Il verbo si è fatto l’uomo. Racconto satirico a tema pasquale.

il seguente racconto è satirico, ironico e contiene black humor, si tratta di un contenuto forte, amaro e indigesto. Se ne sconsiglia la lettura a chi potrebbe essere turbato da un racconto blasfemo in cui Gesù fuma erba, beve Birra ed ha un rapporto particolare con la propria sessualità.

AVVERTENZE

Attenzione, il seguente racconto è satirico, ironico e contiene quella che credo sia black humor, ma non ne sono tanto sicuro. Si tratta di un contenuto che per alcuni potrebbe essere forte, amaro e indigesto, o una cazzata.
Se ne sconsiglia la lettura a chi potrebbe essere turbato da un racconto “blasfemo” in cui Gesù fuma erba, beve birra e scopa randomicamente con apostoli e legionari romani.
Alla fine di questo racconto, la frase “il verbo si è fatto uomo” assumerò tutto un altro significato.

Ultimo avvertimento. Da qui non si torna più in dietro.

Sei sicuro di voler leggere questo racconto? No sul serio? Sei proprio sicuro?

Guarda che se ti incazzi non è colpa mia, io ti ho avvertito.

Il verbo si è fatto l’uomo. Racconto satirico a tema pasquale.

La sera del giovedì santo Gesù e i suoi amici fecero una grande braciata a base cari bianche ed erbe amare, modo biblico per dire salsiccia e friarielli, Gesù aveva origini partenopee non dichiarate, il padre naturale, Arcangelo era originario di Napoli, ma questa è un altra storia.
Dopo la braciata, Gesù ed i suoi amici andarono a cazzeggiare e fumare in un giardino, convinti che questi appartenesse alla famiglia di Giuda, i quali però, lo avevano venduto per 30 denari. I nuovi proprietari, vedendo in giardino questo gruppo di balordi, guidati da un capellone seminudo, che fumavano e urlavano, chiamarono le guardie che intervennero repentinamente e portarono via Gesù, organizzatore del festino, accusato di schiamazzi notturni, non venne invece incriminato per la droga perché questa era stata prontamente nascosta da Pietro tra le proprie natiche.

Mentre Gesù seguiva le guardie in prefettura, i suoi amici corsero a nascondersi e si ritrovarono in uno stanzino, a casa di un loro amico, lì, manco a dirlo, ricominciarono a fumare.

Gesù trascorse la notte in cella, poi, rilasciato, si recò al punto di randevu, ma, mentre tornava, perché stanco e assetato, si fermò all’osteria da Pilato, lì incontrò un gruppo di legionari, a suo dire molto simpatici, e si ubriacarono insieme per poi andare ad appartarsi nella boscaglia.

Ormai ubriaco come una spugna, durante il tragitto Gesù cadde ripetutamente, ma i legionari lo aiutarono a rialzarsi, poi, raggiunta una grotta dove Gesù era solito appartarsi, iniziarono a fare alcuni giochetti tipici romani, i legionari infilzarono ripetutamente Gesù con i loro lunghi bastoni, in fine, esausto dalla lunga sessione di dick slap con i tre legionari, cadde in un sonno profondo dal quale si risvegliò con un enorme cerchio alla testa.

La domenica mattina, Gesù indossò degli abiti puliti che teneva nascosti nella propria grotta segreta e lasciò i legionari, ancora addormentati, per dirigersi al punto di randevu, dove i suoi amici attendevano il suo ritorno.

Quando arrivò, busso alla porta, ma gli amici, pensando fosse una guardia, perché nella confusione Gesù aveva indossato gli stivali di uno dei legionari, non gli aprirono, ma Gesù sapeva che loro erano all’interno, lo sapeva e lo percepiva dalla puzza di fumo che trasudava dalle pareti, così bussò più forte, ma loro rimasero ancora in silenzio, allora Gesù, in un ultimo gesto risoluto, bussò per la terza volta e mentre bussava disse a gran voce “a zi, so io, e dai aprite, ho portato le birre“.

Alcuni di loro riconobbero la voce, altri capirono solo “birre” e furono entusiasti, altri ancora, confusi dal fumo, capirono “so Dio, ho portato le birre” , una frase che, se fossero stati lucidi non avrebbe avuto alcun senso, lo sanno anche i bambini che a dio piace il vino, ma loro non erano lucidi e spalancarono la porta.

Ad uscire, per andare in contro al Dio con le birre fu Tommaso, detto il credulone, e il suo primo pensiero vedendo Gesù, fu “ma che cazz” poi vide anche le due anfore con le birre, e la sua delusione si tramutò nuovamente in gioia, gridò quindi al miracolo, poi disse “Cazzo zi, c’hai proprio le mani bucate eh“, Tommaso, era di origine romana, i nonni erano di Acilia, ma questa è un altra storia. Quindi i due italo palestinesi, presero insieme le anfore di birra ed entrarono, e fu subito festa.

Nuovamente ricongiunto il gruppo, Gesù e i suoi amici ricominciarono a bere e fumare e fare gran festa, chi ballava sul cubo, chi giocava con il proprio bastone, chi con quelli degli altri e in quella confusione Gesù insegnò loro alcuni dei giochetti con la lingua che gli erano stati mostrati dai legionari romani.

Quando erba e birra finirono, il gruppo si disperse, ognuno andò per la propria direzione, tornando alle proprie dimore, Gesù, lavoratore precario con una laurea umanistica, che in quel tempo viveva con i genitori, tornò alla casa del padre, che come ogni padre amorevole e severo, vedendolo frastornato e camminare in modo strano, con gli occhi rossi e gonfi come mongolfiere, gli chiese come avesse trascorso la pasqua. Gesù, per non dire a Giuseppe di aver bevuto, fumato e scopato con ogni forma di vita incontrata lungo la strada, perché temeva che questi lo avrebbe picchiato con una grossa trave, fece quello che ogni figlio trentenne e responsabile, che vive con i genitori avrebbe fatto al suo posto. Mentì spudoratamente.

Infamò Giuda, che tanto, a Giuseppe era sempre stato sul cazzo, e disse di essere stato infilzato dai romani, di essere morto e di essere risorto dopo tre giorni.

E Giuseppe, come ogni buon padre amorevole, capì che era una stronzata ed afferrò la grossa trave, poi si ricordò di avere quasi settant’anni e che il figlio passava le giornate in palestra e dunque finse di credergli, come già in passato aveva finto di credere alla storia di Arcanelo, l’amante di Maria che all’epoca aveva 16 anni mentre lui aveva già superato i quaranta, spacciato per emissario di Dio.

Le pizze di Saddam Hussein

Racconto ucronico/ironico di Antonio Coppola

Antefatto

Correva l’anno 1991 e il mondo intero guardava con il fiato sospeso le lancette dell’orologio, perché sapeva che allo scoccare della mezzanotte del 16 gennaio, qualcosa, nel mondo, sarebbe cambiato forse per sempre.

Erano già trascorsi diversi mesi da quel fatidico 2 agosto 1990, quando l’Iraq di Saddam Hussein aveva invaso il Qwait proclamandolo diciannovesima regione iraquena, in barba al diritto internazionale, ed erano trascorsi quasi due mesi da quando, sul finire di novembre del 1990, le nazioni unite avevano imposto al rais iraqueno un ultimatum per il proprio ritiro da Qwait, ma nulla era successo, a nulla valsero sanzioni, embarghi ed il congelamento dei conti esteri del governo, e Saddam, sembrava intenzionato più che non mai, ad intraprendere la via della guerra contro il mondo intero.

Quella sera, al cavallo tra il 15 ed il 16 gennaio, la coalizione internazionale fissava impaziente le lancette, ed i generali alleati, rintanati al pentagono, attendevano con ansia l’arrivo delle oltre 100 pizze da asporto, ordinate da Domino’s pizza e altre pizzerie di Washington, e giuro che questa cosa, non me la sono inventata. Nelle ore che precedettero l’inizio delle operazioni della missione Desert Storm, al pentagono furono consegnate più di 100 pizze, consegnate da oltre 20 fattorini, la maggior parte dei quali provenienti da Domino’s Pizza.

Così, mentre il mondo aspettava con il fiato sospeso lo scadere dell’ultimatum e un po’ ovunque sul globo ci si chiedeva se quella stessa notte sarebbero iniziate le operazioni militari o se a Saddam Hussein sarebbe stato concessa qualche ora in più, al pentagono, nelle sale dell’alto comando alleato, i generali e ufficiali incaricati di coordinare le operazioni, semplicemente aspettavano le loro pizze.

Ucronia

Nell’attesa che le lancette dell’orologio sintonizzate sull’orario iraqueno, scoccassero la mezzanotte, orario in cui sarebbe iniziate le operazioni, alcuni ufficiali avevano allestito, su un tavolo secondario, una planimetria della città di Washington, identificato la posizione delle varie pizzerie sulla carta, ed attivato un centro operativo secondario, volto a coordinare l’esercito di fattorini che di lì a poco, si sarebbe levato in direzione pentagono, per consegnare la preziosa merce alimentare. Venne persino attivata una linea diretta con le pizzerie, così da sapere esattamente a che ora sarebbe partito ogni fattorino e quali pizze trasportava, e sembra anche che, in via del tutto eccezionale, quella sera, Domino’s Pizza decise di omaggiare il ghiotto cliente con diverse porzioni di frittura in omaggio.

La tensione nella sala coordinamento pizze era assimilabile per intensità, alla tensione della sala operativa principale, quella che per intenderci, aveva il compito di coordinare le operazioni nel deserto in medio oriente, e sembra che in quel clima estremamente rigido e carico d’ansia, qualcuno abbia fatto confusione richiedendo un incursione in pizzeria e una capricciosa ad una portaerei, il cui comandante, in preda al panico per non aver riconosciuto il codice missione, decise di simulare delle interferenze, utilizzando l’allora infallibile sistema della carta stagnola sfregata a poca distanza dalla cornetta del telefono satellitare. Falsa interferenza che nei rapporti ufficiali della missione venne descritta come un attacco con dei missili provenienti dall’Iraq che erano stati opportunamente intercettati e distrutti, prima che potessero raggiungere l’imbarcazione militare.

Questo inconveniente causò la perdita di alcune ordinazioni, tra cui la capricciosa senza olive ordinata dal vice direttore generale delle operazioni, che, quella sera, pur di non restare a digiuno, finì con lo spiluccare pezzi di pizza da alcuni sotto ufficiali e ingozzarsi di crocchette, ma questa, è un altra storia.

Il dispiegamento di forze, messo in campo quel giorno, non aveva precedenti nella storia, mai prima erano state ordinate così tante pizze dallo stesso luogo se non per qualche scherzo telefonico, e sembra che il titolare di quella prima pizzeria contattata quel giorno, abbia in realtà ignorato la telefonata del pentagono, pensando si trattasse proprio di uno scherzo, costringendo il Pentagono, dopo alcune ore di famelica attesa, a rivolgersi ad una seconda pizzeria, e per non correre rischi, sembra siano stati mobilitati alcuni agenti dei servizi segreti, incaricati di recarsi in pizzeria, ordinare le pizze, pagarle e aiutare i titolari delle pizzerie nelle operazioni di consegna, coordinandosi proprio con il centro operativo del pentagono.

Quando allo scoccare della mezzanotte (ora irachena) dal ponte di alcune portaerei disseminate nelle calde e umide acque del mediterraneo orientale e del golfo persico, si levò la prima ondata di mezzi aerei, pronti a colpire una serie di obiettivi strategici in iraq, anche la prima ondata di fattorini lasciò le pizzerie disseminate per la città in direzione pentagono.

I due mondi erano tra i più insoliti e diversi, da un lato una metropoli da milioni di abitanti ed un esercito silenzioso di fattorini in sella a scooter rosso fiammante, con in caldo un infinità di pizze calde da consegnare, tra il ghiaccio e la neve, nel mezzo di un gelido inverno, dall’altro, un deserto spoglio e arido, con appena qualche cammello all’orizzonte ed uno sciame di aerei progettati per volare a bassa quota, al cui passaggio si formavano dei piccoli tornado di sabbia, con in caldo, un infinità di ordigni esplosivi, da sganciare tra sabbia e pulviscolo, nel mezzo di un afoso deserto, e pure, nonostante le diversità, le somiglianze tra le due operazioni potevano lasciare senza parole.

Uomini da tutto il mondo erano stati mobilitati per quell’operazione estremamente delicata e complessa, il cui svolgimento avrebbe segnato in maniera estremamente significativa le sorti del mondo.

Pizzaioli egiziani, fattorini indiani, italiani e portoricani, ognuno dava il proprio contributo, ognuno rappresentava una pedina fondamentale sullo scacchiere e nessuno di loro era sacrificabile, non per l’alto comando che su quelle pizze aveva scommesso l’esito dell’operazione. Certo, anche l’operazione nel deserto aveva una sua importanza, ma lì a Washington, la priorità era consegnare quelle pizze in tempo, anche perché con la politica dei 18 minuti o pizza gratis e con più di 100 pizze ordinate, alcune pizzerie rischiavano il fallimento.

Le prime pizze giunsero perfettamente in orario, appena in tempo per l’inizio delle operazioni e la visione delle prime immagini degli scontri che giunsero nella sala operativa.

Tutti gli schermi mostravano quelle scene incredibili, il cielo notturno delle città irachene era illuminato a giorno dalle luci dei missili che sfrecciavano all’orizzonte ed esplodevano sui tetti e a pochi chilometri di distanza dalle città, a volte intercettati dalla difesa contraerea, altre volte perché mancarono l’obbiettivo. Quelle immagini che mostravano in diretta la guerra in corso dall’altro lato del mondo, erano purtroppo prive di audio, perché le telecamere utilizzate erano sprovviste di microfono, tuttavia, al comando operativo di Washington, impiegarono diverse ore prima di scoprire che l’audio era assente e sembra che, per buon parte del tardo pomeriggio, alcuni ufficiali abbiano osservato l’impressionante qualità di quella tecnologia che permetteva loro, non solo di vedere le immagini dei bombardamenti, ma persino di sentirne il frastuono e l’odore.

Nella sala operativa si era infatti diffuso in poco tempo un forte odore sulfureo, che i generali identificarono immediatamente come l’odore acre delle esplosioni, odore che li riportava ai giovanili anni da pilota in ben altri conflitti.

Un colonnello sembra abbia commentato la scena dichiarando “che frastuono queste esplosioni, non si può abbassare il volume degli altoparlanti”, abbassate anche l’aromatore replicò un generale, è la peperonata, rispose il sergente di guardia italo americano che quel giorno aveva portato con se il pranzo al sacco pur di non mangiare quelle pizze decisamente poco invitanti.

Il compleanno di Winston Churchill durante la conferenza di Tehran | Racconto Ucronico

Un racconto ucronico, surreale e ironico, sul sessantanovesimo compleanno di Winston Churchill, festeggiato durante la conferenza di Teheran (cosa che ha davvero fatto)

Il 30 Novembre 1943, nel contesto generale della seconda guerra mondiale, durante la conferenza di Teheran tra i leader alleati, Sir Winston Churchill, primo ministro dell’impero britannico dal 10 maggio del 1940, compì, 69 anni, e per stemperare il clima di tensione che avvolgeva la conferenza, una delle più importanti per quanto riguardava il coordinamento delle operazioni e la definizione delle linee di condotta da seguire per le future decisioni strategiche da prendere durante il conflitto contro le forze dell’asse, Winston Churchill, organizzò una cena per il suo compleanno.

E giuro, che il racconto ucronico, non è ancora cominciato, questa prima parte, questo incipit, è assolutamente reale, Churchill ha davvero festeggiato il proprio compleanno durante la conferenza di Tehran, e se non ci credete andate posso dimostrarlo, ho le foto.

Ma adesso, passiamo al racconto ucronico/ironico. Nel caso ci siano dubbi al riguardo, questo significa che tutto quello che seguirà a questo paragrafo, non è successo davvero o comunque non sono andate proprio così come verranno raccontate, gli avvenimenti che seguono a questo paragrafo sono frutto di un lavoro di fantasia. Detto più semplicemente, m e li sono inventati, partendo dalla realtà, per tirare fuori un racconto divertente e no sense, o almeno spero sia divertente.

Mettiamo in chiaro una cosa, questo avvenimento, la festa di compleanno di Churchill avrebbe potuto svoltare la seconda guerra mondiale in mille modi differenti, la festa sarebbe potuta andare male e avrebbe potuto incrinare i rapporti tra i capi di stato, qualche leader mondiale avrebbe potuto esagerare con lo champagne, o con l’alcool in generale, cosa che Stalin potrebbe aver effettivamente fatto visto che in tutte le foto ha in mano un bicchiere con del vino e sono stati fotografati almeno dieci diversi brindisi durante la serata, giuro che neanche alle festa dell’unità si brinda così tante volte tra una salamella e l’altra. Churchill inoltre aveva una certa età (non che gli altri fossero più giovani, ma era comunque il più anziano del gruppo), e tra il caldo secco di Teheran, il fuso orario, le feste fino a tarda notte, oppiacei vari la sveglia presto al mattino, e la generale tensione che aleggiava in quelle stanze, la sua salute era a rischio, non che Roosevelt e Stalin se la passassero meglio, sia chiaro, era un ambiente stressante per tutti, o quasi. Stalin forse era quello che visse meglio l’esperienza perché abituato ad un clima più rigido… in tutti i sensi.

Per Stalin, abituato a vivere letteralmente nel proprio ufficio, e dormire sulla propria scrivania o al massimo rannicchiato in posizione fetale su una poltroncina particolarmente scomoda, che teneva in studio in ricordo dei giovanili anni trascorsi in cantine georgiane a parlare di rivoluzione bevendo vodka di contrabbando prodotta in quella o quell’altra cantina lì vicino, quei giorni a Teheran furono una piacevole distrazione, vista anche la possibilità di dormire in un vero letto, cosa che non faceva da anni ormai, e se bene i meeting con Roosevelt e Churchill erano particolarmente lunghi ed impegnativi e riempivano gran parte delle loro giornate mediorientali, alla fine, quei ritmi e quegli orari, si rivelarono essere molto più tollerabili rispetto ai propri standard e conferirono a Stalin molto di quel tempo libero che a Mosca gli era negato.

A Mosca, le sue giornate lavorative lo impegnavano per circa 36 ore al giorno, con pause di appena 15 minuti ogni 18 ore, per dormire o in alternativa per andare in bagno, o l’una o l’altra, entrambe era problematico. Lì a Teheran invece, lavorava soltanto 12 ore al giorno e delle restanti 24, almeno nei primi giorni, non sapeva letteralmente cosa farsene, anche perché in realtà erano solo 12, ma nel suo personale sistema temporale le cose non erano così semplici.

Al terzo giorno di incontri, Winston Churchill fece notare a Stalin che le giornate si componevano di sole 24 ore, e che, le persone normali, in quelle ore, lavoravano, mangiavano, andavano in bagno, dormivano e trovavano il tempo di prendere in giro Roosevelt chiamandolo Teddy e fingendo di confonderlo con il precedente presidente Roosevelt, insinuando nell’uomo un’innaturale longevità.

Nei giorni seguenti non mancarono battute sull’età di Roosvelt, che per ripicca, decise di organizzare una festa a sorpresa per il compleanno di Churchill, al fine ultimo di evidenziare come il primo ministro britannico fosse nei fatti il più anziano del gruppo, salvo poi rendersi conto che tra i tre, non c’era poi tutta questa differenza d’età e la festa burla si tradusse in una banale festa a base di alcolici di contrabbando, oppiacei e black Jack, una squillo di lusso particolarmente richiesta in alcuni ambienti e di origini somale. (lo so, questa battuta è squallida)

La mattina del 30 Novembre, giorno del 69 esimo compleanno di Churchill, causa allestimento della sala per i festeggiamenti, non vi furono riunioni strategiche. Sfortuna volle che Stalin non ricevette la notifica, probabilmente a causa di un crash dell’app-rendista segretario che il giorno prima si era intrattenuto con alcune ragazze in un locale fuori Teheran, qualcuno sospetta che la mancata notifica sia legata ad un qualche scherzo e che Stalin, volutamente, non venne avvertito dell’annullamento della riunione, questo punto è ancora da chiarire, ci sono pochissime fonti sulla questione, fatto sta che il leader sovietico, quel giorno, come ogni giorno della sua vita, si svegliò con Alba, si lavò, mangiò un bambino per colazione e poi si recò nella sala degli incontri, si sedette al proprio posto al tavolo, posto a sedere contrassegnato da una targa con su scritto il suo nome, così non c’erano equivoci su chi dovesse sedere dove, e, nell’attesa che gli altri giungessero per iniziare i lavori, Stalin si portò avanti ed iniziò a firmare una pila di tovagliolini che era stata posta sul tavolo.

Per deformazione professionale, Stalin quando vedeva delle pile di carta, iniziava a firmarle, e se nessuno lo interrompeva, poteva stare lì per ore ed ore, senza interruzioni, e con un afflusso costante di fogli di carta da firmare Stalin avrebbe potuto trascorrere tutto il giorno a firmare qualsiasi cosa gli fosse capitata sotto mano. Sembra che abbia firmato anche un paio di assegni in bianco e un ordine esecutivo con cui si autorizzava la costruzione di un parco acquatico a tema militare nel mar baltico che gli storici militari avrebbero identificato con il nome di operazione Fortitude. E fu così, che forma dopo firma, si fece ora di pranzo e poi trascorse l’intero pomeriggio. Le lancette dell’orologio ticchettavano, il tempo passava, la pila di fazzoletti fu rimpiazzata diverse volte durante la giornata e mentre Stalin firmava il nulla, assorto in una bolla di deprivazione sensoriale autoindotta che di fatto lo proiettava in un mondo tutto suo, tutto attorno a lui, nel mondo reale, la sala cambiava.

Gli addetti al catering della ditta Mastro Beppo, stavano lavorando all’allestimento della sala, in preparazione della festa di compleanno di Winston Churchill, e almeno nelle prime ore, erano visibilmente turbati dalla presenza di quell’uomo dallo sguardo tenebroso e minaccioso, assorto nei propri pensieri che firmava tovagliolini bianchi, con lo sguardo perso nel vuoto, al centro dalla sala conferenza di Teheran.

Dopo qualche ora, gli operosi addetti al catering entrarono in empatia con Stalin, per loro un uomo misterioso di cui ignoravano l’identità e che stava in mezzo alle scatole disturbando silenziosamente il loro lavoro. I rapporti tra Stalin e Beppone, il titolare della ditta di catering, inizialmente turbolenti, si allentarono quando Beppone notò Stalin visibilmente turbato e in preda a quello che sembrava un vero e proprio attacco di panico, così, gli si avvicinò e chiese quale fosse il suo problema. A quel punto Stalin rispose di aver finito i documenti sulla scrivania, evento assai raro aggiunse, per poi chiedere a Beppone se la sua segretaria non gli avesse inviato altro materiale.

Beppone, che non era certo uno stupido, notando la pila di fazzolettini bianchi firmati, intuì che l’uomo era affetto da un qualche tipo di disturbo, così, ordinò ai propri collaboratori di rimpinguare continuamente la pila di fazzolettini,così che quell’uomo, chiunque esso fosse e qualunque fosse il motivo per cui era lì, potesse avere di che firmare.

Grazie a questa decisione, Beppone evitò a Stalin un Fallout psicologico, cosa che, indirettamente salvò la vita a lui e la sua famiglia, visto che era si origini baresi, emigrato in Crimea con la famiglia quando era ancora un infante.

Con Stalin impegnato a firmare fazzoletti, l’allestimento della sala poté proseguire senza intoppi o interruzioni, per diverse ore furono affisse stelle filanti, striscioni, piante finte, fu allestito un tavolo speciale con un buffet a base di bambini per i delegati sovietici, furono installati alcuni pungiball con le sembianze di Hitler e Himmler e fu persino allestito un teatro delle marionette, con tanto di pupazzi di Hitler e Mussolini, che, secondo alcuni testimoni, vide la messa in scena di una simpatica gag comica i cui protagonisti erano impegnati un una sorta di sit-com ante litteram, nello stile di casa Vianello. Purtroppo il cui copione dello spettacolo sembra sia stato distrutto dopo la serata, ma questa è un altra storia.

Dopo otto ore di lavoro ininterrotto, la sala era ormai pronta, restava un unico problema da risolvere, la preparazione del tavolo d’onore, al centro della sala, al quale Stalin era seduto e non accennava alzarsi. Per più di otto ore era stato lì, seduto immobile, senza alzarsi per andare in bagno, senza fare interruzioni o pause per mangiare o bere, con un unica interruzione dopo la prima ora di firme, quando erano finiti i tovagliolini. Beppone doveva trovare un modo per allontanare quell’uomo e dopo diversi tentativi, non sapeva più cosa fare, lui e i suoi uomini avevano provato di tutto, era stato detto lui di un Buffet allestito nell’altra stanza, di un festino hot con delle ballerine molto avvenenti, qualcuno, identificandolo come Stalin, aveva persino detto che non lontano da lì c’era un vivaio di bambini e che poteva andare lì e mangiare tutti gli infanti che desiderava, ma nulla, assolutamente nulla riuscì a smuoverlo, almeno fino a quando il suono di un orologio a cucù guasto, non risuonò nella stanza.

Fu un avvenimento quasi miracoloso, avrebbero commentato i presenti, quell’orologio a cucù non solo non funzionava, ma in quel momento non era neanche lì, ma fu proprio quel cucù rotto a rompere l’incantesimo e Stalin si risvegliò dalla propria ipnosi autoindotta, certo, Stalin in quel momento fu anche l’unico uomo nella stanza a sentire il suono del cucù, ma nel sentirlo, smise di firmare fogli di carta e decise di concedersi una pausa, andò quindi in un angolo, si rannicchiò su di una scomoda poltroncina, tanto inesistente e irreale quanto il suddetto orologio a cucù, e rimase lì, in posizione fetale per diverso tempo.

Gli uomini presenti nella stanza con lui non capirono molto di quanto stava accadendo, qualcuno temeva per la propria salute, per loro non c’era stato alcun cucù, non c’era nessuna poltrona e Stalin era semplicemente un pazzo che aveva firmato fogli bianchi per tutto il giorno e che ora giaceva rannicchiato sul pavimento, ma proprio in quel momento, il festeggiato Churchill giunse nella sala e spiegò loro cosa era successo, o almeno cosa lui credeva fosse successo, il che è tutto dire.

Erano le 19:30 circa, non si sa bene secondo quale fuso orario e Churchill, da buon irlandese di origini scozzesi nato a Woodstock, nonché fiero membro reietto degli AA, aveva già bevuto due pinte di birra, quattro calici di tavernello e una dozzina di bicchieri di Whiskey riserva Iraniana, del Whisky locale aromatizzato all’acqua di rose, prodotto con un antica ricetta segreta, che la madre del Barman del palazzo dei congressi di Teheran aveva appreso, insieme alla ricetta per la preparazione del caffè espresso, diversi anni prima, durante una breve permanenza in carcere a Napoli, da una certa Cicirinella, sorella gemella della Peppina e nonna della Cicirinella della canzone di de Andrè, portatrice di un antica tradizione di Cicirinelle che preparavano il caffè in carcere a Poggio Reale, fin dal 1853.

Churchill, visibilmente provato dal sapore molto forte e aromatico del liquore iraniano, prese uno dei tovaglioli bianchi firmati da Stalin, lo guardò attentamente per qualche minuto, poi, lo diede ad uno degli uomini del catering e riferendogli che Stalin, in qualche modo, aveva decodificato i codici nazisti e che per quello si era concesso un momento di riposo, dunque avrebbero festeggiato tutta la notte.

L’uomo del catering iniziò a dubitare che il pazzo a quel punto fosse lui, perché guardando il tovagliolo non vedeva altro che una firma in calce al foglio, con null’altro, del resto, l’uomo che gli aveva dato quel foglio era Winston Churchill in persona, mica Pino, il suo amico invisibile.

Mentre Stalin riposava nel proprio giaciglio fatto di tovaglioli firmati e gli addetti al catering sistemavano gli ultimi dettagli della sala, ecco che iniziarono ad arrivare i primi invitati alla festa, che altri non erano che i delegati, generali e diplomatici e un po’ di gente a caso invitata solo per fare numero.

Quando tutti gli ospiti e gli imbucati furono arrivati e Stalin uscì dal proprio letargo, la festa ebbe inizio.

Churchill, il festeggiato, approfittò dell’occasione per chiamare un brindisi ogni 5 minuti, e visto che lui era il festeggiato, disse la frase magica “festa mia comando io”, queste parole gli conferirono per quella serata alcuni poteri straordinari, come la capacità di stabilire arbitrariamente la durata dei minuti, e visto che l’unico orologio nella stanza era quello a cucù immaginato da Stalin, e che il confine tra realtà ed illusione era più labile che mai, venne fuori che, in circa mezz’ora, ci furono ventotto brindisi e mezzo, tutti immortalati da un unica fotografia con tempi di esposizione molto dilatati, così da dare l’impressione che in realtà il brindisi fosse solo uno e che la foto fosse venuta mossa.

Passata la festa, in altre circostanze, sarebbero stati necessari diversi giorni prima che la conferenza potesse riprendere regolarmente e che gli ospiti potessero riacquisire il pieno delle proprie facoltà mentali, un po’ perché la sala conferenza era ridotta ad un porcile ed andava ripulita, un po’ perché i postumi della sbornia avrebbero richiesero qualche giorno per rientrare, ma soprattutto perché, in un raro momento di debolezza, Roosevelt, Stalin e Churchill, durante uno dei tanti brindisi fatti quella sera, decisero di organizzare un escursione in cammello, fare After e mangiare insieme un cornetto nel deserto. E così fecero, i tre partirono per un punto inprecisato nel deserto, seguendo le indicazioni stradali di Pino, l’amico immaginario del tipo del catering che ormai era in confidenza con Winston Churchill, e andarono, lasciando dietro di se un solo messaggio in codice e ancora oggi non ufficialmente decodificato, scritto in una lingua inventata, su di un foglio precedentemente firmato da Stalin e controfirmato dai tre leader mondiali.

Tuttavia, la minaccia dell’asse in europa era qualcosa che non permetteva troppe distrazioni e all’indomani della festa, alle prime luci dell’alba, una volta mangiato il cornetto, i tre caballeros tornarono a Teheran e gli incontri ripresero, regolarmente e a porte chiuse.

Secondo alcuni teorici, nei giorni che seguirono i tre uomini passarono il proprio tempo a giocare a briscola con Ugo, un loro amico comune, conosciuto la sera prima e che si era imbucato alla festa di Churchill. In ogni caso, la conferenza fece il proprio corso e la storia, all’indomani del compleanno del primo ministro britannico, ritornò nel proprio regolare sentiero.

Nel mondo reale, ciò che accadde quella sera, fu, almeno ufficialmente, una cena, molto tranquilla, con qualche brindisi, il taglio della torta e qualche fotografia di rito, ma a noi, piace pensare che, almeno quella sera, per pochi minuti, anche Stalin, Churchill e Roosevelt, spogliarono gli abiti dei leader più potenti del mondo, e si lasciarono andare a scherzi, burle, brindisi e trovarono anche il tempo, di prendere in giro Roosvelt.