Che cos’è la preistoria ?

Con il termine preistoria si intende un periodo di circa due milioni di anni che va dalla comparsa della specie umana sulla Terra fino al momento in cui l’uomo inventa la scrittura e inizia a lasciare testimonianze scritte, questo avviene circa cinquemilacinquecento anni fa, in Mesopotamia. Tra i primi ad utilizzare la scrittura come strumento per raccogliere dati furono i sumeri, ma di loro parleremo in un altro post e in un video dedicato.

Quando l’uomo apparve sulla terra il suo aspetto era tutt’altro che “umano” si trattava di una versione molto primitiva della specie umana, più simile alle scimmie (tipo Adriano Celentano) e successivamente, rutto di molteplici incroci e di una lunga e lenta evoluzione, il suo aspetto sarebbe diventato più simile a quello odierno, ma, se bene avessero tratti fisici animaleschi, i primi ominidi erano in grado di reggersi in piedi sui soli arti inferiori lasciando quindi gli arti superiori (le braccia) libere di afferrare e reggere utensili in legno e pietra, secondo alcuni antropologi del secolo scorso, questa capacità sarebbe alle origini dello sviluppo cognitivo della specie umana, detto più semplicemente, l’uomo, imparando a camminare su due gambe, iniziò a sviluppare maggiormente l’intelligenza per trovare nuovi usi agli ormai inutili arti superiori.

Nei due millenni che precedono l’invenzione della scrittura l’uomo modifica progressivamente il proprio aspetto e sviluppa sempre di più le proprie capacità tecniche imparando a controllare e modificare sempre di più l’ambiente in cui viveva, passa così dall’adattarsi al luogo in cui viveva, raccogliendo carni, bacche, frutti ecc per nutrirsi a cacciare e coltivare, passa inoltre dal vivere in caverne al costruire abitazioni sempre più sofisticate, inizialmente utilizzando ciò che la natura forniva, quindi rami, tronchi e pelli di animale, per poi passare a “materiali edili” sempre più sofisticati, come pietra e fango utilizzato come collante o mattoni di argilla essiccati al sole o cotti, cui avrebbero fatto seguito recinzioni e mura per proteggere abitazioni e villaggi.

Il progressivo miglioramento dello stile di vita, e la riduzione della mortalità causata da belve feroci produce un primo significativo aumento della popolazione umana sulla terra che inizia quindi a costruire villaggi e città sempre più grandi in cui risiedevano centinaia di nuclei familiari e di conseguenza, con l’accrescere della popolazione, la struttura organizzativa delle città inizia a cambiare e si inizia a sentire la necessità di uno strumento di comunicazione “testuale/visivo” più complesso del semplice graffito che i loro antenati lasciavano nelle caverne per testimoniare la vicinanza di branchi di animali o corsi d’acqua. Questo bisogno pratico di organizzare e amministrare la vita nelle città sarebbe sfociata nell’invenzione delle prime forme di scritture.

Codice di Hamurabi

Non è quindi un caso se i primi testi scritti di cui abbiamo traccia riguardano codici per la regolamentazione della vita urbana, e progressivamente assistiamo alla nascita e alla crescita di immensi archivi in cui venivano conservate centinaia di migliaia di tavolette d’argilla incise e lasciate a seccare al sole, e successivamente tavolette d’argilla incise e cotte e seguendo l’evoluzione dei supporti per la scrittura, ad un certo punto si arriva all’invenzione della pergamena che avrebbe permesso di concentrare in pochissimo spazio centinaia di migliaia di rotoli scritti, permettendo così l’evoluzione della scrittura che, mentre diventava più complessa, si prestava anche ad altri utilizzi, meno utili per l’organizzazione delle città, ma fondamentali per lo sviluppo di arte e letteratura.

Mentre la scrittura evolve da una parte, anche la tecnologia migliora, e progressivamente si sarebbe passati dall’utilizzo della pietra come materiale principale per la produzione di utensili, all’utilizzo dei primi metalli. L’uomo avrebbe infatti scoperto che alcune rocce, se riscaldate, si trasformavano in liquidi roventi e una volta raffreddati quei liquidi diventavano estremamente duri e resistenti, e se affilati, molto più efficaci della pietra. L’uomo entra così nell’età dei metalli, un epoca iniziata circa ottomila anni fa con la scoperta del rame, uno dei metalli più morbidi e facili da manipolare, successivamente avrebbe scoperto, intorno al terzo millennio a.c., che unendo il rame ad altri metalli, questi avrebbero prodotto delle leghe metalliche molto più resistenti dei singoli metalli di partenza, inizia così l’età delle leghe una delle tre fasi dell’età dei metalli.

La prima lega scoperta dall’uomo fu il bronzo, prodotto dall’unione del rame che aveva caratterizzato l’epoca precedente e lo stagno, un metallo estremamente morbido e malleabile, poco adatto alla produzione di utensili, ma la sua unione con il rame produceva un nuovo materiale diverse volte più resistente del rame. L’ultima fase dell’età dei metalli è detta età del ferro, questa è un epoca estremamente recente, iniziata appena tremila duecento anni fa, intorno al primo millennio avanti cristo. I primi a manipolare il ferro sarebbero stati gli Hittiti, un misterioso popolo di cui su hanno pochissime informazioni, e che scomparve soppiantato dagli Assiri, un popolo di cui abbiamo molte più informazioni.

Storia Greca: il Destino delle Operaie nei Palazzi Micenei

Il mondo descritto da Omero è pura fantasia. Questa era l’opinione della maggior parte degli storici fino al 1870 circa. Lo steso George Grote faceva iniziare la storia greca nel 776 a. C., con l’istituzione dei primi giochi olimpici. A suo parere, tutti i racconti tramandateci dalla tradizione antica andavano intese come miti e leggende. Da tempo sappiamo che le cose stanno diversamente.

La riscoperta delle culture minoica e micenea ha arricchito non poco le nostre conoscenze, anche retrospettivamente, ossia sulla Protostoria del mondo greco (1900 a.C. – 900 a. C. circa). Dopo le scoperte di Heinrich Schliemann (1822-1890) non si può più negare che le raffinate civiltà dell’Egeo del II millennio a.C. abbiano una forte eco nelle pagine dell’Iliade e dell’Odissea. Quando Schliemann salì per la prima volta sull’Acropoli di Micene pensò di aver scoperto la reggia di Agamennone. La sua convinzione aumentò quando scoprì una serie di tombe in cui erano stati inumati uomini con il volto coperto da maschere di lamina d’oro.

Benché Schliemann si fosse sbagliato, dal momento che le tombe risalivano a un periodo anteriore alla data presunta della guerra di Troia, la rocca di Micene è senza dubbio il monumento miceneo più importante. La tradizione vuole che qui abbiano dominato gli Atridi, i discendenti di Atreo, e che proprio da qui sia partito un esercito per conquistare Troia.

L’ingresso della tomba a tholos nota come Tesoro di Atreo, ritrovata a Micene, (CC BY-SA 3.0).
L’accesso principale all’Acropoli di Micene e la porta dei Leoni, XIV secolo a.C., (CC BY-SA 2.5).

Oltre al recupero di Omero come testimonianza storica e tutti gli effetti, un altro elemento chiave nel cambiamento di questo paradigma storiografico è dato dallo studio dei diversi tipi di scrittura. La scrittura propriamente detta è stata preceduta nel III millennio dall’uso di sigilli e di segni di vario tipo sia sui vasi che sui blocchi di pietra: si parla, rispettivamente, di marchi di vasaio e di marchi di muratore. Il significato di questi marchi resta oscuro. Solo nel II millennio, a Creta, comincia a diffondersi l’uso di una sequenza di segni la cui combinazione assume un significato. Gli uomini cominciano a scambiarsi messaggi. Nel mondo Egeo sono state isolate cinque scritture, imparentate tra loro ma indipendenti da quelle orientali (lo schema dipende da Pierre Carlier, 2014):

(1) il minoico gerogrifico, battezzato così da Arthur Evans per il carattere astratto dei segni, che è distinto dal gerogrifico egizio; (2) la Lineare A cretese; (3) la Lineare B che è imparentata con il greco arcaico (e lo sappiamo grazie agli studi di Michael Ventris) e su cui riposa gran parte della nostra conoscenza della cultura micenea; (4) il cipro-minoico, diffuso a Cipro tra il 1500 e il 1200 a.C., derivato dalla Lineare A; (5) il sillabario cipriota classico (VIII-III secolo) usato sia per il greco sia per un’altra lingua eterocipriota (presso Amatunte).

Disco di Festo (CC BY-SA 3.0).

Rispetto a queste, va ricordato il famoso disco di Festo che resta un hapax in quanto i suoi caratteri non rientrano nello schema (1)-(5): “nulla prova che sia stato fabbricato nell’Egeo, né che esso dati all’Età del Bronzo; le sue coordinate storiografiche non sono state registrate: una sera del 1908 esso fu consegnato all’archeologo italiano responsabile dello scavo di Festo, in mezzo a un gran numero di reperti minoici … ed ellenistici. Tutte le proposte di decifrazione poggiano in sommo grado sulla fantasia”, (Pierre Carlier, Omero e la storia, Carocci, 2014, p. 43).

Nella storiografia greca, la conoscenza delle scritture egee ha avuto certamente gli effetti macroscopici cui abbiamo accennato all’inizio; sarebbe tuttavia un errore accontentarsi di uno sguardo sinottico sul passato e dimenticare i dettagli. Uno di questi è particolarmente interessante e riguarda la vita delle donne nei palazzi. Uno degli obiettivi principali dei micenologi è la ricostruzione degli archivi così com’erano al momento in cui furono incendiati (il fuoco, infatti, consente di cuocere le tavolette e dunque di conservarle). Gli studiosi cercano di ricostruire i lotti di documenti facenti capo, di solito, al medesimo scriba in modo da inventariarli e comprendere la tipologia delle informazioni conservate.

Le analisi sulle tavolette in Lineare B di Pilo ci forniscono uno spaccato di vita quotidiana: la serie Aa censisce circa 800 donne con i loro figli, le cui assegnazioni professionali suggeriscono una capillare divisione del lavoro soprattutto nel campo della tessitura. Nella serie Ab leggiamo che a queste donne veniva assegnato un compenso per il lavoro svolto, una razione mensile di fichi e di grano, il che mostra la loro dipendenza dall’economia di palazzo.

Iscrizione in Lineare B su una tavoletta da Pylos, (CC BY 2.0).

Sappiamo che queste operaie lavoravano in un contesto economico che possiamo delineare, almeno per sommi capi. L’organizzazione sociale dei Micenei era fortemente centralizzata: faceva capo ad un re, il wanax,  seguito dal lawaghetas che comandava l’esercito. C’erano poi l’aristocrazia e i sacerdoti. Al re, come al capo dell’esercito, spettava un lotto di terra, chiamato temenos, il cui controllo ed organizzazione faceva capo al palazzo che, grazie ad una burocrazia capillare, controllava gli allevamenti, soprattutto ovini, la produzione di lana, olio e profumi, la metallurgia e l’agricoltura.

Ma c’è di più: secondo le tavolette di Pilo, uomini e giovani venivano censiti sulla base della relazione di parentela con le operaie, ossia come figli-di e figlie-di, il che suggerisce che la qualifica professionale delle madri fosse essenziale per il futuro dei figli all’interno della classe sociale di appartenenza. Infine, dato che molte di queste donne erano designate con nomi etnici: Milesie, Lemnie, Cnidie, si trattava probabilmente di schiave o prigioniere catturate lungo le coste dell’Anatolia e poi utilizzate come manodopera. Questo è lo stato attuale delle nostre conoscenze. Ad oggi, sul destino delle operaie palazziali possiamo fare solo congetture.

Exit mobile version