Cina valuta cessione di TikTok USA ad Elon Musk

Secondo voci non ufficializzate, la Cina, più precisamente ByteDance, la holding partecipata dal governo cinese e proprietaria di Tik Tok starebbe valutando un accordo per la cessione dei servizi di Tik Tok in USA ad Elon Musk, già proprietario del social X (ex Twitter). A tale proposito, sembrerebbe che dalla Cina siano arrivate delle smentite, su tale accordo, ma anche questa smentita non è propriamente ufficiale in quanto non parte da ByteDance. In altri termini al momento si sta parlando di una vendita che non è stata ne confermata ne smentita dai diretti interessati.

Secondo voci non ufficializzate, la Cina, più precisamente ByteDance, la holding partecipata dal governo cinese e proprietaria di Tik Tok starebbe valutando un accordo per la cessione dei servizi di Tik Tok in USA ad Elon Musk, già proprietario del social X (ex Twitter). A tale proposito, sembrerebbe che dalla Cina siano arrivate delle smentite, su tale accordo, ma anche questa smentita non è propriamente ufficiale in quanto non parte da ByteDance. In altri termini al momento si sta parlando di una vendita che non è stata ne confermata ne smentita dai diretti interessati.

Cerchiamo allora di capire cosa c’è dietro e se potrebbe avere un senso un accordo di tale natura, ossia il trasferimento dei servizi in USA di Tik Tok ad una società USA di proprietà di un uomo estremamente vicino al presidente Trump, al punto da essere definito da molto un “presidente ombra” o se si tratta di una bufala volta ad alimentare le preoccupazioni di chi vede in Musk un monopolista e spietato capitalista, con tratti sempre più vicini a quelli delle grandi corporazioni dei romanzi distopici.

Tik Tok e il possibile bando dagli USA

Il popolare social cinese, che ha rivoluzionato il modo di fare video e di comunicare, già da qualche anno si trova in una posizione controversa, e molti governi hanno bandito la piattaforma dai rispettivi paesi poiché fortemente compromessa con il governo cinese, sollevando dubbi sulla sicurezza e l’utilizzo dei dati che vengono raccolti dalla piattaforma, perché si sa, se i dati vengono raccolti e analizzati dai cinesi è un pericolo, se a farlo è una società statunitense, in quel caso non c’è nessun pericolo.

Il bando di Tik Tok dal mercato cinese, è sul tavolo dal2’agosto 2020, quando, l’allora presidente uscente Donald Trump, emise un ordine esecutivo con cui richiedeva la vendita delle operazioni statunitensi di Tik Tok e WeChat, rispettivamente popolare piattaforma di video sharing e di messaggistica, di proprietà di colossi cinesi. Se TikTok è di proprietà di ByteDance, WeChat è invece di proprietà di Tencent, holding cinese quotata in borsa ad Hong Kong, con un valore di circa 449 Milioni di dollari USA.

Secondo l’allora presidente uscente, c’era il timore che tali piattaforme potessero condividere dati degli utenti USA con il governo Cinese, rappresentando pertanto una pericolosa minaccia alla sicurezza nazionale. L’ordine esecutivo di Trump è stato possibile sulla base dell’International Emergency Economic Powers Act, tuttavia, la successiva elezione di Joe Biden alla presidenza, ha portato ad un rallentamento della vicenda, di fatto nel giugno 2021, l’allora presidente eletto Biden, ha revocato l’ordine esecutivo del suo predecessore, affidando allo stesso tempo, la verifica dei rischi legati a suddette applicazioni al Dipartimento per il commercio.

Dal 2021 al 2024 il bando di Tik Tok è stato sospeso e nel frattempo la posizione di Trump sulla piattaforma cinese è fortemente cambiata, dopo il Ban da Facebook e il Ban da Twitter, salvo poi reintegrazione dopo l’acquisizione di Twitter da parte di Musk, l’allora ex presidente Donald Trump, è diventato un assiduo e regolare utilizzatore della piattaforma cinese, emulato in questa linea dalle destre di tutto il mondo che ci hanno deliziato con la magia degli italici Berlusconi e Salvini in live su Tik Tok.

Tik Tok si è rivelata, soprattutto negli anni della pandemia, una straordinaria piattaforma di comunicazione, nonché terreno fertile per la proliferazione di fake news e deep fake.

RESTRICT Act

Se il bando politico di Tik Tok dagli USA, nel 2021 sembra essere sfumato, o comunque ridimensionato, nel 2023 la piattaforma di Video Sharing ha iniziato una nuova trafila, questa volta giudiziaria, legata al RESTRICT Act (Restricting the Emergence of Security Threats that Risk Information and Communications Technology), una legge che conferiva al governo federale degli USA ampi poteri in termini di limitazione e bando di tecnologie straniere dagli USA, se queste rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale.

Tale legge si applica anche a piattaforme social, come X, Meta e ovviamente TikTok, e se le prime due sono statunitensi, la terza era ed ancora oggi di proprietà di una multinazionale Cinese, e per molti è stata costruita ad hoc per permettere al governo di intervenire e limitare la crescente popolarità di TikTok in USA.

Per quanto riguarda la sicurezza nazionale, molti governatori USA hanno vietato, nei propri stati, l’utilizzo di TikTok, e altre applicazioni social e di messaggistica, come ad esempio Telegram, dai dispositivi governativi, ovvero tablet, pc e smartphone di funzionari pubblici. Quindi si, in quanto ex presidente, ed ora presidente eletto, in alcuni stati, Trump non potrebbe usare Tik Tok, poiché il suo utilizzo rappresenterebbe una possibile minaccia alla sicurezza nazionale. Tik Tok infatti si teme possa registrare e condividere una serie di informazioni aggiuntive, dette metadata, come ad esempio le informazioni sulla posizione, che potrebbero rendere nota la posizione del presidente. Non proprio il massimo della sicurezza se il presidente è per qualsiasi ragione, per ragioni di sicurezza, in una località segreta.

La reazione di Tik Tok

Fin dal 2022 ByteDance, ha cercato di dissipare le preoccupazioni del governo statunitense, e non solo, sulla sicurezza di Tik Tok, annunciando prima il Project Texas, un progetto che trasferiva i dati degli utenti statunitensi negli stati uniti, in server gestiti da Oracle, società statunitense fondata nel 1977 e quotata in borsa al NYSE con sede a Santa Clara. Ha avviato un centro di trasparenza che permette ai funzionari USA di esaminare ogni operazione di TikTok in USA.

Insomma, ByteDance affidava, con il progetto Texas ed il centro trasparenza, i dati sensibili ad una società USA, dava al governo USA libero accesso a quei dati e le operazioni di TikTok, precludendosi l’accesso a quegli stessi dati. Ma questo agli USA non sembra bastare e al congresso si è continuato a discutere di un possibile bando di TikTok dal mercato USA.

Interesse nazionale o sicurezza?

Sulla base dei dati e le informazioni note, viene quindi da chiedersi se tale dibattito abbia una rilevanza in termini di sicurezza nazionale o di interesse nazionale, possono sembrare concetti analoghi, ma sono profondamente diversi, se infatti, come è “dimostrato” dall’analisi dei dati e delle operazioni di Tik Tok, non sembra esserci un rischio reale di trasferimento dei dati sensibili al governo cinese, vi è invece un serio rischio di manipolazione, inquinamento e alterazione dell’informazione, che può indirizzare l’opinione pubblica su strade estremamente pericolose.

A tale proposito, TikTok è uno dei social mediaticamente più potenti in circolazione, con poche limitazioni in merito a tematiche delicate, ed è già ampiamente avviato su una strada che, da qualche anno è stata percorsa da X e si appresta ad essere percorrere anche Meta, che di recente ha annunciato lo stop al fact-checking e alle policy di inclusività, garantendo maggiore “libertà” anche a contenuti controversi, di natura politica e sociale.

Tornando ai dati, essi hanno un valore immenso e se risultano estremamente pericolosi se gestiti da una società cinese, una società di uno stato con cui gli usa sono in pino conflitto commerciale, diventano estremamente preziosi se gestiti dagli stessi USA, soprattutto se vicina al governo.

Vi è quindi una forte attenzione per la piattaforma estremamente rilevante in termini di interesse nazionale, e allo stesso tempo si può osservare come, a parità di attività, la piattaforma cinese sia maggiormente controllata e tenuta di analoghe statunitensi. Differenza di trattamento che potrebbe essere alla base dell’ipotesi di trasferire ad una società statunitense i servizi USA, e, tra le tante, quale società migliore della media company dell’uomo più potente e influente d’America?

Il paradosso di Trump

Va riconosciuto a Trump il merito, se così lo si può definire, di aver compreso per primo, il potenziale politico dei dati in possesso delle media company, e di essere stato tra i primi, nel 2020 a causa anche della trasformazione dei contenuti avvenuti durante la prima fase della pandemia, a vedere in TikTok una possibile minaccia, e, terminato il mandato presidenziale, una straordinaria risorsa.

Oggi Trump gode di un enorme seguito su TikTok, e molti analisti ritengono che è stato proprio tale seguito a permettere all’ex presidente di tornare alla casa bianca con le elezioni di novembre 2024, grazie a Tik Tok, Trump mantiene un contatto continuo e costante con il proprio elettorato, in particolare le frange più radicali che nel tempo sono state o si sono allontanate da altri social.

Per Trump quindi è di vitale importanza mantenere TikTok negli USA, ma il processo avviato nell’agosto del 2020 con il suo stesso ordine esecutivo, anche se rallentato, non si è fermato, ed ora il presidente si ritrova, ad inizio mandato, nella condizione di dover trovare una soluzione ad un problema creato da lui stesso alla fine del suo precedente mandato.

L’ipotesi Musk

L’insieme di questi fattori ed elementi, potrebbe essere alla base dell’ipotesi di una cessione dei servizi USA di TikTok ad Elon Musk, come anticipato, il patron di X e Tesla è estremamente vicino al presidente, qualcuno direbbe troppo vicino al presidente, inoltre avrà un ruolo chiave nel prossimo governo Trump, ed è proprio quella vicinanza una possibile scappatoia per TikTok di evitare il bando dagli USA.

Tale soluzione tornerebbe sicuramente vantaggiosa per Bytedance, che comunque dalle operazioni negli USA ha un notevole guadagno, su scala globale, secondo i dati annuali pubblicati da Bytredance, Tik Tok nel 2023 ha registrato ricavi superiori ai 120 miliardi di dollari, in crescita dispetto agli 80 miliardi del 2022 e secondo le proiezioni, nel 2024 potrebbero essere superiori ai 200 miliardi. Gli analisti concordano nell’osservare che tale crescita è legata soprattutto alla sempre maggiore presenza della piattaforma in occidente, in USA ed Europa.

L’accordo sarebbe vantaggioso anche per Musk, il cui social X nonostante la forte riduzione dei costi, continua ad avere profonde difficoltà economiche, principalmente per la fuga di numerosi investitori a seguito dell’acquisizione di twitter da parte proprio di Musk e una partnership tra X e Tik Tok, potrebbe riportare ad X parte degli investitori e colmare il divario tra X e il gruppo Meta.

Inoltre sarebbe vantaggiosa per Trump, che non perderebbe il suo principale strumento di comunicazione con gli elettori, e no, il suo social “truthsocial” non fa testo, l’utenza di Truth, oltre ad essere “poca” è anche poco attiva, inoltre è formata per lo più da sostenitori di Trump, è quindi sicuramente utile per mantenere i contatti con la propria base, ma totalmente inutile se si parla di espandere il consenso. Cosa che invece con TikTok è molto più semplice.

I vantaggi però non finiscono qui, oltre alla possibilità di evitare il bando dal mercato USA per TikTok, Bytedance potrebbe sfruttare la partnership con Musk per un ulteriore slancio in caso di quotazione in borsa. La holding cinese al momento non è quotata anche se nel 2022 prima sembrava essere pronta al debutto sul mercato.

I problemi di Musk pigliatutto

La possibile cessione dei servizi USA di TikTok ad Elon Musk se da un lato presenta numerosi vantaggi per tutti gli attori coinvolti, in realtà presenta anche diverse problematiche. E nessuna di queste riguarda il ruolo da monopolista di Musk, a tale riguardo l’acquisizione di Instagram e l’avvio di Threads da parte di Meta, rappresentano un significativo precedente. Musk potrebbe acquisire “TikTok USA” senza aver alcun problema con l’antitrust, tuttavia, come osservano i critici e detrattori del miliardario, sempre più simile ad un “Charles Foster Kane” dei nostri tempi, si ritroverebbe nella posizione di poter influenzare ancora di più l’opinione pubblica, almeno negli USA.

Ed è questo il problema forse più grande di un possibile accordo tra Musk e Bytedance, ma non solo. Se l’accordo dovesse rivelarsi reale e Bytedance riuscisse con questo accordo ad evitare il bando di TikTok dagli USA, ci verrebbe rivelata una grande e terribile verità, ossia il presidente Trump è irrilevante, se si vogliono fare affari negli e con gli USA bisogna negoziare con Musk, e negoziare per Musk ha un significato particolare, poiché in un negoziato ognuna delle due parti cede qualcosa finché non si giunge ad un punto d’accordo, un compromesso, ma Musk non è tipo da compromesso, la sua carriera e la sua storia sono segnati da soluzioni radicali, tutto o niente. C’è allora da chiedersi quanto è esteso questo tutto.

Tutta fuffa o …

Per quanto riguarda la possibile cessione o acquisizione, che dir si voglia, dei servizi USA di TikTok, ad Elon Musk, al momento c’è un fitto velo di incertezza, con dichiarazioni vaghe, informazioni non ufficiali e smentite più o meno ufficiali.

In un intervento rilasciato da TikTok a Bbc News, la società ha dichiarato di “non poter commentare pura fantasia”. Una smentita quindi, che però, purtroppo, vale poco o nulla, visto che eventuali negoziati relativi al futuro di TikTok in USA, in realtà, non riguardano TikTok, ma ByteDance.

Come è stato anche per il Project Texas infatti, la decisione di delocalizzare i dati degli utenti USA nei server Oracle, non è stata presa da Tik Tok, ma dalla holding che la controlla al 100%, ovvero ByteDance, che sulla vicenda dei servizi USA di TikTok, non si è ancora espressa, e probabilmente non lo farà.

Sorprende anche il grande silenzio di Musk, che solitamente non lascia trascorrere troppo tempo prima di dire la sua, soprattutto su un qualcosa che lo riguarda in prima persona. Guardiamo ad esempio all’ipotesi di accordo tra Starlink e il governo italiano, a poche ore dalla circolazione delle prime indiscrezioni sono intervenuti tutti gli attori coinvolti, in questo caso invece, Musk tace. Che questo silenzio sia indicativo di un accordo effettivamente in lavorazione? O forse il miliardario sta finalmente recuperando qualche ora di sonno? Per il momento è difficile a dirlo.

Trump e Musk rivogliono il canale di Panama

Trump e Musk rivogliono il canale di Panama, perché controllarlo rappresenta un vantaggio strategico non indifferente, ma non possono dirlo apertamente, così, hanno puntato sull’ignoranza e la stupidità.

Secondo il futuro presidente, il canale costa ai contribuenti statunitensi migliaia di dollari l’anno, inoltre visto che è stato costruito dagli USA, negli anni 80 del XIX secolo, e la sua costruzione ha avuto un costo non solo economico ma anche in vite umane, gli USA devono riprenderselo.

Partiamo dal costo per i contribuenti, che non vuol dire nulla, poiché è vero che le tariffe di transito per il canale di panama incidono sul costo dei noli delle navi in transito nel canale e quindi incidono (per meno dell’1%) sul prezzo del prodotto che provengono dall’asia o che usano componenti provenienti dall’asia, tale incidenza tuttavia, se quelle navi passassero per lo stretto di magellano, è vero che non pagherebbero tariffe, ma consumerebbero molto più carburante rispetto a quello consumato nel passaggio per il canale, il cui impatto sui noli sarebbe nettamente superiore a quello delle tariffe di transito. 

Un esempio concreto ci arriva da Suez, dove, la crisi dello Yemen, ha spinto molte compagnie a scegliere di passare da Suez a Cape Town, con un incremento dei noli, dovuto a tratta più lunga, maggiori costi di equipaggio e carburante, che in alcuni casi ha superato il 200%.

Suez  riduce la navigazione molto meno rispetto a Panama, significa che passare per “magellano” costerebbe certamente più del 200% in più rispetto a Panama nonostante le tariffe “alte”.

PEr quanto riguarda la costruzione del canale, questi è stato costruito prevalentemente da operai europei, italiani e polacchi, con capitali inglesi, francesi e statunitensi. Nel 1901 gli USA ottengono la concessione, dalla Colombia, per la costruzione e gestione del canale per 100 anni, lavori iniziati nel 1907 e conclusi nel 1914, quindi la concessione Colombiana sarebbe in teoria terminata nel 2014, nel mentre però un po’ di cose sono cambiate. Nel 1903 il governo Colombiano decide di non ratificare la concessione, di risposta ci fu un colpo di stato, organizzato e finanziato dagli USA che avrebbe portato alla scissione di Panama dalla Colombia, Panama ottiene la protezione degli USA e gli USA l’affitto perpetuo della zona del canale, e l’autorizzazione alla costruzione, così, nel 1907 iniziano effettivamente i lavori di costruzione del canale.

Nel 1971 il presidente USA Jimmy Carter rinegozia con Panama le condizioni di accesso all’area del canale, viene costruita una nuova tratta e il canale viene “nazionalizzato” ma lasciato in gestione agli USA fino al 1999. Nel 1999 Panama riacquisisce la piena sovranità e autorità nella gestione del canale.

Trump ora fa un “passo indietro” sostenendo che gli USA dovrebbero avere un trattamento privilegiato (cosa che già hanno, le navi con bandiera USA godono di una riduzione delle tariffe rispetto a navi battenti altre bandiere) e che intende riprenderselo perché, secondo le stime del DOGE guidato da Elon Musk, il transito per il canale di Panama costa ai cittadini USA 15,7 miliardi l’anno, per via dei pedaggi che le navi USA pagano per transitare nel canale di Panama. Come già detto questa stima, non tiene conto dei costi enormemente superiori che si avrebbero se quelle stesse navi transitassero da Magellano.

Secondo il futuro presidente, gli USA che hanno costruito il canale, e che hanno guadagnato dalla sua gestione per circa 75 anni, devono essere ulteriormente risarciti per lo sforzo sostenuto, prima della prima guerra mondiale, e se Panama non risarcirà gli USA, gli USA si riprenderanno il controllo del canale, perché solo Panama può gestirlo. Secondo il presidente eletto, Panama favorisce la Cina, le cui navi pagano tariffe più alte rispetto a quelle USA, dettaglio mi rendo conto irrilevante nella visione di Trump e Musk.

Si tratta ovviamente di argomentazioni pretestuose, e mal congeniate, non per giustificare l’invasione di Panama o un nuovo colpo di stato nella regione, come qualcuno potrebbe ipotizzare, ma per, a mio avviso, fare pressione sul governo panamense, per far sì che questi innalzi ulteriormente le tariffe per le navi battenti bandiera cinese, o ne limiti il transito, avvantaggiando gli USA, e soprattutto, per causare un terremoto finanziario come successo qualche mese fa, quando lo stesso Trump ha dichiarato che Taiwan avrebbe dovuto pagare la protezione degli USA, dichiarazione che ha causato un crollo delle azioni di numerose aziende, a tutto vantaggio dell’uomo che qualche mese più tardi sarebbe diventato l’uomo più ricco di sempre.

Qui si apre una questione importante. Elon Musk come sappiamo coprirà un ruolo chiave nel prossimo governo Trump, una posizione che gli darà accesso ad informazioni e dati di altissimo valore, che costituiscono un innegabile vantaggio strategico in termini finanziari, ma, senza alcuna limitazione. Se Trump e i membri del suo staff, in quanto rappresentanti pubblici devono allontanarsi dalla gestione delle proprie imprese e attività finanziarie, Musk può continuare ad investire liberamente in aziende che il dipartimento federale, non governativo, che guiderà, potrebbe avvantaggiare.

Insomma, c’è il rischio concreto, che Musk possa adoperare il proprio potere e la propria influenza su Trump, per i propri interessi personali, senza alcuna limitazione, e a danno dei cittadini statunitensi, e non solo.

La presa di posizione di Trump su Panama, le cui argomentazioni di base appaiono ridicole e pretestuose, possono scatenare un autentico terremoto finanziario e bruciare miliardi di dollari, di piccoli risparmiatori, a tutto vantaggio dell’uomo più ricco del mondo.

Intervista all’autore di Storie Insolite della seconda guerra mondiale

storie insolite della seconda guerra mondiale, intervista a Domenico Vecchioni

Cari lettori e care lettrici, buonasera, a gran sorpresa, vi propongo una nuova intervista a Domenico Vecchioni, diplomatico e divulgatore, già autore di numerosi saggi storici, in occasione della pubblicazione del suo nuovo libro, “Storie insolite della seconda guerra mondiale” edito da Rusconi Libri.

Ho già avuto modo di intervistare Domenico Vecchioni circa un anno fa, in occasione della pubblicazione del saggio Mercenari, edito da Diarkos, del quale ho realizzato anche una guida alla lettura che trovate qui, ragion per cui non spenderò troppe parole in presentazioni, limitandomi a ripercorrere brevemente la sua carriera professionale, sia di diplomatico che di divulgatore.

Chi è Domenico Vecchioni ?

Come già anticipato, Domenico Vecchioni è un diplomatico e divulgatore italiano, autore di oltre 40 saggi storici e, secondo l’ambasciatore Stefano Baldi, “uno dei diplomatici più prolifici in ambito letterario“, secondo una classifica redatta dallo stesso Baldi infatti, Vecchioni si collocherebbe al secondo posto, secondo solo a Sergio Romano, che tra il 1985 e il 1989 fu ambasciatore italiano presso l’Unione Sovietica.

La carriera diplomatica di Vecchioni vede tra gli incarichi di maggior rilievo incarichi presso il consolato di Le Havre in Francia, l’ambasciata di Buenos Aires in argentina, e poi ancora diversi incarichi in Europa e presso la NATO.

La sua carriera da divulgatore è relativamente recente e, come osservato da Stefano Baldi, estremamente proficua, e conta la pubblicazione di oltre 40 saggi, con diversi editori e vede, come ultima fatica, la pubblicazione del saggio “Storie Insolite della seconda guerra mondiale”. Un saggio di microstoria, che affronta gli anni della seconda guerra mondiale attraverso uno sguardo su numerosi volti che furono, a vari livelli, protagonisti conflitto.

Microstoria della seconda guerra mondiale

Come anticipato, storie insolite della seconda guerra mondiale di Domenico Vecchioni è un saggio di Microstoria, ovvero una branca della storiografia molto fortunata nel panorama divulgativo, che parte dal quotidiano e dal particolare, per poi andare a delineare un contesto storico più ampio. Questa branca della storiografia moderna, nasce sul finire degli anni 50, il termine fu infatti coniato da George R. Stewart con la pubblicazione del saggio Pickett’s Charge: A Microhistory of the Final Attack on Gettysburg e vede tra i propri protagonisti, almeno nel panorama italiano contemporaneo il professor Alessandro Barbero.

Intervista a Domenico Vecchioni

Il testo che ci viene presentato, al di là della forma e dello stile, che ormai ho imparato a riconoscere e apprezzare, rispetto alle sue precedenti opere che ho avuto modo di consultare, si muove in una branca leggermente differente della storiografia, ma comunque interna alla storia sociale e culturale, si tratta di una branca a me “meno vicina”, per percorso di studi, ma comunque molto familiare, ovvero la Microstoria. Corrente che annovera tra i propri padri fondatori il nostro connazionale Carlo Ghinzburg, storico di rilevanza mondiale, che con tutta probabilità è ad oggi uno degli storici Italiani più autorevoli del 900, e che ho avuto il piacere di incontrare e intervistare qualche anno fa, ai margini di una conferenza tenuta presso la scuola Normale di Pisa. 

Per i nostri lettori, ed eventuali non addetti ai lavori, ad oggi la Microstoria rappresenta una delle metodologie di narrazione storiografica più apprezzate e funzionali, soprattutto in ambito divulgativo, dove è ampiamente utilizzata da maestri della divulgazione come Alessandro Barbero. La microstoria presenta una struttura che procede dal quotidiano e dal particolare e sfrutta l’aneddotica per catturare l’attenzione del lettore, al quale poi viene fornita una serie di informazioni sempre più approfondite e puntuali, volte a delineare un quadro sempre più complesso della società in un dato momento storico. E questo è esattamente ciò che ci viene proposto nel saggio “Storie Insolite della seconda guerra mondiale” edito da Rusconi Libri, e in retrospettiva, in realtà è un elemento molto presente anche in diverse altre sue opere. Le chiedo quindi.

In che modo e che dimensione la Microstoria ha influenzato ed influenza la sua produzione letteraria? 

In qualche modo la Microstoria, o meglio la divulgazione storica, è un po’ il leit-motiv di tutta la mia
produzione letteraria. Ho, in effetti, sempre avuto il gusto di “raccontare” la Storia, cioè – come
giustamente dice lei – partendo da un fatto particolare, da un evento minore, persino da un aneddoto,
risalire gradualmente alla “Grande Storia”, allo scopo di mantenere costante l’interesse del lettore. Il
piacere insomma di condividere le stesse sensazioni di stupore e curiosità che provo quando
m’imbatto in qualche evento speciale, o in situazioni storiche poco note o comunque tramandate
male. Questa è la vera divulgazione storica: nella cornice di presupposti storici accertati, descrivere
gli eventi come in un racconto letterario per viaggiare insieme al lettore, esserne insomma complice e
non infliggergli una lezione di Storia. Del resto i testi della grande divulgazione storica costituiscono
le mie letture preferite, insieme alle biografie, per le quali vale lo stesso ragionamento. Scrivo come
leggo, potrei dire…In questo mi ritrovo moltissimo in una battuta di Benjamin Disraeli, il famoso
primo ministro britannico, che era anche un autore molto prolifico e apprezzato. A chi gli chiedeva
ragione di tanto impegno nella scrittura, pur avendo sulle spalle pesanti responsabilità politiche, egli
rispondeva “quando ho voglia di leggere un libro, me ne scrivo uno!”. Nel mio caso appunto, lettore
e autore di divulgazione storica.

Rimanendo in tema di microstoria e riallacciandomi ad una domanda che le ho posto nella precedente intervista, legata al libro sui Mercenari, ovvero il suo legame con la storiografia francese, le pongo una domanda leggermente più tecnica (e in parte provocatoria).

La storiografia francese ha un forte legame con la scuola degli annales, nata dalla rivista “Annales d’histoire économique et sociale” fondata da Marc Bloch e Lucien Febvre. Bloch è considerato uno degli storici più autorevoli e iconici del 900, oltre che uno dei più citati, la cui storia personale è fortemente legata alla seconda guerra mondiale, soprattutto per la sua tragica morte avvenuta per fucilazione il 16 giugno 1944 a seguito dell’arresto da parte della Gestapo dell’8 marzo 1944.

Il suo libro è un opera di microstoria che ci racconta la seconda guerra mondiale e in questo contesto, Bloch è il grande assente, di conseguenza, non posso che chiedere, il perché di questa assenza, si tratta di una scelta voluta o una mera casualità?

No, nessuna esclusione, ci mancherebbe. Mi sono semplicemente interessato a determinati episodi
che per vari motivi hanno attirato la mia attenzione, e soprattutto la mia curiosità. Il tutto abbastanza
causalmente Quindi anche la bibliografia è limitata ai testi che ho effettivamente letto e studiato. A
dire la verità, a me non piacciono troppo le bibliografie lunghe tre o quattro pagine. Oggi, nell’era
internet, sono diventate inutili. Nessuno le legge più. Si possono avere informazioni più precise e più
rapide consultando i siti giusti on line. E’ preferibile quindi limitarsi a citare i libri ai quali ci si è
ispirati e che potranno essere di riferimento per il lettore che vuole approfondire determinati aspetti
della storia raccontata. Devo dire che amazon, in questa prospettiva, fornisce un ausilio prezioso. Ti
indica istantaneamente quanti libri sono stati scritti (nelle diverse lingue) su uno stesso argomento,
dove sono reperibili, quante pagine, quanto costano ecc…Testi magari introvabili nelle librerie
perché non più in commercio. Per non parlare delle biblioteche che ti permettono la consultazione on
line.

La seconda guerra mondiale è stato un fenomeno storico estremamente complesso, che ha coinvolto una quantità infinita di luoghi e individui, e leggendo il suo libro si ha modo di affacciarsi a quegli anni attraverso una serie di spaccati di vita quotidiana, che vanno da grandi protagonisti della storia come il generale e futuro presidente Dwight Eisenhower, ai meno noti protagonisti dello spionaggio bellico e le loro operazioni segrete.

Fin dalle prime pagine appare evidente che, a monte dell’opera, sia stata effettuata una meticolosa selezione. Le pongo a tale proposito due domande interconnesse.

Quanto è stato difficile scegliere quali storie tenere, e quali storie lasciarsi alle spalle (o da parte per un secondo volume)? E ancora, se ci sono storie che per questioni di spazio e tempo ha dovuto, a malincuore, mettere da parte? Può eventualmente darci un assaggio di una di quelle storie che non troveremo in questo volume?

Di “storie insolite” della Seconda guerra mondiale da raccontare ce ne sono a centinaia. Ci
vorrebbero sicuramente più volumi. Del resto io ne ho già raccontate diverse in precedenti libri. Si
può facilmente immaginare come durante i lunghi 6 anni di durata, il Secondo conflitto mondiale
abbia generato eventi singolari, personaggi fuori del comune, forme di spionaggio fino ad allora
inedite, situazioni paradossali ecc. Non è quindi detto che non ci sarà un seguito a Storie insolite n
1… Alcune storie trattate in precedenti pubblicazioni? Le donne di Hitler, lo strano destino del
nipote inglese di Hitler, spionaggio al Salon Kitty, la “fuga delle beffe” del tenente Giovanni Corsini,
il Centro di torture di Londra , the London Cage ecc…

Scorrendo tra le varie storie che ci vengono servite, abbiamo modo di svelare un sentito legame tra quest’opera e le precedenti, mi riferisco al mondo dello spionaggio, tema estremamente affascinante, che nella seconda guerra mondiale e nei decenni successivi, avrebbe visto la sua massima espressione. In quest’opera ci vengono raccontate diverse storie di spionaggio, e posso notare, dalla bibliografia indicata, diversi testi non sempre semplici da reperire, almeno non in Italia, come “La guerre Secrète” di Anthony Cave Brown, Pymalion Editore, Parigi 1981, e “Historie de l’Espionnage mondial”. Tomi I e II, di Genovefa Etienne, edito da Kiron/Editions du Félin, Parigi 2000. Elemento quest’ultimo cha da al saggio un certo spessore, ed evidenzia la passione e l’impegno messi nella ricerca bibliografica. In effetti sulla bibliografia di quest’opera si potrebbe aprire un intera discussione e strutturare tante interviste quante sono le opere citate e questo mi porta in qualche modo verso la chiusura dell’intervista.

Una conclusione che potrebbe apparire troncata, poiché di domande per lei ne avrei ancora molte, forse troppe, ma se le ponessi tutte correremmo probabilmente il rischio di risultare tediosi per i nostri lettori, le pongo quindi, un’ultima domanda, forse la più personale.

C’è in questo libro una storia che, quando l’ha scoperta, qualcosa dentro di lei si è attivato e l’ha spinta a dire “devo raccontarla”, o, più semplicemente, quale tra le tante storie raccontate nella rassegna, l’ha colpita di più? Per quanto riguarda me, mi permetto di rispondere anche io alla stessa domanda, l’insolita storia di Roosvelt è quella che più mi ha affascinato, divertito, e stupito allo stesso tempo.

Quale storia preferita? Non saprei dire. Sono così diverse tra di loro, ma tutte egualmente
interessanti. Sono però rimasto colpito da una delle storie che ha a che vedere con la guerra solo
indirettamente: la tragedia Balvano (la più grande catastrofe ferroviaria della storia italiana, 600
morti)
. Mi sono, infatti, immaginato la scena che deve essere apparsa ai primi soccorritori nella
galleria maledetta: “i vagoni sono ancora illuminati. All’interno i passeggeri appaiono tranquilli.
Danno l’impressione di dormire. Ma di un sonno strano, insolito, un sonno senza respiro, un sonno
senza sogni, un sonno di morte. Sono, in effetti, tutti deceduti! La morte li ha colti all’improvviso e
nelle posizioni che occupavano per il viaggio e probabilmente non hanno avuto nemmeno il tempo di
capire cosa stesse succedendo.”
Questa scena, agghiacciante, l’ho visualizzata nella mia ente come
se fosse un film. E ho subito scelto di raccontare la storia della “galleria della morte”.

Con questa descrizione agghiacciante, che ci fornisce un assaggio di una delle storie insolite raccontate nel saggio, senza mediazione, ma con lo stile narrativo ed espressivo di Domenico Vecchioni, l’intervista può dirsi conclusa. Il saggio nel suo complesso offre al lettore uno spaccato della seconda guerra mondiale, da una prospettiva insolita, a volte buffa, altre volte drammatica, altre volte ancora “romantica” e, a mio avviso, esattamente ciò che un saggio di carattere divulgativo dovrebbe fare, spinge il lettore ad andare oltre, a non fermarsi alla narrazione, e spalanca infinite porte su quel drammatico conflitto, di cui, purtroppo sappiamo tanto e sempre troppo poco, di cui sappiamo molto e mai abbastanza e di cui, nella violenza drammatica delle vicende che l’hanno caratterizzato, sorprende, stupisce e lascia sconcertati ad ogni dettaglio rivelato.

A chi si rivolge l’opera ?

Come osservato dallo stesso autore, il saggio si rivolge ad un pubblico di appassionati e curiosi di storia, non necessariamente addetti ai lavori, ma desiderosi di scavare e sapere di più. Non sono però esclusi gli addetti ai lavori, io stesso che ho dedicato alla divulgazione storica gli ultimi 10 anni della mia vita, e nel fare ciò, mi sono ritrovato per forza di cose ad immergere le mani nella storia, alla ricerca di “storie” note e insolite da raccontare al mio pubblico e, nonostante ciò, durante la lettura ho avuto modo di sorprendermi, stupirmi e scoprire qualcosa di nuovo ad ogni pagina di questo libro.

La scrittura fluida e accattivante di Domenico Vecchioni e l’organizzazione delle storie, in sezioni e capitoli dedicati, rendono il testo adatto a chiunque, dal lettore occasionale a quello più regolare. Inoltre, trattandosi di una rassegna di storie indipendenti, per lo più scollegate l’una dall’altra ma allo stesso tempo, tenute insieme da un contesto storico ben definito, la seconda guerra mondiale, il libro può essere scomposto e letto in ordine sparso. Senza necessità di partire dalla prima pagina e finire all’ultima. Io ad esempio, scorrendo l’indice, ho individuato alcuni saggi che mi sono sembrati più accattivanti e sono partito da quelli, per poi divorare il resto del libro nelle successive ore.

In conclusione quindi, Storie insolite della seconda guerra mondiale, a mio avviso, può essere un ottima lettura e anche un buon regalo di natale, se avete amici o familiari appassionati e affamati di storia e di storie.

Non chiamatela legittima difesa. è terrorismo.

Anno 1990, l’Iraq invade il Qwait, l’ONU si attiva immediatamente, emanandola risoluzione 660 del 2 agosto 1990, con cui si dava all’Iraq un ultimatum. Lasciare i territori occupati del Qwait entro il 15 gennaio 1991.

Tra il 2 agosto ed il 15 Gennaio, viene avviata la missione “Desert Shield” e sull’Iraq vengono poste una serie di sanzioni e attivato un embargo totale. Fatta eccezione per medicinali e aiuti umanitari, nulla entra o esce dall’Iraq.

Alla mezzanotte del 15 gennaio scade l’ultimatum e i TG di tutto il mondo, trasmettono in diretta le immagini dei primi raid aerei della coalizione internazionale formata sotto l’autorità dell’ONU e autorizzata dal Consiglio di sicurezza delle nazioni unite, nel quale URSS e Cina si astengono dal voto, senza attivare veti. Si tratta di un evento epocale.

Dal 15 gennaio al 28 febbraio, l’ONU opera in Iraq a sostegno del Qwait occupato “illegalmente”.

Il 28 febbraio l’Iraq si arrende alla coalizione, Saddam Hussein da l’ordine alle proprie forze di lasciare il Qwait.

La guerra è finita.

L’attivazione reale, completa, onesta, dell’ONU ha permesso al Qwait di mantenere la propria sovranità, e messo fine ad una guerra di occupazione ai danni di uno stato sovrano in circa 6 mesi.

Anno 1978, Israele invade il Libano, anche in quel caso si attiva l’ONU, ma non ci sono ultimatum. Non ci sono embarghi o sanzioni. L’ONU, a seguito del veto degli USA, ha il potere limitato di costituire un interforza, il cui compito è quello di garantire la liberazione del Libano dall’occupazione Israeliana. Nasce la missione UNIFIL.

Nel 1983 la missione viene rinnovata, perché l’occupazione israeliana dei territori meridionali del Libano è ancora in corso.

Nel 2006 un nuovo rinnovo, perché le forze di occupazione irsaeliane sono ancora in Libano.

Nel 2024, il contingente militare israeliano, la propria forza di occupazione, beffamente camuffata da forza di liberazione, (IdF) torna ad avanzare in Libano, chiede alla missione UNIFIL di indietreggiare, in aperta e totale violazione delle numerose risoluzione che impongono ad Israele di lasciare il Libano.

Israele attacca con raid aerei città, ospedali, campi profughi. Colpisce, in diverse occasioni anche mezzi e basi ONU.

Ci si aspetterebbe embarghi, sanzioni, congelamento dei conti, sospensione dall’ONU o che venissero attivate immediatamente sanzioni, invece no, nulla di tutto questo, nessuna sanzione è stata attivata contro Israele, nessun embargo è stato posto, e anzi, si finge di condannare Israele, commentando con sdegno, ritenendo inaccettabile, che si colpiscano le forze di pace dell’ONU, ma allo stesso tempo, ci si “accontenta” delle rassicurazioni del governo israeliano, rassicurazione che “non riaccadrà” e invece, il giorno dopo un nuovo attacco all’ONU, ma ancora nessuna condanna reale. Solo parole di sdegno.

Per oltre 50 anni, l’ONU ha “protetto” in maniera eccessiva, la politica aggressiva di Israele, politica giustificata dalla necessità di sopravvivere e che ha portato, in nome della sicurezza di Israele, ad occupare illegalmente diversi stati sovrani adiacenti.

L’unica reazione concreta a tali occupazioni, si è registrata nel 56 quando il neonato stato di Israele ha occupato la penisola del Sinai e la risposta egiziana a tale occupazione fu la chiusura del canale di Suez.

Nell’ultimo anno abbiamo assistito a raid, massacri, crimini contro i civili, che nulla hanno a che vedere con il meschino attentato di Hamas del 7 ottobre.

Abbiamo assistito alla mobilitazione di uno stato terrorista che, in nome della sicurezza per fermare dei terroristi, ha compiuto 10 volte i loro crimini, perpetuandoli per oltre un anno, e in questo clima di crescente violenza e intolleranza reciproca, tra i terroristi di Hamas, Hezbollah e del governo Israeliano, l’ONU è rimasto a guardare.

In tutto questo, il governo israeliano, da oltre un anno, ha espresso più volte posizioni di aperta ostilità contro un ONU che in innumerevoli occasioni si è dimostrato, di parte e dalla parte di Israele, usando pesi e misure diverse se ad agire in un certo modo era Israele o l’Iran. Ma in questa sua remissiva faziosità, l’ONU è dipinto dal premier israeliano Netanyahu come antisemita, e in effetti, se guardiamo all’etimologia della parola, l’ONU si sta dimostrando “antisemita” ma non “antisionista”.

Semiti infatti sono i palestinesi, i cui diritti civili non esistono e possono essere bruciati vivi nella totale impunità di Israele. Semiti sono i libanesi, semiti sono gli Iraniani. Ed è per questo che, quando nei propri discorsi deliranti (visto che ritengono legittimi crimini immondi come l’attentato del 7 ottobre) l’Ayatollah Khomeini parla di Israele, li definisce Sionisti e non di Semiti. Semiti infatti sono anche gli Iraniani. E nel complesso si, l’ONU nell’ultimo anno, ha dimostrato più volte antisemitismo, lasciando che le diverse popolazioni semitiche di Libano, Siria, Iraq, Cisgiordania e Palestina, venissero private dei propri diritti, venissero perseguitati, venissero privati di cibo e acqua, venissero uccisi e torturati, perché la loro semplice esistenza li rende dei terroristi, dei criminali… esattamente come gli ebrei in Germania negli anni 30.

Ma questo ovviamente non si più dire, perché uccidere oltre 200.000 persone in un anno, è genocidio solo se quelle persone non sono di fede islamica.

L’autonomia differenziata nell’Impero Romano

Siamo nel 27 a.c., è il 727 anno dalla fondazione mitica di Roma, secondo la leggenda avvenuta il 21 aprile del753 a.c., e l’erede del dittatore romano Cesare, è asceso alla più alta carica politica che la storia romana avrebbe mai conosciuta, quella che noi oggi definiamo “imperatore”.

Ottaviano è de facto il primo “imperatore” romano, e il suo potere è frutto non solo di una “feroce” conquista, ma anche di una sottile ed efficace strategia politica, in parte ordita dal senato, ma sfruttata dallo stesso Ottaviano contro il senato.

Possiamo infatti dire che, se non fosse stato per le ambizioni senatorie, Ottaviano probabilmente non sarebbe mai diventato “l’eroe della tradizione Italica” contrapposto al “corrotto orientalista” Marco Antonio, che aveva preso in sposa la regina d’Egitto Cleopatra, adottando uno stile di vita lontano dai valori tradizionali.

Parte del programma politico senatorio prevedeva un incremento del potere dei senatori, attraverso una riforma delle province, riforma che viene attuata proprio da Ottaviano Augusto nel 27 a.c. con la riorganizzazione delle province romane in due diverse categorie, da un lato vi erano le province imperiali, controllate direttamente dall’impero (quindi anche dal senato) e dall’imperatore, e dall’altro vi erano le province senatorie, che godevano di maggiore autonomia, ed erano controllate dai senatori (non dal senato).

Prima di tale riforma, la gestione delle province era affidata a governatori nominati dal senato, che amministravano le province seguendo indicazioni e linee guida provenienti dalla capitale, un tale sistema tuttavia appariva sempre meno efficiente man mano che Roma si espandeva, e con essa i territori controllati diventavano sempre più distanti, geograficamente e culturalmente.

Anche se all’interno dei confini dell’impero si tendeva a parlare una “lingua comune” e moda, tecnologia, ritualità, costumi, cultura tendevano ad appianarsi sul modello romano, le varie radici permanevano e rendevano necessaria l’adozione di soluzioni differenti a problemi analoghi che si manifestavano in tutto l’impero.

La riforma delle province, ad opera di Augusto, ha un doppio valore, da un lato consolida il potere imperiale e dall’altro pacifica il senato aumentando significativamente il potere dei senatori, ma ha anche un terzo effetto, forse il più importante di tutti. L’aumento delle autonomie delle varie province senatorie, affidate al controllo dei senatori più potenti, quella che potremmo provocatoriamente definire l’autonomia differenziata delle province dell’Impero Romano, aumenta le differenze in termini di ricchezza, di status ecc.

Province Imperiali

Con il termine province Imperiali, si intende una serie di province romane, affidate direttamente alla gestione dell’Impero, in queste province l’Imperatore inviò ufficiali, amministratori e soldati, si trattava infatti di province complicate, non ancora completamente pacificate, non totalmente immerse nella cultura romana e mosse da forti movimenti ribelli. De facto le province imperiali videro una vera e propria occupazione militare, con la romanizzazione imposta con la forza delle armi, e tale occupazione contribuì a rafforzare il potere dell’Imperatore su tali regioni, poiché era l’Imperatore a detenere l’Imperium e quindi il comando sulle forze armate.

Nelle province imperiali, l’impero impose una serie di riforme fiscali tra cui spicca in modo significativo la destinazione delle “tasse” che confluivano nel tesoro privato dell’imperatore, tesoro con cui, in parte, l’Imperatore paga i soldati che quindi gli sono fedeli.

Nelle province senatorie le cose procedono in modo diverso.

Province Senatorie

Come anticipato, le province senatorie sono quelle province affidate al senato e ai senatori. Si tratta in larga parte delle “vecchie” province romane, già pacificate, già romanizzate e decisamente più tranquille. Anche in queste province vennero applicate diverse riforme, in ambito fiscale e normativo, la riscossione delle tasse ad esempio, venne affidata ai questori e il denaro raccolto andava ad alimentare l’erario, ovvero le riserve dello stato.

Se si guarda alla mappa delle province romane, divise tra Senatorie e Imperiali, possiamo osservare che l’Italia, la Francia Meridionale, il nord africa e la Grecia e parte dell’Anatolia, erano, inizialmente, province senatorie, mentre la spagna, il nord della Francia, Sardegna e Corsica, l’area balcanica, l’Anatolia orientale e il bellicoso medio oriente, erano province Imperiali.

La mappa, per chiarezza, è rappresentativa delle province romane sotto l’imperatore augusto, secondo le indicazioni relative al 14 d.c. anno della morte dell’imperatore.

Mostro la mappa delle province, e la loro ripartizione tra province Imperiali e Senatorie, nel paragrafo legato alle province senatorie, perché ci dà un idea più chiara di quella che fosse l’effettivo valore delle province.

De facto, le province più ricche, e meno dispendiose, erano province Senatorie, e dunque i senatori, avevano notevoli vantaggi nel gestire tali province.

L’Italia viveva una legislazione particolare, per cui, sa Silla in poi, era fatto divieto alle legioni di entrare nella Penisola, ragion per cui esiste la guardia Pretoriana, che, sotto Augusto, è l’unica forza militare autorizzata a solcare il suolo italico. Inoltre l’Italia è l’unico luogo dell’impero in cui è consentito coltivare la vite e l’olivo. Il nord africa, l’area corrispondente all’attuale Libia, Algeria e Tunisia, ad eccezione dell’Egitto, rappresentano il “granaio dell’Impero” in queste tre province è prodotta la quasi totalità di grano che nutre l’intero impero romano.

In altri termini, il Senato ha, nelle proprie province, il monopolio sulla produzione di Olio e Vino, e il quasi totale controllo sulla produzione di cereali. L’imperatore a sua volta controlla territori bellicosi, instabili, rivoltosi e pericolosi, estremamente dispendiosi in termini economici e in parte dipendenti dai territori controllati dal senato, poiché sono in quei territori viene prodotto cibo e vino per l’impero e per i soldati.

La maggiore libertà delle province senatorie

La maggiore libertà e autonomia delle province senatorie dipende in larga parte dal fatto che, trattandosi di province molto ricche, in cui, la maggior parte dei possedimenti terrieri erano proprietà delle stesse famiglie senatorie che legiferavano per quelle regioni, produceva quello che oggi definiremmo un “conflitto di interesse” per cui vi erano maggiori libertà, meno tasse, e in generale più tolleranza. Inoltre, a differenza delle province imperiali, ricordiamo ancora una volta, nelle province senatorie, non vi era un occupazione militare, non vi erano dislocati centinaia di migliaia di soldati romani per sedare le rivolte.

L’effetto principale di questa maggiore autonomia, si traduce in una crescente ricchezza, aumento di potere e prestigio, dei senatori, che se in fase augustea è ben gestita da Ottaviano, e sotto Tiberio, successore di Ottaviano e secondo Augusto della storia romana, è bilanciata da una rigida burocrazia imperiale affidata ai propri liberti, con l’avvento di Caligola, il “terzo Augusto”, le cose tenderanno a degenerare rapidamente.

Scontro tra Impero e Senato

Caligola, l’imperatore è la più alta carica dello stato, ma il suo potere, pe quanto sterminato, appare limitato, Caligola vede l’enorme potere di alcuni Senatori, che sulla carta, nella gerarchia imperiale, si collocano più in basso di lui, tuttavia, all’atto pratico, questi senatori gestiscono flussi di denari immensamente superiori ai propri. Vi sono senatori il cui patrimonio personale è immensamente superiore a quello dell’Imperatore, vi sono territori dell’impero, in cui neanche si sa chi è l’imperatore, ma si conosce perfettamente il nome e la storia di una data famiglia senatoria fortemente legata al territorio. Tutto ciò, per Caligola è inammissibile. Lui è Roma, lui è lo stato, lui è l’Imperatore, è lui a dover avere l’ultima parola su tutto, non i senatori, che però conoscono perfettamente le diverse dinamiche territoriali di uno stato immenso come quello romano.

Queste tensioni e rivalità, come sappiano, portano ad uno scontro diretto tra Caligola e il Senato e, dopo la morte di Caligola, varrà applicata dallo stesso senato e la tradizione senatoria, un operazione detta di “damnatio memoria” ovvero, il tentativo di cancellare dalla storia Caligola la dove possibile e deteriorarne il più possibile l’immagine pubblica la dove non era possibile cancellarla. Da qui la narrazione di un Caligola folle e privo di senno, per nascondere i tentativi dell’Imperatore di distruggere il potere politico ed economico del senato.

Caligola e autonomia

Lo scontro tra Caligola e il senato, probabilmente non sarebbe mai avvenuto in uno stato romano unitario, in cui lo stato, il senato, la politica e gli interessi privati dei senatori non si fossero intrecciati in maniera così ampia e complessa come successo nella Roma augustea. In un impero romano senza l'”autonomia differenziata” quale compromesso tra Senato e Imperatore, nella riorganizzazione del potere nella nuova struttura di Roma, per garantire all’Imperatore il potere che desiderava e ai senatori la ricchezza e il potere che desideravano, probabilmente non avremmo assistito alla nomina al rango di senatore di un Cavallo e non avremmo assistito a molte delle congiure, ordite dal Senato, quando alcuni imperatori minacciarono di limitarne i poteri, e questo avrebbe potenzialmente prodotto un mondo totalmente diverso nei successivi 2000 anni.

Ma cosa sarebbe potuto accadere, noi ovviamente non possiamo saperlo, possiamo al massimo ipotizzarlo sottoforma di narrazione ucronica e controfattuale, in un divertente esercizio narrativo.

Quello che invece possiamo sapere, e che all’atto pratico sappiamo, è come tale autonomia, abbia contribuito, attraverso lotte interne, politiche e non, a disgregare il tessuto unitario dell’impero romano, portando in pochi secoli l’Impero che in età augustea e nel primo secolo d.c. raggiungeva forse l’apice del proprio potere, a svanire completamente da lì a qualche secolo, soppiantato a partire dal quinto secolo, dai regni domano barbarici che, altro non furono che l’attuazione ultima e totale di quell’iniziale forma di autonomia concessa agli amministratori locali e ai senatori, impiantata da Ottaviano Augusto a partire dal 27 a.c.

Province Romane e Star Wars

Piccola nota a margine, nella trilogia prequel di Star Wars, nel capitolo III, la vendetta dei Sith, assistiamo all’ascesa dell’Imperatore Palpatine, ex senatore del pianeta Naboo, che con enorme carisma e un oculata strategia politica e militare, ricalca i passi di Cesare ed Ottaviano, riorganizzando la fallimentare e inefficiente repubblica, nel primo impero galattico. Impero che conferisce a Palpatine un enorme potere militare ed è accolto con favore dai senatori dell’intera galassia, proprio perché, come accaduto con Augusto, ai senatori è concessa ampia autonomia e indipendenza, su diverse tematiche chiave, all’interno delle proprie “province”.

Quelle autonomi si riveleranno poi una gabbia, che sottrarrà alla galassia la libertà attraverso una progressiva occupazione militare.

Ciò che accade in Star Wars è costruito sulla base di ciò che è accaduto realmente a Roma e non solo.

Quanto guadagna in media un sindaco in italia?

Continuano a crescere gli “stipendi” anzi, le indennità di funzione dei sindaci in Italia, dal 2021 ad oggi sono più che raddoppiate.

Per essere più precisi, i sindaci italiani non percepiscono uno stipendio ma un indennità di funzione, che è calcolata su una serie di parametri e mentre gran parte dell’Italia e degli italiani, soprattutto le fasce più giovani, faticano ad arrivare a fine mese nonostante un intreccio disumano di doppi e tripli lavori, spesso sottopagati, i sindaci italiani “fanno la bella vita”, con retribuzioni da capogiro, che, secondo la legge 234/2021, (comma 583-387) vanno da un minimo di 2208€ lordi al mese, per gli amministratori di comuni da meno di 3000 abitanti (vale a dire 1906,26€ netti), fino ad arrivare a 13.800€ lordi al mese, per gli amministratori di città metropolitane (vale a dire 10.070,26€ netti).

Quanto guadagna in media un sindaco in Italia?

La retribuzione dei sindaci è calcolata, con l’attuale normativa, in proporzione alla retribuzione dei presidenti di regione in relazione alla popolazione. Ciò significa che maggiore è la popolazione di un comune, maggiore sarà la retribuzione del sindaco.

Per essere più precisi un presidente di regione, in Italia, percepisce un indennità di servizio pari a 13.800€ lordi al mese per 13 mensilità. Sulla base di questo dato, sono calcolati i compensi dei sindaci dei comuni italiani, con questa progressione.

ComunePercentuale indennitàIndennità
Città metropolitana100%13.800€
Capoluogo di provincia con oltre 100 mila abitanti80%11.040€
Capoluogo di provincia con meno di 100 mila abitanti70%9.660€
Popolazione superiore a 50 mila abitanti45%6.210€
Popolazione tra 30 e 50 mila abitanti35%4.830€
Popolazione superiore a 10 e 30 mila abitanti30%4.140€
Popolazione superiore a 5 e 10 mila abitanti29%4.002€
Popolazione superiore a 3 e 5 mila abitanti22%3.036€
Popolazione inferiore a 3 mila abitanti16%2.208€

Facendo un rapido calcolo, se si considera che in Italia ci sono 7896 comuni, con una popolazione media di 7000 abitanti, ci sono infatti molti comuni “piccoli” e poche città metropolitane, (secondo l’Istat, ci sono 2,6 comuni ogni 100 chilometri quadrati), possiamo stimare una media di 4002,00€ (la retribuzione lorda di un sindaco di un comune con una popolazione tra 5000 e 10000 abitanti) per 7896 comuni. 

Il totale è una voce nel bilancio dello stato, da 31.584.000€ al mese, che, per 13 mensilità (i sindaci, nel complesso normativo, sono considerati pubblici ufficiali, quindi è riconosciuta loro la tredicesima mensilità) ovvero 410.592.000€ annui.

L’Italia quindi spende in media 410 milioni di euro all’anno per l’indennità di funzione dei sindaci, a cui aggiungere l’indennità dei vicesindaci, calcolata in percentuale alla retribuzione del sindaco, tra il 15% ed il 75%. Su questo punto torneremo più avanti.

Per quanto riguarda il compenso dei sindaci, la legge di bilancio 2022, ha introdotto, per i sindaci, una maggiorazione, fino al 5%, basata sul bilancio comunale. Per essere più precisi, è prevista una possibile maggiorazione nel caso in cui, la percentuale delle entrate proprie del bilancio comunale è superiore alla media regionale, tale maggiorazione è del 3% sullo stipendio del sindaco, è inoltre prevista una maggiorazione del 2% se la spesa procapite, relativa all’ultimo bilancio approvato, è superiore alla media regionale. 

Questo significa sostanzialmente che, i sindaci e le amministrazioni comunali, che mantengono attivi i conti del comune, facendo un buon lavoro, ma anche i sindaci inadempienti che non spendono per la comunità, limitandosi ad accumulare risorse economiche nelle casse del comune, ottengono benefici economici, nello specifico, una maggiorazione del 5% della propria retribuzione mensile. 

In media, il compenso dei sindaci italiani impatta sul bilancio dello stato per circa 420 milioni di euro all’anno, ma la giunta comunale non si compone solo dal sindaco, e, oltre al sindaco anche il vicesindaci percepisce un indennità, calcolata, in media, al 75% del compenso del sindaco. Inoltre, anche gli assessori percepiscono una retribuzione, anche questa calcolata in percentuale alla retribuzione del sindaco.

La retribuzione degli assessori

Come anticipato, sindaci e vicesindaci non sono i soli membri della giunta comunale a percepire un indennità di funzione, contrariamente a quanto si crede infatti, anche gli assessori percepiscono un’indennità di funzione mensile, che va dal 10 al 75% del compenso dei sindaci.

Per i comuni da meno di 1000 abitanti è prevista un indennità di 221€ lordi, mentre per le città metropolitane, è prevista un indennità da 8.970€ lordi. Nel mezzo, una serie di scaglioni calcolati in funzione della popolazione.

Anche il numero di assessori varia a seconda del numero di abitanti, più precisamente, un comune da meno di 1000 abitanti potrà nominare massimo 4 assessori, un comune medio, di circa 7000 abitanti potrà nominarne 5, la cui indennità sarà in media di 1.945€ mensili per 13 mensilità, ed una città metropolitana potrà nominare fino ad un massimo di 20 assessori.

Benefit e diarie

Per quanto riguarda i sindaci, e in alcuni casi vicesindaci e assessori, oltre all’indennità di servizio, possono essere previsti anche una serie di benefit aggiuntivi, il cui valore complessivo è difficilmente quantificabile, poiché tali benefit comprendono diaria in caso di trasferta e rimborso spese, per un valore medio stimato di circa 1000€ mensili, che, moltiplicato per 12 mensilità e 7896 comuni, raggiunge i circa 10 milioni di euro annui per i sindaci, 7,5 milioni per i vicesindaci.

Quanto costano allo stato le giunte comunali?

Se prendiamo in considerazione i circa 7896 comuni italiani, e ipotizziamo una popolazione media di 7000 abitanti, possiamo osservare che in media, una giunta comunale, tra indennità di servizio e benefit riconosciuti a sindaci, vicesindaci e assessori, una giunta comunale costa in media, circa 16.000€ al mese, per tredici mensilità annue, ovvero circa 208 mila euro annui. Moltiplicando questo valore approssimativo per il totale dei comuni italiani otteniamo un costo annuo di circa 1,65 miliardi di euro.

Va precisato che non è sempre stato così, l’aumento dei salari di sindaci, vicesindaci e assessori, è qualcosa di estremamente recente nella storia italiana, e il più importante incremento delle indennità dei sindaci è datata 2022, a seguito di un precedente incremento risalente al 2019, che, insieme hanno portato ad un aumento esponenziale della spesa media sostenuta dall’Italia per le indennità dei sindaci, e di riflesso di vicesindaci e assessori.

Gli aumenti, si stima abbiano avuto un’incidenza prossima al 100%, in altri termini, i guadagni, soprattutto dei sindaci, sono quasi raddoppiati in soli 2 anni e come riportato dal corriere della sera infatti, nel solo passaggio dal 2022 al 2025 c’è stato un significativo incremento.

Gli USA e il diritto internazionale.

Negli USA il congresso sta votando, proprio in questi giorni, una disposizione per imporre una serie di sanzioni ai giudici e procuratori della Corte Penale Internazionale che hanno richiesto l’arresto di Benjamin Netanyahu, diversi ufficiali israeliani e i leader di Hamas.

La richiesta della CPI è relativa all’inchiesta in corso, per i crimini di guerra commessi da ambo le parti, nel contesto generale del conflitto tra Israele e la Palestina a seguito dell’attentato terroristico del 7 ottobre 2023.

Nella giornata di Martedì 4 giugno 2024 la camera degli USA, in questo momento a maggioranza repubblicana, ha dato il proprio via libera alle sanzioni contro i giudici con una maggioranza di 247 voti a favore, contro 155 voti contrari. Il testo del provvedimento dovrà essere ora votato anche dal Senato degli USA Affinché queste sanzioni vengano approvate, il provvedimento dovrà essere approvato anche al Senato, dove la maggioranza è democratica, il partito democratico controlla 51 seggi contro i 49 repubblicani.

Questo sfasamento è dovuto al fatto che, negli USA, il congresso viene eletto in due tempi, una parte viene infatti eletta insieme al presidente, mentre una seconda parte viene eletta durante le elezioni di “metà mandato”.

Questo provvedimento, in vaglio al congresso degli stati uniti è estremamente importante perché nel caso in cui venisse respinto, si avrebbe un indiretto riconoscimento dell’autorità della corte penale da parte degli USA, riconoscimento che in questo momento manca. In caso contrario invece, si avrebbe, purtroppo, l’ennesima conferma della reticenza statunitense nel riconoscere un’alta corte internazionale con l’autorità di giudicare anche l’operato statunitense.

Per essere più precisi, la corte penale internazionale è una corte indipendente, al pari della Corte di Giustizia Internazionale (organo giuridico dell’ONU) e insieme sono le massime corti di diritto internazionale, si tratta quindi di una corte estremamente importante, riconosciuta da oltre 120 paesi al mondo, che a differenza della CGI ha una particolarità, essendo una corte indipendente e non un organo ONU (come invece lo è la CGI), non è sottoposta al diritto di veto dei membri permanenti del consiglio di sicurezza.

Questa differenza è estremamente importante perché corregge un enorme difetto della corte internazionale di giustizia, tale corte infatti, proprio perché subordinata al diritto di veto dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non potrà mai esprimersi concretamente contro Francia, UK, Russia, Cina ed USA. O meglio, potrà esprimersi contro di loro, ma, tali sentenze non potranno essere applicate perché possono essere bloccate dal diritto di veto.

La Corte Penale Internazionale, nasce tra anni 90 e primi anni 2000 anche allo scopo di correggere questo “bug” della CGI, ed è importante sottolineare che, mentre Francia e UK hanno riconosciuto fin da subito l’autorità di questa corte, Cina, Russia e USA, non ne hanno mai riconoscono l’autorità.

Gli USA in particolare hanno firmato, ma mai ratificato, lo statuto della corte, che quindi, per gli USA non ha giurisdizione sugli USA.

Lo stesso vale per Israele, anche Israele, su cui la Corte Penale Internazionale si è espressa in più occasioni, non riconosce l’autorità della corte.

I paesi aderenti alla Corte Penale Internazionale, o più precisamente i paesi che hanno sottoscritto lo Statuto di Roma, aggiornati al 2023, sono 124, e tra questi, tutti i paesi membri dell’Unione Europea e il Regno Unito.

Tornando al provvedimento, cerchiamo di capire che valore ha e cosa implica.

Il Voto al congresso, contro la Corte Penale Internazionale, da un punto di vista prettamente giuridico, non ha alcun valore e anzi, gli USA infatti non hanno alcun diritto di Sanzionare i giudici e procuratori di questa corte, che riconoscono come istituzione sovranazionale, me di cui non ne riconoscono l’autorità. Sanzionare giudici e procuratori della CPI de facto significa sanzionare cittadini, in questo caso specifico Britannici, e ciò comporterebbe un pericoloso scontro diplomatico tra USA e UK.

Su un piano prettamente politico, questa votazione ha un enorme impatto, e può avere importanti ripercussioni sulle imminenti elezioni presidenziali. La Camera, abbiamo già detto, in questo momento è a maggioranza Repubblicana, e i repubblicani hanno lanciato un messaggio chiaro, e perfettamente in linea con la politica di Donald Trump e il messaggio è “noi siamo al di sopra della legge” sia negli USA che sul piano internazionale.

La posizione dei repubblicani in effetti ricalca perfettamente le posizioni dell’ex presidente in merito ai processi penali che lo hanno visto protagonista nell’ultimo periodo.

Stano dicendo, “quel giudice, quel procuratore” non vanno bene, e il motivo per cui non vanno bene è perché sono indipendenti, tecnicamente superpartes.

Trump e a quanto pare il partito repubblicano, non vogliono una giustizia equa e superpartes, vogliono una giustizia che possono controllare, Trump vuole essere giudicato da giudici repubblicani, giudici nominati da lui durante la sua presidenza, mentre gli USA accettano di essere giudicati solo dalla CGI su cui hanno diritto di veto.

Questa retorica estremamente pericolosa rilancia l’immagine di un America che vuole essere intoccabile, che vuole avere voce in capitolo sulla politica interna ed estera di altri paesi, ma che non accetta l’esistenza di una corte di diritto internazionale che possa sentenziare sul suo operato. E in questo, l’approvazione di sanzioni contro i giudici della CPI sono estremamente pericolose perché legittimano, sul piano dell’opinione pubblica mondiale, le accuse lanciate da decenni contro gli USA da paesi come Iran, Cina, Russia, ecc. ma non solo, legittimano le dichiarazioni di organizzazioni terroristiche come Hamas e Al Qaeda, che denunciano, con la forza delle armi, la non equità del diritto internazionale e l’ipocrisia dell’occidente filo americano.

Per quanto riguarda la politica interna degli USA e le imminenti elezioni, il partito democratico ora ha al proprio arco un ottima freccia, può infatti dire ai propri elettori “ecco, questi sono i repubblicani che governeranno il paese nei prossimi quattro anni. Se non andate a votare, se non prendete posizione, avremo un America che infrange il diritto internazionale, che punisce chi persegue la pace e la giustizia, e arma chi rifiuta la pace e sta compiendo impunemente un genocidio”.

Queste argomentazioni sono tuttavia un arma a doppio taglio, perché in realtà, la politica di potenza degli USA, non è un esclusiva repubblicana, e molti elettori democratici potrebbero condividere la volontà di un America intoccabile, che non riconosce e accetta l’esistenza di una corte indipendente che possa giudicare anche gli USA e lo stile di vita americano, con le sue infinite contraddizioni.

Laicità e Blasfemia in Italia

L’Italia è uno stato laico, a dirlo è la nostra costituzione che, all’articolo 8 dichiara

“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge [cfr. artt. 19, 20].
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.”

Questo significa che in Italia, tutte le religioni e confessioni religiose, possono essere professate liberamente, senza limitazioni ed è compito dello stato tutelare chi professa tali religioni. In questo senso, il reato, o più precisamente, l’illecito di blasfemia, riconosciuto nel codice penale all’articolo 724, è una tutela per chiunque, in Italia, pratichi qualunque religione.

L’articolo del codice penale dichiara

“Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità [o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato] è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 51 a euro 309…

Questa norma, presente nel codice penale dal 1930, è stata corretta, o meglio, la corte costituzionale, nel 1995 ha richiesto una correzione che non è stata ancora realizzata, poiché nell’articolo si parla di “religione dello stato”, un concetto alieno alla laicità dell’Italia repubblicana, che non riconosce una religione dello stato.

De facto, l’illecito di blasfemia si configura quando si “oltraggia” una qualunque religione, e punisce i trasgressori con una sanzione che va dai 51 ai 309 euro, a seconda della gravità. Tale norma, tecnicamente, riguarda anche la bestemmia.

In ogni caso, il fato che, nel codice penale italiano sia presente una norma contro la blasfemia, non risulta in contraddizione con il principio di laicità dello stato, poiché, tale norma, è a tutela di chiunque pratichi una qualunque religione. Pertanto è reato di blasfemia insultare o offendere qualunque divinità, o discriminare qualunque credente di qualunque religione o confessione religiosa.

Detto molto semplicemente, per la legge italiana, non vi è alcuna differenza tra ayatollah, guida suprema dell’Iran e il pontefice, monarca assoluto dello stato Vaticano. Sul piano giuridico e internazionale, sia il Vaticano che l’Iran sono sistemi teocratici, alla cui guida vi è un capo religioso.

Con queste premesse, guardiamo ora ad un recente episodio di cronaca.

Sabato 1 giugno 2024, a Jesolo, nella provincia di Venezia, regione in cui la bestemmia è utilizzata con molta leggerezza, è avvenuto un episodio alquanto pittoresco.

Un giovane festeggiando il proprio addio al celibato, ha indossato una tonaca bianca, preso in spalla una croce in legno, e dato il via alla propria personale via crucis che ha avuto termine in piazza della Marina, quando, al seguito della mobilitazione della polizia locale, è stato sanzionato con una multa da 200€, secondo quanto riportato dalla stampa, ed è stata sequestrata la croce.

La sanzione amministrativa da 200€ rientra nel range previsto per l’illecito di blasfemia, il sequestro della croce invece, si trova in un limbo normativo, non è infatti chiaro se tale sequestro sia legittimo o meno, e a decidere in merito sarà eventualmente un giudice di pace, qualora il ragazzo multato dovesse decidere di fare ricorso. Ipotesi da non escludere perché la manifestazione del giovane, anche se convenzionalmente considerata “blasfema” o meglio, irrispettosa, nei confronti della religione cristiana, de facto non è un insulto alla religione, ne un tentativo di limitare la libertà religiosa altrui.

Volendo essere precisi però, l’utilizzo improprio di elementi, simboli e costumi religiosi, al fine di ridicolizzare una data religione, è a tutti gli effetti un oltraggio alla religione (qualunque essa sia) e come tale è tecnicamente punito dalla legge sulla blasfemia.

Concludo con una nota polemica, ricordando che, in Italia, tale norma è utilizzata in maniera arbitraria e tutela esclusiva della religione cristiana. De facto, è consentito oltraggiare e ridicolizzare altre religioni, che pur essendo tutelate dalla medesima legge sulla blasfemia e dalla costituzione, in realtà, non godono di alcuna tutela e anzi, vi sono spesso, dichiarazioni politiche e prese di posizione, estremamente forti, contro alcune religioni, in particolare l’Islam, da parte di politici che, invece di tutelare la laicità dello stato e la pluralità di religioni, cercano sistematicamente di limitare la libertà religiosa, in modo strumentale, offendono, denigrano e delegittimano culti e confessioni religiose diversa dal più diffuso cristianesimo cattolico romano.

Tornando al caso di Jesolo, qualcuno potrebbe chiedersi se siamo davvero di fronte ad un illecito di blasfemia nei confronti del cristianesimo? La risposta a questa domanda è ambigua e non è netta, quindi la rilancio a voi, a mio avviso si, esattamente come le dichiarazioni dei nostri politici, in particolare di alcuni movimenti di estrema destra.

Eppure il vento soffia ancora su Rafah

La campagna “All Eyes on Rafah” ha quasi raggiunto 40 milioni di condivisioni in meno di 24 ore.
La campagna social, diffusa a partire dal 28 maggio, a seguito del disastroso attacco israeliano su Rafah, definito da Netanyahu un “incidente” (l’ennesimo incidente) a cui ha fatto seguito l’ingresso delle forze di terra israeliane a Rafah, città nel sud della striscia di Gaza nonostante la richiesta dell’intera comunità internazionale di non fare quel passo.

Questa campagna è un messaggio “popolare” che sfrutta la potenza dei social, per mostrare la direzione in cui punta la bussola morale dell’opinione pubblica mondiale, un opinione pubblica che “ricorda” che sceglie di “non dimenticare” che ha fatto tesoro ed ha imparato dalle giornate della memoria celebrate ogni anno il 27 gennaio.

In quelle giornate, continuiamo a ripetere che servono per “non ripetere gli stessi errori”, e pure, a quanto pare, quegli “errori” continuiamo a commetterli, anche abbastanza frequentemente.

Ma non li commettono i popoli, non li commettono le persone, li commettono avidi e spietati uomini di potere, mentre l’opinione pubblica mondiale invoca, a gran voce, la mobilitazione concreta, reale, invoca l’intervento diretto e tempestivo della comunità internazionale, per fermare un genocidio che in proporzione, ha fatto più vittime dell’Olocausto.

Quella stessa comunità che in altre occasioni, è intervenuta in meno di 24 ore, e che in questa occasione, dopo oltre 270 giorni di massacri e vittime civili mietute quotidianamente, non ha ancora preso una posizione.

Questa campagna, con le sue circa 40 milioni di condivisioni mondiali, ci ricorda che “il vento soffia ancora”, per usare le parole di Pierangelo Bertoli, un vendo che trasporta nelle sue spire, le grida di civili morti senza una ragione, di bambini carbonizzati le cui ceneri ora, sono nel vento.
Quel vento che Francesco Guccini in Auschwitz si chiedeva quando si sarebbe posato “soffia ancora”, mentre la morte, tiene il suo concerto a Rafah, parafrasando Roberto Bignoli, un concerto il cui biglietto molti, soprattutto donne e bambini, lo hanno trovato in fila per il pane o in un campo profughi, dietro l’angolo di casa, mentre nel sonno un missile strappava loro la vita con precisione chirurgica.

Questa campagna social, questa storia condivisa su instagram da milioni di persone in tutto il mondo, porta con se quel vento, quelle grida, quel dolore, e le consegna alla storia, perché la memoria non si perda tra le macerie di una città cancellata, di un popolo sterminato. Perché la Storia, quella con la S maiuscola, affonda le proprie radici in quel vento rumoroso, che rompe il silenzio, entra nelle case e ci urla di uscire, di scendere nelle piazze, e gridare, di invocare il potere che serve i popoli, affinché i nostri governanti guardino più dall’altra parte.
La Storia ci chiede di non comportarci come i cittadini del Reich, perché se guardiamo altrove, se “giustifichiamo”, quel massacro, tutt’altro che silenzioso, allora siamo complici.

In questa storia non ci sono vie di mezzo e non possiamo fingere che ci siano, scegliere di non condannare il genocidio in atto nella striscia di Gaza significa giustificarlo, significa permettere che si ripeta, significa fallire, significa tradire le milioni di vittime dell’Olocausto, dei campi di sterminio nazisti e dei gulag sovietici. Significa ricadere, ancora una volta, nella banalità del male.

I nazisti, ci dice Hannah Arendt, non erano demoni mostruosi e sadici, erano persone comuni, la cui grande colpa è stata quella di “non mettersi concretamente nei panni degli altri” scegliendo di non vedere e guardare dall’altra parte mentre milioni di persone perdevano tutto, soffrivano e morivano in un modo meccanicamente perverso. Il male è banale e si nutre dell’indifferenza dell’uomo, quella stessa indifferenza che oggi impedisce ai nostri governi di condannare fermamente i crimini, non di Israele, ma del governo Israeliano.

Francia risponde a Russia, Avviata esercitazione nucleare su suolo francese

È passato davvero tanto tempo dall’ultima volta che ho scritto del conflitto in Ucraina e il motivo è che, in questi mesi, sebbene vi siano stati numerosi stravolgimenti sul campo di battaglia, dal punto di vista geopolitico, strategico e storico, in realtà, la situazione è rimasta sostanzialmente la stessa di Giugno 2022, non c’è stata ragione, almeno per me, di parlare di cosa accadeva, perché non è mio interesse fare cronaca di guerra.

In questi giorni tuttavia, lo scenario sembra essere in fase di cambiamento, il conflitto ha assunto e sta assumendo un registro nuovo, con dinamiche nuove (per il conflitto in Ucraina che siamo abituati a vedere da circa 2 anni) ed ho ritenuto opportuno tornare sull’argomento.

Guerra nucleare all’orizzonte?

Il tema della guerra nucleare è più che mai attuale e nelle ultime settimane è diventato il vero cardine del dibattito inerente il conflitto in Ucraina. La Russia, va precisato, ha sempre paventato, fin dai primi mesi di guerra, la possibilità di fare ricorso ad armi nucleari per “tutelare” l’integrità nazionale Russa, questa posizione tuttavia, nei primi 2 anni del conflitto, ha coperto un ruolo marginale, un po’ perché Putin era a fine mandato, un po’ per altre ragioni, le cose tuttavia sono cambiate nelle ultime settimane, quando la Duma ha autorizzato, per la prima volta, esercitazioni con testate tattiche nucleari al confine con l’Ucraina.

A queste esercitazioni, le prime sono avvenute intorno alla metà di maggio, ha fatto immediatamente eco la Francia, il cui presidente Macron appare una delle voci apparentemente più bellicose d’Europa e della NATO.

Senza troppi giri di parole, alle esercitazioni russe hanno fatto seguito esercitazioni nucleari in Francia.

Francia testa missili nucleari

Il test francese ha visto l’impiego di missili ASMPA-R in uso alle forze armate francesi dal dicembre 2023. Si tratta di un missile da combattimento, a corta-media gittata, estremamente potente, che può essere trasportato da caccia Rafale di classe F3 (si tratta della 6° generazione di caccia stealth).

Il missile ASMPA-R, di per se è innocuo, è solo un vettore di lancio, ma può essere armato con testate nucleari, il che lo rende estremamente pericoloso e potente. Parliamo di un missile, ad alta precisione, che può essere lanciato da un caccia in combattimento, ed è in grado di colpire con estrema precisione grazie ai più avanzati sistemi di guida, ed è in grado di trasportare armi nucleari.

Focus sui missili ASMPA-R

I vettori ASMPA-R, come anticipato, sono in dotazione alle forze armate francesi da dicembre 2023, si tratta quindi della tecnologia più “aggiornata” in dotazione alle forze armate francesi. Il primo test di lancio di questi vettori è stato effettuato nel dicembre 2020, in piena pandemia, mentre a marzo 2022 (a poche settimane dall’inizio della guerra in Ucraina) la Francia ha registrato il lancio di qualificazione. In fine, nel 2023, l’assemblea nazionale ha approvato il loro impiego effettivo.

Stando a quanto riportato dal Ministero delle forze armate francese, la Francia è già al lavoro su una versione aggiornata del ASMPA-R, che prende il nome di ASN4G e che, secondo quanto riferito dal ministero, potrebbe entrare in servizio nel 2035 e rimanervi fino al 2050.

Arsenale nucleare francese

Secondo il Nuclear Notebook, la rubrica del Bulletin of the Atomic Scientist introdotta nel 1987, l’arsenale nucleare francese può fare affidamento su una scorta di circa 290 testate, numeri sostanzialmente invariati dal 2008 quando, durante la presidenza si Sarkozy, è stato annunciato che l’arsenale nucleare francese era stato ridotto a meno di 300 testate.

Sono tuttavia in corso di aggiornamento e ammodernamento diversi sistemi di lancio, tra cui missili balistici, missili da crociera, sottomarini, aerei e l’intero complesso industriale nucleare.

Sappiamo id esempio che nel 2015, durante la presidenza Hollande, la Francia ha dichiarato di essere in possesso di circa 300 testate, per tre serie da 16 missili basati su sottomarini e 54 sistemi di lancio ASMPA a medio raggio.

L’ultimo aggiornamento ufficiale sull’arsenale nucleare francese risale al 2020, anno in cui, il presidente Macron ha rilanciato la linea di Sarkozy, ovvero, meno di 300 testate.

Per essere più precisi, le testate dovrebbero essere 290 ripartite secondo questo schema

Abbreviations used: ASMPA = air-sol moyenne portée-amélioré (medium-range air-launched);
MIRV = multiple independently targetable reentry vehicle; TN = tête nucléaire (nuclear warhead);
TNA = tête nucléaire aéroportée (air-based air-launched nuclear warhead);
TNO = tête nucléaire océanique (sea-based air-launched nuclear warhead).

aRange for aircraft is shown. The range of the ASMPA air-launched cruise missile is close to 600 km.

bThe Mirage-2000N, which served in the nuclear strike role, was retired in 2018. All nuclear Rafale F3s are currently at Saint-Dizier Air Base. France produced 54 ASMPA air-launched cruise missiles, including those used in test flights.

cThe ASMPA air-launched cruise missile first entered service with the Mirage-2000N in 2009.

dThere is considerable uncertainty regarding the yields of the new warheads. It appears that both the TNA and TNO are based on the same new design, which is different from that of their predecessors (Tertrais Citation2020). This design choice could potentially indicate that the new warheads might have the same yield. Although some French sources continue to attribute a high 300-kiloton yield to the TNA (the same yield as the TN81 warhead that armed the ASMP), the manufacturer of the ASMPA says the TNA has a “medium energy” yield, potentially similar to the TNO’s approximately 100 kilotons (Groizeleau Citation2015). In the absence of more concrete information, however, these numbers should be treated as estimates.

 Fonte : https://doi.org/10.1080/00963402.2023.2223088

La Francia, come possiamo osservare, è uno dei paesi più trasparenti in materia di tecnologia nucleare, dell’arsenale nucleare francese sappiamo quasi tutto, e questo perché, per diversi anni, la Francia ha divulgato informazioni e dettagli inerenti le proprie forze e operazioni nucleari, per ragioni sia politiche che strategiche, ma di queste ne parleremo in maniera più approfondita più in avanti.

In ogni caso, da quel che sappiamo, sul piano nucleare, negli ultimi anni la Francia non è rimasta con le mani in mano, ma si è attivata in modo concreto per ammodernare i propri sistemi.

Nel 2018 la legge sulla pianificazione militare ha previsto, per il periodo 2019-2025 lo stanziamento di circa 37 miliardi di euro, quasi il doppio dei 19 miliardi stanziati per il periodo 2013-2019, finalizzati alla manutenzione e la modernizzazione delle forze e delle infrastrutture nucleari.

Nel 2022 il Ministero delle forze armate francesi ha stanziato ulteriori 5,7 miliardi di euro per le attività legate alle armi nucleari, in questo caso, si è registrata una contrazione della spesa rispetto al 2021, anno in cui sono stati stanziati allo stesso scopo circa 6 miliardi. Nel 2023 invece sono stati stati 5,6 per l’ammodernamento delle forze nucleari.

Potremmo aprire un ulteriore parentesi su missili balistici e sottomarini, ma l’obbiettivo di questo articolo non è quello di sviscerare l’intero arsenale nucleare francese. Mi limio a dire che anche su quel fronte ci sono stati importanti investimenti e ammodernamenti.

Per approfondire il discorso sull’arsenale francese vi rimando a questo articolo di Hans M. Kristen, Matt Jorda e Eliana Johns, si tratta del Nuclear Notebook, la rubrica del Bulletin of Atomic Scientists’pubblicato a Luglio 2023 con doi https://doi.org/10.1080/00963402.2023.2223088

L’articolo è libero, pertanto potete leggerlo gratuitamente.

Siamo di fronte ad una escalation?

Come scritto anche su Instagram, a questo punto viene spontaneo farsi alcune domande, la prima è siamo di fronte ad una escalation? seguita da cosa implica, sul piano strategico e geopolitico questa eventuale esercitazione francese? e infine, se dobbiamo preoccuparci.

Partiamo dalla domanda apparentemente più semplice, il test missilistico francese, svolto a pochi giorni di distanza dai test russi rappresenta una escalation?

Se si guarda ai soli due avvenimenti, e si ipotizza una relazione tra i due, allora la risposta può essere in un certo senso affermativa, la Francia ha risposto ai test nucleari in modo muscolare, mettendo in campo ed esibendo parte del proprio arsenale nucleare, o meglio, ha testato strumenti che possono essere utilizzati per il lancio di armi nucleari a medio raggio.

Va tuttavia detto che, i caccia Rafale in dotazione alle forze armate francesi, non sono stati forniti all’Ucraina, il test quindi ha sì un valore strategico, ma non inserisce concretamente nel contesto bellico dell’Ucraina.

Il test ha indubbiamente un valore strategico, serve a veicolare il messaggio che, a differenza della seconda guerra mondiale, almeno la Francia, non è rimasta a guardare, ed ha la forza muscolare per rispondere rapidamente e in maniera chirurgica ad eventuali aggressioni.

Con questo test la Francia, e in un discorso più ampio, la NATO, hanno tacitamente ribadito che, portare la guerra fuori dall’Ucraina all’interno dei paesi NATO potrebbe essere estremamente pericoloso accendendo la miccia di una possibile guerra nucleare.

Le conseguenze di questo test, sul piano strategico e geopolitico, possono essere diverse, e dipenderanno principalmente dal modo in cui la Russia risponderà ai test. Se la risposta russa sarà reazionaria, i rapporti diplomatici tra UE e Russia potrebbero incrinarsi ulteriormente e la Russia potrebbe aumentare la propria aggressività con ulteriori provocazioni, più incisive dei test nucleari al confine e le rivendicazioni sul baltico che hanno caratterizzato gli ultimi giorni. Allo stesso tempo, ora che è evidente che l’Europa o almeno la Francia, può rispondere rapidamente ad eventuali attacchi nucleari, torna ad aleggiare sull’Europa lo spettro di una pace nucleare.

Pace nucleare per inciso, non è una ricerca di equilibrio nucleare tra gli schieramenti, come sostengono alcuni, ma è più un evitare di fare la prima mossa perché le conseguenze sarebbero devastanti per tutti.

Dobbiamo preoccuparci? Personalmente non credo che Putin, Macron Biden, Trump, ecc, siano così stupidi da fare la prima mossa per innescare una guerra nucleare, ovvero, lanciare la prima bomba atomica. Pertanto, sono abbastanza incline a pensare, esattamente come due anni fa, che ciò che ci aspetta sarà un crescente numero di scontri per procura, tra Africa, Asia e America Latina, mentre in Europa, più precisamente in Ucraina, si continuerà con una guerra di logoramento, il cui esito più plausibile continua ad essere quello di un Ucraina divisa a metà, come la Germania del secondo dopoguerra.

La venere in pelliccia | WIP

Direttamente dalla nostra pagina Kink Is Freedom, un analisi del classico della letteratura erotica, La Venere in Pelliccia.

Questo articolo è WIP (Work in Progress), non è quindi una versione completa e nel tempo verranno aggiunti altri paragrafi. Si tratta di una tipologia di contenuti che, qualche anno fa, quando Historcialeye era attivo a pieno regime era riservata ai Patreon, voglio però pubblicare e pubblicare tanto, ho quindi deciso di pubblicare articoli e post, anche incompleti, che verranno ampliati eventualmente nel tempo, e per iniziare ho scelto un di parlare di un libro, estremamente complesso, con diversi piani di lettura, che mi e ci darà molte occasioni per ampliare l’articolo.

La Venere in Pelliccia” di Leopold von Sacher-Masoch è uno dei grandi classici della letteratura erotica. Del resto, Masoch, insieme a De Sade, rappresenta uno dei “pilastri” della cultura BDSM.

Fonte inesauribile di polemiche e scandali, fin dalla sua prima pubblicazione nel 1870. Questo romanzo, racconta una straordinaria storia d’amore e intrisa di simbolismo e introspezione psicologica, esplorando le dinamiche di potere e la sessualità in un modo nuovo e inaudito per l’epoca.

Al centro della storia troviamo Severin, un uomo che cerca la sottomissione nelle relazioni amorose, e Wanda, una donna dal carattere dominante e seducente. Attraverso questi personaggi, Sacher-Masoch affronta temi controversi il piacere nella sottomissione e il dominio sessuale.

L’opera sfida le convenzioni sociali, mettendo in discussione i ruoli di genere e le aspettative della società dell’epoca. La figura di Wanda, simboleggiata dalla dea Venere, incarna la femminilità e la seduzione, ma anche una forza e un’autorità che sfidano l’ordine patriarcale.

Al momento della sua uscita, “La Venere in Pelliccia” ha scosso il pubblico, non solo per le sue tematiche audaci, ma anche per il modo in cui ha messo in luce l’ambiguità umana e i desideri nascosti. Il libro, in maniera abbastanza anacronistica, indaga le dinamiche di potere nelle relazioni sociali e l’emancipazione femminile, temi che ancora oggi sono di estrema attualità e anche oggi.

“La Venere in Pelliccia” è più di un semplice racconto erotico; è uno specchio delle complessità dell’animo umano e delle sue contraddizioni. È un invito a guardare oltre le apparenze e a comprendere le profondità del desiderio e dell’identità.

Non è quindi un caso se questo romanzo ha ispirato adattamenti teatrali e cinematografici, tra cui l’omonimo capolavoro di Roman Polanski, e ancora oggi continua a provocare e stimolare la riflessione, dimostrando come le questioni sollevate da Sacher-Masoch siano ancora rilevanti nel nostro tempo.

In attesa di avere una versione definitiva di questo articolo, vi lascio a questo video di Michelle Aprémont, scrittrice, poetessa e indirettamente amica, una volta abbiamo bevuto una birra insieme, siamo praticamente migliori amici… change my mind.



Goebbels aveva ragione, il suo discorso del 39 mette in guardia l’Europa dalla Russia di Putin

Gli ultimi avvenimenti del conflitto in Ucraina, le parole di Putin in merito alla politica estera Russa, le parole di Medved in merito all’Ucraina e ai “nemici della Russia” mi hanno riportato alla memoria, un discorso di Joseph Goebbels, pronunciato nel 1940, all’inizio della seconda guerra mondiale.

In quel discorso Goebbels, pronuncia queste parole.

Il nuovo cancelliere del reich è l’uomo che ha scritto il Mein Kampf, che dice questo e quest’altro. Non possiamo tollerare un uomo del genere alle nostre frontiere. O sparisce o si marcia!”. Ma non l’hanno detto. Ci hanno lasciati tranquilli, ci hanno permesso di superare la zona a rischio e noi siamo riusciti a evitare tutti gli scogli pericolosi. E quando ormai eravamo in porto, e armati bene, meglio di loro, allora hanno cominciato la guerra!

Per essere precisi, questa è una traduzione in Italiano, della traduzione in Inglese, del discorso in Tedesco di Goebbels, mi scuso quindi se non sono “esattamente” le parole utilizzate dal politico tedesco, ma il senso è quello.

In ogni caso, questo discorso è pronunciato nel 1940 dall’allora ministro della propaganda hitleriana, e c’è un incredibile e straordinaria lucidità nelle sue parole. Goebbels è perfettamente consapevole che, quella guerra iniziata nel 1940 aveva avuto molte avvisaglie, la Germania, ed Hitler in particolare, non erano calati dal cielo la notte del 31 agosto 1939, Hitler, nel 39, era stato al potere in Germania per 6 anni e in quei 6 anni, la Germania non era stata con le mani in mano.

Hitler era al potere dal 33 ma è almeno dal 1926 che la sua voce riecheggiava in Europa, professando una guerra di cui, l’Europa, si accorse soltanto nel 1939.

Preciso l’Europa perché in realtà, fori dall’Europa qualcuno aveva notato il pericolo crescente della Germania nazista, non tanto per le deportazioni di Ebrei, Zingari, Gay, ecc, che, erano tollerate e quasi apprezzate, dalla maggior parte dei governi dell’epoca.

A preoccuparsi del rischio e della minaccia rappresentata da Hitler e dalla Germania Nazista, fu Stalin, un uomo che non aveva niente da invidiare al dittatore tedesco e forse, proprio perché vedeva in lui la sua stessa natura, era consapevole del rischio e della minaccia che rappresentava.

A preoccupare Stalin, le parole di sfida e disprezzo, pronunciate da Hitler e dal nazismo nei confronti dei comunisti, e dell’unione sovietica, e quelle parole, quelle minacce, spinsero l’Unione Sovietica, in più occasioni, non solo a mettere in guardia dalla minaccia Nazista, ma anche a richiedere di alzare la guardia.

Stalin, nella primavera del 1939, ha più volte chiesto a Francia ed Inghilterra di prepararsi ad affrontare la Germania, di porre un freno all’espansionismo tedesco, espansionismo che aveva già inglobato Austria e Cecoslovacchia e puntava ad Est, ma l’est non interessava a Édouard Daladier, ne interessava a Neville Chamberlain che in quel tempo, ritenevano l’Unione sovietica una minaccia peggiore della Germania Nazista.

E di questo ne è perfettamente consapevole Goebbels che negli anni 30, aveva incontrato diverse volte delegati del governo britannico e più precisamente, nel marzo del 1939, aveva incontrato l’allora Ministro degli Esteri Britannico Lord Halifax e in quell’occasione, Halifax, recatosi in Germania per confrontarsi e discutere dell’occupazione della Boemia e della Moravia da parte della Germania Nazista.

Occupazione che venne “giustificata” dalla Germania come necessaria per arginare la minaccia sovietica che pendeva sull’Europa.

La conseguenza di questo incontro, e i ripetuti rifiuti di Francia ed Inghilterra a prendere una posizione contro la Germania, spinsero l’Unione Sovietica, direttamente minacciata da Hitler, a sottoscrivere nell’agosto del 39, il noto patto di non belligeranza e aggressione, Molotov-Ribbentrop che, alcuni continuano a ritenere un patto di alleanza, ed io continuo a non capire come possa essere considerato un alleanza. Pochi giorni dopo la sottoscrizione del patto che garantiva all’Unione sovietica che i propri territori non sarebbero stati minacciati dalla Germania e alla Germania che l’URSS non avesse preso posizione contro di lei, come è noto, iniziò la seconda guerra mondiale con l’invasione, sia sul fronte tedesco che sovietico, della Polonia e da lì l’Europa si rese conto che forse l’espansionismo tedesco, era una minaccia per l’Europa intera.

Quando Goebbels dice che “quando ormai eravamo in porto, e armati bene, meglio di loro, allora hanno cominciato la guerra!” si riferisce esattamente a questo. Si riferisce al fatto che, per anni, la Germania si è preparata ad una guerra contro l’Europa, mentre l’Europa, consapevole di ciò che faceva la Germania, perché la Germania, per assurdo, glielo aveva detto, era rimasta in attesa a guardare, sperando che la guerra non la toccasse direttamente, che rimanesse arginata ad Est.

L’Europa, e per Europa intendo Francia e Inghilterra, si “svegliano” nel settembre del 39, quando, il principale “rivale” di Hitler e della Germania Nazista, l’URSS di Stalin, si è assicurata un trattato di non aggressione. In quel momento, quando per il resto d’Europa è evidente che nulla avrebbe trattenuto o ostacolato la Germania nella propria espansione, allora hanno, come dice Goebbels, dichiarato guerra, ma a quel punto, era tardi e la Germania Nazista era più e meglio armata di loro.

La Francia viene travolta e l’unica cosa che impedisce un invasione nazista delle isole britanniche è il canale della manica e la difficoltà logistica di portare oltre la manica soldati e mezzi.

Tornando all’attualità, di recente, al consiglio Europeo, e non solo, la leadership europea sta discutendo del conflitto in Ucraina, e del ruolo dell’Europa nel conflitto e se da un lato c’è la Francia che, in un vertice a tre con Scholz e Tusk, ha messo in guardia l’Europa dalla crescente minaccia russa, osservando che, finché l’Europa continuerà a mettere paletti che la Russia non rispetta, e non prenderà una posizione netta al fianco dell’Ucraina, l’espansionismo russo in Ucraina e Georgia, e negli ex paesi del blocco sovietico, continuerà. Dall’altra parte c’è Tusk, che dalla polonia è consapevole della criticità della propria posizione, e che potrebbe essere il prossimo obbiettivo della Russia vista la presenza di una minoranza russofona in polonia. In fine c’è Scholz che, ancora spaventato dai fantasmi del passato, teme ogni posizione di ostilità, non per paura di una guerra, ma per paura di un associazione al nazismo. Per l’opinione pubblica, armare la Germania significa automaticamente quarto reich.

Intanto, i barbari sono alle porte, meglio armati e più armati, pronti a colpire ogni stato e città d’Europa, impegnati, da oltre 10 anni, nella cancellazione di uno stato e di un popolo, quest’anno sono infatti 10 anni che la Crimea è occupata illegalmente dalla Russia e in questi 10 anni, la regione è stata epurata da ogni possibile oppositore. La popolazione locale è stata in larga parte evacuata o deportata, lasciando spazio e posto ad invasori stranieri. Un po’ come da circa 30 anni accade a Gaza, ma quella è un altra storia, un altro conflitto.

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