Ecco perché la Repubblica vinse al referendum del 2 giugno 1946

Ogni anno, il 2 giugno, quest’immagine viene condivisa a più riprese, e la maggior parte degli utenti si è soffermata sul dato “finale” del referendum, ovvero, la vittoria dei repubblicani rispetto ai monarchici, ma, se osserviamo più a fondo i dati, noteremo due cose, la prima e che la vittoria dei repubblicani rispetto ai monarchici è di “esattamente” 2 milioni di voti (12,718,019 contro 10,709,423), una vittoria minima ma comunque una vittoria. L’altro dato che emerge, ed è quello a mio avviso più interessante, è nella disposizione dei voti, possiamo infatti osservare come i repubblicani abbiano vinto prevalentemente nell’Italia settentrionale, e nelle regioni che hanno vissuto tra il 1943 ed il 1945 la guerra civile e l’occupazione nazista, la maggioranza dei repubblicani è stata particolarmente significativa.

Regioni come Toscana ed Emilia romagna , in cui la guerra civile è stata più aspra, e le rappresaglie naziste più numerose, questo dato è particolarmente evidente, quasi un milione e mezzo di repubblicani contro appena mezzo milione di monarchici, e sulla stessa linea, osserviamo un trionfo repubblicano anche le regioni di “frontiera” ad oriente, governate negli anni della guerra civile dal rifondato Movimento Fascista costituitosi nella Repubblica Sociale Italiana (la repubblica di Salò), quindi il lombardo veneto.
Diversamente, al sud della linea gotica, le regioni autogovernate e indipendenti, sotto il controllo del comitato di liberazione nazionale (CLN) quindi Umbria, Marche, in parte l’Abruzzo, e soprattutto il Lazio, la distanza tra repubblicani e monarchici è ridotta al minimo, soprattutto nel lazio dove la differenza è di appena 20 mila voti.
A Sud di Roma però, da Volturno (tra Caserta e Napoli) e Pescara, esisteva un altra linea di demarcazione, la “linea Gustav” che segnava il confine settentrionale della zona di occupazione Alleata.
Le regioni a sud della Linea Gustav, vivono gli anni della guerra civile sotto la guida del Re e del “governo legittimo” appoggiato dagli Alleati, e in queste regioni, lontano dagli eccidi e dalle rappresaglie naziste, in cui si soffriva prevalentemente il peso dei bombardamenti, (prima alleati e poi nazifascisti), al momento del referendum, si assisterà al nostalgico trionfo dei Monarchici, specialmente nelle regioni in cui la presenza alleata era stata più forte, come la Campania e la Sicilia.
Parzialmente fuori dagli schemi della penisola è il ruolo giocato dalla Sardegna, che, lontana dal continente, e in una posizione strategicamente poco significativa nello scacchiere bellico, soffrì pesantemente i bombardamenti(anche qui, prima alleati e poi nazifascisti) restando relativamente lontana dalla guerra civile.

In definitiva, osservando questi numeri, possiamo dedurre che, i due anni di guerra civile (tra il 1943 ed il 1945) abbiano fatto la differenza tra monarchia e repubblica.
Le stragi naziste, le rappresaglie e le immani sofferenze patite dall’Italia centro settentrionale e nord orientale, durante la guerra civile ha prodotto, nella maggior parte della popolazione, un sentimento di rancore nei confronti del re, e della casa reale, identificati come i principali responsabili dell’ascesa e dell’affermazione del fascismo, e in seguito, di quella spaccatura interna che avrebbe provocato la morte di migliaia di uomini, donne, anziani e bambini, durante la guerra civile.

Questa lunga premessa analitica è essenziale per affrontare il discorso “brogli” che spesso ritorna se si parla del referendum del 2 Giugno 1946 in cui gli italiani furono chiamati a votare per scegliere tra Monarchia e Repubblica.

Detto ciò,  è opportuno dire che i brogli in quel referendum vi furono, e in larga misura poiché furono rilasciate schede elettorali sulla base conformazione demografica dell’italia nel 1936/37 ovvero prima che iniziasse la guerra, e di conseguenza non si tenne (volutamente o incautamente) conto delle innumerevoli vittime, civili e militari, dei rifugiati politici fuggiti all’estero e dei deportati. Insomma, furono chiamati a votare piu’ italiani di quanti non ce ne fossero in italia (o all’estero). Questo squilibrio tra possivili votanti e votanti effettivi altera (piu’ o meno gravemente) il dato sull’affluenza, de facto ci fu un affluenza maggiore di quella effettivamente registrata, che però viene bilanciata dai voti fantasma, ovvero da quei voti registrati a nome di persone disperse o morte.

Detto questo, se si guarda alla conformazione dei voti e si analizzano storicamente le regioni in cui ha vinto la monarchia rispetto a quelle in cui ha vinto la repubblica, emerge un primo dato interessante -vi rimando al mio post linkato in alto per maggiori approfondimenti, ovvero che, nell’Italia meridionale, occupata dagli Alleati, in cui aveva ricominciato dal 43 a governare il re, vinse la monarchia, mentre nel resto d’italia, quell’Italia che dal 43 al 45 era stata vittima dell’occupazione nazista, in cui vi erano stati eccidi e stragi frutto della guerra civile, e il governo era rimasto quello “legittimo” del partito fascista guidato da Mussolini, lì vinse la repubblica. E in questo senso, le regioni in cui la guerra civile o la guerra di resistenza che dir si voglia, fu particolarmente intensa, come nel caso dell’Emilia Romagna o della Toscana, la vittoria repubblicana fu, per ovvie ragioni, schiacciante.

La distribuzione demografica dell’italia nell’immediato dopoguerra, ovvero dell’italia tra il 1945 ed il 1948, vedeva una “densità” di popolazione maggiore a nord di Roma, questo per numerosi motivi, va detto anche che il numero di nascite nell’Italia meridionale sarebbe cresciuto esponenzialmente nel ventennio successivo alla guerra, quindi tra il 1945 ed il 1965 circa, questo per innumerevoli ragioni che non è il caso di spiegare o analizzare (ma basta fare qualche rapida ricerca su google per constatare questi dati). Un Italia “repubblicana” maggiormente popolata di un italia “monarchica“, si traduce inevitabilmente nell’esito a noi noto, tuttavia, un eventuale passaggio alla repubblica implicava la perdita di numerosi privilegi sociali ed economici da parte della nobiltà, e dall’altra parte, in caso di conferma della monarchia, la vanificazione degli sforzi dei sostenitori della libertà e democrazia.

Queste “personalità” per ragioni in parte storiche (erano da sempre gli amministratori di un dato territorio), in parte politiche (erano eroi di guerra che avevano combattuto per la liberazione di quel territorio) erano distribuite un po ovunque, vi erano di fatto Repubblicani nel mezzogiorno e Monarchici nelle famose “regioni rosse“.
Ed è in quei luoghi specifici, e nelle loro immediate vicinanze che avvennero i brogli, sia da una parte che dall’altra, brogli che avvennero con il tacito consenso delle autorità locali, che ricordiamo essere un ufficiali dello stato ma che in quel momento non servirono lo stato, non compiendo il loro dovere, ma parteggiando apertamente per una delle parti, contribuendo a falsare l’esito del referendum. E di questi episodi avvennero sia nelle regioni “repubblicane” che in quelle “monarchiche”.

Scusate per lo sproloquio, ma odio quando si sfrutta e si distorce la storia per fare propaganda politica. Chi scrive articoli come quello citato forse non si rende conto del danno enorme che provoca, e delle immense difficoltà che produce, andando ad alimentare un flusso di informazioni falsate che rendono estremamente piu’ difficile la ricerca e la ricostruzione storica.
Come già ampiamente detto in passato, il compito dello storico è quello di epurare i fatti dalla propaganda, cercando di riprodurre il piu’ fedelmente e possibile determinati momenti e dinamiche.
Ho scritto questo post perché quell’articolo, per quella che è la mia idea di storia, è totalmente “antistorico”.

N.B. Ho realizzato questo articolo unendo due lunghi post pubblicati nel 2016 sulla pagina facebook di historicaleye in seguito alla pubblicazione su “il giornale” di un articolo in cui si denunciavano alcuni episodi di brogli avvenuti durante il referendum.

Western Australia vota per l’indipendenza dal Commonwealth Australiano, ma dopo 83 non è ancora avvenuta

L’8 aprile 1933 il Western Australia è chiamato alle urne per votare un referendum secessionista per uscire dal Commonwealth Australiano, sorprendentemente i secessionisti riescono ad ottenere la vittoria e pure, quella secessione democraticamente votata, non è mai avvenuta.

Lo scorso 19 Agosto Jack Peacock ha pubblicato un interessantissimo articolo, ed una splendida analisi della vicenda, ispirato dai recenti avvenimenti del Brexit, per sollevare una questione importante. Più volte nella storia i movimenti secessionisti ed indipendentisti sono riusciti ad ottenere una votazione per una possibile indipendenza e se in alcuni casi questi sono riusciti effettivamente ad ottenere la vittoria e successivamente conquistare la tanto agognata indipendenza, altre volte, dinanzi alle urne, la popolazione ha scelto per il mantenimento dello status quo.
Ma c’è un caso, un precedente storico estremamente curioso ed interessante, quello del Western Australia, che, come già detto, l’8 aprile 1933 votò per la propria indipendenza, riuscendo a conquistare la vittoria, tuttavia il progetto secessionista sarebbe arenato a causa di una errata valutazione da parte del movimento u quello che sarebbe stato l’atteggiamento Britannico nei confronti del suo impero.
Vi lascio alla lettura della traduzione dell’articolo di Jack Peacock, accompagnandolo in chiusura con una mia chiusura al suo intervento.

Il referendum di quest’anno sulla partecipazione del Regno Unito dell’Unione Europea e quello tenutosi nel 2014 sull’indipendenza della Scozia sono solo gli ultimi di una lunga serie di eventi simili. Mentre la Scozia si è unito il Quebec (1995) votò per lo status quo, mentre altri, come la Norvegia (1905) e Montenegro (2006) hanno votato in favore della separazione. Un tema che sembra comune a tutti i referendum è che alla fine gli elettori ottenere ciò che votano per. Una maggioranza per la separazione significa separazione. Eppure ci sono eccezioni a questa regola. L’8 aprile del 1933, il Western Australia ha votato a favore della secessione dal Commonwealth Australiano, tuttavia, ancora oggi, a distanza di oltre ottanta anni, continua a farne parte.

Vine dunque da chiedersi, cosa ha permesso di ignorare la volontà democraticamente espressa dal popolo? E che cosa ha significato per l’Australia e il suo rapporto con l’impero britannico?

Lo spirito indipendente del Western Australia è apparso nel momento in cui ha ottenuto il diritto all’auto-governo. Questo è avvenuto nel 1890, un anno dopo il discorso di federalizzazione iniziata. Non volendo rinunciare alla sua sovranità di nuova acquisizione, l’Australia Occidentale non ha partecipato alla convenzione costituzionale del 1891 e solo sporadicamente e senza troppa convinzione ha preso parte a convenzioni successive.

Il movimento secessionista ha sempre sostenuto che il Western Australia è stato educato al federatismo e in un certo senso questo è vero. E ‘stata una corsa all’oro a determinare da che parte sarebbe andato l’ago della bilancia. I coloni accorrevano da est, portando con se le proprie opinioni pro-federali, e quando hanno sentito che il governo australiano occidentale era contro la federazione, hanno dato il via ai vari movimenti separatisti. Così il Western Australia rappresentava una scelta per l’intera Australia: Rifiutare la federazione potenzialmente vedere le proprie terre, ricche di oro, staccarsi, alternativamente accogliere la federazione, significava mantenere la sua integrità territoriale. Hanno quindi optato per la federazione. Ma non ci volle molto tempo prima che gli australiani occidentali cominciassero a rimpiangere quella decisione.

Prima della fine del 1902, il parlamento australiano ascoltò i primi inviti ad una nuova proposta secessionista. Nel 1919, il Sunday Times (uno dei giornali più importanti del Western Australia) avevano assunto un atteggiamento apertamente secessionisti e si svolsero manifestazioni pubbliche. Il movimento ispirò politici, poeti e musicisti e ricevette anche il sostegno da parte dei governi della Tasmania e Sud Australia, che, proprio come il Western Australia, minacciavano referendum secessionistici. Quando l’elettorato del Western Australia andò alle urne, il 68 per cento dei votanti votò a favore della secessione.
Eppure la tanto attesa e votata secessione non è mai avvenuta. Nel giro di pochi anni la fede secessionista ha mandato in frantumi l’impero britannico e con esso il movimento secessionista australiano si sbriciolò.

Allo stesso tempo, come il referendum, il Western Australia ha tenuto elezioni statali. Nonostante l’enorme sostegno da parte del movimento, l’elettorato ha votato contemporaneamente contro il governo liberale pro-indipendenza per eleggere il partito laburista pro-unione, che prontamente cercò di mettere in stallo il processo di secessione. Ma il nuovo governo non riuscì a frenare completamente la scissione e dopo un anno di dithering, infine, portato avanti un piano per raggiungere l’indipendenza.
Il metodo che hanno scelto per raggiungere questo obiettivo è stata la realizzazione di una petizione di 500 pagine pieno di mappe, argomenti e la volontà democraticamente espressa dal popolo. L’idea era quella di consegnare questa petizione al Parlamento britannico che, si suppone, dovrebbe approvare una legge che concedeva loro l’indipendenza. Una delegazione guidata da Keith Watson, presidente della Lega secessionista Dminion, lasciò Perth per Londra con molto clamore e tutti si aspettavano che le cose sarebbero andate avanti senza intoppi.
La petizione è stata presentata ad entrambe le Camere del Parlamento nel dicembre 1934 ed è stato formato un comitato congiunto per esaminarla. Ma il compito del comitato non era quello di giudicare i meriti del caso per la secessione; il suo compito è stato quello di determinare se il Parlamento britannico avesse o meno il diritto di ricevere la petizione. Questo è stato un terribile errore di valutazione da parte dei secessionisti nel giudicare l’atteggiamento della Gran Bretagna rispetto al suo impero.

La Conferenza Imperiale 1926 aveva portato alla Dichiarazione Balfour (che ha portato a 1931 Statuto di Westminster). La dichiarazione effettuata un passaggio importante; ha dichiarato la Gran Bretagna e le sue Domini:
comunità autonome all’interno dell’impero britannico, pari a stato, in alcun modo subordinata l’un l’altro in ogni aspetto della loro affari interni o esterni, anche se uniti da un comune fedeltà alla Corona, e liberamente associati in qualità di membri del Commonwealth britannico.
La Gran Bretagna aveva effettivamente rinunciato a qualsiasi controllo sui domini. Ciò significava che la Gran Bretagna non sarebbe più stata nella condizione di interferire. Il Comitato misto ha quindi respinto il ricorso del Western Australia perché semplicemente il parlamento britannico non aveva alcuna autorità per riceverlo. Il Western Australia avrebbe dovuto negoziare con il parlamento Australiano a Canberra, che tuttavia non era incline ad ascoltare.

“La storia ricorderà questo come la più grande e più spregevole abdicazione di tutti i tempi”

-Keith Watson

è stata la risposta di Keith Watson alla relazione della commissione mista. Anche l’anti-secessionista, il Premier di stato Filippo Collier sostenne che non era la fine della questione e ha predetto che se non fosse avvenuta un importante riforma costituzionale, il Commonwealth australiano non sarebbe durata altri dieci anni.
La lega Dminion non ha accettato immediatamente la relazione della commissione mista, continuando a fare pressioni e spingere per un dibattito Parlamentare. Tra gli altri fu interrogato anche il primo ministro Ramsay MacDonald, che non si pronunciò in risposta. Le autorità britanniche erano in fase di stallo e non successe nulla. Questa situazione scoraggiò Watson e la sua delegazione, che, una volta tornato in Australia promise di continuare la lotta, ma lo stato d’animo in Australia occidentale era cambiato.

Era iniziata una forte ripresa economica e l’opinione popolare aveva accusato l’incompetenza della delegazione Watson per la mancata indipendenza. Così, proprio come la vita in Australia occidentale ha cominciato a guardare ad un futuro più luminoso, la reputazione dei secessionisti era stata intaccata.

Nel 1935 La Lega Dominion propose un disegno di legge al parlamento australiano occidentale chiedendo una separazione unilaterale, ma l’interesse stava svanendo. Lo stesso anno, il Sunday Times annunciò un cambio di proprietà, con un nuovo editore ed una nuova ideologia di fondo. Senza il sostegno di questo giornale, il movimento di secessione si ridusse a nulla.
Se la Lega Dominionn avesse presentato una dichiarazione unilaterale di indipendenza già nel 1933, probabilmente il risultato sarebbe stato diverso, ma la storia non è fatta da se e da ma, non esistono alternative ed il passato non può essere modificato.

La leggerezza e la superficialità con cui il movimento secessionista portò avanti la sua battaglia, una battaglia che secondo il referendum era già stata vinta in partenza, portò il progetto indipendentista ad arenare, sbriciolando la fiducia nel movimento e il movimento stesso. Questi eventi rappresentano un importante lezione, ed un più che evidente precedente storico a situazioni analoghe, non basta vincere un referendum per ottenere quanto richiesto, ma continuare a lavorare seriamente e con impegno a quel progetto affinché questi dia i suoi frutti. In questo caso il movimento secessionista non ha svolto un buon lavoro, scontentando il proprio elettorato, non a caso, all’indomani della vittoria al referendum, lo stesso movimento non conquistò la presidenza.
Oggi, ad oltre un secolo dalle prime istanza indipendentiste, il Western Australia è ancora parte importante ed integrante del Commonwealth Australiano, i cui fermenti indipenentisti sono solo un lontano ricordo.

Articolo originale di Jack Peacock, pubblicato il 19 agosto 2016 sulla rivista History Tooday, Cliccare qui per leggere l’articolo originale in lingua inglese.

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