In quel giorno di maggio, Napoleone era morto – Storia Leggera

Questa settimana la storia leggera cambierà leggermente la sua veste, assumendo quasi i tratti di un commento letterario ad un’opera classica, questa settimana sotto la nostra lente non passerà una canzone, ma un ode di Alessandro Manzoni, con cui, il grande poeta italiano avrebbe celebrato la morte di Napoleone Bonaparte, un uomo che aveva trasceso la propria umanità, diventando l’incarnazione stessa di un cambiamento epocale, non serve che lo scriva, sto ovviamente parlando dell’Ode “il cinque maggio”.

Ci tengo a precisarlo, il mio non sarà un commento classico alla poesia, ma come per ogni altro articolo di questa rubrica, partirò dal cinque maggio di Manzoni, per parlare di altro.

Mentre scrivo questo articolo sorrido, perché penso che su sei articoli pubblicati fino ad oggi in questa rubrica, questo è il terzo in cui Napoleone Bonaparte la fa da protagonista e questa sua onnipresenza tra le pagine di questa rubrica, tradisce in qualche modo quello che è il mio affetto personale per questa incredibile figura storica.

Nei diversi articoli abbiamo sognato il sogno napoleonico ed abbiamo assistito alla decaduta dell’imperatore e il cinque maggio di Manzoni è un po’ la summa di tutto ciò che Napoleone era stato in vita, di tutto ciò aveva rappresentato e di ciò che la sua morte avrebbe significato. Il cinque maggio è un opera totale, scritta di getto all’indomani della notizia e perfezionata nel tempo, è un opera con cui l’autore mette a nudo i propri sentimenti, a tratti contrastanti, per l’ex imperatore e per la nefasta notizia.

Quando Manzoni viene a sapere della notizia che Napoleone Bonaparte aveva lasciato il mondo degli uomini, compiendo il proprio destino e ricongiungendosi al regno senza tempo degli spiriti eterni, il grande imperatore era passato a miglior vita già da diversi mesi. Ci troviamo ancora nella prima metà del secolo XIX, più precisamente nel 1821, la rivoluzione industriale non si era ancora compiuta e le notizie impiegavano ancora molti mesi per girare il mondo. Persino una notizia così clamorosa e importante come il decesso di Napoleone Bonaparte aveva bisogno di molti mesi per girare il mondo intero e in questo caso, il fatto che Napoleone al momento della sua morte, si trovasse prigioniero sull’isola di Sant’Elena, l’isola più lontana e irraggiungibile dell’impero Britannico, di certo non rese semplice la rapida diffusione della notizia, in quanto le uniche navi che potevano giungere su quell’isola erano quelle della flotta britannica e ciò significava che la notizia della morte di Napoleone dovette prima raggiungere Londra e da lì poté diffondersi in tutto il mondo. De facto erano passati più di settante giorni tra la morte effettiva dell’ex imperatore, avvenuta il 5 maggio 1821 sull’isola di Sant’Elena e la scoperta della sua morte da parte di Manzoni, avvenuta tra le pagine della Gazzetta di Milano del 16 luglio 1821.

Purtroppo non sono riuscito a recuperare nessuna scansione di giornali dell’epoca che riportarono la notizia della morte di napoleone, ma dagli archivi dei relativamente pochi giornali esistenti all’epoca, sappiamo che la maggior parte dei giornali europei diede la notizia della morte di napoleone nel mese di luglio e alcuni giornali americani diedero la notizia nel settembre del 1821, coerentemente con i tempi di traversata dell’atlantico dall’isola di Sant’Elena all’Europa e dall’Europa alle Americhe.

Non c’è dunque da sorprendersi per questo sfasamento temporale che oggi può sorprendere ma che in realtà, all’epoca era qualcosa di estremamente ordinario. Diciamo anzi che la diffusione della notizia della morte di Napoleone fu estremamente rapida, probabilmente per l’importanza e la rilevanza che aveva avuto la figura di Napoleone. Altre notizie impiegavano molto più tempo a diffondersi, possiamo quasi dire che, in alcune regioni del mondo, giunse prima la notizia della morte di Napoleone e poi quella della sua capitolazione o addirittura della sua incoronazione imperiale. Ovviamente questo è un estremo ironico, non dovrei neanche spiegarlo, ma su internet è meglio mettere le mani avanti, in ogni caso credo che il senso credo sia chiaro.

Testo de “Il cinque maggio” di Alessandro Manzoni: https://it.wikisource.org/wiki/Il_cinque_maggio

Nella sua opera Manzoni è diretto, il suo messaggio è chiaro, incisivo e lascia poco spazio alle interpretazioni, sceglie lo stile dell’Ode e intitola il proprio componimento con una data ben precisa, il cinque maggio.

La sola scelta del titolo ha di perse un valore simbolico ed un peso specifico enorme, quella data rappresenta un richiamo più che diretto a quel giorno in cui un uomo che nel bene e nel male aveva incarnato i sogni di milioni di europei, aveva lasciato per sempre il mondo mortale, e già nei primissimi istanti della sua Ode, Manzoni rompe ogni dubbio, scioglie ogni nodo.

“ei fu, siccome immobile” ci dice al di la do ogni ragionevole dubbio che, in quel giorno di maggio, in terra britannica del basso atlantico, era tradito e perso Nepoleone Bonaparte, e non è un caso se in questo passaggio prendo in prestito le parole di Stagioni di Francesco Guccini, canzone con cui il cantautore italiano celebra il ricordo e la percezione della scomparsa di Ernesto Guevara, per parlare di Manzoni e del suo annunciare il decesso di Napoleone. Non è un caso perché le due opere sono molto simili, se pur molto diverse e molto distanti tra loro, e sono simili perché Guccini parte dal cinque maggio per scrivere Stagioni.

Entrambe le opere raccontano la percezione del mondo a quella notizia sconcertante e sconfortante della morte prematura di un grande personaggio storico, molto amato dai propri “compagneros” e molto odiato e a tratti rispettato dai propri avversari, dai propri rivali, dai propri nemici.

In quel giorno di maggio, Napoleone era morto e con la sua morte sembravano morire anche i sogni e le speranze di un intera generazione che stava vivendo una nuova ondata rivoluzionaria, Napoleone muore nel maggio del 1821 e proprio in quei mesi l’aristocrazia europea stava sedando le ultime insurrezioni e rivolte esplose nel 1820. La nobiltà europea temeva una nuova rivoluzione francese e più di ogni altra cosa, temeva un nuovo Napoleone e la notizia della sua morte, ebbe un doppio effetto. Per i bonapartisti, per i rivoluzionari, per i repubblicani, la scomparsa di Napoleone scomparsa segnò la fine di un epoca e segnò un momento di grande dolore, sofferenza e sconforto, poiché era venuta a mancare una figura estremamente carismatica, uno dei più grandi ed importanti simboli della rivoluzione. Dall’altra parte, la nobiltà europea gioiva della scomparsa di quel demonio che aveva strappato corone e stravolto gli equilibri europei in maniera così profonda da rendere impossibile un reale ritorno al passato, nonostante al congresso di Vienna fu tentata una restaurazione totale dell’Europa pre-rivoluzionaria e soprattutto pre-napoleonica, nel vano tentativo di ricostituire l’antico regime calpestato e distrutto dalle cariche bonapartiste.

Nel luglio del 1821 il mondo intero ebbe la notizia, Napoleone era morto e chi credeva in lui, chi aveva creduto in lui, continuò a credere che la sua morte non fosse definitiva, che la morte di Napoleone non potesse significare la morte delle idee di Liberà, Uguaglianza e Fraternità. Il lutto dovuto alla sua celebrazione non doveva essere la fine della rivoluzione ma doveva essere soltanto un momento di pausa, un momento di riflessione e di riorganizzazione di quelle idee, di quei moti, di quegli ideali che andavano contro l’ordine precostituito dei popoli europei, nettamente divisi nelle varie nazioni tra nobili e non nobili, tra aristocratici ed uomini comuni, tra “padroni” e “servi”.

I moti del 1820-21 erano stati un fallimento totale perché dei moti troppo borghesi, nati in un mondo in netto contrasto e in lotta con l’aristocrazia tradizionale, ma troppo debole per combattere e vincere da solo quello scontro e troppo distante dalle masse popolari ed i loro interessi per riuscire a coinvolgerle nella lotta e nella rivoluzione. Tuttavia quel fallimento non rappresentò una sconfitta totale e la morte di Napoleone diede in qualche modo un nuovo slancio ai movimenti, ai club e alle società segrete che decisero di andare avanti, di non fermarsi, di non arrendersi, decisero invece di continuare a lavorare, cospirare e pianificare nell’ombra, portando avanti le proprie bandiere ed intonando canti anarchici e di rivolta, mobilitando una reale ribellione che lentamente si sarebbe insinuata nelle strade dei quartieri più poveri delle città, nelle campagne, creando una rete universale che copriva l’intera europa riuscendo così a penetrare nei cuori delle masse popolari, delle masse contadine e successivamente anche delle masse operaie, fino ad esplodere nella maniera più clamorosa e dirompente che si possa immaginare, con i moti rivoluzionari del 1848.

La figura storica di Napoleone è importante non solo per la sua vita, ma anche per la sua morte e per ciò che iniziò dopo la sua morte, indipendentemente dal suo reale coinvolgimento e del suo ruolo nell’europa post imperiale.

Nel 1821 l’uomo Bonaparte non aveva più alcun potere in Europa, ma la sua morte lo avrebbe consacrato all’immortalità, rendendolo nuovamente un simbolo, rendendolo nuovamente un icona splendente che inglobava dentro di se gli ideali di una rivoluzione permanente, una rivoluzione che si sarebbe conclusa soltanto con l’effettivo superamento e con il collasso dell’antico regime. Ma l’ironia del destino volle che il nuovo mondo nato dalle ceneri dell’antico regime ne assumesse alcuni tratti, riproponendone i modelli gerarchici e sociali, riproponendone le strutture, segnando l’ascesa di una nuova classe dirigente, di una nuova leadership europea, segnando la nascita di una nuova élite borghese che grazie al potere acquisito con il commercio e le rivoluzioni industriali sarebbe divenuta una sorta di nuova aristocrazia contro cui le masse popolari sarebbero state chiamate a confrontarsi e a combattere in un idealistica lotta sociale che Kalr Marx avrebbe definito, lotta di classe.

Quel piccolo nano Francese che crede d’essere lui la storia – Storia Leggera

Forse non avrei dovuto giocare così presto la carta di Waterloo, perché si tratta di una canzone potente, di una canzone completa e di una delle mie canzoni preferite. Dopo Waterloo, dopo la disfatta dell’imperatore è difficile, se non impossibile trovare una canzone altrettanto forte e penetrante, è estremamente difficile trovare un altra canzone che riesca con tanta semplicità a proiettarci in un un altro mondo, in un altra epoca, in un altra realtà che è aliena al nostro tempo, ma alla fine una canzone l’ho trovata, ed è ancora una volta una canzone di Roberto Vecchioni che racconta Napoleone, ma visto e raccontato con occhi diversi, in un altro momento. La scorsa settimana Waterloo ci ha mostrato la caduta di quel piccolo nano francese convinto d’essere lui la storia, il cielo di Austerlitz invece, ci racconta un altra realtà, ci racconta un grande e inaspettato trionfo di Napoleone, visto dalla parte dello sconfitto impero Russo.

Il cielo di Austerlitz ci racconta un momento esatto della storia napoleonica, ci racconta una battaglia in particolare, delle tante battaglie combattute durante le guerre napoleoniche, ci racconta una battaglia che avrebbe segnato in qualche modo l’inizio e la fine dello stesso impero napoleonico, ci racconta la battaglia di Austerlitz combattuta il 2 dicembre del 1805 e che vide l’impero francese scontrarsi contro la terza coalizione antifrancese formata dall’Impero Russo e dal Sacro Romano Impero. È uno scontro epocale, è lo scontro che la storia avrebbe consacrato come la battaglia dei tre imperatori, in cui Napoleone Bonaparte ed il suo esercito, nonostante l’inferiorità numerica, avrebbe sconfitto l’Imperatore del sacro romano impero Francesco II d’Asburgo-Lorena e lo Zar di tutte le russie Alexandr Pavlovič Romanov.

La battaglia di Austerlitz è uno scontro leggendario, è una battaglia che sarebbe entrata nel mito oltre che nella storia ed avrebbe rappresentato un punto di rottura epocale, un punto fisso nella storia dal quale si sarebbe dipanato un nuovo mondo, è uno scontro così maestoso, così sfolgorante che Lev Tolstoj lo avrebbe eletto a cardine del suo romanzo immortale Guerra e Pace, ed è proprio tra le pagine del grande romanzo storico russo che storia, poesia e letteratura si fondono insieme, per spalancare le porte ad un mondo nuovo.

Ciò che ci viene raccontato è un cambiamento epocale, che si mostra apparentemente come la fine dell’antico regime, ad Austerlitz il vecchio mondo sembra giunto alla propria conclusione, i vecchi imperi sembrano destinati a scomparire, l’aristocrazia tradizionale sembra costretta a cedere il passo alla storia, le antiche casate reali, che da generazioni regnavano incontrastate sull’Europa e sul mondo sembrano essere ad un passo dalla fine, quasi costrette a cedere le proprie corone. La battaglia di Austerlitz sembra segna il trionfo assoluto di un nuovo ordine mondiale, un ordine post rivoluzionario in cui un soldato non è più sola e semplice carne da macello, lasciato a morire sotto gli incessanti colpi di artiglieria del nemico, mentre gli ufficiali ed i nobili sono al sicuro nelle retrovie e guardano la battaglia da lontano senza che questa li coinvolga, senza che questa sembri reale, semplicemente muovendo delle pedine di carne ed ossa su un qualche campo di battaglia. Ad Austerlitz gli ufficiali sono sul campo, sono in prima linea, devono essere in prima linea perché si battono contro un nemico che non gioca secondo le regole tradizionali della guerra tra gentiluomini, ma cavalca alla testa del proprio esercito e che combatte al fianco dei propri uomini.

Il Napoleone di Austerliz non è solo un imperatore che assiste alla battaglia, non è solo un generale pianifica la battaglia, ma è anche un soldato come tanti altri, che vive nell’accampamento insieme ad altri soldati e un uomo che cammina tra i propri uomini e parla con loro, li ascolta, vive e ama come loro, il Napoleone di Austerlitz è un comandante che divide il pane ed il vino con i propri uomini, compreso l’ultimo degli stallieri e non soltanto con i propri generali.

Di fronte a questo nemico così potente, così umano, l’antica aristocrazia non può più restare in disparte, non può più restare al sicuro nelle retrovie, non può continuare a giocare alla guerra con le vite dei propri soldati, ma è costretta a scendere dal proprio idilliaco piedistallo, è costretta a lasciare il proprio olimpo personale per scendere e mescolarsi tra gli uomini, tra i soldati. Napoleone nella battaglia di Austerlitz trascina due imperatori nel fango di terriccio umido e sangue, li trascina tra i cadaveri dei soldati ancora caldi, li trascina in quell’inferno terreno che è il campo di battaglia durante gli scontri e lì, quei bambini viziati e capricciosi che giocavano a fare la guerra ma che non avevano mai realmente combattuto, vengono travolti dalla ferocia e dalla furia cieca ed incontrollabile dei soldati bonapartisti.

Ad Austerlitz ancora di più che nella stessa rivoluzione francese, le masse popolari si scontrano contro l’aristocrazia e contro ogni aspettativa, contro ogni logica, nonostante l’enorme inferiorità numerica e il minor numero di cannoni, quell’esercito di contadini armati e non addestrati che costituiva le armate napoleoniche, sarebbe riuscito non solo a vincere, ma a trionfare sul nemico, subendo un numero minimo di perdite tra caduti, feriti e prigionieri rispetto alle perdite del nemico, più numeroso, meglio addestrato e meglio armato. Ad Austerlitz, forse per la prima ed unica volta nella storia, un esercito meno numeroso, meno armato e non addestrato, è riuscito a sconfiggere il nemico sfidandolo in campo aperto, è riuscito a trionfare su un nemico più imponente nello scontro diretto. E pure, per assurdo, la battaglia in cui Napoleone ed il suo esercito sono riusciti a sbaragliare senza troppe difficoltà la terza coalizione, non avrebbe segna la fine definitiva dell’antico regime, la fine dell’opposizione antifrancese, ma l’inizio dei un interminabile serie di campagne militari che avrebbero portato l’Impero Napoleonico al proprio apice e rapidamente alla sua fine.

Dopo Austerlitz, dopo il trionfo bonapartista ad Austerlitz, Napoleone si sentirà onnipotente e si convincerà che il suo esercito è in grado di sconfiggere qualsiasi avversario. Napoleone cadrà vittima del proprio successo e lo stesso esercito napoleonico si convincerà di non poter essere sconfitto. In particolare la guardia imperiale, l’elité dell’esercito bonapartista, cadrà vittima del proprio successo e dell’aura mistica che da Austerlitz in avanti l’avrebbe accolta. Dopo Austerlitz la guardia imperiale diventa qualcosa di leggendario, il cui nome è diventato quasi un impronunciabile sinonimo di morte e sconfitta, e la cui carica è temuta, per la sua invincibilità dalla maggior parte degli eserciti europei. Da Austerlitz in avanti, l’irruzione sul campo di battaglia della guardia imperiale diventa il preludio alla sconfitta, l’atto finale che avrebbe segnato l’ennesimo successo bonapartista.

La guardia imperiale e formata dai veterani che avevano combattuto mille battaglie al fianco di Napoleone ed è infusa simultaneamente da un aura mistica e da un ombra demoniaca. Il potere ed il prestigio di questo corpo scelto sono legati a ragioni puramente strategiche e all’acume militare di Napoleone, il cui intuito lo aveva spinto a giocare la carica della guardia imperiale soltanto come carta finale, l’asso nella manica che avrebbe segnato le sorti della battaglia. La guardia imperiale è scagliata contro il nemico soltanto nelle fasi finali della battaglia, quando il nemico è ormai debole, stanco e quasi completamente privo di difese, in alcuni casi la carta della guardia imperiale è giocato addirittura quando le sorti della battaglia sono già decise e il nemico è già sconfitto. Allora e solo allora, la guardia imperiale può scendere in campo, forte e ancora immacolata, scagliandosi contro un nemico inerme e producendo una carica estremamente efficace e letale. In alcune battaglie la carica della guardia imperiale è totalmente inutile ai fini della vittoria in quella battaglia, poiché il nemico si è già o è prossimo alla ressa, e l’ultima carica appare come un atto di crudele ferocia, un inutile massacro che però è fondamentale per rinforzare l’idea di invincibilità delle forze napoleoniche e in particolare per alimentare il mito della guardia imperiale.

Nella battaglia di Austerlitz ad essere travolti dalla carica imperiale non sono soltanto i soldati del sacro romano impero e dell’impero russo, gli stessi Imperatori verranno travolti, vedendo con i propri occhi l’impossibilità di vincere contro un nemico così potete, feroce e crudele, ed è proprio in quel momento di sconforto e sconfitta, che si dipana la narrazione del cielo di Austerlitz.

Il campo di battaglia è raccontato attraverso gli occhi ed i pensieri di Aleksandr Romanov, l’Imperatore si sente lontano come mai prima d’allora, dal proprio mondo, dalle feste, dalla gloria, dalla sua reggia di Pietroburgo e in quella lontananza, tra le urla altissime dei soldati francesi, riesce a capire di aver trascorso tutta la propria esistenza in un mondo irreale, in un mondo lontano dalla realtà e lontano dal proprio popolo ed è questa consapevolezza che qualche anno più tardi lo avrebbe convinto ad accettare l’aiuto dell’acerrimo nemico di Napoleone, il generale prussiano Carl von Clausewitz, le cui intuizioni avrebbero portato alla riorganizzazione degli eserciti della coalizione e la sconfitta di Napoleone.

Sul campo di battaglia di Austerlitz, quando la battaglia è ormai finita e l’esercito russo è ormai sconfitto, Aleksander si lascia trasportare dai mille pensieri che affollano la propria mente, osserva quel piccolo nano francese chiamato Napoleone Bonaparte ergersi come fosse un gigante tra i cadaveri mentre “meschino come la sua vittoria” conta i morti quasi con cortesia, consapevole della portata epocale di quella vittoria, consapevole di aver inferto un duro colpo all’antico regime e illudendosi che quel colpo fosse un colpo letale, quasi a convinse di essere lui la storia.

Perché in fondo Napoleone è anche questo, è un grande canalizzatore della storia, il cui impero più che la sua vita, avrebbe cambiato per sempre il volto del mondo, inaugurando una nuova epoca nel sangue di milioni di uomini che sarebbero morti per un ideale che non gli apparteneva e per il quale, forse, non erano ancora pronti.

In un mix sfolgorante di storia, musica e letteratura, la Battaglia di Austerlitz, celebrata nel romanzo guerra e pace di Tolstoj è anche il cuore pulsante del brano il cielo di austerlitz di Roberto Vecchioni​.
Austerlitz segna il trionfo del piccolo, grande imperatore, mette in luce il suo acume militare e la sua crudeltà di uomo, Austerlitz è il momento in cui vengono spalancati i cancelli dell’inferno, permettendo ai demoni della guardia imperiale di liberarsi in europa portando l’inferno sulla terra, la battaglia dei tre imperatori segna apparentemente il declino dei vecchi imperi, dei vecchi imperatori e contemporaneamente il passaggio al lato oscuro della forza di Napoleone.

Carlo Magno meno affascinante di Augusto perché più vecchio

Alessandro Magno, Augusto e Napoleone, sono alcuni tra i personaggi storici più “affascinanti” e “amati di sempre, le loro leggendarie imprese , i grandi trionfi e le straordinarie conquiste non hanno fatto altro che accrescere in maniera esponenziale il mito che ruota attorno alle loro persone, ma la storia è ricca di uomini altrettanto “mastodontici” le cui imprese sono al pari, se non addirittura superiori a quelle di questi tre grandissimi personaggi. Ma a differenza di Alessandro, Augusto e Napoleone, l’età “avanzata” di altri importantissimi personaggi storici, ha fatto si che il loro mito quasi svanisse, ed uomini come Giulio Cesare , Pompeo e Carlo Magno, apparissero “importanti” ma “noiosi” nonostante le loro gesta e le loro imprese degne della maestosità di Alessandro , Augusto e Napoleone. Leggi tutto “Carlo Magno meno affascinante di Augusto perché più vecchio”

Exit mobile version