L’occhio di Horus nella matematica Egizia

Secondo una legenda Egizia, il dio Seth aveva strappato l’occhio sinistro del dio Horus e lo aveva ridotto in pezzi, ma il dio Thoth riuscì a ricomporlo grazie alla sua magia e proprio la sua magia gli permise di rubare un frammento dell’occhio senza che però la sua assenza minasse l’integrità dell’occhio.

Questa leggenda, o se preferite questo mito, è considerato da molti come il “punto d’origine dell’aritmetica egizia” e del calcolo infinitesimale, infatti, le parti dell’occhio di Horus (successivamente identificato come occhio di Ra) erano utilizzate per per descrivere le frazioni e insieme rappresentavano l’unità, tuttavia si trattava di un unità approssimativa, data l’assenza di un frammento sparito grazie alla magia del dio  Thoth.

Nel suo insieme l’occhi rappresenta la somma dei primi 6 valori della serie numerica 1/2^n, la cui somma, nella matematica moderna equivale al numero decimale 0.984375, esprimibile anche come 63/64, ma nella matematica egizia, la somma di questi elementi dava come risultato 1, o meglio, dava come risultato 63/64 tuttavia, grazie alla magia di Thoth questa “unità” parziale poteva assumere i tratti di un’intero, diventando 64/64, insomma, la magia del dio Thoth aggiungeva il 1/64 mancante.

Oggi sappiamo che rimuovendo il vincolo dei primi cinque elementi e procedendo sommando tutte le infinite frazioni ottenute dimezzando il numero intero, ci avvicineremmo sempre di più all’unità 1 senza però mai raggiungerla effettivamente, di fatto ci ritroveremo di fronte ad una funzione espressa come la sommatoria 1/n^2 (∑ 1/2^n) dove n va da 1 ad e il cui risultato, dato appunto dalla somma di tutti gli elementi che compongono la serie numerica (quindi (1/2)+(1/4)+(1/8)+(1/16)+(1/32)+(1/64)+…) sarà un numero che converge (in matematica, la convergenza è la proprietà di una certa funzione o successione di possedere un limite finito di qualche tipo, o, il cui risultato al tendere della variabile o dell’indice eventualmente verso certi valori in un determinato punto o all’infinito) verso l’1.

mi scuso per la pessima spiegazione matematica, spero comunque di aver reso l’idea.

Il fatto che per gli egizi (1/2)+(1/4)+(1/8)+(1/16)+(1/32)+(1/64) non desse effettivamente 1 ma ci si avvicinava tantissimo e che la differenza tra 1 e 0.984375 (ovvero 0.015625) fosse un numero talmente piccolo da poter essere trascurato, ma non per questo ignorato, ci da un informazione ben precisa sul livello di accuratezza decimale posseduta dagli egizi, un accuratezza che si spingeva almeno fino ai 63/64 e quell’1/64 che restava fuori, rappresentato da un decimale con sei cifre dopo la virgola, che era considerato “trascurabile”, ed era trascurabile perché, per quelli che erano gli strumenti di osservazione dell’epoca, rappresentava un valore estremamente piccolo, la cui presenza o assenza non avrebbe avuto effetti visibili, tuttavia, in presenza di strumenti di osservazioni più accurati o per necessità particolari, era possibile avanzare con il frazionamento, raggiungendo così un livello di accuratezza sempre maggiore.

Detto più semplicemente, la magia di Thoth era soddisfacente per chi si accontentava dell’approssimazione, ma non chiudeva le porte a chi voleva scavare più affondo ed avere un’accuratezza maggiore.

Fingendo di usare un linguaggio matematico, potremmo dire che le parti osservate dell’occhio di Horus facciano parte di un certo insieme, ma per trovare la parte mancante bisogna estendere la ricerca ad un insieme “più ampio” e invisibile all’occhio umano, definito dalla magia di Thoth. Applicando un ragionamento di questo tipo alla matematica moderna il rischio di ricorrere in pericolosi paradossi non è trascurabile, tuttavia, mantenendo un minor livello di accuratezza e riempiendo i vuoti con la “magia di Thoth”, la logica matematica degli egizi riuscì ad eludere quei paradossi.

Questa osservazione fa supporre che gli egizi fossero in grado di eseguire calcoli molto più accurati, con un errore inferiore al sessantaquattresimo e se bene il valore minimo presente nell’occhio di Horus fosse rappresentato proprio da 1/64, questo non significava automaticamente che 1/64 fosse il valore minimo conosciuto dagli egizi, anzi, applicando lo stesso procedimento logico che ha portato al valore di 1/64 era potenzialmente possibile procedere all’infinito. Ma andiamo con ordine.

L’occhio di Horus è un elemento molto ricorrente nei reperti archeologici egizi, questo elemento ha un enorme valore, non soltanto sul piano matematico, ma anche e soprattutto sul piano religioso, ed è proprio nel mito dell’occhio di Horus che si può individuare un elemento matematico aggiuntivo.

Come sappiamo, secondo la mitologia egizia il dio Seth distrusse l’occhio sinistro di Horus che poi fu ricomposto dalla magia di Thoth. Il fatto che il mito specifichi che si tratti dell’occhio sinistro e che non ci venga fornita alcuna informazione sull’occhio destro di Horus  unito al fatto che in nessun mito ci viene detto che il dio Horus era un dio guercio, significa che da qualche parte doveva esserci anche un occhio destro di Horus e in effetti, reperti raffiguranti anche l’occhio destro di Horus non mancano, e tra i tanti, un reperto in particolare ha catturato l’attenzione degli studiosi della matematica degli egizi, si tratta della stele di Nebipusesostri, risalenti al regno di Amenemhet III, nella cui colonna centrale sono raffigurati i due occhi di Horus e non solo quelli.


L’elemento realmente interessante dal punto di vista matematico, non sono i due occhi, ma l’unione dei due occhi e in particolare l’elemento che si frappone tra i due occhi, si tratta di tre simboli paralleli, spesso indicati come “lacrime di Horus” situati al di sotto degli occhi e collocati esattamente tra i due simboli speculari che indicano il valore di 1/64.

Se procediamo assegniamo al simbolo centrale dei tre il valore 1/64 e ai due simboli esterni il valore 1/128 e poi sommiamo questi numeri otterremo 2/64, ovvero 1/64 per ognuno dei due occhi di Horus,  esattamente il valore mancante all’uno e all’altro occhio per raggiungere l’unità matematica e di conseguenza quei simboli potrebbero essere letti come una raffigurazione l’insieme esterno indicato dalla “magia di Thoth”.

Questa interpretazione matematica per quanto interessante e affascinante soffre di un profondo difetto logico che consiste nell’aver assegnato a tre simboli identici dei valori differenti, questa operazione matematica appare come troppo artificiale e forzata. Più probabilmente i tre simboli identificati come le tre lacrime di Horus avessero un valore un valore univoco ed il loro frazionamento produceva tre elementi di eguale valore. Procedendo con questa osservazione si può dedurre che le lacrime di Horus nel loro insieme avevano un valore di 3/128 e separate, ognuna delle tre lacrime assumeva un valore di 1/128. Ragionando in questi termini tuttavia emerge un ulteriore problema, o meglio, ritorna il problema dell’occhio di Horus, poiché non è possibile raggiungere l’unità, in quanto assegnando il simbolo dal valore 1/128 posto a destra all’occhio destro e quello posto a sinistra all’occhio sinistro, ci ritroveremmo nella situazione precedente, ovvero con un valore del singolo occhio pari a 127/128 e di conseguenza, ad ognuno degli occhi mancherebbe 1/128, e se è vero che nel geroglifico è presente ancora un simbolo dal valore di 1/128, è anche vero che per completare i due occhi servono 2/128, di conseguenza è possibile completare l’unità per un singolo occhio, presumibilmente quello destro, mentre l’altro occhio sinistro continuerà ad essere mantenuto insieme dalla sola magia di Thoth.

Vi è però un’apparente via d’uscita matematica, si può procedere con la divisione dell’ultima lacrima in due parti, entrambe dal valore di 1/256 che andranno ad unirsi, una all’occhio destro ed una all’occhio sinistro. In questo modo il problema non verrebbe realmente risolto, in quanto la somma di tutti gli elementi di un singolo occhio avrebbe come risultato 255/256 e quindi ad entrambi gli occhi mancherebbe ancora una volta un frammento, se bene estremamente più piccolo. Questa situazione, o meglio, la presenza della terza lacrima, ci suggerisce che è possibile dimezzare all’infinito un intero, ma allo stesso tempo ci dice anche che questa operazione è trascurabile poiché è “inutile” dimezzare per più di 7 volte un intero, e  1/128 è proprio la settima frazione dell’intero, questa frazione può essere espressa anche come 1/2^7.

Non c’entra molto, ma è interessante osservare che 7 è il numero massimo di volte in cui è possibile piegare a metà, dimezzando ogni volta la sua superficie, un foglio di carta. Indipendentemente dalle sue dimensioni infatti, non sarà possibile piegarle un foglio per più di 7 volte.
Se non ci credete provate pure, ma ricordatevi di dimezzare sempre la superficie del foglio, altrimenti non vale.

Tornando alle lacrime di Horus, come abbiamo visto, la loro presenza ci suggerisce ancora una volta che gli egizi avevano una conoscenza della matematica infinitesimale molto più avanzata di quanto si potrebbe immaginare. Come sappiamo, questo concetto che si sarebbe successivamente evoluto e diffuso fino ad arrivare ai giorni nostri e credo sia opportuno citare quello che molto probabilmente è il più celebre esempio di questo tipo di matematica nel mondo “occidentale.

Per quanto riguarda l’Egitto non sappiamo esattamente fino a che punto si spinse la loro matematica, l’occhio di Horus ci dice che conoscevano valori numerici estremamente piccoli e questo significa che erano in grado di eseguire calcoli estremamente complessi ed accurati. Purtroppo però, la loro conoscenze della matematica infinitesimale ha contribuito a gettare le basi della “matematica avanzata” del mondo occidentale (in particolare del mondo greco e romano) le cui origini, almeno per quanto riguarda il “calcolo infinitesimale” affondano soltanto nella Grecia del V secolo a.c. dove il filosofo Zenone di Elea, per difendere le tesi del proprio maestro Parmenide, il quale sosteneva che il movimento fosse un’illusione, elaborò il famoso paradosso di Achille e la tartaruga, noto anche come paradosso di Zenone, in cui Achille, inseguendo la tartaruga non riuscirà mai a raggiungerla.

La spiegazione matematica del paradosso di Zenone sta proprio nel fatto che gli infiniti intervalli percorsi ogni volta da Achille per raggiungere la tartaruga diventano sempre più piccoli ed il limite della loro somma converge per le proprietà delle serie geometriche. In questo caso Zenone osserva che una somma di infiniti elementi, o meglio, il limite di una somma di infiniti elementi non è necessariamente infinito e un esempio concreto di questa teoria è dato dalla somma delle frazioni ottenute dimezzando ogni volta un intero (analogamente a quanto accadrebbe prolungando la successione dell’occhio di Horus), quindi ∑1/n^2.

Se bene Achille in realtà fosse assolutamente in grado di raggiungere la tartaruga, dal punto di vista matematico non sarebbe mai riuscito a raggiungerla e quando una funzione matematica si trova in una situazione di questo tipo, si dice che tende ad un dato valore, in questo caso 1, ovvero si avvicina sempre di più ad 1 senza mai raggiungerlo. Possedere questo livello di conoscenza matematica implica la conoscenza del concetto di infinitesimo, ovvero di un valore numerico che tende allo zero senza però mai raggiungerlo.

 

 

 

GLI EGIZI – il popolo che costruì le piramidi e la sfinge

Intorno al sesto millennio a.c. diverse popolazioni iniziarono a migrare dai propri territori d’origine per insediarsi lungo il corso dei fiumi, e lungo le coste.
La Valle del Nilo, nell’Africa nord-orientale, era un territorio molto fertile ricco di acqua, vegetazione e animali e intorno al 5.000 a.c. vi si insediarono diverse popolazioni, costruendo numerosi villaggi progettati per sfruttare al meglio la potenziale fertilità della terra derivata dalle esondazioni del vicino fiume, senza però mettere a rischio le proprie abitazioni e la vita degli animali che allevavano. Questi popoli impararono presto a costruzione di dighe e canali la cui costruzione e manutenzione richiedeva un elevato numero di lavoratori.

Da questi primi villaggi sarebbe nata la civiltà egizia, una civiltà metropolitana come quella sumera, organizzata però come un unico grande stato al cui vertice vi era un sovrano detto Faraone.
Il faraone, era considerato dagli egizi come la personificazione del dio Horus, una delle più antiche divinità egizie, e tra le varie interpretazioni del significato di questo nome, una in particolare spicca sulle altre, secondo questa interpretazione Horus o Haru oppure Horu potrebbe significare “colui che è al di sopra/il superiore” secondo altre interpretazioni il suo nome potrebbe significare “il distante/il lontano” o anche “Falco” richiamando l’immagine iconica di questa divinità generalmente raffigurata con il corpo di uomo e la testa di falco.

Il Faraone è una sorta di monarca assoluto e rappresenta la prima forma storica di divinità impersonata da un sovrano, questo modello sarebbe stato successivamente ereditato dai popoli persiani e successivamente importato nel mondo Latino attraverso il contatto di Roma con l’Egitto dei Tolomei nel primo secolo.

Per quanto riguarda la scrittura l’invenzione dei geroglifici è datata intorno al 3000 avanti cristo, o meglio, in questo periodo è datata la più antica iscrizione geroglifica ovvero la Paletta Narmer, ritrovata durante gli scavi a Hierakonpolis (oggi Kawm al-Ahmar) alla fine del XIX. Rispetto al cuneiforme i geroglifici egizi erano concepiti come una translitterazione fonetica che combina al suo interno elementi ideografici, sillabici e alfabetici e secondo alcune ipotesi, sarebbero il punto d’origine della prima scrittura greca, introdotta dalla civiltà minoica intorno al 2000 a.c., un periodo di forte espansione della civiltà minoica in cui è probabile che le due civiltà siano entrate in contatto.

La società egizia è molto rigida e divisa in caste gerarchiche, alla sommità della piramide sociale vi era ovviamente il faraone, cui facevano seguito la casta dei sacerdoti cui era affidata l’amministrazione religiosa, e parimente ai sacerdoti vi era la casta dei funzionari, il cui compito era quello di amministrare la popolazione per conto del faraone.
Un gradino più in basso di sacerdoti e funzionari vi era la casta degli scriba i quali conoscevano la scrittura geroglifica e tra gli altri compiti avevano anche l’incarico di registrare le tasse pagate dai lavoratori allo stato, un compito che metteva gli scriba a diretto contatto con le ricchezze della corona, e questo li rendeva estremamente influenti e soprattutto ricchi e potenti.
Agli scriba facevano seguito i militari, una casta che, se bene potesse contare su ingenti ricchezze, non aveva particolare potere politico, in fine, vi erano le masse popolari fatte di artigiani, contadini e allevatori, mentre il gradino più basso della società egizia era occupato da chi non possedeva nulla, neanche se stesso, ovvero gli schiavi.

La schiavitù egizia è ancora oggi oggetto di studio e di ricerche, ed è avvolta da una fitta coltre di mistero, sappiamo che vi erano almeno tre diverse tipologie di schiavi, i primi erano i tradizionali schiavi catturati in battaglia, generalmente stranieri sottoposti all’istituzione della schiavitù affinché apprendessero la cultura egizia, vi erano poi i schiavi interni, divisi in due diverse categorie, gli schiavi per debito, ovvero coloro che si erano indebitati e per pagare il proprio debito diventavano schiavi, e gli “schiavi volontari”, un istituzione abbastanza comune nel mondo antico, in cui la popolazione egizia “libera” generalmente impegnata nell’attività agricola, prestava servizi alla corona, lavorando come operai edili al servizio del Faraone per la costruzione di edifici, tombe e templi.

Gli Egiziani erano convinti che l’anima non potesse esistere senza il corpo, e che una volta morti, i defunti potevano affrontare la vita eterna nel regno dei morti a condizione però che il loro corpo potesse conservarsi ed era molto importante mantenere il corpo integro dopo la morte, soprattutto per il faraone e per le classi più ricche della società egizie, per fare questo si ricorreva all’imbalsamazione/Mummificazione. Il corpo del defunto era svuotato degli organi interni e il colpo opportunamente trattato veniva avvolta da bende e rivestito con abiti preziosi, in seguito la mummia veniva racchiusa in un sarcofago e quindi posta in tombe monumentali costruite appositamente. Oltre alla camera dove era deposto il corpo del defunto vi erano solitamente altre stanze, piene di cibo, oggetti preziosi, gioielli e armi che dovevano servire al defunto per affrontare la vita oltre la morte.
Durante la fase di massima espansione della civiltà egizia questi sarebbero entrati in contatto e in alcuni casi si scontrarono con numerosi altri popoli, tra cui fenici, micenei, sumeri, ittiti, assiri, e babilonesi. Dei tanti contatti è opportuno citare gli Ittiti, popolo che sarebbe stato spazzato via dagli assiri, e contro i quali anche gli egizi vennero a scontrarsi tra il tredicesimo e il dodicesimo secolo a.c. In battaglia gli ittiti potevano contare sul grande vantaggio derivato dalla lavorazione del ferro, e tra le loro macchine da guerra più letali, il carro da guerra fu sicuramente uno dei più significativi ed è molto probabile che fu anche e soprattutto grazie a questi che gli Ittiti poterono conquistare un immenso territorio che si estendeva in tutta l’Asia minore.
Dallo scontro tra Egizi ed Ittiti nacque un accordo di aiuto reciproco tra i due popoli che sarebbe durato fino alla scomparsa degli Ittiti, avvenuta agli inizi del primo millennio, mentre la civiltà egizia continuò a prosperare fino ed oltre la conquista macedone per mano di Alessandro magno avvenuta nel quarto secolo e successivamente, sotto la guida dei Tolomei sopravvisse fino al 31 a. c. anno in cui, con la morte di Cleopatra, ultima regina d’Egitto e di Marco Antonio, l’Egitto venne inglobato da Ottaviano nei territori del nascente Impero Romano.

La fine dell’autonomia egizia segna anche la fine dell’ultima delle dieci fasi della storia egizia, intendendo solo il periodo dinastico ovvero gli anni in cui l’Egitto fu governato da un Faraone.
Fino al 3000 a.c. l’Egitto preistorico vive una fase detta predinastica, cui fanno seguito un primo periodo “arcaico” che va dal 3050 circa al 2686 anno in cui secondo la tradizione inizia l’antico regno, un epoca di circa cinque secoli che si conclude, sempre secondo la tradizione, nel 2181, all’Antico regno fa seguito un epoca di transizione detta primo periodo intermedio che si fa concludere nel 2050 con l’inizio del Medio regno.
Il medio regno dura poco più di tre secoli e generalmente lo si data tra il 2050 ed il 1690. al medio regno segue una nuova fase di transizione detta anche età degli Hyksos ovvero dei sovrani stranieri, in questa fase l’Egitto è governato seguendo la tradizione egizia ma vengono importate alcune importanti novità soprattutto in campo militare, con l’introduzione, tra le altre tecnologie, del carro da guerra.
Il declino degli Hyksos nel 1549 segna l’inizio del nuovo regno, che sarebbe terminato cinque secoli più tardi, nel 1069 con una nuova fase di transizione molto più lunga delle precedenti che avrebbe portato nel 653 all’inizio del periodo detto Tardo antico.
Il tardo antico è l’ultimo vero periodo della storia egizia poiché termina nel 332 con la conquista da parte di Alessandro e l’instaurazione dopo la sua morte della dinastia dei Tolomei, che come sappiamo fonderà insieme la cultura ellenica e quella egizia. In fine, il regno tolemaico termina nel 31 a.c. con la conquista Romana.