Eliminati i costi di roaming in UE, primo passo verso la nuova Europa post Brexit ?

Come probabilmente già saprete in questi giorni, più precisamente il 15 giugno 2017, si è compiuto un attesissimo e importantissimo passo in avanti verso una sempre maggiore integrazione europea, ed il mercato telefonico “mobile” è diventato un mercato unico, o meglio, la rete europea sta progressivamente diventando una rete unica europea, comportando un progressivo abbattimento dei costi di roaming, ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire di cosa si tratta, e soprattutto perché su un sito “di storia” stiamo parlando di telefonia mobile e roaming internazionale.

Cominciamo con il dire che, fino a qualche tempo fa, e in un certo senso ancora oggi, ogni operatore di telefonia mobile ha due possibilità per restare in attività, le principali compagnie sono dotate di una propria rete costituita da un importante numero di ripetitori sparsi sul territorio nazionale in grado di coprire quasi ogni angolo del paese, mentre altri operatori più piccoli, si appoggiano alle reti di altri operatori, pagando una licenza di utilizzo che garantisce loro l’accesso a quella data rete. O almeno così era fino a qualche tempo fa.

Negli ultimi mesi, in seguito ad una serie di trattative ed accordi promossi dalla comunità europea, che hanno visto protagonisti gli operatori telefonici, più precisamente, la comunità europea ha promosso la creazione di una rete unica internazionale, in grado di abbattere eventuali costi di roaming, ovvero quei costi aggiuntivi che vanno ad aggiungersi alle tariffe di quegli utenti che per un motivo o per un altro si ritrovano ad utilizzare una rete diversa da quella del proprio operatore, e questo è particolarmente frequente quando ci si trova a lasciare i confini nazionali per motivi di svago o lavoro, poiché se non per poche eccezioni, le principali compagnie telefoniche mantengono reti nazionali separate tra loro, o meglio, mantenevano separate le proprie reti nazionali.

Con l’integrazione delle reti europee e la creazione di una rete unica europea tuttavia questi costi aggiuntivi sono destinati a sparire, permettendo quindi agli utenti di utilizzare i servizi offerti dal proprio piano tariffario oltre che sulla propria rete nazionale, anche all’estero. Tuttavia, la questione non finisce qui, e di fatto rete unica non significa aumento della concorrenza tra le compagnie telefoniche nazionali.

Secondo la nuova normativa che prevede l’abbattimento dei costi di roaming internazionale, all’interno dei 28 paesi della comunità europea a partire dal 15 giugno, questo azzeramento dei costi non sarà definitivo e permanente, impedendo quindi, che so, ad una persona che vive stabilmente in Francia di utilizzare come propria sim personale, una sim di un operatore italiano. Il periodo di azzeramento dei costi di roaming sarà limitato, nel senso che si potrà usufruire del “roaming internazionale gratuito” soltanto per un periodo limitato di tempo, dopo di ché, secondo le soglie stabilite dai vari operatori nazionali, gli utenti verranno contattati dai propri gestori telefonici ed aggiornati su eventuali limiti temporali. In ogni caso se ci si reca all’estero per qualche settimana o mese, non dovrebbe esserci alcun problema.

Questa soluzione, che di fatto va a fissare dei paletti all'”area di libera circolazione della telefonia mobile” è il vero motivo per cui ne stiamo parlando qui su historicaleye.

L’abbattimento dei costi di roaming, se fosse stato reso permanente sarebbe stato un “comunissimo” allargamento del mercato, permettendo alle varie compagnie nazionali di irrompere su mercati stranieri con prezzi e servizi potenzialmente competitivi, come è già accaduto in passato con la creazione di altre aree di libero commercio, e in un certo senso questo sarebbe il principale scopo della comunità europea, ovvero creare un area di libera circolazione di merci, beni, persone e servizi, tuttavia, negli ultimi anni ci si è resi conto che le economie che compongono l’Unione Europea, non sempre sono integrate o integrabili e spesso sono concorrenziali ed i recenti avvenimenti legati al Brexit ne sono un chiaro esempio.

Per porre rimedio a questa “crisi europea” e in un certo senso anche internazionale, da diverso tempo si stanno studiando ed ipotizzando nuove soluzioni, che possano permettere l’esistenza di un libero mercato e allo stesso tempo, proteggano gli interessi delle singole nazioni.
La nuova rete europea, e il roaming zero (limitato nel tempo) rappresenta il perfetto punto di incontro tra una strategia liberale ed una protezionista, andando in contro alla circolazione, favorendo la mobilità e la circolazione di servizi e soprattutto persone, ma allo stesso tempo, proteggendo le singole nazioni da potenziali competitors “troppo competitivi”. La data del 15 giugno era stata annunciata da diversi mesi ormai, e potrebbe segnare il passo verso una “nuova europa”, e con una comunità europea alle prese con l’imminente Brexit, ed i numerosi negoziati che l’UE dovrà affrontare con il Regno Unito, non è da escludersi che la strategia “roeming zero” faccia scuola tracciando la strada dei futuri trattati tra l’Europa ed i suoi partner stranieri, e tra i vari membri della comunità europea.

 

Western Australia vota per l’indipendenza dal Commonwealth Australiano, ma dopo 83 non è ancora avvenuta

L’8 aprile 1933 il Western Australia è chiamato alle urne per votare un referendum secessionista per uscire dal Commonwealth Australiano, sorprendentemente i secessionisti riescono ad ottenere la vittoria e pure, quella secessione democraticamente votata, non è mai avvenuta.

Lo scorso 19 Agosto Jack Peacock ha pubblicato un interessantissimo articolo, ed una splendida analisi della vicenda, ispirato dai recenti avvenimenti del Brexit, per sollevare una questione importante. Più volte nella storia i movimenti secessionisti ed indipendentisti sono riusciti ad ottenere una votazione per una possibile indipendenza e se in alcuni casi questi sono riusciti effettivamente ad ottenere la vittoria e successivamente conquistare la tanto agognata indipendenza, altre volte, dinanzi alle urne, la popolazione ha scelto per il mantenimento dello status quo.
Ma c’è un caso, un precedente storico estremamente curioso ed interessante, quello del Western Australia, che, come già detto, l’8 aprile 1933 votò per la propria indipendenza, riuscendo a conquistare la vittoria, tuttavia il progetto secessionista sarebbe arenato a causa di una errata valutazione da parte del movimento u quello che sarebbe stato l’atteggiamento Britannico nei confronti del suo impero.
Vi lascio alla lettura della traduzione dell’articolo di Jack Peacock, accompagnandolo in chiusura con una mia chiusura al suo intervento.

Il referendum di quest’anno sulla partecipazione del Regno Unito dell’Unione Europea e quello tenutosi nel 2014 sull’indipendenza della Scozia sono solo gli ultimi di una lunga serie di eventi simili. Mentre la Scozia si è unito il Quebec (1995) votò per lo status quo, mentre altri, come la Norvegia (1905) e Montenegro (2006) hanno votato in favore della separazione. Un tema che sembra comune a tutti i referendum è che alla fine gli elettori ottenere ciò che votano per. Una maggioranza per la separazione significa separazione. Eppure ci sono eccezioni a questa regola. L’8 aprile del 1933, il Western Australia ha votato a favore della secessione dal Commonwealth Australiano, tuttavia, ancora oggi, a distanza di oltre ottanta anni, continua a farne parte.

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Vine dunque da chiedersi, cosa ha permesso di ignorare la volontà democraticamente espressa dal popolo? E che cosa ha significato per l’Australia e il suo rapporto con l’impero britannico?

Lo spirito indipendente del Western Australia è apparso nel momento in cui ha ottenuto il diritto all’auto-governo. Questo è avvenuto nel 1890, un anno dopo il discorso di federalizzazione iniziata. Non volendo rinunciare alla sua sovranità di nuova acquisizione, l’Australia Occidentale non ha partecipato alla convenzione costituzionale del 1891 e solo sporadicamente e senza troppa convinzione ha preso parte a convenzioni successive.

Il movimento secessionista ha sempre sostenuto che il Western Australia è stato educato al federatismo e in un certo senso questo è vero. E ‘stata una corsa all’oro a determinare da che parte sarebbe andato l’ago della bilancia. I coloni accorrevano da est, portando con se le proprie opinioni pro-federali, e quando hanno sentito che il governo australiano occidentale era contro la federazione, hanno dato il via ai vari movimenti separatisti. Così il Western Australia rappresentava una scelta per l’intera Australia: Rifiutare la federazione potenzialmente vedere le proprie terre, ricche di oro, staccarsi, alternativamente accogliere la federazione, significava mantenere la sua integrità territoriale. Hanno quindi optato per la federazione. Ma non ci volle molto tempo prima che gli australiani occidentali cominciassero a rimpiangere quella decisione.

Prima della fine del 1902, il parlamento australiano ascoltò i primi inviti ad una nuova proposta secessionista. Nel 1919, il Sunday Times (uno dei giornali più importanti del Western Australia) avevano assunto un atteggiamento apertamente secessionisti e si svolsero manifestazioni pubbliche. Il movimento ispirò politici, poeti e musicisti e ricevette anche il sostegno da parte dei governi della Tasmania e Sud Australia, che, proprio come il Western Australia, minacciavano referendum secessionistici. Quando l’elettorato del Western Australia andò alle urne, il 68 per cento dei votanti votò a favore della secessione.
Eppure la tanto attesa e votata secessione non è mai avvenuta. Nel giro di pochi anni la fede secessionista ha mandato in frantumi l’impero britannico e con esso il movimento secessionista australiano si sbriciolò.

Allo stesso tempo, come il referendum, il Western Australia ha tenuto elezioni statali. Nonostante l’enorme sostegno da parte del movimento, l’elettorato ha votato contemporaneamente contro il governo liberale pro-indipendenza per eleggere il partito laburista pro-unione, che prontamente cercò di mettere in stallo il processo di secessione. Ma il nuovo governo non riuscì a frenare completamente la scissione e dopo un anno di dithering, infine, portato avanti un piano per raggiungere l’indipendenza.
Il metodo che hanno scelto per raggiungere questo obiettivo è stata la realizzazione di una petizione di 500 pagine pieno di mappe, argomenti e la volontà democraticamente espressa dal popolo. L’idea era quella di consegnare questa petizione al Parlamento britannico che, si suppone, dovrebbe approvare una legge che concedeva loro l’indipendenza. Una delegazione guidata da Keith Watson, presidente della Lega secessionista Dminion, lasciò Perth per Londra con molto clamore e tutti si aspettavano che le cose sarebbero andate avanti senza intoppi.
La petizione è stata presentata ad entrambe le Camere del Parlamento nel dicembre 1934 ed è stato formato un comitato congiunto per esaminarla. Ma il compito del comitato non era quello di giudicare i meriti del caso per la secessione; il suo compito è stato quello di determinare se il Parlamento britannico avesse o meno il diritto di ricevere la petizione. Questo è stato un terribile errore di valutazione da parte dei secessionisti nel giudicare l’atteggiamento della Gran Bretagna rispetto al suo impero.

La Conferenza Imperiale 1926 aveva portato alla Dichiarazione Balfour (che ha portato a 1931 Statuto di Westminster). La dichiarazione effettuata un passaggio importante; ha dichiarato la Gran Bretagna e le sue Domini:
comunità autonome all’interno dell’impero britannico, pari a stato, in alcun modo subordinata l’un l’altro in ogni aspetto della loro affari interni o esterni, anche se uniti da un comune fedeltà alla Corona, e liberamente associati in qualità di membri del Commonwealth britannico.
La Gran Bretagna aveva effettivamente rinunciato a qualsiasi controllo sui domini. Ciò significava che la Gran Bretagna non sarebbe più stata nella condizione di interferire. Il Comitato misto ha quindi respinto il ricorso del Western Australia perché semplicemente il parlamento britannico non aveva alcuna autorità per riceverlo. Il Western Australia avrebbe dovuto negoziare con il parlamento Australiano a Canberra, che tuttavia non era incline ad ascoltare.

“La storia ricorderà questo come la più grande e più spregevole abdicazione di tutti i tempi”

-Keith Watson

è stata la risposta di Keith Watson alla relazione della commissione mista. Anche l’anti-secessionista, il Premier di stato Filippo Collier sostenne che non era la fine della questione e ha predetto che se non fosse avvenuta un importante riforma costituzionale, il Commonwealth australiano non sarebbe durata altri dieci anni.
La lega Dminion non ha accettato immediatamente la relazione della commissione mista, continuando a fare pressioni e spingere per un dibattito Parlamentare. Tra gli altri fu interrogato anche il primo ministro Ramsay MacDonald, che non si pronunciò in risposta. Le autorità britanniche erano in fase di stallo e non successe nulla. Questa situazione scoraggiò Watson e la sua delegazione, che, una volta tornato in Australia promise di continuare la lotta, ma lo stato d’animo in Australia occidentale era cambiato.

Era iniziata una forte ripresa economica e l’opinione popolare aveva accusato l’incompetenza della delegazione Watson per la mancata indipendenza. Così, proprio come la vita in Australia occidentale ha cominciato a guardare ad un futuro più luminoso, la reputazione dei secessionisti era stata intaccata.

Nel 1935 La Lega Dominion propose un disegno di legge al parlamento australiano occidentale chiedendo una separazione unilaterale, ma l’interesse stava svanendo. Lo stesso anno, il Sunday Times annunciò un cambio di proprietà, con un nuovo editore ed una nuova ideologia di fondo. Senza il sostegno di questo giornale, il movimento di secessione si ridusse a nulla.
Se la Lega Dominionn avesse presentato una dichiarazione unilaterale di indipendenza già nel 1933, probabilmente il risultato sarebbe stato diverso, ma la storia non è fatta da se e da ma, non esistono alternative ed il passato non può essere modificato.

La leggerezza e la superficialità con cui il movimento secessionista portò avanti la sua battaglia, una battaglia che secondo il referendum era già stata vinta in partenza, portò il progetto indipendentista ad arenare, sbriciolando la fiducia nel movimento e il movimento stesso. Questi eventi rappresentano un importante lezione, ed un più che evidente precedente storico a situazioni analoghe, non basta vincere un referendum per ottenere quanto richiesto, ma continuare a lavorare seriamente e con impegno a quel progetto affinché questi dia i suoi frutti. In questo caso il movimento secessionista non ha svolto un buon lavoro, scontentando il proprio elettorato, non a caso, all’indomani della vittoria al referendum, lo stesso movimento non conquistò la presidenza.
Oggi, ad oltre un secolo dalle prime istanza indipendentiste, il Western Australia è ancora parte importante ed integrante del Commonwealth Australiano, i cui fermenti indipenentisti sono solo un lontano ricordo.

Articolo originale di Jack Peacock, pubblicato il 19 agosto 2016 sulla rivista History Tooday, Cliccare qui per leggere l’articolo originale in lingua inglese.