Cesaricidio, l’assassinio di Cesare alle Idi di Marzo

Il 15 Marzo del 44 a.c. nel giorno delle Idi di Marzo, alcuni cospiratori romani, assassinarono Giulio Cesare, nel tentativo di ripristinare la Repubblica a Roma. Tuttavia, l’episodio, noto come Cesaricidio, innescò una serie di nuove guerre e conflitti interni che portarono all’ascesa di Ottaviano Augusto, il quale cancellò per sempre la repubblica, dando vita all’Impero Romano

Il 15 Marzo del 44 a.c. nel giorno delle Idi di Marzo, alcuni cospiratori romani, assassinarono Giulio Cesare, nel tentativo di ripristinare la Repubblica a Roma. Tuttavia, l’episodio, noto come Cesaricidio, innescò una serie di nuove guerre e conflitti interni che portarono all’ascesa di Ottaviano Augusto, il quale cancellò per sempre la repubblica, dando vita all’Impero Romano

Così fu trafitto da ventitré pugnalate, con un solo gemito, emesso sussurrando dopo il primo colpo; secondo alcuni avrebbe gridato a Marco Bruto, che si precipitava contro di lui: "Anche tu, figlio?". Rimase lì per un po’ di tempo, privo di vita, mentre tutti fuggivano, finché, caricato su una lettiga, con il braccio che pendeva fuori, fu portato a casa da tre schiavi.

Con queste parole Svetonio descrive la morte di Giulio Cesare, avvenuta in seguito ad una congiura alle Idi di Marzo.

Le Idi di Marzo

Secondo il calendario Giuliano, introdotto appena un anno prima dell’omicidio di Cesare, le “idi” corrispondevano, al tredicesimo o quindicesimo giorno del mese, e di conseguenza le idi di Marzo corrispondevano al 15 Marzo, data che tutt’ora utilizziamo per ricordare l’anniversario del cesaricidio, tuttavia, il 15 Marzo nel calendario Giuliano non corrisponde al 15 Marzo del calendario Gregoriano, vi è infatti uno sfasamento tra i due calendari di circa 12/13 giorni, e il giorno “solare” che corrisponde al 15 marzo nel calendario giuliano, cade tra il nostro 26 e il 28 Marzo, tuttavia, per convenzione, avendo una data storica ben precisa, “le idi di marzo” si tende a far corrispondere quella data con il nostro 15 marzo.

Il Cesaricidio

Col senno del poi, un uomo con l’acume e la lungimiranza di Cesare, forse avrebbe potuto prevedere quegli avvenimenti.

Vi era a Roma, soprattutto nel senato, una forte insoddisfazione e ampi dubbi riguardanti la figura di Cesare. Cesare era asceso ai più alti ranghi della repubblica, grazie ad oculate alleanze politiche, ma anche grazie alla fama di grande generale e lo status di “homo novus”.

Cesare non discendeva da antiche famiglie romane e non era membro dell’elite romana per diritto di nascita.
Giulio Cesare era in un certo senso un uomo comune prestato alla politica romana, e la sua fulminea carriera, iniziò ben presto a preoccupare, non solo i suoi rivali e oppositori, ma anche i suoi alleati.

La dittatura

Ormai al culmine della propria carriera politica, alla fine della prima campagna di Spagna, nel 49 a.c. ricevette la carica di dictator.

La dittatura in età romana era una magistratura straordinaria, dalla durata massima di sei mesi, e sostitutiva dei due consolati. Il dittatore romano, deteneva infatti il summum imperium, ed era accompagnato nel proprio esercizio da 24 littori. Tutte le altre magistrature ordinarie erano subordinate alla dittatura.

Nonostante il limite dei sei mesi, la dittatura di Cesare fu iterata più volte, fino al 47 a.c. quando la nomina fu estesa a dittatura decennale. Quella di cesare non fu la prima dittatura iterata, già con Silla, autore delle famose liste di proscrizione, Roma aveva assistito ad un iterarsi della dittatura.

Alla fine di gennaio del 44 a.c. il dittatore romano, fece posizionare presso i Rostri del foro romano, alcune statue raffiguranti Cesare, adornate con un Diadema.

Nella simbologia ellenistica, il diadema era un simbolo di potere e regalità, e la presenza di statue di Cesare adornate con diademi erano un chiaro messaggio di quali fossero le reali intenzioni di Cesare.

Questo episodio spiacevole, vide la contrarietà dei due Tribuni della plebe Caio Epido Marullo e Lucio Cesezio Flavo, che, incuranti della volontà del dittatore, fecero rimuovere le statue.

Appena pochi giorni dopo, approssimativamente il 26 gennaio del 44 a.c., secondo Plutarco, cesare venne salutato da alcuni cittadini romani, con l’appellativo di “Rex”. Ancora una volta Cesare si scontrò con l’opposizione dei due tribuni, e facendo ricorso ai propri poteri derivanti dal summum imperium, fece destituire i due tribuni.

I Lupercalia

Il 15 febbraio dello stesso anno, durante la festa dei Lupercalia, Cesare assistette alle celebrazioni, vestito di porpora e incoronato d’alloro, seduto su di un seggio dorato.

Terminato il rituale della corsa dei Luperci, una corsa in cui si correva indossando pelli di capra attorno al colle Palatino, uno dei Luperci, si avvicinò a Cesare per offrirgli in dono un diadema, che il dittatore rifiutò.

Come abbiamo già detto, il diadema, nella simbologia ellenistica, era un segno di regalità. Per la maggior parte delle fonti classiche concordano nell’asserire che l’iniziativa di offrire il diadema a Cesare, fu presa dal suo delfino Marco Antonio. Altre fonti tuttavia, sostengono che l’iniziativa partì da un tale Licino.

Le due narrazioni avvengono in ambienti politici differenti, e si prestano ad interpretazioni differenti.

Per essere più precisi, secondo la narrazione di Cicerone, dichiarato oppositore di cesare, l'incoronazione fu voluta dallo stesso Cesare, e voleva essere un tentativo di legittimazione simbolica del suo potere.
Diversamente, secondo la narrazione di Nicola di Damasco, la cui narrazione dichiaratamente più "vicina" a Cesare, e soprattutto Antonio cui era molto legato, l'incoronazione fu in realtà una cospirazione organizzata dai futuri cesaricidi per mettere in cattiva luce Cesare.

Non sappiamo quale delle versioni sia quella autentica. Sappiamo però che presumibilmente Cicerone fu testimone oculare della vicenda. O almeno, questo è quello che dice Cicerone.

Nella narrazione di Cicerone, Marco Antonio, al termine della corsa, tenne un breve discorso, cui fece seguito l’offerta del diadema a Cesare. Questo episodio, racconta cicerone, lasciò costernato Lepido, che in quel momento copriva la carica di magister equitum, carica che gli era stata conferita da Cesare in persona. Lo stesso Cicerone tuttavia osserva che Cesare rifiutò il dono.

Per Cicerone, Cesare rifiutò il diadema perché resosi conto del disappunto del popolo romano. Per Nicola di Damasco invece, Cesare rifiutò il dono perché consapevole che questi fosse parte di una cospirazione dei suoi oppositori.

L’assassinio di cesare nel film Cleopatra del 1963

Le idi di Marzo

Circa un mese più tardi, intorno alla metà del mese di Marzo, nel giorno dedicato alla celebrazione di Marte, si tenne una seduta in senato.

Tre giorni dopo, il 18 Marzo, Cesare sarebbe partito alla volta dell’oriente, per combattere Geti e Parti. In quegli stessi giorni, stava circolando a Roma, una profezia dei libri sibillini, in cui si affermava che i Parti sarebbero stati sconfitti da un Re. Ma roma, non aveva un re.

Il giorno delle idi di Marte, appare, col senno del poi, il momento più propizio per assassinare cesare. Se infatti cesare fosse partito, e avesse sconfitto i Parti, l’antica profezia Sibillina, avrebbe reso Cesare il nuovo Re di Roma. Di conseguenza, è molto probabile che i cospiratori abbiano pensato di eliminare Cesare prima della partenza.

Non sappiamo ovviamente quali fossero le reali intenzioni dei Cesaricidi, quale fosse il loro piano, sappiamo però, che terminata la seduta in senato, si compì la congiura a noi nota come Cesaricidio.

Mentre prendeva posto a sedere, i congiurati lo circondarono con il pretesto di rendergli onore e subito Cimbro Tillio, che si era assunto l’incarico di dare il segnale, gli si fece più vicino, come per chiedergli un favore. Cesare però si rifiutò di ascoltarlo e con un gesto gli fece capire di rimandare la cosa a un altro momento; allora Tillio gli afferrò la toga alle spalle e mentre Cesare gridava: “Ma questa è violenza bell’e buona!” uno dei due Casca lo ferì, colpendolo poco sotto la gola. Cesare, afferrato il braccio di Casca, lo colpì con lo stilo, poi tentò di buttarsi in avanti, ma fu fermato da un’altra ferita. Quando si accorse che lo aggredivano da tutte le parti con i pugnali nelle mani, si avvolse la toga attorno al capo e con la sinistra ne fece scivolare l’orlo fino alle ginocchia, per morire più decorosamente, con anche la parte inferiore del corpo coperta.
Così fu trafitto da ventitré pugnalate, con un solo gemito, emesso sussurrando dopo il primo colpo; secondo alcuni avrebbe gridato a Marco Bruto, che si precipitava contro di lui: “Anche tu, figlio?”. Rimase lì per un po’ di tempo, privo di vita, mentre tutti fuggivano, finché, caricato su una lettiga, con il braccio che pendeva fuori, fu portato a casa da tre schiavi.
Secondo quanto riferì il medico Antistio, di tante ferite nessuna fu mortale ad eccezione di quella che aveva ricevuto per seconda in pieno petto.
I congiurati avrebbero voluto gettare il corpo dell’ucciso nel Tevere, confiscare i suoi beni e annullare tutti i suoi atti, ma rinunciarono al proposito per paura del console Marco Antonio e del comandante della cavalleria Lepido

Svetonio, Le vite dei dodici Cesari. Vita di Giulio Cesare, 82

TRIUMVIRATO – Quando un accordo privato decide le sorti di una repubblica

Come certamente saprete il Primo Triumvirato tra Gaio Giulio Cesare, Marco Licinio Crasso, e Gneo Pompeo Magno nel 60 a.c. è stato un accordo privato e non ufficiale che avrebbe permesso a tre uomini politici di ottenere enormi poteri e privilegi.
Ma come è stato possibile, nella perfezione della Repubblica di Roma, che tre uomini, tre privati cittadini, grazie ad un accordo privato, siano riusciti ad ottenere il controllo totale della repubblica e delle sue istituzioni?

Per dirlo in breve, questi tre uomini erano tutti e tre uomini politici che avevano seguito il lungo iter della politica romana del tempo e con questo accordo non ufficiale decisero di allearsi politicamente e di appoggiarsi a vicenda nelle elezioni per le varie magistrature, potremmo definirla come una sorta di archetipo di una moderna alleanza non ufficiale tra partiti politici.

Per fare un esempio contemporaneo e di attualità, chiamo in causa tre leader di partiti politici a caso, ai fini dell’esempio i nomi non sono importanti. Queste tre personalità politiche si incontrano privatamente in una località esterna ai luoghi della politica. quale può essere un resort di lusso, una sagra di paese o una residenza privata e durante l’incontro o gli incontri vengono definiti gli aspetti principali del loro accordo con cui, restando elasticamente fedeli alla propria linea politica e restando politicamente separati, in quanto candidati in partiti differenti che tuttavia corrono in un unica lista e, al momento delle elezioni, facendo confluire i voti raccolti dai singoli partiti nell’unica lista comune, riescono ad ottenere o a far ottenere almeno ad uno dei tre, un importante incarico politico.

Questo tipo di accordi oggi è ufficialmente riconosciuto e consentito, ma nella prima metà del primo secolo A.C. non era propriamente ufficiale come pratica, se bene fosse abbastanza comune che vari uomini politici si accordassero privatamente per il conseguimento di una data magistratura. Il discorso sarebbe cambiato leggermente con il secondo triumvirato, ma questo è un altro discorso.

Tornando al primo Triumvirato, prima di allearsi tra loro Cesare, Crasso e Pompeo avevano già ricoperto diverse magistrature “inferiori” grazie alle quali erano riusciti ad ottenere in alcuni casi incarichi militari più o meno importanti, con tutti i privilegi che ne derivano e questo non è un elemento di poco, anzi, direi che è fondamentale per spiegare le ragioni del potere di questi tre uomini.

L’aver ricoperto incarichi militari in questo dato momento storico è molti importante, perché siamo in una Roma post riforma dell’ordine militare di Gaio Mario, una riforma che rese l’esercito da volontario a professionistico e mercenario, in pratica i soldati iniziavano la carriera militare in primis per la garanzia del soldum (fondamentalmente un salario) e poi per l’onore e la patria, ma quando l’alternativa è la fame, l’onore e la patria passano in secondo piano. Questa trasformazione dell’esercito ha importantissime conseguenze politiche e sociali che avrebbero trasformato radicalmente il volto di roma ed avrebbe portato soprattutto ai comandanti militari un grande, enorme potere politico.

Il potere derivato da un comando militare era dovuto a diversi fattori riducibili per lo più al forte legame che intercorre tra i comandanti ed i propri soldati. Questo legame non è ovviamente un esclusiva dell’esercito romano, anzi, è un qualcosa che ha caratterizzato e caratterizza tutt’oggi qualsiasi organismo militare e questo legame è particolarmente forte quando i comandanti vivono sul campo insieme ai propri soldati e ancora di più quando sono i comandanti a pagare i propri soldati. Certo, la paga dei soldati era versata dalle casse di Roma e non dalla tasca del comandante, ma quando sei sul campo, impegnato in lunghe marce che durano mesi e mesi, oltre i confini, in una terra selvaggia e ostile, contro un nemico invisibile e in un epoca in cui non esiste il diritto internazionale, e che non lo fai un saccheggio al villaggio/città nemica più vicino? non lasci stuprare donne, uomini e bambini che vivono nei villaggi/città che stai saccheggiando ai tuoi soldati? Non prendiamoci in giro, certo che lo fai.
Garantire ai propri soldati questo genere di “privilegi”, e di “libertà” che rendevano meno faticosa la vita militare e inoltre permetteva ai soldati di arrotondare il salario, è una pratica barbarica oggi ampiamente condannata che tuttavia è sopravvissuta almeno fino all’ultimo conflitto mondiale e storicamente si è sempre tradotta, quasi automaticamente in un rafforzamento del già forte legame tra i comandanti ed i soldati sotto al loro comando. Questo legame, questa fedeltà, si traduce a sua volta in peso e influenza politica, perché fondamentalmente i soldati, rappresentano la spada dello stato, inoltre, in epoca romana i soldati votano e il voto dei soldati è in questo momento un voto privilegiato per ragioni che vedremo più in avanti, inoltre anche le loro famiglie votano e il soldato vota il proprio comandante, vota l’uomo con cui ha versato fiumi di sangue e con cui ha rischiato la vita, vota l’uomo che lo ha reso, non dico ricco, ma gli ha permesso di avere una casa dignitosa e magari anche con un pezzo di terra da coltivare.
A tutto questo va aggiunto anche che, soprattutto Cesare, ma anche Crasso e Pompeo, godevano di un enorme e crescente consenso popolare, questo consenso era dovuto al fatto che i tre erano percepiti come “uomini nuovi” della politica romana, fondamentalmente perché politicamente legati a quelli che possiamo considerare, in maniera molto anacronistica, dei partiti populisti che de facto prendevano le distanze dalla vecchia politica, dalle vecchie caste e dalla tradizionale aristocrazia romana, proponendo al contrario riforme, innovazioni e una nuova classe dirigente per Roma che veniva direttamente dal popolo.

Cesare, Crasso e Pompeo sono quindi uomini nuovi che possono godere della fedeltà dell’esercito e  l’esercito, nella politica romana, è sempre stato un interlocutore privilegiato per diversi fattori, in primis perché durante la fase espansionistica l’esercito rappresenta il principale motore economico e sociale per uno stato, e nel primo secolo a.c. Roma è nel vivo della propria fase espansionistica. Se da un lato l’esercito rappresenta la principale spesa per la Repubblica, perché mantenere un esercito permanente così grande costa tanto, è anche vero che le nuove conquiste territoriali che avrebbero portato Roma ad estendere, in questo periodo, il proprio potere sull’intero bacino del mediterraneo, hanno l’effetto di portare sotto il controllo di Roma nuove terre e ingenti ricchezze e fondamentalmente l’esercito non solo si ripaga da solo con le proprie conquiste territoriali, ma il surplus di ricchezza e terra si traduce in un importante introito a vantaggio di tutta Roma.
Procedendo con un altro esempio contemporaneo, potremmo sostituire l’esercito romano con un interlocutore privilegiato della nostra epoca, ovvero le grandi aziende nazionali e multinazionali. In un epoca in cui non c’è più nulla da conquistare sul pianeta e l’economia è diventata più astratta e meno legata alla terra, non è più la conquista geografica a garantire un canale privilegiato con la politica, ma il fatturato e per via delle loro enormi entrate economiche, le grandi aziende e corporazioni da un lato, ed i sindacati dall’altro sono diventate de facto alcuni dei principali interlocutore della politica.
Garantire ai soldati di epoca romana, libertà di stupro e saccheggio si traduce in epoca moderna nel garantire e tutelare i mercati nazionali con misure protezionistiche, si traduce nello strizzare un occhio al settore industriale promettendo misure meno rigide per quanto riguarda le emissioni inquinanti, la sicurezza dei propri lavoratori e l’evasione fiscale, ma anche, dall’altra parte, garanzie per il mantenimento di posti di lavoro e per maggiori tutele in campo di sicurezza sul lavoro.

L’insieme di un crescente consenso popolare dovuto allo scontento per l’inadeguatezza della vecchia classe politica e l’appoggio di importanti interlocutori privilegiati e di mille altri fattori, si traduce in un enorme influenza e peso politico che de facto avrebbe dato a Cesare, Crasso e Pompeo il potere di poter decidere insieme le sorti di Roma, alleandosi e formando quello che sarebbe passato alla storia come il primo Triumvirato.

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