Giorgia Meloni attacca di nuovo la Costituzione

Nuova proposta di riforma costituzionale proposta da Giorgia Meloni, dopo aver proposto una modifica della struttura parlamentare ed una modifica dell’intero ecosistema istituzionale, questa volta sono sotto attacco le relazioni internazionali.

Quasi con regolarità svizzera, Giorgia Meloni, leader del partito Fratelli d’Italia, ha proposto l’ennesima modifica della costituzione Italiana, questa volta scagliandosi contro gli articoli che regolamentano i rapporti dell’Italia con l’Unione Europea e per essere più precisi, si tratta degli articoli 97 – 117 e 119.

Questi articoli, oggi sotto attacco, vanno ad aggiungersi alla già lunga lista di articoli e parti della costituzione che la Meloni vorrebbe modificare e in questa lista, oltre ad alcuni articoli immodificabili facenti parte dei principi fondamentali, 2 – 3 – 11, vi sono almeno altri venti articoli, che vanno dall’articolo 21, l’articolo che sancisce la libertà di espressione e di opinione, all’articolo 135 che riguarda le attività della corte costituzionale, nel mezzo vi sono tutto il Titolo secondo della seconda parte della costituzione, in cui sono regolamentati i poteri ed i doveri del Presidente della Repubblica, articoli dall’83 al 91, e in fine, ma non meno importante, vi è una serie molto lunga di articoli in ordine sparso riguardanti il reato di tradimento, le funzioni del parlamento, delle istituzioni ed il riconoscimento di alcuni diritti civili, più precisamente gli articoli art. 68, art. 69, art. 70, art. 73, art. 76, art. 103, art. 122, art. 123, art. 135.

Va fatta una precisazione, Giorgia Meloni non ha mai detto di voler effettivamente modificare tutti questi articoli, e soprattutto non ha mai detto di voler modificare articoli della prima parte della costituzione, anche perché i principi fondamentali non possono essere modificati, tuttavia gli articoli citati, verrebbero modificati indirette come conseguenza della modifica di dei pochi articoli ha dichiarato di voler modificare. Cerco di spiegarmi nella maniera più semplice possibile, più in questi anni volte Giorgia Meloni (e non solo lei) ha richiesto o meglio, ha dichiarato di voler apportare alcune modifiche nella procedura di elezione del presidente della Repubblica, invocando l’elezione diretta del presidente della repubblica con conseguente trasformazione dell’Italia da Repubblica Parlamentare a Repubblica Presidenziale. Perché questa trasformazione possa avvenire è necessario modificare quella parte della costituzione (titolo II della sezione II ) in cui vengono definite le modalità di elezione del presidente della repubblica e conseguentemente tutti gli articoli, ordinamenti e regolamenti, che ne definiscono i poteri e, al fine di evitare un dualismo istituzionale in cui cariche diverse assolvono alle stesse funzioni, è necessario ridefinire i ruoli, i poteri e di conseguenza le modalità di nomina ed elezione di tutti gli organi repubblicani, dal parlamento al presidente del consiglio al consiglio dei ministri, e nel fare questo bisogna toccare una quantità spropositata di articoli della costituzione, tuttavia questo non è possibile in quanto vi sono articoli della costituzione posti come clausola di salvaguardia dello stato e delle istituzioni che impediscono la modifica di una parte così ampia della costituzione.

Il problema può essere in parte superato modificando, uno per volta, gli articoli che vincolano e limitano le possibilità di modificare e manipolare la costituzione, oltre agli articoli che regolamentano gli organi di vigilanza sulle modifiche costituzionali, incastrandoli in un complesso sistema di scatole cinesi in cui vari organi, articoli e cariche istituzionali, si intrecciano e si incastrano tra loro, rendendo quasi impossibile una modifica della struttura repubblicana creata nel dopoguerra, e non è un caso che sia così.

Questo complicato sistema di incastri è stato costruito proprio sulla base della precedente esperienza costituzionale italiana in cui, sotto lo sguardo assente del Re, il primo ministro Benito Mussolini aveva svuotato dall’interno, manipolando, riformando ed aggiornando l’allora costituzione italiana nota come Statuto Albertino. Lo statuto Albertino era privo di qualsivoglia clausola di sicurezza e in pochissimi anni, tra il 1924 ed il 1929 Mussolini riuscì a modificarla in maniera così radicale da riuscire impadronire dello stato italiano senza che questo violasse la costituzione e nel 1945 l’assemblea costituente prese tutte le precauzioni necessarie affinché nella nuova Repubblica Italiana, non fosse possibile svuotare la costituzione, ed è importante ricordare che, l’assemblea costituente fu  presieduta da Enrico de Nicola, il quale, nel 1924 aveva assistito in prima persona alla distruzione dello stato italiano iniziata con la legge Acerbo, poiché lo stesso de Nicola era stato nel 1924 presidente della commissione parlamentare che aveva lavorato proprio alla legge Acerbo, ed è stato merito di de Nicola se la legge acerbo si era limitata ad assegnare un premio di maggioranza del 60% al primo partito italiano invece che dell’80 come inizialmente proposto.

Chiusa la parentesi storica, che non può mancare qui nell’osservatorio di Historicaleye, mi rendo conto che commentare tutti gli articoli della costituzione che direttamente o indirettamente alcune forze politiche vorrebbe vorrebbe modificati, richiederebbe uno sforzo troppo grande, ed è per questo che mi limiterò a fare un unico commento per commentarli tutti.

Questi articoli, dal primo all’ultimo, garantiscono i diritti degli italiani, limitano il potere politico dei singoli individui e dei singoli partiti e garantiscono che l’attività politica nel nostro paese sia vincolata a regole democratiche in cui le forze di maggioranza non possono ignorare o calpestare le minoranze, poiché entrambe le parti rappresentano gli italiani ed è loro dovere servire gli italiani, questi articoli vincolando le decisioni politiche al rispetto della legalità e della costituzione ed inseriscono la vita politica in un contesto quadrato, estremamente rigido, fatto di regole e norme che devono essere rispettate, fatto di procedure che devono essere seguite, così che i diritti ed i doveri di tutti i cittadini italiani, siano garantiti e rispettati, senza alcuna distinzione.

Modificare anche un solo articolo è qualcosa che dovrebbe essere evitato, o comunque fatto molto raramente e solo per aggiornare la costituzione, se questa dovesse rivelarsi troppo arretrata/obsoleta, la costituzione non è il regolamento di un gioco da tavolo che ogni giocatore può modificare prima di una partita perché gli va, la costituzione è il documento più importante dello stato, il pilastro fondamentale della repubblica, e da essa dipendono i diritti ed i doveri di tutti, non è un qualcosa che può essere modificata con leggerezza, non si può richiedere e proporre modifiche costituzionali ogni volta che se ne ha voglia e in italia, Giorgia Meloni, ma come lei anche Matteo Salvini e Luigi di Maio, parlano di modificare la costituzione con la stessa frequenza con cui parlano di modificare gli ingredienti sulla pizza al sabato sera.

Ripeto, non sto dicendo che la costituzione è intoccabile, la costituzione, lo ripeto, può essere modificata, ma con parsimonia e cautela e la stessa costituzione ci dice come procedere per modificarla affinché le modifiche effettuate vadano a migliorare la costituzione, ed è l’unico motivo per cui la si può modificare, per migliorarla non per asservirla ai propri intenti politici. Migliorare la costituzione significa potenziarla non limitarla e visto che il compito primario della costituzione è quello di definire i diritti ed i doveri dei cittadini, modificarla significa ampliare i diritti e i doveri dei cittadini, non limitarli. Ma non è questo l’intento della Meloni, poiché gli articoli che vuole modificare, e che in questo caso specifico sono gli articoli 97 – 117 – 119, sono articoli che regolamentano i doveri dello stato italiano, detto molto semplicemente, ciò che vuole fare la Meloni è ridurre i doveri internazionali dello stato italiano, senza però considerare che dal rispetto di quei doveri istituzionali e internazionali dipendono alcuni diritti fondamentali e quindi, limitare i doveri si traduce, inevitabilmente in una limitazione dei diritti e delle libertà per gli italiani, per tutti gli italiani, ma soprattutto quelli più poveri che magari non sono nati in italia o sono figli di almeno un genitore italiano.

Mi sono dilungato anche troppo, quindi concludo lasciandovi di seguito il testo degli articoli 97 – 117 e 119. Per tutti gli altri, potete leggere il testo integrale della costituzione sul portale istituzionale del Senato.

Articolo 97

Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge [95 c.3], in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari [28].Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge [51 c.1].

Articolo 117

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;b) immigrazione;c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie;f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;n) norme generali sull’istruzione;o) previdenza sociale;p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni.
La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive [3].
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

Articolo 119 


I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione [53 c.2] e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato.
Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio.
E’ esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.

La costituzione – https://www.senato.it/1024

Fonti

https://www.ilfoglio.it/politica/2018/10/22/news/via-l-ue-dalla-costituzione-ecco-l-italexit-targata-meloni-220337/
https://storia.camera.it/legislature/sistema-premio-maggioranza-1924

Western Australia vota per l’indipendenza dal Commonwealth Australiano, ma dopo 83 non è ancora avvenuta

L’8 aprile 1933 il Western Australia è chiamato alle urne per votare un referendum secessionista per uscire dal Commonwealth Australiano, sorprendentemente i secessionisti riescono ad ottenere la vittoria e pure, quella secessione democraticamente votata, non è mai avvenuta.

Lo scorso 19 Agosto Jack Peacock ha pubblicato un interessantissimo articolo, ed una splendida analisi della vicenda, ispirato dai recenti avvenimenti del Brexit, per sollevare una questione importante. Più volte nella storia i movimenti secessionisti ed indipendentisti sono riusciti ad ottenere una votazione per una possibile indipendenza e se in alcuni casi questi sono riusciti effettivamente ad ottenere la vittoria e successivamente conquistare la tanto agognata indipendenza, altre volte, dinanzi alle urne, la popolazione ha scelto per il mantenimento dello status quo.
Ma c’è un caso, un precedente storico estremamente curioso ed interessante, quello del Western Australia, che, come già detto, l’8 aprile 1933 votò per la propria indipendenza, riuscendo a conquistare la vittoria, tuttavia il progetto secessionista sarebbe arenato a causa di una errata valutazione da parte del movimento u quello che sarebbe stato l’atteggiamento Britannico nei confronti del suo impero.
Vi lascio alla lettura della traduzione dell’articolo di Jack Peacock, accompagnandolo in chiusura con una mia chiusura al suo intervento.

Il referendum di quest’anno sulla partecipazione del Regno Unito dell’Unione Europea e quello tenutosi nel 2014 sull’indipendenza della Scozia sono solo gli ultimi di una lunga serie di eventi simili. Mentre la Scozia si è unito il Quebec (1995) votò per lo status quo, mentre altri, come la Norvegia (1905) e Montenegro (2006) hanno votato in favore della separazione. Un tema che sembra comune a tutti i referendum è che alla fine gli elettori ottenere ciò che votano per. Una maggioranza per la separazione significa separazione. Eppure ci sono eccezioni a questa regola. L’8 aprile del 1933, il Western Australia ha votato a favore della secessione dal Commonwealth Australiano, tuttavia, ancora oggi, a distanza di oltre ottanta anni, continua a farne parte.

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Vine dunque da chiedersi, cosa ha permesso di ignorare la volontà democraticamente espressa dal popolo? E che cosa ha significato per l’Australia e il suo rapporto con l’impero britannico?

Lo spirito indipendente del Western Australia è apparso nel momento in cui ha ottenuto il diritto all’auto-governo. Questo è avvenuto nel 1890, un anno dopo il discorso di federalizzazione iniziata. Non volendo rinunciare alla sua sovranità di nuova acquisizione, l’Australia Occidentale non ha partecipato alla convenzione costituzionale del 1891 e solo sporadicamente e senza troppa convinzione ha preso parte a convenzioni successive.

Il movimento secessionista ha sempre sostenuto che il Western Australia è stato educato al federatismo e in un certo senso questo è vero. E ‘stata una corsa all’oro a determinare da che parte sarebbe andato l’ago della bilancia. I coloni accorrevano da est, portando con se le proprie opinioni pro-federali, e quando hanno sentito che il governo australiano occidentale era contro la federazione, hanno dato il via ai vari movimenti separatisti. Così il Western Australia rappresentava una scelta per l’intera Australia: Rifiutare la federazione potenzialmente vedere le proprie terre, ricche di oro, staccarsi, alternativamente accogliere la federazione, significava mantenere la sua integrità territoriale. Hanno quindi optato per la federazione. Ma non ci volle molto tempo prima che gli australiani occidentali cominciassero a rimpiangere quella decisione.

Prima della fine del 1902, il parlamento australiano ascoltò i primi inviti ad una nuova proposta secessionista. Nel 1919, il Sunday Times (uno dei giornali più importanti del Western Australia) avevano assunto un atteggiamento apertamente secessionisti e si svolsero manifestazioni pubbliche. Il movimento ispirò politici, poeti e musicisti e ricevette anche il sostegno da parte dei governi della Tasmania e Sud Australia, che, proprio come il Western Australia, minacciavano referendum secessionistici. Quando l’elettorato del Western Australia andò alle urne, il 68 per cento dei votanti votò a favore della secessione.
Eppure la tanto attesa e votata secessione non è mai avvenuta. Nel giro di pochi anni la fede secessionista ha mandato in frantumi l’impero britannico e con esso il movimento secessionista australiano si sbriciolò.

Allo stesso tempo, come il referendum, il Western Australia ha tenuto elezioni statali. Nonostante l’enorme sostegno da parte del movimento, l’elettorato ha votato contemporaneamente contro il governo liberale pro-indipendenza per eleggere il partito laburista pro-unione, che prontamente cercò di mettere in stallo il processo di secessione. Ma il nuovo governo non riuscì a frenare completamente la scissione e dopo un anno di dithering, infine, portato avanti un piano per raggiungere l’indipendenza.
Il metodo che hanno scelto per raggiungere questo obiettivo è stata la realizzazione di una petizione di 500 pagine pieno di mappe, argomenti e la volontà democraticamente espressa dal popolo. L’idea era quella di consegnare questa petizione al Parlamento britannico che, si suppone, dovrebbe approvare una legge che concedeva loro l’indipendenza. Una delegazione guidata da Keith Watson, presidente della Lega secessionista Dminion, lasciò Perth per Londra con molto clamore e tutti si aspettavano che le cose sarebbero andate avanti senza intoppi.
La petizione è stata presentata ad entrambe le Camere del Parlamento nel dicembre 1934 ed è stato formato un comitato congiunto per esaminarla. Ma il compito del comitato non era quello di giudicare i meriti del caso per la secessione; il suo compito è stato quello di determinare se il Parlamento britannico avesse o meno il diritto di ricevere la petizione. Questo è stato un terribile errore di valutazione da parte dei secessionisti nel giudicare l’atteggiamento della Gran Bretagna rispetto al suo impero.

La Conferenza Imperiale 1926 aveva portato alla Dichiarazione Balfour (che ha portato a 1931 Statuto di Westminster). La dichiarazione effettuata un passaggio importante; ha dichiarato la Gran Bretagna e le sue Domini:
comunità autonome all’interno dell’impero britannico, pari a stato, in alcun modo subordinata l’un l’altro in ogni aspetto della loro affari interni o esterni, anche se uniti da un comune fedeltà alla Corona, e liberamente associati in qualità di membri del Commonwealth britannico.
La Gran Bretagna aveva effettivamente rinunciato a qualsiasi controllo sui domini. Ciò significava che la Gran Bretagna non sarebbe più stata nella condizione di interferire. Il Comitato misto ha quindi respinto il ricorso del Western Australia perché semplicemente il parlamento britannico non aveva alcuna autorità per riceverlo. Il Western Australia avrebbe dovuto negoziare con il parlamento Australiano a Canberra, che tuttavia non era incline ad ascoltare.

“La storia ricorderà questo come la più grande e più spregevole abdicazione di tutti i tempi”

-Keith Watson

è stata la risposta di Keith Watson alla relazione della commissione mista. Anche l’anti-secessionista, il Premier di stato Filippo Collier sostenne che non era la fine della questione e ha predetto che se non fosse avvenuta un importante riforma costituzionale, il Commonwealth australiano non sarebbe durata altri dieci anni.
La lega Dminion non ha accettato immediatamente la relazione della commissione mista, continuando a fare pressioni e spingere per un dibattito Parlamentare. Tra gli altri fu interrogato anche il primo ministro Ramsay MacDonald, che non si pronunciò in risposta. Le autorità britanniche erano in fase di stallo e non successe nulla. Questa situazione scoraggiò Watson e la sua delegazione, che, una volta tornato in Australia promise di continuare la lotta, ma lo stato d’animo in Australia occidentale era cambiato.

Era iniziata una forte ripresa economica e l’opinione popolare aveva accusato l’incompetenza della delegazione Watson per la mancata indipendenza. Così, proprio come la vita in Australia occidentale ha cominciato a guardare ad un futuro più luminoso, la reputazione dei secessionisti era stata intaccata.

Nel 1935 La Lega Dominion propose un disegno di legge al parlamento australiano occidentale chiedendo una separazione unilaterale, ma l’interesse stava svanendo. Lo stesso anno, il Sunday Times annunciò un cambio di proprietà, con un nuovo editore ed una nuova ideologia di fondo. Senza il sostegno di questo giornale, il movimento di secessione si ridusse a nulla.
Se la Lega Dominionn avesse presentato una dichiarazione unilaterale di indipendenza già nel 1933, probabilmente il risultato sarebbe stato diverso, ma la storia non è fatta da se e da ma, non esistono alternative ed il passato non può essere modificato.

La leggerezza e la superficialità con cui il movimento secessionista portò avanti la sua battaglia, una battaglia che secondo il referendum era già stata vinta in partenza, portò il progetto indipendentista ad arenare, sbriciolando la fiducia nel movimento e il movimento stesso. Questi eventi rappresentano un importante lezione, ed un più che evidente precedente storico a situazioni analoghe, non basta vincere un referendum per ottenere quanto richiesto, ma continuare a lavorare seriamente e con impegno a quel progetto affinché questi dia i suoi frutti. In questo caso il movimento secessionista non ha svolto un buon lavoro, scontentando il proprio elettorato, non a caso, all’indomani della vittoria al referendum, lo stesso movimento non conquistò la presidenza.
Oggi, ad oltre un secolo dalle prime istanza indipendentiste, il Western Australia è ancora parte importante ed integrante del Commonwealth Australiano, i cui fermenti indipenentisti sono solo un lontano ricordo.

Articolo originale di Jack Peacock, pubblicato il 19 agosto 2016 sulla rivista History Tooday, Cliccare qui per leggere l’articolo originale in lingua inglese.