Storia Antica: Petra, la meraviglia scavata nella roccia

Petra, la città scavata nella roccia, un luogo magico e sublime nel bel mezzo del deserto della Giordania, una delle sette meraviglie del mondo e Patrimonio UNESCO dal 6 dicembre 1985.

Citata nei manoscritti di Qumram, con il nome semitico di Reqem o Raqmu (La Variopinta), la città risulta essere stata fondata dagli edomiti, che si insediarono nella regione tra l’VIII e il VII secolo a. C., all’inizio fu confusa con Sela, capitale edomita, che solo più tardi si scoprì essere collocata più a nord rispetto ad essa. Nella Bibbia si racconta che ostacolarono il passaggio di Mosè e degli Istraeliti durante l’Esodo, giacché gli edomiti sono considerati dalla tradizione i discendenti di Esaù, il fratello gemello e nemico di Giacobbe, padre degli Israeliti.

In seguito divenne capitale del Regno dei Nabatei, stanziatisi nella regione intorno al VI secolo a. C., trasformandolo in un florido centro commerciale in contatto con le popolazioni vicine. In seguito alle varie conquiste da parte di popoli invasori, tra cui Assiri, Persiani e Macedoni, la città , col tempo , perse la sua importanza commerciale, specialmente quando la nuova capitale del Regno Nabateo divenne Palmira, che diede molto filo da torcere alle legioni romane sotto il regno della regina Zenobia.

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, Petra rimase nell’orbita dell’Impero Romano d’Oriente e poi fu travolta dalla Conquista Islamica tra il V e il VI secolo. A seguito di varie catastrofi naturali la città cominciò ad essere abbandonata a partire dal VII secolo, fino a ridursi a semplici cunicoli che i beduini usavano come nascondigli.

La città rimase nell’oblio fino al 1812, quando l’avventuriero svizzero Johann Ludwig Burckhardt la rivelò al mondo.

Il sito archeologico sorge a circa 250 km dalla capitale della Giordania, Amman, in un bacino a est delle montagne del Wadi Araba, la valle che si estende dal Mar Morto al Golfo di Aqaba nel Mar Rosso.

La regione è semidesertica ma con una media di piogge tra 150 e i 250 mm/anno le cui acque venivano raccolte dal popolo dei Nabatei in cisterne a cielo aperto scavate nella roccia per permettere l’irrigazione dei loro campi. Questà particolarità ha permesso lo sviluppo di un centro abitato in una regione abbastanza arida.

Petra conta circa 800 monumenti, tra cui 500 sono tombe. Il più importante e famoso è il Khasneh al Faroun o il Tesoro del Faraone, nome di fantasia dato dai beduini, struttura con la facciata scavata interamente nella roccia, posta in un ampio spiazzo raggiungibile tramite il Siq un lungo corridoio scavato nella roccia che funge anche da ingresso al sito, raggiungibile solo a piedi o a cavallo.

Altri monumenti di rilevante importanza sono La Tomba dell’Obelisco, un monumento funerario rappresentante una figura antropomorfa; il Teatro capace di ospitare circa 8mila persone; La Sacra Sala, di fronte al tesoro, che praticamente aveva funzioni rituali.

Inoltre nei pressi dell’area si trova la famosa Porta di Traiano che segnava il passaggio dalla’area commerciale all’area rituale della città.

History Fact : Petra è stata la location di uno del film di Indiana Jones: L’ultima Crociata.

Medioevo: Poggio Bracciolini e i manoscritti perduti

 

Il Medioevo non è stata di certo l’epoca che ha definitivamente creato quel distacco temporale tra epoca classica e moderna.

Come tutti sappiamo in quest’epoca sono stati raccolte e copiate le più grandi opere classiche degli autori latini, merito degli scriptorium, i luoghi dei monasteri in cui i monaci amanuensi si dedicavano alla copiatura a mano dei testi classici, per evitare che andassero perdute.

Beh, in realtà dire che le opere classiche andassero proprio perdute non è esatto da una parte.

Nel Medioevo solamente la classe ecclesiastica conosceva il latino, e di conseguenza le opere copiate venivano conservate senza essere diffuse, e diventavano accessibili a pochi.

La maggior parte delle opere classiche era conservata, puta caso, nei monasteri tedeschi, e li sarebbero rimaste se non fosse arrivato Poggio Bracciolini, umanista e storico italiano, nato a Guccio e vissuto tra il 1380 e il 1459, svolgendo l’attività di copista e segretario a Roma prima dell’Antipapa Giovanni XXIII, e in seguito al Concilio di Costanza (1414 – 1418), a cui prese parte, dopo un periodo di esilio in Inghilterra, ospitato dal vescovo di Winchester, Enrico Beaufort, fu reintegrato nella Curia da papa Martino V.
Lavorò anche per i suoi due successori Eugenio IV e Nicolò V fino al 1453, quando si trasferì a Firenze per lavorare come segretario della famiglia De Medici, i Signori di Firenze.

Proprio durante il periodo del Concilio di Costanza, a seguito dei suoi viaggi in Germania e Francia, ebbe modo di girare per vari scriptoria, soprattutto dei monasteri vicino Costanza (San Gallo, Reichenau, Cluny), riscoprendo le opere classiche di quegli autori considerati sconosciuti, tra cui Quintiliano, Vitruvio, Lucrezio e Marcellino e alcuni frammenti delle varie opere di Cicerone, che fino ad ora nessuno aveva ricopiato e diffuso, come riporta nella sua opera “La liberazione dei classici dagli ergastoli dei Germani”

Grazie alla diffusione di queste opere classiche Poggio è stato uno di quelli che ha rivoluzionato la cultura dell’epoca. In particolare l’opera di Vitruvio, “De Architettura” fu preso come riferimento per l’architettura rinascimentale, mentre con la riscoperta di Cicerone fu riscoperta la retorica, di cui Poggio cercò di imitarne lo stile.

Da buon copista e letterato rivoluzionò il campo della scrittura, reintroducendo la “minuscola carolina”, ormai in disuso, sostituita dalla pesante e complicata scrittura “gotica” e l’introduzione della maiuscola nello stile carolino, prendendo spunto dalle epigrafi romane.

Ancora una volta grazie all’umanesimo la cultura diventa universale.

Fonti:

Giovanni Fiesoli, Nella biblioteca di Poggio Bracciolini: un percorso storico e documentario tra codici ed epistole, in Memorie Valdarnesi s. IX, a. 179° (2013), pp. 81-15
Stephen Greenblatt, Il manoscritto, Milano, Rizzoli, 2012.
R.V. Manekin, Analisi del contenuto come metodo di ricerca sulla storia del pensiero (Poggio Bracciolini). Ricerche sulla scienza delle fonti storiche, Gazzetta dell’Università di Mosca. Serie 8. Storia. 1991. N 6, pag. 72-82.

Flavio Biondo e il Medioevo: alle origini del termine

Il Medioevo. Quante volte sentendo questo termine avete pensato a qualcosa di negativo.
Pensate ad un epoca buia, dominata dalla superstizione, dal potere instabile creatosi con la caduta dell’Impero Romano, orde di barbari che saccheggiavano città e dove la religione era l’unico rifugia per dare un senso a quella vita breve e precaria. Ma soffermiamoci un attimo sul termine Medioevo.

Innanzitutto chi lo ha coniato? In quale circostanza? Erano ragioni valide le sue?

Il termine nasce verso la seconda metà del secolo XV e quindi in ambito umanistico – rinascimentale. Il nome che vi faccio è poco conosciuto. Si tratta di Flavio Biondo storico e umanista italiano del Rinascimento vissuto tra il 1392 e il 1463. 

Biondo è famoso per essere stato il primo ad occuparsi di archeologia. Si è dedicato allo studio delle antiche rovine della città di Roma, dove ha vissuto lavorando come segretario del Vaticano, essendo nato a Forlì. E lo ha fatto sia esaminando l’architettura dei resti degli edifici sia consultando le opere classiche, all’epoca le uniche fonti su cui poter fare affidamento. In base ai suoi studi ha pubblicato un opera enciclopedica in tre volumi tra il 1444 e il 1446, De Roma Instaurata (Roma restaurata) una ricostruzione della topografia romana antica.

Il termine Medio Evo lo troviamo per la prima volta nella sua opera più importante Historiarum, una sorta di storia dell’Europa dal 412 (due anni dopo il Sacco di Roma)fino all’epoca dell’autore.
Biondo usa il termine Medioevo per indicare un arco di tempo (e dico uno e non quello essendo stato usato per la prima volta) che va dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente sino al suo tempo, anche se non specifica bene l’anno di inizio. Ma è probabilmente che la concezione che il Medioevo abbia inizio nel 476 si rifà all’opera di Biondo.

Ora Biondo si rende conto che dopo la caduta dell’Impero Romano, la memoria storica dell’epoca classica era andata perduta. Basti pensare che la zona intorno al Foro Romano si era ridotta ad una rozza campagna piena di catapecchie e maiali. E chiaro che tutto ciò agli occhi di un classicista è segno di barbarie e arretratezza. E quindi che Flavio Biondo avesse una concezione negativa del Medioevo non vi sono dubbi, ed è per questo che si è dedicato allo studio dell’Antica Roma per salvaguardare il patrimonio di quella che fu “La Regina dell’Antichità”.

Biondo ha coniato questo termine dispregiativo per una giusta causa: salvaguardando il patrimonio classico di Roma, egli cercava soprattutto di sensibilizzare i romani a rivivere la loro gloriosa origine, prendendo come esempio politico e militare la Roma pagana (come scrive nella sua opera De Roma Triumphante – I trionfi di Roma) di cui la Roma papale ne era erede dei valori (una concezione un po’ controversa in ambito umanistico – rinascimentale che poneva l’uomo al centro di tutto).
Se quindi, almeno per gli umanisti, il Medioevo è vero che è stata un’epoca buia, dall’altra ha tirato fuori il suo lato positivo più importante, la riscoperta delle opere classiche. Ci sarebbe stato Rinascimento senza Medioevo?

 

Fonti:

Riccardo Fubini, “Flavio Biondo” in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 10, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1968
Augusto Campana, Ritratto Romagnolo di Biondo Flavio (1963), a cura di M. Lodone, Cesena, Stilgraf, 2016

 

 

 

 

 

Exit mobile version