La censura dei libri negli Stati Uniti

La censura di libri è un abominio culturale, non c’è molto altro da aggiungere a riguardo se non qualche breve cenno storico che lo vede come strumento di controllo per reprimere masse, più o meno in ogni epoca storica. Nell’Europa medievale i copisti “censuravano” attraverso l’abrasione, distruggendo testi antichi, considerati blasfemi e pagani, per poi riutilizzare quelle pergamene per copiare scritti teologici o copie dei vangeli canonici. In età moderna, dal XVI secolo in poi, con l’avvento della stampa si diffuse il famigerato e temuto indice dei libri proibiti, un elenco di testi vietati che non solo era proibito stampare e distribuire, ma anche possedere e leggere, indice la cui ultima edizione, prima dell’abolizione, risale al 1959 ad opera del sant’uffizio, mentre la sua abolizione è datata ufficialmente 1966 per volontà di Papa Paolo V.

La fine dell’indice non significa fine della censura o dei roghi di libri, anzi, la storia ci insegna che anche in regimi non “cristiani” la censura fu ed è tutt’ora largamente usata, è il caso di citare i roghi di libri dei regimi Nazi-Fascista in Italia e Germania, il divieto fascista di pubblicare letteratura scientifica straniera, anche se tradotta, il Samizdat sovietico, una sorta di analogo laico comunista all’indice cristiano, con cui si vietava in URSS la distribuzione e il possesso di innumerevoli libri considerati pericolosi o l’indice islamico, con cui il governo di Tehran vieta innumerevoli libri in Iran, e così via.

Storicamente va detto che la censura non si è abbattuta sui libri solo attraverso il loro divieto integrale, in numerosi casi infatti, essa ha colpito in modo più subdolo, imponendo modifiche trasformazioni o eliminazione di sezioni più o meno ampie del testo. Un caso esemplare arriva sempre dagli USA con la Bibbia, più precisamente una versione della bibbia che era riservata agli schiavi nelle piantagioni da cui erano omesse intere sezioni dell’antico testamento, in particolare tutta la parte del libro della genesi che riguardava la schiavitù in Egitto e la liberazione da parte di Mosè.

In tempi più recenti il divieto di distribuzione e possesso dei libri è parzialmente sfumato, ed oggi interessa per lo più paesi fortemente radicali, esempi lampanti sono la Cina, Iran, Russia e Israele, ma non sono gli unici esempi, anzi, in forme più moderate e circoscritte, la censura dei libri interessa anche l’Unione Europea e gli USA. In USA ad esempio, se bene non ci siano leggi che vietino di possedere o distribuire libri, o leggi che obbligano la distruzione di libri, ci sono numerose leggi, per lo più statali e non federali, che vietano l’uso pubblico di alcuni libri.

Per quanto vorrei parlare di tutti gli “indici” moderni, farlo in un unico articolo richiederebbe un lavoro smisurato, quindi mi concentrerò caso per caso, ed oggi analizzeremo gli ultimi 20 anni circa di censura negli USA, anche perché sono quelli di maggiore intensità.

Il ritorno della censura negli USA

La censura dei libri negli USA non è un fenomeno moderno, già nei secoli scorso è stata ampiamente promossa e praticata, tuttavia, dal secondo dopoguerra in poi, e soprattutto negli anni post guerra fredda, si è respirata un’aria di maggior tolleranza. Tra Regan e Obama gli USA hanno visto la maggior libertà letteraria della propria storia e a darci testimonianza di come negli ultimi anni la libertà di stampa si sia fortemente deteriorata, abbiamo le analisi e i rapporti periodici di American Library Assosation (ALA) e PEN America, due associazioni/organizzazioni che promuovono la libertà di stampa e di espressione e che, almeno dagli anni 60, monitorano l’attività legislativa e i tentativi di censura a livello federale e statale in tutti gli USA.

Come anticipato, fino alla presidenza Obama, gli USA hanno vissuto un periodo fiorente, con grandi libertà editoriali e anche nei programmi scolastici c’era molta “libertà”. Per fare un esempio pratico, durante la presidenza di G.W. Bush, in alcuni libri scolastici si arrivava a parlare, in maniera anche abbastanza critica, della disastrosa fuga dalla Somalia del 94 durante la presidenza Bush senior e durante la presidenza Obama la situazione sostanzialmente non cambia, la censura di libri è ancora relativamente contenuta rispetto a quanto sarebbe successo negli anni successivi. Ciò non significa che sia del tutto assente, anche perché non lo è mai stata. L’ALA documenta, negli 8 anni di presidenza Obama, sporadici casi di divieto di libri, per lo più legati a temi sensibili come la religione, la sessualità e la violenza. Questo divieto non è però assoluto, e in realtà anche negli anni successivi non lo sarà mai.

Il bando è circoscritto alle scuole pubbliche, e all’epoca, soprattutto durante la campagna elettorale del 2012, scaturì in un forte dibattito legato alle politiche di inclusione promosse da Obama e l’apparente contraddizione tra queste e il divieto di usare nelle scuole e nelle biblioteche scolastiche, alcuni libri che affrontavano tematiche LGBTQ+ e riscrivevano la tradizione americana, testi che per inciso, erano fortemente antiscientifici e antistorici.

L’accesa discussione attorno a questi bandi tuttavia, fu significativa, perché spianò la strada a ciò che sarebbe successo nella successiva presidenza Trump.

Polarizzazione culturale e attacchi alla scienza durante la presidenza Trump

Se come abbiamo visto, durante la presidenza Obama, il divieto di utilizzo nelle scuole è “federale” e riguarda soprattutto libri antiscientifici, durante la prima amministrazione Trump si è registrato il vero punto di svolta, ovvero la nomina di Betsy DeVos come Segretaria dell’Istruzione. DeVos è stato una forte promotrice di politiche in favore delle scuole private e di riduzione del controllo federale sui materiali didattici. In altri termini DeVos da una maggiore autonomia alle scuole, soprattutto quelle private, di decidere la forma dei propri programmi scolastici, i libri da utilizzare ecc e allo stesso tempo aumentava indirettamente il potere dei governatori locali che, senza un controllo federale, erano chiamati a regolamentare a livello locale i limiti dell’insegnamento, programmi scolastici e di conseguenza, autorità quasi totale in materia di censura o liberalizzazione di libri antiscientifici nelle scuole.

Nel 2020, sempre l’amministrazione Trump, fa un ulteriore passo in direzione della censura, vietando l’uso scolastico, sempre nella scuola pubblica, di pubblicazioni che includessero termini come “inclusione”, “diversità di genere” e “disabilità”. Questo divieto ha avuto un doppio effetto, sia editoriale che politico scolastico. A livello editoriale sono aumentati, in maniera quasi esponenziale, i tentativi di rimuovere dai testi, le sezioni che trattavano temi sensibili, come la storia razziale americana e l’identità di genere, inoltre, per evitare di incorrere nella censura federale, molti editori hanno ritirato dal mercato numerosi libri e rifiutato innumerevoli nuove proposte. Sul piano politico scolastico invece, i governi locali, già fortemente autonomi, hanno avviato una crescente corsa alla censura vietando sempre di più l’uso di libri che trattavano temi vietati.

ALA e Pen America a tale proposito documentano una delle fasi più cupe della storia editoriale statunitense, e della censura libraria, dai tempi del proibizionismo.

Un’inattesa escalation dei divieti durante la presidenza Biden

Finito il mandato di Trump molti si aspettavano importanti passi indietro da parte del nuovo presidente, e così è stato, i primi mesi di presidenza Biden come sappiamo furono investiti dal presidente democratico, per smantellare gran parte delle politiche trumpiane inaugurate a fine mandato, tuttavia, sulla questione scuola e censura, non troviamo il passo indietro che molti si aspettavano, ma anzi, troviamo un apparente escalation. Secondo quanto riportato dall’ALA, nel primo semestre del 2022 sono stati registrati 681 tentativi di messa al bando che hanno interessato circa 1.651 libri, con un’enfasi particolare su temi razziali, di genere e sessuali. Una tendenza preoccupante che secondo ALA è ulteriormente cresciuta nel 2023, quando il numero di libri banditi nelle scuole pubbliche è triplicato, passando dai 3.362 del 2023 a oltre 10.000 nel 2024.

Diversamente dall’era Obama però, i libri al bando non sono testi anti-scientifici, letteratura scientifica, saggistica e narrativa, e protagonisti di questa escalation sono stati come la Florida, guidati nella maggior parte dei casi da governatori conservatori repubblicani molto vicini a Trump. In florida ad esempio incontriamo diverse leggi statali il cui fine è limitare l’insegnamento di concetti come la “teoria critica della razza” e “l’identità di genere”. L’adozione di queste politiche locali ha portato alla rimozione di oltre 10.000 libri dalle biblioteche scolastiche statunitensi, e come ci si potrebbe aspettare, ha innescato un forte dibattito nazionale sulla libertà di espressione e il ruolo dell’istruzione pubblica.

Colpa di Biden o di Trump?

L’ondata di censura durante la presidenza Biden, come anticipato, ha innescato un forte dibattito pubblico, tutt’ora attivo, sulla responsabilità di tale escalation, da una parte c’è chi incolpa Trump e dall’altra chi incolpa Biden.

I dati di ALA e Pen America mostrano un chiaro aumento della censura di libri negli Stati Uniti, soprattutto durante la presidenza Biden e Trump, con picco esponenziale durante la presidenza Biden, tuttavia, tale incremento è circoscritto a stati repubblicani e guidati da governatori vicini all’ex presidente Trump, mentre, secondo i dati riportati da ALA e Pen America negli stati democratici il ricorso ai divieti è rimasto molto limitato, e in linea con quanto accadeva in passato, ovvero con il bando dalle scuole di testi anti-scientifici e anti-storici. Alla base di questo incremento dei bandi abbiamo le leggi promosse da DeVos e Trump durante la prima amministrazione Trump, leggi che come abbiamo visto in precedenza, hanno creato un clima culturale favorevole alla censura, attraverso l’adozione di politiche anti-scienza e pro-censura e che, durante la successiva amministrazione Biden, non sono state superate, e più precisamente neanche ci ha provato.

Censura fuori dalla scuola?

Finora abbiamo parlato di censura scolastica, di divieto di insegnamento, di bando dalle biblioteche pubbliche, ma fuori dalla sfera pubblica ci sono libri vietati negli USA?

La risposta più semplice è, tecnicamente no, ma è una risposta incompleta, perché se da un lato la costituzione garantisce la totale libertà di stampa e quindi è teoricamente consentita la possibilità di pubblicare qualsiasi libro, anche il più controverso, in realtà molte cose, per ragioni politiche e di sicurezza non sono e non possono essere pubblicate. Un editore non può ad esempio pubblicare un libro che divulga documenti classificati, o che insegna a costruire bombe, e più in generale, e se in alcuni casi gli editori non possono, in altri non vogliono. Di conseguenza molti editori, soprattutto quelli più grandi ed esposti, come anche in altre parti del mondo, preferiscono evitare la pubblicazione di libri che affrontino tematiche considerate controverse e problematiche. Religione, sessualità, identità di genere, questioni razziali, sia narrativa che saggistica, difficilmente arrivano al grande pubblico, da grandi editori ed autori alle prime armi. Dall’altro lato però, il fenomeno del self publishing negli USA è ampiamente diffuso, e la possibilità di pubblicare in totale autonomia, consente a molti autori di pubblicare, passatemi il termine, alcune delle peggiori porcherie letterarie di tutti i tempi, con una conseguente abbondanza di letteratura, come mai prima.

Il paradosso è che da un lato la letteratura anti-scientifica e controfattuale sta attraversando una fase fiorente, mentre la letteratura scientifica e narrativa , che affronta alcune tematiche politicamente calde, sessualità religione, orientamento sessuale, identità di genere, ecc è sempre più oscurata.

Conclusioni

La censura di libri negli Stati Uniti è un fenomeno complesso che riflette enormi tensioni culturali e politiche. Abbiamo visto come durante la presidenza Obama, nonostante il dibattito, lo scenario non era dissimile rispetto agli anni precedenti e il resto del mondo occidentale. Successivamente, con l’inizio della prima amministrazione Trump, ha avuto inizio anche quella che molti definiscono epoca oscura per la letteratura, un epoca che è continuata senza particolari tentativi di ammortizzazione sotto la presidenza Biden e che ora, durante il secondo mandato di Trump rischia di vedere la sua massima espressione, alimentata da numerosi membri del congresso che, durante la propria campagna elettorale, hanno portato avanti vere e proprie crociate, con tanto di lanciafiamme e roghi di libri, contro alcune forme di letteratura e temi letterari.

Le guerre civili somale, dagli anni 90 ad oggi

La Somalia è uno di quegli angoli di mondo a cui la storia ha deciso di non dare tregua e nel corso dell’ultimo secolo almeno, ha visto pochi e brevi momenti di serenità, come momenti di separazione tra grandi conflitti decennali. Il paese, un tempo importante colonia italiana nel Corno d’Africa, è stata, soprattutto negli ultimi decenni, teatro di una prolungata guerra civile, iniziata agli albori degli anni ’90 e caratterizzata da una complessa interazione di conflitti locali (di cui il colonialismo ottocentesco e dei primi del novecento è in larga parte responsabile), insurrezioni islamiche, interventi internazionali e transnazionali. In questo articolo il mio obbiettivo è quello di offrire una panoramica delle principali vicende degli anni ’90 con focus sulle rivolte islamiche dei primi anni 2000 e il coinvolgimento internazionale nel conflitto locale, in particolare il ruolo dell’ONU e degli Stati Uniti, ovvero i tre elementi che nel 2025 giocano ancora un ruolo centrale nella guerra civile somala.

Le Vicende degli Anni ’90

Gli anni ’90 rappresentano un momento cruciale nella storia della somala, l’inizio del decennio, la fine del secolo e della guerra fredda su scala globale, coincidono in Somalia con la caduta del regime di Siad Barre, il generale somalo e segretario del Partito Socialista Rivoluzionario Somalo, che governò il paese ininterrottamente tra il 1969 ed il gennaio del 1991, da qui una sanguinosa “guerra di successione” meglio nota come guerra civile somala, che dura salvo brevi interruzioni, va avanti da oltre 30 anni.

Alla base del conflitto vi era la frammentazione del potere, la proliferazione dei signori della guerra già negli anni ottanta, sostenuti in maniera più o meno diretta dai diversi attorti internazionali. Sul piano politico la Somalia a cavallo tra anni 80 e 90 era una polveriera pronta ad esplodere, serviva solo qualcuno che accendesse la miccia e la miccia si accese con la fine della guerra fredda e la caduta di Siad Barre.

Il Crollo del Regime di Siad Barre (1991)

Siamo nel 1990, la Somalia è governata da oltre 30 anni dal generale Mohamed Siad Barre, ma il suo governo è attraversato da una profonda crisi politica, il popolo somalo vive un profondo malcontento, alimentato da tensioni etniche e rivolte armate contro il regime, così, il 26 gennaio 1991, il governo cade, ma, come anticipato, l’enorme frammentazione del potere porta ad una lotta per la successione che impedisce una transizione politica e porta il paese a sprofondare nel caos.

Nel gennaio del 1991 le truppe ribelli, guidate dal generale Mohamed Farrah Aidid entrano a Mogadiscio, ormai il dado è tratto, le forze governative vengono sconfitte, il presidente destituito e per Siad Barre non resta altra possibilità che la fuga, il generale lascia la città e cerca rifugio nell’area sudoccidentale del paese, regione governata da Mohamed Said Hers, genero di Siad Barre che lo aiutò, nel corso del 1991 e 92 nel tentativo di riprendere la capitale, ma senza successo e alla fine, nel 1992, Mohamed Farrah Aidid decretò l’esilio di Siad Barre.

L’Anarchia e il Ruolo dei Signori della Guerra

Mohamed Farrah Aidid controlla la capitale, ma non il paese, la frammentazione del potere che aveva messo in crisi il precedente regime sembra impedire la creazione di un nuovo stato unitario, e in assenza di un governo centrale, riconosciuto da tutte le fazioni, il paese si frammentò ulteriormente, dando vita ad in una miriade di territori controllati da signori innumerevoli signori della guerra e le loro milizia. Semplificando moltissimo, nessuno di loro riconosce l’autorità del governo centrale e tutti vogliono assumere il controllo del paese, ne consegue una veloce e sanguinosa escalation di violenze, con attacchi indiscriminati alla popolazione civile e saccheggi diffusi, alimentati da scarsità di cibo e acqua per via di una profonda carestia che colpì il paese tra 1991 e 1992.

La carestia colpì l’intero corno d’africa, e per quanto riguarda la Somalia, interessò soprattutto le regioni meridionali del paese, causando solo in Somalia, secondo le stime dell’ONU, la morte di circa 300.000 persone tra il 1991 e il 1992.

L’Intervento delle Nazioni Unite: UNOSOM e Operazione Restore Hope

La Somalia è devastata da una catastrofe umanitaria, aggravata dalla guerra civile che rende impossibile, alle organizzazioni umanitarie, la distribuzione di aiuti, si rese così necessaria la mobilitazione delle Nazioni Unite con la missione UNOSOM (United Nations Operation in Somalia). I caschi Blu dell’ONU, impegnati nella missione UNOSOM tuttavia, non furono in grado di contenere la violenza tra le fazioni in lotta.

La richiesta di aiuto della Somalia e dell’ONU viene accolta, se così si può dire, dagli Stati Uniti. L’amministrazione Bush aveva infatti necessità di un importante successo politico internazionale, così nel dicembre del 1992, a quasi 2 anni dall’inizio della guerra civile somala, venne lanciata l’Operazione Restore Hope. L’obiettivo era quello di garantire la sicurezza necessaria per la distribuzione degli aiuti umanitari, e a tale scopo venne inviato in Somalia un contingente militare di circa 25.000 soldati statunitensi.

I signori della guerra locali, che ambivano al potere nella regione, non videro di buon occhio la presenza militare straniera e anzi, la interpretarono in larga parte come un atto di ostilità e un nuovo tentativo coloniale. Mohamed Farrah Aidid, che controllava ancora Mogadiscio, fu uno dei principali detrattori della presenza straniera in Somalia e le crescenti tensioni tra le forze dell’ORH, e le milizie del generare Aidid, culminarono con la disastrosa Battaglia di Mogadiscio, avvenuta tra il 3 e il 4 ottobre 1993, durante la quale le forze speciali statunitensi, nel tentarono di catturare i luogotenenti di Aidid, vennero accerchiate e attaccate dalle milizie locali. Il bilancio della battaglia fu disastroso, centinaia di somali morti e 18 soldati USA.

Bush era entrato in Somalia in cerca di un successo politico e militare, ma ciò che aveva ottenuto era un disastro politico, l’opinione pubblica statunitense e internazionale spinsero per un ritiro immediato delle truppe, così, ad un passo dalle elezioni di metà mandato, del secondo mandato Bush, gli Stati Uniti lasciarono la Somalia. Era il 1994, e l’anno seguente, nel 1995 fu la volta dell’ONU.

La Somalia era un teatro bellico estremamente importante per l’ONU, perché si trattava del primo vero conflitto post guerra fredda, e il ritiro delle forze internazionali dal paese segnò quello che è forse il più grande fallimento della comunità internazionale nel tentativo di pacificare un paese devastato dalla guerra civile. La fuga della comunità internazionale lasciò la Somalia in uno stato di totale anarchia, immersa in un conflitto permanente che attraversò tutto il decennio.

Nella restante metà degli anni 90, la guerra civile continuò senza sosta, a spese soprattutto della popolazione civile. Soldati bambino, armi illegali, crimini di guerra, stupri di massa, segnarono una ferita indelebile nella memoria di un paese abbandonato a se stesso. In questo clima di disperazione, la fede divenne una risorsa essenziale per la sopravvivenza, e col tempo, un arma e strumento politico. Sul finire del decennio la Somalia vide un crescente aumento dell’influenza dei movimenti islamici favorita dall’assenza di un governo centrale funzionante. Se l’eredità etnica e culturale, il passato coloniale, e le lotte di potere avevano diviso la popolazione somala, l’Islam per molti, apparve come l’anello di congiunzione che poteva sanare la ferita del paese e portare alla nascita di una Somalia Islamica.

Le Rivolte Islamiche dei Primi Anni 2000

Arriviamo così agli inizi degli anni 2000, momento in cui la Somalia assume i tratti che avrebbe avuto nel successivo quarto di secolo. Il decennio di guerra civile appena trascorso aveva portato ad una crescente sfiducia nei confronti dei leader militari e di conseguenza ad un sostanziale declino dell’influenza dei signori della guerra, il cui potere fu presto ereditato dai movimenti islamici. All’inizio degli anni 2000 emersero in Somalia le prime Corti Islamiche, si trattava di gruppi che applicavano la Sharia e offrivano servizi di giustizia e sicurezza nelle aree sotto il loro controllo.

Queste corti grazie al sostegno della popolazione civile, stanca dell’anarchia e della violenza e desiderosa di una fase di serenità fisica e spirituale, riuscirono in breve tempo a pacificare diverse regioni del paese, e nel 2006, molte di queste Corti si unirono nell’Unione delle Corti Islamiche (UCI) che riuscì a prendere il controllo di Mogadiscio e di gran parte della Somalia meridionale.

Sotto la guida dell’UCI, la Somalia meridionale conobbe un periodo di relativa stabilità. Tuttavia, la loro ascesa di uno stato Islamico nel corno d’africa, fu visto come fonte di preoccupazione dai paesi vicini e dalla comunità internazionale, quella stessa comunità che aveva abbandonato la Somalia a se stessa. Siamo nel 2006, la comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, hanno già conosciuto il lato violento e feroce dell’estremismo islamico, e soprattutto, si è ormai affermato il principio di guerra preventiva, coniato da G.W. Bush e Tony Blair. Così, su richiesta dell’Etiopia, altra ex colonia Italiana nel corno d’Africa, e il sostegno degli USA, sul finire del 2006 fu avviata un operazione militare finalizzata a rovesciare l’UCI e sostenere l’instaurazione di un Governo Federale di Transizione.

Ci troviamo in una delle fasi più controverse della storia moderna, la Somalia, che da oltre un decennio è abbandonata a se stessa e vive una profonda guerra civile, è stata, in parte, finalmente pacificata da un movimento Nazionalista Islamico, e la comunità internazionale, temendo possibili evoluzioni di questo movimento che è riuscito là dove gli USA e l’ONU, 10 anni prima hanno fallito fuggendo con la coda tra le gambe, decide di portare nuovamente la guerra e morte in quell’angolo di mondo già martoriato e stanco.

Il Ruolo degli Stati Uniti nel Conflitto

come abbiamo visto, l’UCI si espanse rapidamente in Somalia, sfruttando la fede islamica come elemento comune e di appartenenza in grado di superare le diversità ideologiche, etniche e culturali che invece avevano alimentato i conflitti tra clan degli anni 90. Il suo crescente potere e la sua crescente influenza nel paese però, preoccupava la vicina Etiopia, che mal vedeva la formazione di uno stato islamista radicale ai propri confini, e dall’altra parte del mondo, gli Stati Uniti, impegnati in una guerra su larga scala contro il terrorismo e l’estremismo islamico, e soprattutto, sotto la guida di George W. Bush che era il dell’uomo che 10 anni prima aveva sostanzialmente ordinato “la fuga” degli USA dalla Somalia, e forse cercava una qualche rivalsa storica per il proprio nome, decise di sostenere e spingere l’Etiopia nel conflitto contro la Somalia, così, nel dicembre 2006, l’Etiopia, sostenuta dagli Stati Uniti, lanciarono una prima offensiva su larga scala alla Somalia.

L’invasione della Somalia da parete dell’esercito etiope, meglio equipaggiato e addestrato, grazie al sostegno degli USA, riuscì in poco tempo a sconfiggere le forze dell’UCI che furono costrette a ritirarsi. Diversamente dalla precedente battaglia di Mogadiscio, questa volta per gli USA fu un successo e nel dicembre del 2006 la città era passata sotto il controllo etiope e del governo federale di transizione somalo (TFG), sostenuto dalla comunità internazionale.

La Resistenza Islamista e la Nascita di Al-Shabaab

La sconfitta a Mogadiscio dell’UCI e la fuga dei propri leader segnò la fine del movimento, ma non della guerra civile che anzi, riprese con maggior vigore. Dalle ceneri dello sconfitto UCI, come successo nel 91 con la fine del regime di Siad Barre, nacque una nuova formazione, ancora oggi attiva in Somalia, ovvero Al-Shabaab, un gruppo nazionalista islamico, più radicale delle precedenti corti islamiche, considerate troppo moderate. Fin dal 2007 Al-Shabaab è impegnata in uno scontro diretto contro le le forze etiopi e il governo federale somalo, utilizzando prevalentemente tattiche di guerriglia che hanno portato all’organizzazione il sostegno di numerosi gruppi jihadisti internazionali, tra cui al-Qaeda. Il movimento panislamico somalo si è radicalizzato soprattutto nelle aree rurali del paese dove, per via dei dissesti causati da oltre 20 anni di guerra, il governo federale aveva (ed ha tutt’ora) difficoltà ad imporsi.

Per quanto riguarda l’Etiopia invece, la loro permanenza in Somalia è durata circa 2 anni, tra il 2006 ed il 2008. Nel 2008 le forti pressioni internazionali e il timore che Al-Shabaab potesse portare lo scontro anche in Etiopia, spinsero l’Etiopia a dare inizio al proprio ritiro dalla Somalia, lasciando così il paese nelle mani del governo federale somalo, sostenuto dalla comunità internazionale.

Nel 2007, l’Unione Africana entrò in Somalia a sostegno del Governo Federale, e nell’ottica della pacificazione del paese e la lotta ad Al-Shabaab, dispiegò nel paese le forze della missione African Union Mission in Somalia (AMISOM). La missione AMISON ottenne quasi immediatamente il sostegno della comunità internazionale, soprattutto deli Stati Uniti e riuscì ad ottenere, alcuni importanti successi, senza però mai riuscire ad eliminare completamente la minaccia islamista.

Da Al-Shabaab all’ISIS

La parabola islamista della Somalia è stata in un certo senso discendente, i primi movimenti erano fortemente nazionalisti, e, per quanto radicali erano abbastanza moderati, se infatti l’UCI da un lato applicava la Sharia, dall’altro tollerava e permetteva la convivenza con altre religioni, e fondava la propria politica sulla pacificazione attraverso l’Islam, dall’UCI si passa però al più radicale Al-Shabaab, che a differenza dell’UCI è un gruppo jihadista nazionalista somalo, affiliato ad al-Qaeda, ma il cui interesse è circoscritto alla sola Somalia, tale movimento nel corso degli anni ha subito numerose trasformazioni e, come molti dei gruppi affiliati ad al-Qaeda, ha visto, soprattutto a partire dal 2015, una progressiva radicalizzazione e trasformazione che ha avvicinato sempre di più, alcune frange del movimento, al califfato di Abu Bakr al-Baghdadi.

Il 2015 in effetti, per la Somalia è un altro momento di rottura. L’ascesa e avanzata in Iraq e Siria dell’ISIS, e la sua rapida diffusione in gran parte del mondo Islamico, attrae alcuni esponenti di Al-Shabaab, il movimento fino a quel momento era stato legato ad al-Qaeda, con cui condivideva ideologia, strategie e supporto logistico. Strategie che però non avevano mai avuto l’impatto e soprattutto portato i risultati che invece stava ottenendo l’ISIS, così, diversi comandanti di al-Shabaab videro nell’ISIS il futuro della propria jihad e considerando il califfato più dinamico e influente rispetto a quanto non fosse in quel momento al-Qaeda, decisero di staccarsi al-Shabaab e giurare fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi.

Nasce così, nella regione settentrionale della Somalia, Abnaa ul-Calipha, il gruppo che in sintesi rappresenta la costola somala dell’ISIS. Il leader di questo nuovo schieramento, che entra a gamba tesa nella guerra civile somala, è Abdul Qadir Mumin. Si tratta di un un ex predicatore e ideologo del gruppo che in pochissimo tempo farà della regione del Puntland la propria roccaforte. Si tratta di un area geograficamente e politicamente lontana dalle regioni controllate da Al-Shabaab, ben radicato nel sud del paese, ma anche lontano dal governo federale.

Dal 2015 in poi la Somalia è sostanzialmente divisa tra tre fazioni. Abbiamo un governo federale, sostenuto dalla comunità internazionale, che controlla la capitale Mogadiscio, nelle aree rurali del sud del paese si è radicato Al-Shabaab, erede dell’UCI, e fortemente nazionalista, mentre nelle aree rurali del nord del paese c’è Abnaa ul-Calipha, la costola somala dell’ISIS, staccatasi da Al-Shabaab, con ambizioni transnazionali.

Questa nuova configurazione della Somalia non lascia molto spazio al dialogo, soprattutto tra le due fazioni islamiste la cui rivalità si intensificò rapidamente. Al-Shabaab avviò immediatamente una campagna di epurazione, eliminando tutti i possibili sostenitori dell’ISIS e giustiziando numerosi militanti sospettati di un possibile tradimento. Lanciò inoltre numerosi attacchi contro le basi e i villaggi controllati dalla fazione rivale e lo stesso fece l’ISIS. La lotta intestina tra i due movimenti islamici portò in Somalia una nuova e forse più devastante ondata di morte e violenza, ma riuscì, in parte, a limitare l’efficacia operativa dei due gruppi jihadisti, permettendo, se pur in maniera limitata, un avanzata delle forze governative nelle aree rurali.

Nel contesto generale della guerra civile somala, la scissione di Al-Shabaab e la nascita di una fazione affiliata all’ISIS non ha fatto altro che complicare ulteriormente un quadro già disastroso, a tutto danno della popolazione civile. Il governo somalo e le forze internazionali, già impegnate nella lotta contro Al-Shabaab, hanno dovuto affrontare una nuova minaccia rappresentata dal più aggressivo gruppo affiliato all’ISIS. Mentre L’AMISOM e le forze speciali statunitensi hanno intensificato le operazioni contro entrambe le fazioni, cercando di prevenire un’ulteriore diffusione del jihadismo nella regione.

Gli Interventi degli USA in Somalia (2012-2025)

Dopo il disastro di Mogadiscio nel dicembre del 1994, gli Stati Uniti sono sempre stati molto cauti nell’intervenire in Somalia, e, per oltre un decennio, si sono tenuti a distanza dalla regione. L’ascesa dell’UCI nel 2006 ha portato ad un rinnovato interesse statunitense per la Somalia, e sebbene abbiano fornito un ampio sostegno, tra il 2006 ed il 2008 alle forze Etiopi e successivamente al governo federale somalo e dell’AMISOM, ma solo nel 2012, con l’inizio del secondo mandato di Barack Obama e l’elezione di Hassan Sheikh Mohamud, gli USA sono rientrati direttamente nel conflitto.

Con l’elezione id Hassan Sheikh Mohamud nel settembre 2012, gli Stati Uniti hanno intensificato la propria presenza militare in Somalia nel paese, iniziando una collaborazione diretta con l’AMISOM e le forze governative. Fino a quel momento gli USA si erano limitati ad addestrare e fornire armi alla Somalia e AMISOM, ma dal 2012 in poi, le forze amate USA, iniziarono ad intervenire direttamente contro Al-Shabaab. Il secondo mandato presidenziale di Obama fu caratterizzato da un massiccio utilizzo dei droni in operazioni belliche, sia in medio oriente e Afghanistan, ma anche in Somalia.

La partecipazione attiva degli USA alla guerra contro i movimenti islamici somali, portò nel 2014 all’uccisione di Ahmed Abdi Godane, leader di Al-Shabaab, causando una temporanea disorganizzazione all’interno del gruppo. Il suo successore, Ahmad Umar è tuttavia riuscito a riorganizzare e rafforzare Al-Shabaab portando a una ripresa delle offensive jihadiste.

Nel 2016 inizia l’era Trump, promuovendo un approccio più aggressivo nei confronti del terrorismo islamico. L’effetto della nuova politica è che dal 2017, il Pentagono ha ampliato l’autorizzazione all’uso della forza letale, aumentando in modo esponenziale il numero di raid aerei e operazioni speciali colpendo decine di obiettivi strategici, che però, spesso, come successo anche in epoca Obama, coinvolsero obbiettivi civili.

Sul finire del primo mandato presidenziale, nell’autunno del 2020, l’amministrazione Trump ha ordinato il ritiro della maggior parte delle truppe statunitensi dalla Somalia, pur mantenendo la capacità di eseguire attacchi aerei e operazioni di intelligence dalla vicina Kenya e da basi nel Golfo.

Il cambio della guardia tra Trump e Biden portò gli USA a riconsiderare la propria strategia militare in Somalia e nel 2022, il presidente ha approvato la reintroduzione di truppe speciali nel paese per rafforzare le forze locali e continuare le operazioni contro Al-Shabaab.

Tra il 2022 e il 2023 gli USA i raid aerei ed attacchi mirati da parte degli USA contro obiettivi strategici legati ad Al-Shabaab sono continuati senza alcun tipo di rallentamento, e anzi, con una certa intensificazione rispetto al 2021 quando il ritiro delle forze speciali dal paese voluto da Trump, aveva ridotto notevolmente la capacità operativa degli USA.

Nel gioco delle parti tra ISIS e al-Shabaab, la diminuzione della capacità operativa e logistica di al-Shabaab porta ad una nuova fase di crescita dell’ISIS che, nel 2024 è tornato ad essere oggetto d’interesse prioritario per le forze militari somale e statunitensi, richiedendo un coordinamento più stretto tra Washington e Mogadiscio e nel 2025, la nuova amministrazione Trump, a inaugurato la propria stagione militare, con un raid aereo che tra gennaio e febbraio, secondo quanto comunicato dallo stesso Trump, ha portato alla capitolazione di alcuni leader dell’ISIS somalo.

Bibliografia e Fonti

Operazione Somalia. La dittatura, l’opposizione, la guerra civile, Mario Sica
La mia Somalia: Operazione ‘IBIS'” di Gen. Francesco Bruni
Lo sguardo avanti” di Abdullahi Ahme
Dossier Somalia” di Carla Rocca

Storia personale della guerra in Somalia – Igiaba Scego – Internazionale
Italia e Somalia – Ambasciata d’Italia Mogadiscio
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Le guerre civili somale, USAx Somalia (parte 3)

La Somalia è uno di quegli angoli di mondo a cui la storia ha deciso di non dare tregua e nel corso dell’ultimo secolo almeno, ha visto pochi e brevi momenti di serenità, come momenti di separazione tra grandi conflitti decennali. Il paese, un tempo importante colonia italiana nel Corno d’Africa, è stata, soprattutto negli ultimi decenni, teatro di una prolungata guerra civile, iniziata agli albori degli anni ’90 e caratterizzata da una complessa interazione di conflitti locali (di cui il colonialismo ottocentesco e dei primi del novecento è in larga parte responsabile), insurrezioni islamiche, interventi internazionali e transnazionali. In questa serie di 3 articoli il mio obbiettivo è quello di offrire una panoramica delle principali vicende della guerra civile somala, dagli anni 90 ad oggi, con focus sulle rivolte islamiche dei primi anni 2000 e il coinvolgimento internazionale nel conflitto locale, in particolare il ruolo della comunità internazionale e degli Stati Uniti, ovvero i tre elementi che nel 2025 giocano ancora un ruolo centrale nella guerra civile somala.

Gli Interventi degli USA in Somalia (2012-2025)

Dopo il disastro di Mogadiscio nel dicembre del 1994, gli Stati Uniti sono sempre stati molto cauti nell’intervenire in Somalia, e, per oltre un decennio, si sono tenuti a distanza dalla regione. L’ascesa dell’UCI nel 2006 ha portato ad un rinnovato interesse statunitense per la Somalia, e sebbene abbiano fornito un ampio sostegno, tra il 2006 ed il 2008 alle forze Etiopi e successivamente al governo federale somalo e dell’AMISOM, ma solo nel 2012, con l’inizio del secondo mandato di Barack Obama e l’elezione di Hassan Sheikh Mohamud, gli USA sono rientrati direttamente nel conflitto.

Con l’elezione id Hassan Sheikh Mohamud nel settembre 2012, gli Stati Uniti hanno intensificato la propria presenza militare in Somalia nel paese, iniziando una collaborazione diretta con l’AMISOM e le forze governative. Fino a quel momento gli USA si erano limitati ad addestrare e fornire armi alla Somalia e AMISOM, ma dal 2012 in poi, le forze amate USA, iniziarono ad intervenire direttamente contro Al-Shabaab. Il secondo mandato presidenziale di Obama fu caratterizzato da un massiccio utilizzo dei droni in operazioni belliche, sia in medio oriente e Afghanistan, ma anche in Somalia.

La partecipazione attiva degli USA alla guerra contro i movimenti islamici somali, portò nel 2014 all’uccisione di Ahmed Abdi Godane, leader di Al-Shabaab, causando una temporanea disorganizzazione all’interno del gruppo. Il suo successore, Ahmad Umar è tuttavia riuscito a riorganizzare e rafforzare Al-Shabaab portando a una ripresa delle offensive jihadiste.

Nel 2016 inizia l’era Trump, promuovendo un approccio più aggressivo nei confronti del terrorismo islamico. L’effetto della nuova politica è che dal 2017, il Pentagono ha ampliato l’autorizzazione all’uso della forza letale, aumentando in modo esponenziale il numero di raid aerei e operazioni speciali colpendo decine di obiettivi strategici, che però, spesso, come successo anche in epoca Obama, coinvolsero obbiettivi civili.

Sul finire del primo mandato presidenziale, nell’autunno del 2020, l’amministrazione Trump ha ordinato il ritiro della maggior parte delle truppe statunitensi dalla Somalia, pur mantenendo la capacità di eseguire attacchi aerei e operazioni di intelligence dalla vicina Kenya e da basi nel Golfo.

Il cambio della guardia tra Trump e Biden portò gli USA a riconsiderare la propria strategia militare in Somalia e nel 2022, il presidente ha approvato la reintroduzione di truppe speciali nel paese per rafforzare le forze locali e continuare le operazioni contro Al-Shabaab.

Tra il 2022 e il 2023 gli USA i raid aerei ed attacchi mirati da parte degli USA contro obiettivi strategici legati ad Al-Shabaab sono continuati senza alcun tipo di rallentamento, e anzi, con una certa intensificazione rispetto al 2021 quando il ritiro delle forze speciali dal paese voluto da Trump, aveva ridotto notevolmente la capacità operativa degli USA.

Nel gioco delle parti tra ISIS e al-Shabaab, la diminuzione della capacità operativa e logistica di al-Shabaab porta ad una nuova fase di crescita dell’ISIS che, nel 2024 è tornato ad essere oggetto d’interesse prioritario per le forze militari somale e statunitensi, richiedendo un coordinamento più stretto tra Washington e Mogadiscio e nel 2025, la nuova amministrazione Trump, a inaugurato la propria stagione militare, con un raid aereo che tra gennaio e febbraio, secondo quanto comunicato dallo stesso Trump, ha portato alla capitolazione di alcuni leader dell’ISIS somalo.

Bibliografia e Fonti

Operazione Somalia. La dittatura, l’opposizione, la guerra civile, Mario Sica
La mia Somalia: Operazione ‘IBIS'” di Gen. Francesco Bruni
Lo sguardo avanti” di Abdullahi Ahme
Dossier Somalia” di Carla Rocca

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Trump non ha vinto le elezioni, è la Clinton ad aver perso.

Questa infografica è molto interessante, mostra i risultati delle elezioni presidenziali nei USA, dal 2008 ad oggi.

Il primo dato interessante a mio avviso è quello legato al numero di elettori Repubblicani, numero che nel 2008 sfiorava i 60 milioni, nel 2012 li superava appena è nel 2016 torna a sfiorarli.
Insomma un dato espressivo di continuità e coerenza potremmo dire da parte dell’elettorato che resta fedele al partito e agli ideali di partito , indipendentemente dal candidato.
Guardiamo ora il dato degli elettori Democratici, nel 2008 si sfiorano i 70 milioni, nel 2008 superano di poco i 65 milioni e nel 2016 sfiorano i 60 milioni.

Questo dato è molto significativo perché mostra una iniziale fiducia, potremmo dire, in Obama, che è andata diminuendo nel tempo, per via della crisi economica/finanziaria , per la politica estera e tanti altri fattori che non staremo qui ad elencare.
Obama, nel 2008 era un volto abbastanza nuovo, certo, aveva una lunga e brillante carriera politica alle spalle, ma di fatto era in uomo nuovo, che con lavoro, impegno e dedizione era giunto ai vertici del potere USA. Una storia personale completamente diversa invece è quella di Hilary Clinton, nome più che noto all’elettorato statunitense. Questa notorietà comporta una problematica inevitabile. Gli americani, e soprattutto gli elettori democratici, conoscevano o comunque credevano di conoscere, molto bene, quella che sarebbe stata, nell’atto pratico e al di là delle promesse elettorali, la linea d’azione di un eventuale presidenza della Clinton.

Queto elemento è estremamente importante ed è il principale fattore di distinzione tra lei e Obama nel 2008.
Come già detto, n 2008 otto Obama era un “volto nuovo“, nel 2012 era un volto noto, e questa notorietà, unita al precedente mandato ha comportato una perdita sostanziosa dei propri elettori, che molto probabilmente hanno preferito esimersi dal voto, notiamo infatti che, nel 2012, se da una parte gli elettori Democratici sono in calo rispetto al 2008, i Repubblicani restano pressoché invariati, non vi è quindi un anomalo cambio di fede politica. Questo calo dell’elettorato democratico continua ulteriormente nel 2016 scendendo a 60milioni circa, un numero sicuramente importante ed elevato, che di fatto regala alla Clinton un centinaio di migliaia di voti in più rispetto al suo avversario Trump ma che nella realtà politica statunitense, non hanno il peso necessario per la conquista di uno stato e dunque ininfluenti al fine delle nomina presidenziale.


Cosme possiamo dedurre da questi dati ?

Questi risultati lasciano alla politica statunitense e soprattutto al partito Democratico un importante lezione. Innovazione, rinnovazione e cambiamento sono elementi fondamentali per la sopravvivenza degli USA e del partito Democratico, senza questi elementi, inseguendo una politica statica di tipo tradizionale, proponendo le solide idee che poi non verranno messe in pratica, proponendo i soliti volti e nomi, la sfiducia continuerà a crescere portando ad una sempre maggiore astensione dei propri elettori.

Tra il Barack Obama del 2008 e Hilary Clinton nel 2016 ci sono 10 milioni di voti. 10 milioni di Americani che non hanno votato perché , molto probabilmente non si sentivano abbastanza rappresentati na l’uno o l’altro candidato (metto in mezzo anche Trump).

Lo stesso discorso può essere applicato anche al partito Repubblicano, dove però, la fede di partito e non nell’uomo (o la donna) sembra essere notevolmente più radicata.
In conclusione, Donald Trump ha vinto queste elezioni quasi a tavolino, conquistando la base elettorale del partito Repubblicano, circa 60 milioni di elettori, ma no uno di più. Dall’altra parte, Hilary Clinton ha faticato nel conquistare anche la sola base “storica” del partito Democratico, e non so fino a che punto ci sia effettivamente riuscita.
Un ultimo dato da tenere in considerazione, il popolo americano conta circa 317 milioni di persone, di cui circa 2/3 in età per votare. L’elettorato complessivo degli stati uniti si aggira appena al di sotto dei 200 milioni.
N 2008 , la più sentita e partecipata delle elezioni degli ultimi 10 anni, hanno votato circa 130 milioni di Americani, nel 2016, dieci milioni (di democratici?) in meno, ovvero, 120 milioni, e questo ovviamente è molto significativo.

Spero di non avervi annoiato troppo con queste osservazioni, se il post è stato interessante vi invito a condividere e lasciare un pollice in su, se avete domande invece, usate pure i commenti

Obama, I sogni di mio padre – La Recensione

Durante il periodo estivo mi sono dedicato alla lettura, o meglio alla rilettura dell’opera autobiografica del presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama , intitolata “I sogno di mio padre”.

Vi lascio di seguito il link per acquistare il libro qualora foste interessati alla lettura, prima di procedere con la mia prima, spero interessante, recensione dell’opera.

Il libro in se è molto interessante e soprattutto molto evocativo, tra le sue pagine è possibile ripercorrere gli anni della giovinezza di Barry (questo il nome che ha utilizzato almeno fino agli anni del liceo) Obama, passando dall’innocenza dell’infanzia alla ribellione adolescenziale e la presa di coscienza di se.

La biografia si divide in quattro diverse parti, ognuna delle quali racconta un  selciato della vita sua e dei suoi familiari. Tra le prime pagine viene presentato il suo misto e confuso nucleo familiare, partendo dai suoi nonni, passando a sua madre ed i vaghi ricordi giunti fino a lui attraverso i racconti materni di suo padre, il cui spettro accompagnerà tutta la vita di Obama.

Segue poi un inquadramento della vita hawaiana, condita con teneri e dolci aneddoti nei quali viene mostrato l’amore incondizionato dei suoi nonni, ed in fine, il trasferimento, al fianco di sua madre e del nuovo compagno in Indonesia.

Lì Obama vivrà e crescerà in un ambiente molto diverso da quello dell’isola natale, e lì, vedendo una rivista in cui era raffigurato un innovativo metodo di sbiancamento della pelle, iniziano a maturare i primi dubbi riguardo la propria identità.

Da questo momento in poi possiamo dire che si apre la parte credo più importante dell’opera, e probabilmente della vita di Obama (e per certi aspetti di ogni essere umano) ovvero la ricerca di se stessi, la ricerca della propria identità, che, in casi al limite come quello del futuro presidente americano, può essere particolarmente complicata. In queste pagine Obama è come “balto”, metà cane, metà lupo, senza una precisa identificazione sociale, letteralmente “sa soltanto quello che non è”.

Obama era cresciuto e vissuto come un bianco, ma la sua pelle era di un altro colore, questo particolare raramente si era mostrato negli anni hawaiani, ne, a maggior ragione in Indonesia, ma al suo ritorno, ancora di più quando si sarebbe trasferito a Los Angeles per studiare all’università, la sua natura di meticcio, lo avrebbe portato inevitabilmente a scontrarsi con la realtà.

Negli anni a Los Angeles, minuziosamente descritti nella seconda parte del libro, Obama è costretto realmente ad affrontare se stesso, arrivando anche a toccare il fondo, prima di poter finalmente vedere la luce in fondo al tunnel e scoprire esattamente chi fosse.
In questi anni le esperienze vissute sono spesso molto forti e al limite, e porteranno il giovane Barack ad utilizzare il nome paterno ed esplorare diverse realtà, i cui sentieri lo avrebbero condotto dinanzi a se stesso, permettendogli di maturare e sviluppare finalmente una propria e precisa identità, identità fondamentale nella costruzione di un sua scala di valori che andrà a definirsi sempre di più negli anni della vita nell’Illinois affrontata nelle ultime parti del libro.

Terminati gli studi Obama si trasferisce a New York, per poi trovare lavoro come coordinatore di quartiere a Chicago, una città nuova, simile e allo stesso tempo molto diversa da Los Angeles. Qui, un giovane ma più maturo Obama dovrà fare i conti con una nuova realtà, che con le sue agghiaccianti verità avrebbe generato nuovi sentimenti in un giovane che ormai aveva vissuto sulla sua pelle mille vite differenti.

Obama era nato in una famiglia medio borghese, aveva vissuto la sua prima infanzia non nel lusso, ma nel benessere, in seguito, il trasferimento in Indonesia è stato vissuto come un passo indietro, in una casa decisamente più povera di quella dei propri nonni, ma lì, il trasformismo e del suo patrigno impegnato in una assennata scalata sociale, permise ad Obama di vedere la trasformazione di una fattoria in una villa, poi di nuovo alle Hawaii, questa volta in un appartamento condominiale insieme ai suoi nonni, ed in fine, la realtà della discriminazione e del ghetto californiano, prima di trasferirsi in una città di operai, dove nero era sinonimo di povertà, discriminazione e disagio.

In quei luoghi, Obama incontra faccia a faccia le comunità e le autorità politiche, impegnandosi in opere di rivalutazione e riqualificazione di aree urbane più simili a discariche che quartieri residenziali.

Nell’ultima parte del libro Obama riscopre ed incontra la propria famiglia dal lato paterno, venendo finalmente a conoscere la verità su suo padre, un uomo fedele ai propri principi, principi per i quali era stato acclamato come un eroe nazionale e poi, al cambio della guardia, messo al bando e costretto ad una vita di sofferenze e miseria, prezzo da pagare per la propria integrità morale.

Un uomo tutto d’un pezzo con un sogno che amava il suo paese, la sua gente e la sua terra più di se stesso, e questo amore lo avrebbe lo avrebbe trasmesso indirettamente ai suoi figli, e più di tutti, a quel figlio americano, lasciato in fasce perché richiamato in patria a ricostruire il proprio paese.

Questo è “i sogni di mio padre” un opera illuminante che racconta la vita di Barack Obama e come quella vita non sia stata perfetta, trascorsa alla ricerca di se stesso e della propria identità.

Credo che fosse quello lo scopo primo e forse unico di questo libro, definire la propria identità, e leggendo o meglio, rileggendo quelle pagine, vivendo quei ricordi non miei, e rivivendo contemporaneamente i miei ricordi, ho potuto effettuare lo stesso lavoro introspettivo, andando a ridefinire e comprendere meglio me stesso.

Se interessati alla lettura potete acquistare il libro da Amazon, cliccando qui, in modo da risparmiare qualcosa, il libro è scontato del 15% 

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