Elon Musk prende le distanza dai Dazi di Trump e i Dazi: Rottura o strategia di “Brand Revitalization”?

Nelle ultime settimane non sono passate inosservate le numerose “trasformazioni” (decisamente troppo repentine), i cambi di posizione e atteggiamento di Elon Musk, il tutto magistralmente e sistematicamente giustificato dalla sindrome di asperger.

L’effetto più evidente di questo “nuovo” Musk che si sta mostrando in queste settimane lo abbiamo nelle dinamiche tra il patron di Tesla e il presidente Trump. Il miliardario che fino a qualche settimana fa era pronto a difendere a spada tratta Trump su qualsiasi posizione avesse assunto, dopo la sconfitta in Winsconsin, ha decisamente cambiato marcia ed ha iniziato a contestare punti fermi della politica di Trump, che lo stesso Musk aveva ampiamente sostenuto in campagna elettorale. Si pensi alla politica dei Dazi doganali fortemente voluta da Trump, ampiamente annunciata in campagna elettorale e sulla quale, in passato, lo stesso Musk si era dimostrato totalmente allineato.

Musk cambia rotta?

Questo cambio di rotta non sembra casuale, e non è il primo.

Musk nella sua storia personale, ha cambiato molte volte posizione, allineandosi il più delle volte con temi di tendenza e fortemente sostenuti dall’opinione pubblica, insomma, una vera e propria banderuola che è sempre andato là dove soffia il vento, e che con la discesa in campo, al fianco di Trump, ha tirato troppo l’asticella, assumendo posizioni radicali e ampiamente contestate che gli hanno causato la perdita di diverse centinaia di miliardi di dollari.

In quest’ottica, un cambio di posizione così radicale e repentino appare come una goffa strategia di brand revitalization, da parte di un uomo convinto che il mondo sia popolato da idioti… e su questo forse non ha poi tutti i torti…

Cos’è la “Brand Revitalization”?

Ho parlato di “brand revitalization” (rivitalizzazione del marchio) ma che cos’è? Si tratta di un processo strategico attraverso cui un’azienda, un marchio, o come in questo caso caso una figura pubblica, cerca di rinnovare e rinvigorire l’immagine del proprio brand che ha perso attrattiva, rilevanza o credibilità nel tempo. Insomma , cerca di svecchiare e/o ripulirsi e in questo caso specifico, non sarebbe tanto una questione di svecchiamento, quanto più di “pulizia”. 

Al di là del caso specifico, l’obiettivo della brand revitalization è quello di riposizionare il brand nella mente del pubblico, adattandolo ai cambiamenti del mercato, ai nuovi valori sociali o per correggere errori passati che ne hanno danneggiato la sua reputazione. Questa trasformazione può avvenire attraverso cambiamenti dei valori comunicati, dei messaggi, delle partnership, ecc. 

Il Caso Musk: Politica e Immagine

Come anticipato, non è la prima volta che Musk fa un’operazione di questo tipo, basti pensare che, prima della Pandemia, Musk è stato un acceso sostenitore di temi di inclusività ed ambientalismo, promotore di energie rinnovabili e pulite, tecnologie a basso impatto ambientale ecc. Poi con la pandemia ha cambiato completamente rotta, diventando praticamente un negazionista dei cambiamenti climatici e schierandosi apertamente contro le politiche di inclusione, fino ad arrivare a sostenere personalità con posizioni fortemente xenofobe e intolleranti nei confronti delle minoranze. 

In definitiva, Musk è passato dall’essere uno dei “nemici pubblici” più attaccati e contestati dall’estrema destra USA ed UE nel 2019, secondo solo a Soros e Bill Gates, ad essere nel 2024 il più grande sostenitore dell’estrema destra in USA ed UE, ed ora, a poco più di 2 mesi dall’insediamento di Trump alla White House, Musk ha iniziato una nuova trasformazione.

Come un rettile che cambia pelle con le stagioni, Musk ha iniziato a dismettere i panni del Trupiano, in cerca di una nuova identità più “accettabile” dall’opinione pubblica globale.

Parliamo di una figura estremamente polarizzante che negli anni ha costruito parte del proprio personal brand sull’immagine dell’innovatore visionario, fuori dagli schemi, ribelle e controcorrente, elemento quest’ultimo che spesso lo ha portato ad assumere posizioni forti e radicali su temi estremamente controversi e divisivi. 

E se questa strategia in passato gli ha sempre portato “fortuna” , l’ultima pelle indossata gli ha portato più danni che benefici, alienandogli una parte significativa del pubblico che in passato lo sosteneva, tra cui anche investitori e potenziali partner commerciali.

Le sue uscite pubbliche, spesso impulsive e provocatorie, e le sue prese di posizione politiche hanno iniziato a proiettare diverse ombre sulle sue aziende, causandogli perdite senza eguali nella storia. 

Stando ai diversi report e analisi di mercato, ad oggi la sua immagine personale è considerata un fattore di rischio, ragione per cui diversi fondi di investimento hanno prontamente liquidato i propri investimenti in aziende associate a Musk, causando un crollo nel valore di titoli come Tesla, crollo che è stato amplificato dalla sfiducia dei consumatori.

La Strategia di “Pulizia” del Brand

Il recente, apparente, ammorbidimento delle posizioni di Musk e le prime prese di distanza da Trump, come la volontà di lasciare il DOGE entro qualche mese, o le aperte critiche ai Dazi imposti dal presidente, possono essere facilmente interpretati come un primo tentativo di “ripulire” il proprio brand personale. Prendere le distanze da figure e politiche divisive, come i dazi sostenuti da Trump (che peraltro potrebbero danneggiare le catene di approvvigionamento globali da cui dipendono le sue stesse aziende), potrebbe essere una mossa finalizzata a Riconquistare Credibilità e Appeal, ma soprattutto, potrebbe essere una mossa per proteggere le sue aziende. Si pensi alla fuga massiva di utenti da X (ex Twitter), il cui valore è passato in meno di due anni da 44 miliardi a 12 miliardi, o alle azioni Tesla, il cui valore, fortemente accresciuto dopo l’elezione di Trump, è tornato ad aprile 2025 ai livelli di ottobre 2024 , registrando un calo di oltre il 42,23% negli ultimi 3 mesi. 

Conclusione

Il presunto cambio di rotta di Elon Musk non è necessariamente un’abiura delle sue convinzioni passate, anche perché non abbiamo idea di quali siano realmente le sue convinzioni. Musk negli anni ha cambiato innumerevoli posizioni, rimanendo costante su un unico punto. Il suo primo e unico interesse è tutelare se stesso, ed è pronto ad abbandonare qualsiasi partner in qualsiasi momento pur di salvarsi.

Appare quindi abbastanza evidente come le sue critiche ai dazi di Trump, che lo stesso Musk aveva sostenuto in campagna elettorale, non siano altro che una grottesca strategia di brand revitalization, costruita partendo dall’assunto che l’opinione pubblica mondiale non se ne accorgerà. 

L’obiettivo delle critiche e l’allontanamento da Trump è chiaro e riassumibile nello slogan, MMGA, Make Musk Great Again, rendere il brand “Musk” nuovamente appetibile a consumatori e investitori, così da rendere meno rischiose le collaborazioni e partnership con le sue aziende e iniziative. 

Musk ha puntato sulla stupidità. Resta da vedere quanto questa strategia sarà efficace, e soprattutto se avrà puntato correttamente, o se questa scommessa segnerà definitivamente la sua rovina. Personalmente temo che se non nel breve periodo, nel medio e lungo termine riuscirà a ripulire il proprio brand.

Cina valuta cessione di TikTok USA ad Elon Musk

Secondo voci non ufficializzate, la Cina, più precisamente ByteDance, la holding partecipata dal governo cinese e proprietaria di Tik Tok starebbe valutando un accordo per la cessione dei servizi di Tik Tok in USA ad Elon Musk, già proprietario del social X (ex Twitter). A tale proposito, sembrerebbe che dalla Cina siano arrivate delle smentite, su tale accordo, ma anche questa smentita non è propriamente ufficiale in quanto non parte da ByteDance. In altri termini al momento si sta parlando di una vendita che non è stata ne confermata ne smentita dai diretti interessati.

Secondo voci non ufficializzate, la Cina, più precisamente ByteDance, la holding partecipata dal governo cinese e proprietaria di Tik Tok starebbe valutando un accordo per la cessione dei servizi di Tik Tok in USA ad Elon Musk, già proprietario del social X (ex Twitter). A tale proposito, sembrerebbe che dalla Cina siano arrivate delle smentite, su tale accordo, ma anche questa smentita non è propriamente ufficiale in quanto non parte da ByteDance. In altri termini al momento si sta parlando di una vendita che non è stata ne confermata ne smentita dai diretti interessati.

Cerchiamo allora di capire cosa c’è dietro e se potrebbe avere un senso un accordo di tale natura, ossia il trasferimento dei servizi in USA di Tik Tok ad una società USA di proprietà di un uomo estremamente vicino al presidente Trump, al punto da essere definito da molto un “presidente ombra” o se si tratta di una bufala volta ad alimentare le preoccupazioni di chi vede in Musk un monopolista e spietato capitalista, con tratti sempre più vicini a quelli delle grandi corporazioni dei romanzi distopici.

Tik Tok e il possibile bando dagli USA

Il popolare social cinese, che ha rivoluzionato il modo di fare video e di comunicare, già da qualche anno si trova in una posizione controversa, e molti governi hanno bandito la piattaforma dai rispettivi paesi poiché fortemente compromessa con il governo cinese, sollevando dubbi sulla sicurezza e l’utilizzo dei dati che vengono raccolti dalla piattaforma, perché si sa, se i dati vengono raccolti e analizzati dai cinesi è un pericolo, se a farlo è una società statunitense, in quel caso non c’è nessun pericolo.

Il bando di Tik Tok dal mercato cinese, è sul tavolo dal2’agosto 2020, quando, l’allora presidente uscente Donald Trump, emise un ordine esecutivo con cui richiedeva la vendita delle operazioni statunitensi di Tik Tok e WeChat, rispettivamente popolare piattaforma di video sharing e di messaggistica, di proprietà di colossi cinesi. Se TikTok è di proprietà di ByteDance, WeChat è invece di proprietà di Tencent, holding cinese quotata in borsa ad Hong Kong, con un valore di circa 449 Milioni di dollari USA.

Secondo l’allora presidente uscente, c’era il timore che tali piattaforme potessero condividere dati degli utenti USA con il governo Cinese, rappresentando pertanto una pericolosa minaccia alla sicurezza nazionale. L’ordine esecutivo di Trump è stato possibile sulla base dell’International Emergency Economic Powers Act, tuttavia, la successiva elezione di Joe Biden alla presidenza, ha portato ad un rallentamento della vicenda, di fatto nel giugno 2021, l’allora presidente eletto Biden, ha revocato l’ordine esecutivo del suo predecessore, affidando allo stesso tempo, la verifica dei rischi legati a suddette applicazioni al Dipartimento per il commercio.

Dal 2021 al 2024 il bando di Tik Tok è stato sospeso e nel frattempo la posizione di Trump sulla piattaforma cinese è fortemente cambiata, dopo il Ban da Facebook e il Ban da Twitter, salvo poi reintegrazione dopo l’acquisizione di Twitter da parte di Musk, l’allora ex presidente Donald Trump, è diventato un assiduo e regolare utilizzatore della piattaforma cinese, emulato in questa linea dalle destre di tutto il mondo che ci hanno deliziato con la magia degli italici Berlusconi e Salvini in live su Tik Tok.

Tik Tok si è rivelata, soprattutto negli anni della pandemia, una straordinaria piattaforma di comunicazione, nonché terreno fertile per la proliferazione di fake news e deep fake.

RESTRICT Act

Se il bando politico di Tik Tok dagli USA, nel 2021 sembra essere sfumato, o comunque ridimensionato, nel 2023 la piattaforma di Video Sharing ha iniziato una nuova trafila, questa volta giudiziaria, legata al RESTRICT Act (Restricting the Emergence of Security Threats that Risk Information and Communications Technology), una legge che conferiva al governo federale degli USA ampi poteri in termini di limitazione e bando di tecnologie straniere dagli USA, se queste rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale.

Tale legge si applica anche a piattaforme social, come X, Meta e ovviamente TikTok, e se le prime due sono statunitensi, la terza era ed ancora oggi di proprietà di una multinazionale Cinese, e per molti è stata costruita ad hoc per permettere al governo di intervenire e limitare la crescente popolarità di TikTok in USA.

Per quanto riguarda la sicurezza nazionale, molti governatori USA hanno vietato, nei propri stati, l’utilizzo di TikTok, e altre applicazioni social e di messaggistica, come ad esempio Telegram, dai dispositivi governativi, ovvero tablet, pc e smartphone di funzionari pubblici. Quindi si, in quanto ex presidente, ed ora presidente eletto, in alcuni stati, Trump non potrebbe usare Tik Tok, poiché il suo utilizzo rappresenterebbe una possibile minaccia alla sicurezza nazionale. Tik Tok infatti si teme possa registrare e condividere una serie di informazioni aggiuntive, dette metadata, come ad esempio le informazioni sulla posizione, che potrebbero rendere nota la posizione del presidente. Non proprio il massimo della sicurezza se il presidente è per qualsiasi ragione, per ragioni di sicurezza, in una località segreta.

La reazione di Tik Tok

Fin dal 2022 ByteDance, ha cercato di dissipare le preoccupazioni del governo statunitense, e non solo, sulla sicurezza di Tik Tok, annunciando prima il Project Texas, un progetto che trasferiva i dati degli utenti statunitensi negli stati uniti, in server gestiti da Oracle, società statunitense fondata nel 1977 e quotata in borsa al NYSE con sede a Santa Clara. Ha avviato un centro di trasparenza che permette ai funzionari USA di esaminare ogni operazione di TikTok in USA.

Insomma, ByteDance affidava, con il progetto Texas ed il centro trasparenza, i dati sensibili ad una società USA, dava al governo USA libero accesso a quei dati e le operazioni di TikTok, precludendosi l’accesso a quegli stessi dati. Ma questo agli USA non sembra bastare e al congresso si è continuato a discutere di un possibile bando di TikTok dal mercato USA.

Interesse nazionale o sicurezza?

Sulla base dei dati e le informazioni note, viene quindi da chiedersi se tale dibattito abbia una rilevanza in termini di sicurezza nazionale o di interesse nazionale, possono sembrare concetti analoghi, ma sono profondamente diversi, se infatti, come è “dimostrato” dall’analisi dei dati e delle operazioni di Tik Tok, non sembra esserci un rischio reale di trasferimento dei dati sensibili al governo cinese, vi è invece un serio rischio di manipolazione, inquinamento e alterazione dell’informazione, che può indirizzare l’opinione pubblica su strade estremamente pericolose.

A tale proposito, TikTok è uno dei social mediaticamente più potenti in circolazione, con poche limitazioni in merito a tematiche delicate, ed è già ampiamente avviato su una strada che, da qualche anno è stata percorsa da X e si appresta ad essere percorrere anche Meta, che di recente ha annunciato lo stop al fact-checking e alle policy di inclusività, garantendo maggiore “libertà” anche a contenuti controversi, di natura politica e sociale.

Tornando ai dati, essi hanno un valore immenso e se risultano estremamente pericolosi se gestiti da una società cinese, una società di uno stato con cui gli usa sono in pino conflitto commerciale, diventano estremamente preziosi se gestiti dagli stessi USA, soprattutto se vicina al governo.

Vi è quindi una forte attenzione per la piattaforma estremamente rilevante in termini di interesse nazionale, e allo stesso tempo si può osservare come, a parità di attività, la piattaforma cinese sia maggiormente controllata e tenuta di analoghe statunitensi. Differenza di trattamento che potrebbe essere alla base dell’ipotesi di trasferire ad una società statunitense i servizi USA, e, tra le tante, quale società migliore della media company dell’uomo più potente e influente d’America?

Il paradosso di Trump

Va riconosciuto a Trump il merito, se così lo si può definire, di aver compreso per primo, il potenziale politico dei dati in possesso delle media company, e di essere stato tra i primi, nel 2020 a causa anche della trasformazione dei contenuti avvenuti durante la prima fase della pandemia, a vedere in TikTok una possibile minaccia, e, terminato il mandato presidenziale, una straordinaria risorsa.

Oggi Trump gode di un enorme seguito su TikTok, e molti analisti ritengono che è stato proprio tale seguito a permettere all’ex presidente di tornare alla casa bianca con le elezioni di novembre 2024, grazie a Tik Tok, Trump mantiene un contatto continuo e costante con il proprio elettorato, in particolare le frange più radicali che nel tempo sono state o si sono allontanate da altri social.

Per Trump quindi è di vitale importanza mantenere TikTok negli USA, ma il processo avviato nell’agosto del 2020 con il suo stesso ordine esecutivo, anche se rallentato, non si è fermato, ed ora il presidente si ritrova, ad inizio mandato, nella condizione di dover trovare una soluzione ad un problema creato da lui stesso alla fine del suo precedente mandato.

L’ipotesi Musk

L’insieme di questi fattori ed elementi, potrebbe essere alla base dell’ipotesi di una cessione dei servizi USA di TikTok ad Elon Musk, come anticipato, il patron di X e Tesla è estremamente vicino al presidente, qualcuno direbbe troppo vicino al presidente, inoltre avrà un ruolo chiave nel prossimo governo Trump, ed è proprio quella vicinanza una possibile scappatoia per TikTok di evitare il bando dagli USA.

Tale soluzione tornerebbe sicuramente vantaggiosa per Bytedance, che comunque dalle operazioni negli USA ha un notevole guadagno, su scala globale, secondo i dati annuali pubblicati da Bytredance, Tik Tok nel 2023 ha registrato ricavi superiori ai 120 miliardi di dollari, in crescita dispetto agli 80 miliardi del 2022 e secondo le proiezioni, nel 2024 potrebbero essere superiori ai 200 miliardi. Gli analisti concordano nell’osservare che tale crescita è legata soprattutto alla sempre maggiore presenza della piattaforma in occidente, in USA ed Europa.

L’accordo sarebbe vantaggioso anche per Musk, il cui social X nonostante la forte riduzione dei costi, continua ad avere profonde difficoltà economiche, principalmente per la fuga di numerosi investitori a seguito dell’acquisizione di twitter da parte proprio di Musk e una partnership tra X e Tik Tok, potrebbe riportare ad X parte degli investitori e colmare il divario tra X e il gruppo Meta.

Inoltre sarebbe vantaggiosa per Trump, che non perderebbe il suo principale strumento di comunicazione con gli elettori, e no, il suo social “truthsocial” non fa testo, l’utenza di Truth, oltre ad essere “poca” è anche poco attiva, inoltre è formata per lo più da sostenitori di Trump, è quindi sicuramente utile per mantenere i contatti con la propria base, ma totalmente inutile se si parla di espandere il consenso. Cosa che invece con TikTok è molto più semplice.

I vantaggi però non finiscono qui, oltre alla possibilità di evitare il bando dal mercato USA per TikTok, Bytedance potrebbe sfruttare la partnership con Musk per un ulteriore slancio in caso di quotazione in borsa. La holding cinese al momento non è quotata anche se nel 2022 prima sembrava essere pronta al debutto sul mercato.

I problemi di Musk pigliatutto

La possibile cessione dei servizi USA di TikTok ad Elon Musk se da un lato presenta numerosi vantaggi per tutti gli attori coinvolti, in realtà presenta anche diverse problematiche. E nessuna di queste riguarda il ruolo da monopolista di Musk, a tale riguardo l’acquisizione di Instagram e l’avvio di Threads da parte di Meta, rappresentano un significativo precedente. Musk potrebbe acquisire “TikTok USA” senza aver alcun problema con l’antitrust, tuttavia, come osservano i critici e detrattori del miliardario, sempre più simile ad un “Charles Foster Kane” dei nostri tempi, si ritroverebbe nella posizione di poter influenzare ancora di più l’opinione pubblica, almeno negli USA.

Ed è questo il problema forse più grande di un possibile accordo tra Musk e Bytedance, ma non solo. Se l’accordo dovesse rivelarsi reale e Bytedance riuscisse con questo accordo ad evitare il bando di TikTok dagli USA, ci verrebbe rivelata una grande e terribile verità, ossia il presidente Trump è irrilevante, se si vogliono fare affari negli e con gli USA bisogna negoziare con Musk, e negoziare per Musk ha un significato particolare, poiché in un negoziato ognuna delle due parti cede qualcosa finché non si giunge ad un punto d’accordo, un compromesso, ma Musk non è tipo da compromesso, la sua carriera e la sua storia sono segnati da soluzioni radicali, tutto o niente. C’è allora da chiedersi quanto è esteso questo tutto.

Tutta fuffa o …

Per quanto riguarda la possibile cessione o acquisizione, che dir si voglia, dei servizi USA di TikTok, ad Elon Musk, al momento c’è un fitto velo di incertezza, con dichiarazioni vaghe, informazioni non ufficiali e smentite più o meno ufficiali.

In un intervento rilasciato da TikTok a Bbc News, la società ha dichiarato di “non poter commentare pura fantasia”. Una smentita quindi, che però, purtroppo, vale poco o nulla, visto che eventuali negoziati relativi al futuro di TikTok in USA, in realtà, non riguardano TikTok, ma ByteDance.

Come è stato anche per il Project Texas infatti, la decisione di delocalizzare i dati degli utenti USA nei server Oracle, non è stata presa da Tik Tok, ma dalla holding che la controlla al 100%, ovvero ByteDance, che sulla vicenda dei servizi USA di TikTok, non si è ancora espressa, e probabilmente non lo farà.

Sorprende anche il grande silenzio di Musk, che solitamente non lascia trascorrere troppo tempo prima di dire la sua, soprattutto su un qualcosa che lo riguarda in prima persona. Guardiamo ad esempio all’ipotesi di accordo tra Starlink e il governo italiano, a poche ore dalla circolazione delle prime indiscrezioni sono intervenuti tutti gli attori coinvolti, in questo caso invece, Musk tace. Che questo silenzio sia indicativo di un accordo effettivamente in lavorazione? O forse il miliardario sta finalmente recuperando qualche ora di sonno? Per il momento è difficile a dirlo.

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