motivato solo dall’attenzione verso il grano.
Da queste parole si evince che per Serveto, dopo la prima condanna a morte ad opera dei cattolici, ne sarebbe presto seguita una seconda, stavolta ad opera dei protestanti.
6. L’ultimo scontro con Calvino
Per permettere l’arresto di Serveto secondo la legge ginevrina, l’accusatore doveva andare in prigione insieme allo spagnolo, finché la colpa dell’indagato non fosse dimostrata. A questo scopo, Calvino mandò in carcere il suo segretario Nicolas de la Fontaine che portò con sé, in qualità di accusatore, le opere di Serveto, in particolare il Christianismi Restitutio sia nella versione manoscritta che in quella stampata. In base a questi primi elementi il 15 agosto iniziarono gli interrogatori e Nicolas de la Fontaine poté uscire dal carcere perché al suo posto si consegnò Antoine, fratello di Calvino.
Su Serveto pendevano ben trentanove capi d’accusa, successivamente ridotti nel corso del processo. Gli venivano rimproverate le sue dottrine, in particolare il panteismo, la posizione antitrinitaria, le idee su battesimo e immortalità e il suo atteggiamento insolente verso Melantone e la chiesa di Ginevra. Lo stesso Giovanni Calvino si presentò in tribunale il 21 agosto per sostenere queste accuse. Il giorno seguente venne deciso di scrivere a Vienne per avere il resoconto del precedente processo e di informare le altre città svizzere.
Qui termina una prima della fase del processo e inizia la seconda fase che vede in scena il pubblico accusatore Rigot.
Serveto fece appello al Consiglio cittadino, sostenendo che ai tempi di Costantino la massima pena per l’eresia era l’esilio. Rigot rispose che, in realtà, anche Costantino e gli imperatori cristiani giustiziavano gli eretici e l’appello alla tolleranza di Serveto era in realtà un’ammissione di colpa.
Mentre continuavano gli interrogatori, arrivò dal tribunale vescovile cattolico la sentenza del primo processo. A Serveto venne quindi chiesto se preferisse essere rimandano a Vienne, ma lo spagnolo chiese di essere giudicato a Ginevra.
A questo punto il pubblico accusatore uscì di scena e si concluse anche la seconda fase del processo, la fase successiva vedrà un confronto diretto tra Serveto e Calvino.
Vi fu tra i due uno scambio di pamphlet in latino. Nel suo scritto Calvino rimproverò allo spagnolo tutte le sue eresie. Serveto replicò con fierezza, attaccando la dottrina della predestinazione e paragonando il riformatore di Ginevra a Simon Mago, che si riteneva fosse il padre della dottrina della predestinazione.
Il 5 settembre, il Consiglio sospese il processo e inviò la documentazione alle città svizzere per avere la loro opinione. A questo punto, Serveto scrisse una serie di suppliche al Consiglio di Ginevra, sottolineando, a suo avviso, l’inconsistenza delle accuse, la mancanza di un difensore, le pesanti condizioni della sua prigionia. Successivamente, lo spagnolo nelle sue missive accusò Calvino di aver prodotto false accuse e di aver collaborato con i giudici cattolici per farlo processare a Vienne. L’eretico di Villanueva, continuò scrivendo contro il suo avversario un vero e proprio atto di accusa:
Messieurs, ci sono quattro infallibili ragioni per le quali Calvino dovrebbe essere condannato:

1. La prima è che una questione dottrinale non dovrebbe essere soggetta a un’azione penale, come posso dimostrare con gli antichi dottori della chiesa.
2. La seconda è che egli è un accusatore falso.
3. La terza è che con le sue vane e calunniose motivazioni egli si oppone alla verità di Gesù Cristo.
4. La quarta è che egli segue in larga misura la dottrina di Simon Mago, quindi, in quanto stregone, dovrebbe non solo essere condannato ma sterminato e cacciato dalla città e i suoi beni dovrebbero essere accordati a me per ricompensare quelli sottrattimi.

Michele Serveto giudice della propria causa.
Il processo a Serveto, intanto, diveniva un caso nazionale e Ginevra chiese un parere ai Consigli di Ginevra, Berna, Basilea e Sciaffusa. Le città della Confederazione furono unanimi nel condannare l’eretico spagnolo pur non indicando la pena da adottare. L’unica voce dissenziente fu quella dell’esule italiano Vergerio, il quale, scrisse il 3 ottobre a Bullinger, dichiarando di non ritenere che contro Serveto dovessero essere usate fuoco e spada e che una condanna dello spagnolo avrebbe finito col favorire i papisti.
Con il consenso delle altre città svizzere, ormai nulla si opponeva alla condanna a morte di Serveto.
La sentenza venne emessa il 27 ottobre 1553. E’ interessante notare che dei molti capi d’accusa solo due vennero considerati ammissibili: l’antitrinitarismo e l’antipedobattismo. Si trattava di due antiche eresie condannate dal Codice Giustinianeo, mentre non vi era traccia nella sentenza di reati politici.
Serveto e Calvino ebbero un ultimo colloquio, senza tuttavia riuscire a riconciliarsi. Lo spagnolo, nel timore di ritrattare il suo credo, chiese di poter essere ucciso con la spada e non bruciato, ma la richiesta venne rifiutata.
La sentenza fu eseguita a Champel. Serveto venne posto su una catasta di legna verde e incoronato con paglia e foglie cosparse di zolfo. Venne legato al palo con una catena di ferro, mentre alla coscia destra gli venne annodato il suo libro.
Quando venne acceso il fuoco, Serveto avrebbe gridato: “Oh Gesù, Figlio dell’Eterno Dio, abbi pietà di me!”. La morte sopraggiunse dopo mezz’ora di supplizio.
Ma la sua tragica fine non sarebbe stata dimenticata e la sua morte avrebbe dato lo spunto per l’avvio del dibattito sulla tolleranza.

Bibliografia

R. Bainton, Vita e morte di Michele Serveto, Roma, Fazi , 2012
C.Manzoni, Umanesimo ed eresia: Michele Serveto, Napoli, Giuda, 1974

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