Oggi è la giornata delle memoria per le vittime delle Foibe, parliamo allora delle vittime delle foibe. Ma parliamone in termini storici e senza fare propaganda.
Quando si parla delle Foibe, la prima cosa che si dice è che furono uccisi perché “colpevoli di essere italiani”. La verità, è leggermente più complicata di così e la storia che le vittime delle foibe furono vittime di un qualche odio verso gli italiani/italiofoni, è in realtà, frutto della propaganda.
La vera “colpa” delle vittime delle foibe (e con questo non voglio assolutamente giustificare i foibisti, anzi, condanno i loro crimini, non meno disgustosi di quelli del fascismo e del terzo reich) non era quella di “essere italiani o italiofoni” perché tra i foibisti, in realtà, c’erano moltissime persone che parlavano italiano, e che erano molto più vicini alla cultura e alle tradizioni italiche che a quelle dell’area balcanica.
La loro colpa era quella di essersi rifiutati di lasciare le terre che pochissimi anni prima avevano occupato, la loro colpa era quella di essere andati lì come fascisti e di aver stuprato donne e assassinato brutalmente chiunque si fosse opposto a loro, erano colpevoli di aver cacciato i locali dalle proprie terre e dalle proprie case e di essersi impossessati di quelle terre e di quelle case. Va però altresì detto che non tutti gli “italiani” o per essere più precisi, tutti i non slavi nella regione rientravano in questo profilo, vi erano anche moltissime persone che erano andate lì come lavoratori stagionali e che erano rimaste lì, pacificamente, e che avevano vissuto pacificamente con i locali, ma purtroppo, durante le ondate “nazionaliste” quando si va a tracciare una linea di confine tra “noi e loro” chiunque non sia “noi” diventa automaticamente portatore di tutti i crimini commessi dagli altri, e di conseguenza moltissimi italiani innocenti, vennero trattati come dei criminali e vennero messi al bando, vennero cacciati e costretti ad andare via, a lasciare per sempre quelle terre, in un modo o nell’altro. Alcuni capendo la situazione fuggirono, e i primi a fuggire furono proprio quelli con la coscienza sporca, quelli che si sentivano direttamente minacciati, molti altri invece, non avendo fatto nulla di male, decisero di rimanere, e nel rimanere, andarono in contro alla rappresaglia disumana e sproporzionata dei foibisti e vennero trattati, come gli italiani avevano trattato chi si era rifiutato di giurare fedeltà al Fascismo. Vennero arrestati, portati sui monti, assassinati e gettati nelle Foibe.
Ciò che è successo è stato schifoso e disumano, e lo è stato sia prima che durante che dopo la guerra, è stato disgustoso e disumano il comportamento degli italiani prima e durante la guerra, nei confronti dei locali, così come lo è stato quello dei locali, dopo la guerra, nei confronti degli italiani, e personalmente trovo altrettanto schifoso far finta che la colpa sia solo dell’una o dell’altra parte, senza invece considerare il contesto storico e tutto ciò che vi era dietro e che tra il 1919 (dall’occupazione di fiume) e il 1945 aveva contribuito ad alimentare tensione e intolleranza nella regione.
Le vittime delle foibe sono anzitutto vittime del Nazionalismo cieco e brutale, sono vittime della generalizzazione, dell’incapacità di distinguere il vero colpevole, da un qualcuno che si trovava lì per caso, ed è abbastanza surreale, che oggi, siano proprio i nazionalisti e sovranisti a puntare il dito contro i crimini del nazionalismo e il sovranismo della jugoslavia di Tito.
Va detta anche un altra cosa, nel 1948 il governo italiano, in accordo con il governo jugoslavo, ha scelto di mettere una pietra su questa vicenda, di passare oltre. L’italia nel dopoguerra aveva tanti problemi, e rischiava di perdere il controllo di alcune città e regioni di “frontiera” a causa di una disputa sulla liberazione, con la Jugoslavia, inoltre vi erano accuse reciproche, tra Italia e Jugoslavia, di aver commesso atroci crimini durante il periodo bellico.
Settant’anni dopo, quello che è successo va assolutamente ricordato, ma va ricordato in modo Storico, come fatti ormai conclusi da oltre settant’anni. Delle stragi, gli eccidi, la pulizia etnica, sia in età fascista che nel regime di Tito, va preservata la memoria storica, non va invece proseguita la narrazione politica, politicizzata e propagandistica.
Anche perché, a volerla dire tutta, fu la corrente di destra della DC e successivamente il MSI a spingere per l’archiviazione dei fascicoli per crimini di guerra, mentre il PCI si configurò nella scena politica degli anni cinquanta, come l’unico partito italiano condannò apertamente i crimini di guerra della Jugoslavia e che a più riprese, in modo costante fino al 1954 e in modo saltuario fino ai primi anni sessanta, chiese pubblicamente la riapertura dei fascicoli, ma la sua voce rimase inascoltata fino a quando non svanì del tutto.
Inizialmente questo articolo si intitolava “Foibe: la responsabilità degli italiani nelle stragi”, era un titolo altamente provocatorio e come spiegato nelle premesse, è ovvio che le vittime non hanno alcuna responsabilità nella strage. Le vittime delle foibe hanno pagato per i crimini dei propri padri e nonni, e questo, per il mio codice di giustizia è forse anche più grave.
Il mio intento con questo articolo non è quello di esprimere un giudizio morale sull’accaduto ne di piegarlo alla mera propaganda politica, il mio intento è puramente storico e l’oggetto dell’articolo, se bene chiami in causa le stragi delle Foibe non sono le foibe, ma l’occupazione Italiana dell’Istria negli anni 20 e 30.
Si tratta di un tema a mio avviso fondamentale per comprendere quanto successo nel secondo dopoguerra, soprattutto perché sulla questione delle Foibe spesso sentiamo pronunciare frasi di questo tipo “Gli Italiani sono stati massacrati senza pietà dai Comunisti di Tito, per la sola colpa di essere Italiani.”
Segue quindi un post probabilmente “molto impopolare“, ma purtroppo la realtà storica è un po più complicata della semplice propaganda politica e alcune vicende non sempre sono totalmente bianche o nere. In alcuni casi, e le stragi delle foibe sono uno di questi casi, può capitare che entrambe le parti coinvolte abbiano la propria dose (più o meno ampia) di responsabilità.
Faccio un ultima premessa, ho già spiegato ampiamente in un altro articolo perché nel 1948 alla fine il governo italiano decise di non perseguire i criminali Jugoslavi, in questo articolo mi limito a dire che i crimini dell’Italia e degli Italiani erano di gran lunga più numerosi e diluiti in un tempo maggiore rispetto a quelli commessi dai partigiani Jugoslavi e di conseguenza, insistere sulla punizione dei crimini Jugoslavi da parte del governo italiano, sarebbe costato all’Italia e al suo nuovo ruolo nella comunità internazionale, un prezzo che non poteva permettersi di pagare. Detto questo.
È vero, in Jugoslavia è stato commesso un terribile crimine ai danni degli italiani che si trovavano lì, questo è innegabile e anche se in questo post andrò a spiegare chi erano effettivamente quegli italiani, perché si trovavano lì e perché sono stati massacrati, non voglio in alcun modo legittimare l’accaduto, ciò che è successo è un crimine e rimane un crimine, non ci sono attenuanti, ma le responsabilità comuni non possono essere ignorate. In questo caso specifico abbiamo a che fare con un crimine compiuto come risposta a decenni di crimini ed abusi, ma il fatto che le stragi delle foibe siano una risposta ad altri crimini non le rende un crimine meno grave, ma andiamo con ordine.
Cominciamo col dire che la regione dell’Istria non è una regione storica italiana, storicamente, e per storicamente intendo nelle ultime migliaia di anni, è sempre stata abitata da popolazioni di origine slava. Per molti secoli questi territori sono stati sotto il controllo del sacro romano impero prima, dell’impero Austriaco e poi dell’impero Austro Ungarico, quando nel XIX secolo l’impero egli Asburgo ha cambiato nome. Nella seconda metà del XIX secolo, quando in Italia si proclamava l’unità nazionale e si combattevano le guerre di indipendenza, gli allora abitanti dell’Istria, così come anche quelli della Dalmazia, non se ne preoccuparono più di tanto, non insorsero contro gli Asburgo per unirsi alla nuova nazione guidata dai Savoia e questo perché non si sentivano parte della tradizione e della cultura italica, un discorso a parte va fatto per la città di Trieste la cui popolazione era per lo più di origini “venete”, per non dire veneziani, ma un unica città in un’intera regione non è sufficiente a definire l’identità regionale.
è come se dicessimo che la luna è stata colonizzata perché un paio di volte, alcuni astronauti terrestri sono usciti a fare una “passeggiata” sulla superficie lunare.
Finito il periodo delle guerre di indipendenza e ufficialmente completata l’unità d’Italia nel 1871 (quando venne annesso anche lo stato pontificio) o se preferite 1861, in Istria non ci furono insurrezioni anti-asburgiche o rivendicazioni di appartenenza all’Italia, perché appunto gli abitanti di quelle regioni non si reputavano italiani, come detto sopra un discorso a parte va fatto per la città di Trieste dove effettivamente qualche “italiano” c’era, e scese in piazza, ma erano comunque 4 gatti, troppo pochi per mobilitare un intera città, figuriamoci un intera regione.
Passano gli anni, passa più di mezzo secolo, inizia la prima guerra mondiale, gli imperi centrali stanno collassando e i capi politici europei se ne rendono conto, sono consapevoli che l’imminente disfacimento degli imperi centrali provocherà un vuoto di potere in vaste aree dell’europa e del nord Africa e non a caso cercano di approfittarne del vuoto per rivendicare il controllo su nuovi territori, fondamentalmente per espandere e aumentare i propri imperi e l’Italia non è da meno. ricordiamo che l’Italia, tra le tante ragioni per cui entra in guerra, dichiara un per nulla velato desiderio di espandere i propri territori e in questo è incoraggiata dai discorsi di Cesare Battisti(da non confondere con il Cesare Battisti terrorista degli anni di piombo), deputato socialista di Trieste al parlamento di Vienna.
L’italia vuole entrare in guerra ed espandere i propri possedimenti e l’unico possibile avversario abbastanza vicino e debole contro cui scontrarsi è l’impero austro-ungarico e come sappiamo si l’Italia riesce ad accordarsi con Francia e Regno Unito per poter conquistare territori Austriaci, de facto la guerra degli italiani è una guerra, fallimentare, di conquista, che ha come fine ultimo la conquista di nuovi territori, tra cui appunto, Istria e Dalmazia.
La scelta dell’Italia cade su Istria e Dalmazia (ed eventualmente altri territori della costa adriatica dei Balcani) per ragioni politiche e strategiche, principalmente perché “sono a portata di bagnarola”, nel senso che la flotta italiana non era proprio una delle migliori del mediterraneo, ma l’Adriatico non era un mare impegnativo e la flotta asburgica non costituiva una reale minaccia. La guerra termina con una sconfitta militare dell’Italia perché essendo una guerra di conquista, se ti ritrovi ad avere meno territori di quanti ne avessi quando hai iniziato la guerra, è una sconfitta, ma gli alleati gli concedono comunque qualche territorio all’Italia, principalmente per premiare lo sforzo bellico, questo però all’Italia non basta e pretende molto di più di quanto gli è stato concesso (e ci tengo a precisare che, a mio avviso gli è stato concesso anche troppo).
Non stiamo a girarci intorno, nel dopoguerra Istria e Dalmazia vengono occupate “illegalmente” da numerosi migranti italiani, tacitamente appoggiati dal governo, per lo più sono persone che conoscono quelle terre, fatta eccezione per qualche caso isolato (come D”Annunzio) la maggior parte erano migranti stagionali che già prima dell’unificazione si recavano periodicamente nei territori austro ungarici per lavorare soprattutto come operai, in miniere e nelle cave. Insomma, gli Italiani erano frequentatori/lavoratori abituali della regione da più di un secolo e tra la prima e la seconda guerra mondiale, molti migranti stagionali decisero di stabilirsi lì regolarmente, insomma, andarono lì e non tornarono più in Italia. Molti rimasero lì per varie ragioni, un po perché convinti che quelle terre fossero loro di diritto, un po perché quelle terre un tempo appartenevano alla corona asburgica, ma dopo la guerra la corona era caduta e fondamentalmente per il controllo delle terre vigeva la legge del più forte, “la terra è di chi se la piglia” e gli italiani se la presero senza troppi complimenti.
In questa fase gli scontri tra locali e italiani sono molto limitati, perché i piccoli proprietari terrieri locali (che bene o male avevano fatto la stessa cosa degli italiani) conoscevano da generazioni gli italiani e da generazioni avevano lavorato insieme e in breve, ognuno si prese il pezzo di terra in cui lavorava prima della guerra o in cui lavoravano i propri antenati.
I problemi iniziano verso la metà degli anni venti, con la svolta fascista in Italia, e ancora di più con l’ascesa del Nazismo in Germania, negli anni trenta.
L’avvento delle ideologie di razza si tradusse in una rivendicazione totale di quei territori, ormai l’occupazione delle terre è totale ma gli italiani continuano ad arrivare in Istria e il governo fascista assegna loro terre che fino a quel momento erano state occupate dai locali, insomma, in una terra di nessuno il governo fascista decide che determinati terreni debbano appartenere agli italiani e quindi, i non italiani che vivevano lì, vengono cacciati dalle proprie case e terre fondamentalmente con la forza, e questo è il primo di una serie di passi che per oltre vent’anni avrebbe alimentato il rancore nei confronti degli italiani e sarebbe esploso nel secondo dopoguerra con le stragi delle Foibe.
Durante la guerra l’Italia come è noto conduce una campagna di espansione nell’area balcanica, incorrendo in numerose figuracce e ricorrendo spesso al supporto tedesco, e ad un certo punto i popoli slavi, approfittando del poco controllo degli italiani sul territorio, riescono ad organizzarsi in gruppi partigiani e riescono a prendere il controllo di molti territori, va detto, a scanso di equivoci che, dopo l’armistizio del 43 molti soldati italiani si uniranno ai partigiani jugoslavi nella guerra contro i tedeschi.
Finita la guerra, finita l’occupazione nazifascista, c’è un problema politico legato all’ amministrazione di alcuni territori, tra cui la stessa città di Trieste, che da una parte sono stati “liberati” dall’ occupazione nazista dalle milizie jugoslave, dall’ altra, sono abitati soprattutto da italiani che nel corso del ventennio precedente hanno occupato quei territori e dunque sorge una domanda, quei territori devono essere considerati come italiani o jugoslavi?
Per le milizie di partigiani jugoslavi che esercitavano un controllo diretto del territorio, la risposta è semplice, quei territori sono stati liberati dai partigiani e rientrano ora sotto il controllo e l’autorità dei liberatori che sarebbero poi confluiti nel governo di Tito, chi abita in quelle regioni può scegliere se rimanere lì e “giurare fedeltà” al nuovo stato o tornare nella terra dei propri padri, liberamente o con la forza. Gli italiani, discendenti di quegli stessi italiani che qualche decennio prima avevano occupato quelle terre, ritenevano quella terra la propria terra, non vogliono lasciare la propria casa (così come non volevano lasciarla gli istriani quando gli italiani li hanno cacciati), non vogliono andarsene e allo stesso tempo vogliono continuare a vivere in Italia, insomma, vogliono che quei territori rimangano (o comunque diventino) italiani perché da qualche generazione lì vivono degli italiani.
Per intenderci, è un po come il governo Cinese rivendicasse la città di Prato come parte della Cina perché da qualche generazione a Prato vivono soprattutto cinesi…
La situazione è molto delicata oltre che problematica e viene mal gestita dal nascente governo jugoslavo che ricordiamo, non si è ancora consolidato, di fatto molte regioni sono ancora controllate dalle milizie che le hanno liberate e queste milizie non vogliono rinunciare a quelle terre che hanno liberato lottando duramente contro un nemico più forte e meglio organizzato, decidono così di “passare al lato oscuro” ed usare la forza per scacciare gli invasori stranieri, non uso queste parole a caso, commettendo stragi e crimini che sono tristemente noti a noi tutti.
La risposta internazionale alla crisi istriana e in particolare per la gestione della questione Triestina è una sorta di commissariamento internazionale, chiamiamolo così, della città di trieste, l’unica città “italiana” della regione. Trieste di fatto viene posta sotto il controllo internazionale, analogamente a quanto era successo alla Germania e alla Korea, e sarebbe tornata definitivamente sotto il controllo del governo italiano soltanto nel 1971, quasi 20 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando il governo italiano si impegnò formalmente di fronte alle Nazioni Unite a rinunciare definitivamente e permanentemente ad ogni rivendicazione territoriale sull’Istria, la Dalmazia e altri territori della costa adriatica dei Balcani.
In conclusione, ripeto, con il racconto di queste vicende non vogliono assolutamente depenalizzare i crimini commessi dai comandanti partigiani Jugoslavi, molti dei quali, successivamente avrebbero assunto posizioni chiave nel governo di Tito, ho già parlato ampiamente, in un altro articolo e in un video delle ragioni politiche e storiche per cui nel 1948 si decise di chiudere la questione dei crimini di guerra compiuti dagli italiani e ai danni degli italiani in quella che sarebbe diventata la Repubblica Federale Jugoslava. Il mio intento, con questo articolo, e spero di esserci riuscito, è quello di mostrare che gli italiani massacrati nelle stragi delle Foibe non erano solo “colpevoli di essere italiani”, la loro storia in Istria era breve e connotata di una profonda rivalità con i popoli locali, rivalità che per decenni avevano coperto violenti abusi perpetuati da parte italiana ai danni delle popolazioni slave e il ricordo di questi abusi fu il punto di partenza dei crimini commessi in Jugoslavia da entrambe le parti.
In Istria migliaia di italiani furono massacrati per i crimini commessi dai loro padri o da altri italiani, la loro unica colpa non è quella di essere italiani, ma di non aver preso coscienza della realtà in cui vivevano e di aver preteso, forse troppo presto e con troppa forza, di assumere il controllo di un territorio che non gli apparteneva e nel quale erano una minoranza non bene accetta e forse mai desiderata.
La questione delle stragi delle Foibe e il “silenzio della politica italiana di quegli anni” , da qualche anno è diventato un elemento centrale nel dibattito pubblico che viene ad originarsi sul web durante alcune manifestazioni della memoria, volte a non dimenticare, i crimini di guerra compiuti durante la seconda guerra mondiale. Il tema delle Foibe è spesso utilizzato in modo improprio, estraendo quegli avvenimenti dal contesto storico in cui si verificarono, mi riferisco al silenzio politico oltre che ovviamente alle stragi.
Possiamo sintetizzare il tutto in questa breve frase, dietro l’insabbiamento degli eccidi delle foibe, si celano profonde ragioni di stato e politiche, legate al principio di reciprocità. Più espressamente, procedere nel dopoguerra con i processi a carico die criminali di guerra Jugoslavi, avrebbe implicato processi analoghi contro criminali di guerra italiani (responsabili di crimini in Jugoslavia) tra cui anche nomi illustri, come Gabriele D’annunzio.
La neonata repubblica Italiana, che stava godendo in quel momento dell’immagine di “brava gente vittima del fascismo e di Mussolini” non poteva e non voleva rischiare di rivangare il proprio passato, di ammettere una complicità estesa, soprattutto nelle periferie coloniali, con il regime. Per cui, la dove possibile, bisognava insabbiare.
Ripulire le mani degli italiani però non è l’unica ragione, vedremo infatti che vi era in sentito timore che lo scontro giuridico ed i processi politici avrebbero potuto prolungare il conflitto ben oltre la sua fase di belligeranza armata, e per l’Italia che giocava un ruolo strategico nel Mediterraneo per effetto di un nuovo ordinamento mondiale che andava delineandosi, era di vitale importanza, mantenere il più possibile rapporti “pacifici” con i vicini Jugoslavi, il cui collocamento geopolitico era ancora incerto.
Tante ragioni quindi, politiche, strategiche, storiche, riassumibili nel concetto di “ragion di stato” spinsero la classe politica dell’epoca ad insabbiare tutto.
Ho avuto la possibilità, qualche anno fa, di recuperare un vecchio “intervento” di Giulio Andreotti, risalente al febbraio 2007, un intervento che segue di 3 anni l’istituzione della giornata della memoria per le vittime delle foibe e che, in un modo o nell’altro, ci dice tanto.
Integrerò la dichiarazione di Andreotti con alcune spiegazioni, estratte dai miei appunti inerenti un ciclo di lezioni all’Università di Pisa risalente al 2016, in modo da rendere il più chiaro possibile cosa accadde sul piano politico nell’Italia a ridosso della seconda guerra mondiale e l’inizio dell’età repubblicana, tra il 1945 ed il 1948.
“Credo sia mio dovere intervenire perché questa espressione di riferimento ad un lungo silenzio può essere equivoca. Ho vissuto quel periodo e quindi lo conosco direttamente e vorrei dire perché noi abbiamo coscientemente evitato di fare di quell’argomento un motivo che dividesse.”
L’intervento di Andreotti è una risposta all’intervento dell’allora presidente del Senato Franco Marini sulla questione delle Foibe, in cui Andreotti spiega perché all’epoca (nell’immediato dopoguerra) l’argomento fu a suo dire “coscientemente evitato“. Andreotti ricordiamo che, prima di essere un politico di lunga data, protagonista quasi indiscusso della prima repubblica, fu uno dei più giovani membri dell’Assemblea Costituente, uno dei pochi a dire il vero a non avere un passato politico tra le fila del Fascismo.
“Certamente eravamo ispirati da due fattori: innanzitutto, non doveva essere un motivo di polemica interna, perché i Comunisti Italiani non c’entravano niente”
Credo le sue parole siano fin troppo chiare, e non diano molto spazio ad interpretazioni, eravamo in un momento , nel 45, di grande fermento politico, una fase di transizione storica a cavallo tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda, le prime tensioni tra le due superpotenze vincitrici della guerra iniziavano a manifestarsi in maniera concreta e apertamente dichiarata, e di conseguenza iniziavano anche le prime pressioni internazionali per limitare l’azione politica dei gruppi e partiti più vicini all’una o l’altra parte, in particolare si cercava di arginare, nel mondo occidentale e in Italia, quelle formazioni in qualche modo vicine all’unione sovietica, era quindi impossibile affrontare un tema che riguardasse un paese comunista come la Jugoslavia, senza che le sue responsabilità ricadessero di riflesso sui comunisti italiani, che però, come osserva e ricorda lo stesso Andreotti, non c’entravano nulla.
“in secondo luogo vi era un dovere di cercare quanto più possibile di instaurare con un Paese vicino, con il quale vi era stato più di un motivo di grandissimo contrasto, un clima di comprensione che guardasse al futuro e non al passato.”
In questo passaggio Andreotti fa un tacito riferimento alla “clausola di reciprocità”, un cavillo giuridico utilizzato dall’Italia nell’immediato dopoguerra per prendere le distanze dai crimini del nazismo, e “proteggere” gli italiani da un destino analogo a quello dei condannati a Norimberga.
Sono anni in cui il dibattito internazionale sui crimini di guerra e contro l’umanità è particolarmente acceso, e allo stesso tempo oscuro, non ci sono in quel momento organi di diritto internazionale universalmente riconosciuti, non c’è la Corte di Giustizia Internazionale o la Corte Penale internazionale, e il tribunale speciale di Norimberga, nel suo tentativo di fare giustizia si è presto trasformato in un tribunale dei vincitori sui vinti, che fece venir meno uno dei principi fondamentali del diritto, ovvero la non retroattività di un crimine. Passaggio che però fu necessario vista la brutalità senza precedenti dei crimini nazisti.
A livello giuridico un tale operato fu necessario per punire quelli che erano i crimini, più che evidenti, compiuti dal regime Nazista, che de facto, nell’ordinamento giuridico dell’epoca tecnicamente non erano crimini, poiché compiutisi in modalità e portata totalmente nuova e non prevista da nessun codice nazionale o internazionali. Inoltre, nella Germania Nazista, e successivamente nell’Italia Fascista, tutto ciò era legale.
In quel meccanismo criminale, messo in atto dai regimi Nazi-fascisti, furono coinvolti numerosi ufficiali militari e leader politici italiani, tra cui molti “eroi del fascismo” che in seguito avrebbero voltato le spalle al fascismo e supportato Pietro Badoglio, tra cui lo stesso Badoglio, che in Africa aveva compiuto quelli che dopo Norimberga potevano essere definiti crimini di guerra e contro l’umanità, e lo stesso valeva per molti degli italiani che avevano occupato e amministrato l’area balcanica durante la guerra.
Con la fine della guerra iniziano a diffondersi in tutti i paesi coinvolti, numerose liste di “criminali di guerra”, la Francia prepara la lista dei criminali stranieri attivi in Francia, così come avrebbe fatto la Germania, la Russia, la Polonia, l’Italia e la Jugoslavia.
La maggior parte dei nomi presenti in quelle liste erano ufficiali tedeschi, ma nelle liste non c’erano solo loro, c’erano in realtà molti italiani, ma non mancarono accuse nei confronti di francesi, jugoslavi, britannici, statunitensi, russi ecc.
Alcuni nomi erano presenti in diverse liste, e per semplicità e convenienza politica, si decise di condividere quelle liste, ordinare i criminali per nazionalità e procedere caso per caso, nazione per nazione, attraverso tribunali nazionali che avrebbero avuto il compito di giudicare e punire i propri criminali di guerra, in altri termini l’Italia avrebbe dovuto giudicare e punire i criminali italiani, la Francia i francesi, la Jugoslavia i jugoslavi ecc, ed è proprio qui che entra in gioco la sopracitata “clausola di reciprocità”, prevista dai codici militare, in particolare quello italiano e che permetteva all’Italia di processare i propri criminali di guerra a condizione che i criminali accusati dall’Italia, fossero a loro volta processati, di conseguenza se in Jugoslavia non fossero stati avviati dei processi, l’Italia non avrebbe processato i propri criminali, e viceversa, perché la Jugoslavia processasse i propri criminali, chi aveva commesso crimini in Jugoslavia doveva essere processato.
Tuttavia, Italia, Francia e Jugoslavia in primis che vedevano tra i propri criminali numerosi nomi legati alla politica post bellica, volevano evitare di andare a processo e questo cavillo era esattamente ciò di cui avevano bisogno tutti, poiché avrebbe garantito un’importante scappatoia, in particolare all’Italia e alla Jugoslavia.
La maggior parte dei criminali jugoslavi erano coinvolti direttamente nel neonato governo di Tito, e Tito non avrebbe mai smantellato la nuova classe dirigente del neonato stato di Jugoslavia “solo” per obbligare l’Italia a processare i propri criminali di guerra. E lo stesso valeva per l’Italia.
“Ritengo quindi che il silenzio sia stato più che giusto e che siano state molto opportune le parole dette. Ognuno, del resto, ha la propria opinione e guai se dovessimo avere tutti la stessa! Dal momento che l’ho vissuto, però so che la grande maggioranza degli italiani di quelle zone riteneva di dover guardare verso il futuro e non creare dei solchi che aggravassero ulteriormente la situazione”
L’ultima parte dell’intervento di Andreotti si riferisce alla crescente tensione tra l’Italia e la Jugoslavia nell’immediato dopoguerra, sulla questione del territorio Istriano, di Trieste e parte dell’odierno Friuli, poiché queste regioni che l’Italia rivendicava, durante la guerra furono “liberati” dall’occupazione nazi-fascista, dalle milizie di Tito prima dell’arrivo degli alleati, e di conseguenza alla fine della guerra la Jugoslavia di Tito rivendicò il proprio controllo su quell’area territoriale, che l’Italia aveva occupato alla fine della prima guerra mondiale.
Entrambe le parti volevano quelle regioni e come è facile intuire, ne scaturì una profonda crisi diplomatica che avrebbe sottoposto quelle aree (soprattutto Trieste) ad un controllo internazionale.
In Italia, che aveva partecipato a due guerre mondiali per assicurarsi il controllo di quelle regioni, c’era una profonda volontà politica di mantenere l’unità nazionale e riportare sotto il controllo italiano almeno una parte dei territori controllati da Tito a partire dal 1943 e alla fine, solo una parte di essi tornò effettivamente all’Italia, dopo quasi un decennio di controllo internazionale dell’area di Trieste, terminato nel 1954.
La mancata Norimberga italiana
Il mancato processo dei criminali “comunisti” che massacrarono oltre 300.000 italiani tra i mondi del carso, del Friuli e della Dalmazia, attraverso gli eccidi delle Foibe, fu un atto politico, largamente voluto dalla politica italiana del secondo dopoguerra. Una politica che antepose le ragioni di stato alla giustizia.
L’Italia avrebbe potuto fare pressioni e richieste alla Jugoslavia affinché avviasse dei processi contro i responsabili degli eccidi, ma non lo fece, anzi, scelse apertamente di non farlo, per tante ragioni, la prima di queste riducibile nella volontà di proteggere se stessa e l’Italia.
Quanto alle vittime delle foibe e gli eccidi stessi, questi furono un crimine d’odio raziale e intolleranza, imperdonabile, che si fondò sulla generalizzazione e che venne oscurato per quella stessa ragione. Per i criminali di guerra Jugoslavi, gli Italiani occupanti erano tutti criminali nazifascisti, complice di quel regime che per vent’anni, in quelle regioni, aveva sottratto terre agli indigeni rastrellato, stuprato, massacrato e umiliato la popolazione locale, in nome della superiorità dell’Italia Fascista. E quella rabbia, quel risentimento, quel desiderio di vendetta, si abbatté su tutti, colpevoli e innocenti, ed è questo ciò che va ricordato, perché quei crimini vanno condannati per ciò che furono. Rappresaglie generalizzate contro gli Italiani, non perché Italiani, ma perché gli Italiani fino a quel momento erano stati Fascisti.
Omettere questa parte della vicenda, significa fingere che gli Italiani da un giorno all’altro, dismisero le camice nere e diventarono tutti brava gente, significa passare una mano di spugna su 20 anni di crimini compiuti in Italia e fuori dall’Italia, e fingere che non sia mai successo.
Le vittime delle Foibe non erano tutti criminali fascisti, e anche se lo fossero stati, non meritavano di essere massacrati in modo così brutale e disumano, ciò che meritavano, tutti, era un processo che giudicasse e punisse i criminali Italiani e Jugoslavi, e assolvesse gli innocenti, ma quel processo, come abbiamo visto, non c’è stato e anzi, è stato volutamente insabbiato, da Italia e Jugoslavia, per ragioni di stato. E a tale proposito, possiamo dire che quell’insabbiamento fu forse la prima (e non unica) “porcheria” commessa dall’Italia repubblicana in nome delle ragioni di stato.
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